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I sogni che restano
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E-book217 pagine3 ore

I sogni che restano

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Info su questo ebook

Sofia è una ragazza che fa i conti con la “perdita”. Ludovica, più che un’amica, è morta in un incidente. La sua assenza si somma alle mancanze familiari con cui Sofia ha già dovuto fare i conti in passato. Come accade ogni volta che un tassello della propria esistenza viene meno, tutto è messo in discussione nei suoi giorni. “I sogni che restano” sono angoli di se stessi da riscoprire, da reinventare. Missione che è impossibile per chiunque portare a termine da solo. Grazie a un incontro tutt’altro che fortuito, Sofia cercherà di ricostruirlo il vaso della sua vita, a partire dai cocci seminati dal dolore.
LinguaItaliano
Data di uscita21 nov 2019
ISBN9788831645942
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    Anteprima del libro

    I sogni che restano - Rocco Roberto

    sogni

    1

    "Lo so, non leggerai mai questi messaggi. Mi sento una stupida solo al pensiero di quello che sto facendo. Non ci posso credere, non lo avrei mai detto… Eppure lo faccio, ne sento il bisogno Ludo! Mi sento una pazza, un’emerita deficiente, ma è come se nello scriverti entrassi ancora in contatto con te, come se ritrovassi qualcosa di te, del tuo mondo, di quello di cui vivevi, del modo che era tutto tuo di vivere le emozioni, di smaltirle, di elaborarle, mettendole sulla carta. Sì, tu. Non io appunto. Dovevi andar via perché ricominciassi ad usare carta e penna. Era necessario?

    Mi sento spaesata, con uno strappo maldestro sul cuore. Quando mi chiedono come sto non riesco a descrivere meglio quello che provo se non ricorrendo alla metafora dello strappo. In realtà, se ci pensi, è così che sei dovuta andartene. Come strappata! A ciascuno di noi che in un certo senso era legato a te. Penso a me, a tuo padre, tuo fratello… penso a lui… Sì, uno strappo. Senza la possibilità di un ultimo saluto, di un abbraccio per augurarci di rivederci da qualche parte un giorno, se ce ne sarà modo. Senza la possibilità di dirsi quello che in tanti anni non siamo riuscite a dirci, il bene che ci siamo volute e che non ci siamo mai dette. E che pure, lo so, ci siamo comunque dimostrate in tanti modi, in tanti piccoli gesti, in tanta intesa e condivisione. Può bastare? A me non basta, oggi no, non basta! Avrei voluto salutarti, rivederti, ridere ancora, scherzare ancora una volta insieme, prenderci ancora gioco di tutti e di tutto ciò che era il bersaglio preferito delle nostre burle. Non doveva andare così!

    Mi sento in colpa amica mia, terribilmente colpevole delle mie piccole e grandi mancanze. Soprattutto in merito a lui. Ce l’ho avuta un po’, in fondo, nei primi giorni, con lui. Forse non gliel’ho dato del tutto a vedere, credo che anche se abbia una pur minima colpa per come sono andate le cose, non meriti comunque di vedersi aggredito. Da me poi! Ci sei stata bene. Questo lo so. E rispetto tutto. L’ho fatto, lo sai, ti ho sempre rispettata. Ma so che ti ho anche messo tanto in crisi a suo tempo. Anche lì, sento di aver sbagliato. Forse non avrei dovuto. Anzi, avrei dovuto sostenerti di più, spingerti con più sicurezza verso quella storia in cui hai sempre creduto. Col cuore. Per viverla di più. Non me lo perdonerò mai, lo sento.

    Mi manchi Ludo, non so ché mi aspetta senza di te."

    La ragazza richiuse l’agenda, facendo cadere pesantemente il dorso della copertina sulle pagine. Sospirò. Gli occhi lucidi sembravano voler trattenere le lacrime, impedir loro di liberarsi, come facevano quando era davanti agli altri. L’abitudine a non ostentare il suo dolore in presenza di altri sguardi le impediva di dar libero sfogo al pianto che la assaliva spesso, persino quando si ritrovava in stanza da sola.

    La ferita era ancora troppo fresca. Se lo era sentito dire spesso nei giorni precedenti. Il tempo avrebbe fatto la sua parte. Eppure c’era stato anche chi, con un po’ di realismo in più, o reduce di un’esperienza simile, l’aveva messa in guardia proprio sul tempo. Sperare che potesse cancellare, guarire, risanare del tutto una tale ferita era solo illusione. Il tempo attutisce piuttosto, ma non cancella. Il segno che un amico traccia in un’età così giovane nel cuore dell’altro è qualcosa di indelebile. Altro che il tempo risana le ferite.

    Aveva riesumato l’agenda su cui non scriveva ormai da anni. A suo tempo era stata una sorta di diario. Che tuttavia aveva abbandonato subito. La velocità dei pensieri, degli stati d’animo che si accavallano nel giro di nanosecondi nell’animo umano, era qualcosa che la mano non poteva assolutamente registrare, quantomeno fedelmente. Per cui si era convinta che era inutile sprecare tempo a registrare quegli attimi fuggenti: meglio viverli. Lo aveva sempre pensato, fin da adolescente, reduce delle disgrazie che aveva passato.

    E infatti era vero, al peggio non c’è mai fine. E il peggio era lì, davanti ai suoi occhi, sulla scrivania. La foto di Ludovica che sorrideva, in riva al mare, i ricci biondi, leggeri, sospesi nel vento, era la foto di una ragazza scomparsa prematuramente.

    Erano passate poche settimane dall’incidente. Ogni giorno la mente concepiva nuovi pensieri riguardo a quel momento. Pensava spesso all’amica, al momento dell’impatto con la carrozzeria. A come doveva essersi sentita in quel preciso istante, e negli attimi successivi, sul ciglio di una strada, in fin di vita. Quanto doloroso poteva essere stato. Cosa doveva aver pensato, i suoi ultimi pensieri in quegli istanti insopportabilmente brevi o, forse, insopportabilmente eterni. A volte entrava in uno stato di così intensa empatia che si immaginava al suo posto. Ma non bastava mai a darle effettivamente l’idea di quello che lei, la sua amica, avesse provato davvero. Solo lei sapeva.

    L’amarezza, l’angoscia, il dolore che questi pensieri le scalfivano dentro ogni volta, erano alleviati di tanto in tanto dal fatto che, almeno, Ludovica aveva potuto salutare, se un saluto era stato, l’uomo che negli ultimi mesi della sua vita diceva di amare come non aveva amato nessuno fino ad allora. Pensava che doveva essere stato un po’ come balsamo sulla sofferenza del momento. Magra consolazione, ma doveva aver significato tanto per lei in quell’istante. Ne era sicura.

    A lei restavano i ricordi. Così come a Riccardo. I ricordi di un’amicizia che le aveva viste crescere insieme, farsi forza a vicenda, l’una a sostegno dell’altra. Era solo una ragazzina quando aveva perso anche suo padre ed aveva dovuto trasferirsi dai nonni. Ricordava bene tutte le volte in cui Ludovica, come mossa da una sorta di misteriosa empatia, simile alla sua adesso che ne contemplava la foto, l’aveva invitata a dormire da lei. Ai tempi delle scuole medie, così come ai tempi del liceo. È vero, i nonni erano stati dolci con lei, fin da quando aveva perso sua madre, ancora piccolina. E con la morte del padre non avevano esitato nel prenderla con loro. Ma le notti e i pomeriggi passati accanto a Ludovica, le cene con la sua famiglia, coi suoi genitori e il fratello dell’amica, erano stati un po’ un’alternativa alla famiglia di cui era stata privata. Era come se la vita le avesse offerto la possibilità di riempire quei vuoti. Elisa e Leonardo non avrebbero mai sostituito i suoi genitori. Ma quando era da loro si sentiva ricoperta delle stesse attenzioni, dello stesso amore che riservavano ai loro figli. Si sentiva parte del loro nucleo familiare. Il collante era stato, però, Ludovica. Non avesse avuto, già da ragazzina, quella sensibilità, quella generosità che l’aveva sempre contraddistinta, forse non avrebbe mai avuto modo di godere del calore che quelle immersioni nella sua famiglia, ogni volta le riservavano.

    Perdere Elisa era stato, infatti, perdere una seconda volta una mamma. Forse il dolore era stato ancora più forte, dal momento che era solo una bambina quando sua madre era scomparsa. Allora era stata lei il sostegno indispensabile per Ludovica. La vita, con le sue piroette, coi suoi fregi e i suoi sfregi infiniti, inevitabili, incontrollabili, non aveva smesso di porle, entrambe, nella condizione di ricevere appoggio l’una dall’altra. Finché, in realtà, adesso, non vi erano più i presupposti affinché quel gioco di ruoli alterni potesse protrarsi ancora. Ludovica non c’era più.

    La porta batté arrestando il getto di pensieri che scorreva nella mente della ragazza. La nonna aprì, sporgendo appena la testa, cercando con lo sguardo sua nipote, seduta alla scrivania.

    «Sofia, c’è un amico che insiste, dice di volerti vedere», sussurrò con una vocina flebile e premurosa.

    «Nonna,» esordì stanca la ragazza. Si alzò. «Ti avevo detto che non c’ero per nessuno».

    «Hai ragione, è che è salito direttamente, già dietro la porta, non ho saputo dirgli di no, mi sembra un bravo ragazzo e forse vuole solo starti un po’ vicino, no?»

    Sofia biascicò qualcosa a labbra serrate, uscì dalla stanza e si diresse verso l’ingresso. La porta era socchiusa. La spalancò, portandosi sul pianerottolo.

    «Finalmente, iniziavo a preoccuparmi» sospirò il ragazzo come alleggerito da un peso.

    «Come diavolo t’è venuto in mente di venire direttamente qui? Da quando ti ho invitato a casa mia, me lo spieghi?» tagliò corto lei.

    L’altro arrossì. Le mani sprofondarono ancora di più nelle tasche dei jeans. Abbassò lo sguardo, seguendo le linee perfette dei mattoni sul pavimento, davanti ai suoi piedi. Respirò e affrontò lo sguardo tenace della ragazza.

    «Sono giorni che non ci vediamo. Ero preoccupato per te. Non rispondi alle chiamate, né ai messaggi. Posso preoccuparmi per la mia ragazza o non mi è dato farlo?»

    «Ci sarà un motivo se non rispondo! Ti ho detto che voglio starmene un po’ sola, tranquilla. A me questo è dato?» chiarì in tono di sfida lei, le spalle contro la porta.

    «Siamo tutti scioccati per quello che è successo Sofia. E se lo sono io che conoscevo poco Ludovica posso immaginare quanto lo sei tu. Ma non mi dai modo di starti vicino, non lo dai a nessuno.»

    «Non ti ha chiesto niente nessuno infatti! Smamma Pietro, non ho bisogno di niente» sbottò scocciata, in procinto di rientrare.

    Il ragazzo la fermò, bloccandole un polso. Lei oppose resistenza, liberandosi e schiaffeggiandolo.

    «Ma che cazzo ti prende?» esplose lui, rosso in volto.

    «No che cazzo vuoi tu, Pietro!?! Vattene per piacere!»

    L’altro, un’espressione a dir poco interrogativa, incredula, stampata sul viso, indietreggiò di qualche passo, avvicinandosi alla scalinata; scese qualche gradino restandole di fronte.

    «Io non ti capisco, sei tutta strana» le disse voltandole le spalle e scendendo lungo i gradini.

    La stanza, di notte, si trasformava in una fucina in cui la mente forgiava continuamente pensieri, considerazioni, riflessioni che spesso, durante il giorno, non riusciva a partorire. Forse l’oscurità, forse il silenzio, così intenso, a tratti inquietante, e quello sguardo puntato nel vuoto della stanza, riempito dalle tenebre, spingevano la mente a dare forma a riflessioni insolite. Si chiedeva dove fosse la sua amica in quegli istanti, cosa ne era stato di lei. Subito pensava alla sua fede, quella della sua amica. Ricordava quanto, spesso, avevano discusso confrontandosi sulle loro diverse vedute riguardo a quello che succede dopo la morte. Sofia era sempre stata scettica. Un po’ per abitudine, un po’ per educazione ricevuta, pensava di crederci anche lei in quello stesso Dio in cui credeva la sua amica. A volte la seguiva in chiesa, specie a Natale. Le sue preghiere nascevano spontanee nel momento del bisogno. E, quando il sogno espresso nella preghiera non si avverava, faceva spallucce e andava avanti come aveva sempre dovuto fare per superare le avversità. E il rapporto con quel Dio si incrinava, allora, sempre di più.

    Ludovica, invece, sembrava prendere per oro colato quel credo che professava in chiesa, quello secondo il quale la sua anima, in quel momento, doveva starsene in un posto migliore in attesa del giudizio del Padre Eterno. Certo, quel credo. A volte non riusciva a fare a meno di pensare che forse nemmeno la sua amica credeva in tutto e per tutto in quel credo. Non aveva forse vissuto una storia con un uomo sposato? Spesso si pentiva di concepire simili pensieri. In fondo, non aveva mai giudicato Ludovica per la sua storia con Riccardo. Non c’era motivo di farlo adesso. Il punto era se aveva raggiunto o meno quella dimensione in cui credeva. Non glielo avrebbe mai detto nessuno. Tanto meno la sua amica.

    Addormentarsi era diventato difficile. Una sorta di rituale a tappe: aprire il letto, infilare il pigiama, contemplare ancora qualche minuto la foto di loro due, sul comodino, baciare il volto dell’amica sussurrando qualcosa di indistinto, spegnere la luce, scivolare nelle coperte, lasciare vagare i pensieri, confusi, in libertà, far riaffiorare frammenti di ricordi da qualche angolo del cuore, sorridere, o versare qualche lacrima, a seconda del tipo di ricordo riaffiorato in superficie. E abbandonarsi al sonno quando la stanchezza se lo portava appresso. Se era fortunata ritrovava il sorriso dell’amica in un sogno, un modo per riempire quel vuoto perenne che si trascinava dietro tutto il giorno.

    2

    La porta del negozio si aprì di scatto. Due ragazze, una biondina e una mora, questa slanciata, l’altra più in carne e bassa, tozza, raggiunsero il bancone. Con aria a tratti indifferente, Sofia le salutò chiedendo loro cosa ci facessero da quelle parti, dato che non era loro abitudine farle visita al negozio.

    «Avevo pensato di regalare un completo intimo a mia sorella, tra qualche giorno è… il suo compleanno» disse titubante la biondina.

    Sofia la squadrò con uno sguardo scettico. La moretta afferrò.

    «No Sofia, è inutile mentirci. Siamo qui perché siamo preoccupate per te.»

    «Perché mai? Illuminatemi, vi prego» sbottò con sarcasmo, issandosi sullo sgabello dietro il banco, i gomiti puntati sul ripiano.

    La ragazza scura continuò con sincerità.

    «Senti, ok. Non siamo mai state grandi amiche. Ci siamo conosciute solo perché i nostri ragazzi sono amici. Nel gruppo ci siamo sempre calcolate il minimo indispensabile. Ma è evidente che tu non stai bene. E nessuno lo pretende! Ma cerca di non chiuderti, davvero. Forse è il momento giusto per lasciarti anche avvicinare, non credi?» La sua voce era tranquilla, interessata. Sembrava sincera. Molto più dell’altra.

    Sofia respirò a fondo prima di proferire parola.

    «Chiara, apprezzo il gesto. Le intenzioni. Buone! Ma lo hai detto anche tu, nessuno si aspetta che io stia bene. Ognuno affronta queste cose a modo suo, e questo è il mio modo. Non starò bene ma non sono nemmeno moribonda. Chi non c’è più è la mia amica. Quindi… non lo so, forse passerà, forse no, si attutirà tutto… Non lo so adesso, voglio solo stare un po’ da sola, in pace.»

    «Ma almeno Pietro… Ci tiene a te, è molto preoccupato» aggiunse Chiara.

    «E già, c’era da aspettarselo, è lui che vi ha mandato. Dove non arriva da solo manda le galoppine» notò irritata. «Senti, questa forse è anche l’occasione per riflettere sul nostro rapporto. Non lo so quanto ci tengo a lui, e viceversa. Quindi è anche il momento giusto per rivedere la cosa, diteglielo pure. Anzi, aiutatelo a svagarsi un po’, magari si distrae e mi sostituisce, tanto non sarebbe la prima volta.»

    «Sei crudele Sofia! Ti vuole bene per davvero» intervenne Lonia, che era rimasta in silenzio per tutto il tempo dopo aver mentito spudoratamente sul motivo della loro visita.

    Sofia tacque per qualche istante. Sembrava risentita. Rifletteva fra sé.

    Chiara invitò l’amica ad andare. Ribadì a Sofia che per qualsiasi cosa lei si rendeva disponibile; una telefonata, un giro in centro, un caffè, un messaggio. Stava a lei non tagliare i ponti con loro a prescindere da come le cose si mettevano con Pietro.

    "Ma chi me lo fa fare a circondarmi di queste persone? Non sono mai state amiche mie. Mi sono ritrovata in quel gruppo solo perché sto con Pietro. Eccolo là che rispunta. E poi perché ne parlo al presente? Mi sembra di essere stata risoluta nel mandarlo a quel paese. Ludo… non ci capisco più niente. Mi manchi. Non è più la stessa cosa qui, senza di te. Ho sempre il bisogno di sentirti. Spesso mi ritrovo a fissare il cellulare perché aspetto il tuo messaggio. Quando sono a casa ho l’istinto di sollevare la cornetta per chiamarti. E un attimo dopo mi ricordo che non sentirei più la tua voce dall’altro capo del telefono. Che pur chiedendo di te Leo non saprebbe dove

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