L'Angelo e la Psicoterapia
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Recensioni su L'Angelo e la Psicoterapia
2 valutazioni2 recensioni
- Valutazione: 4 su 5 stelle4/5Buono, ben scritto e buona bibliografia. Utile per capire che la psicoterapia non dovrebbe occuparsi di pazienti, ma di anime e che averla relegata all'ambito delle patologie e delle piccoli e grandi nevrosi è un crimine verso l'umanità. La parte di introduzione sugli Angeli può essere illuminante per chi non avesse ancora compreso che alcune energie esistono per noi ed in noi, e possono essere utili eccome, nella misura in cui troviamo un modo di 'nominarle', ovvero di focalizzarle e quindi relazionarci con esse.
- Valutazione: 4 su 5 stelle4/5Interessante, un punto di vista che suscita curiosità, gli angeli esistono, ma anche i..diavoletti
Anteprima del libro
L'Angelo e la Psicoterapia - Maria Giulia Minichetti
insieme.
PRIMA PARTE
RITORNO ALLE ORIGINI
CAPITOLO PRIMO
APORIA ESISTENZIALE E NEVROSI ONTOLOGICA
Viviamo un malessere individuale e collettivo che è sotto gli occhi di tutti. L’O.M.S. (Organizzazione Mondiale della Sanità) ha aggiornato i suoi dati e questi sono i risultati: sono circa 450 milioni le persone che in tutto il mondo soffrono di disturbi neurologici, mentali e comportamentali⁴. I disagi si presentano in tutte le classi d’età e sono associati a difficoltà nelle attività quotidiane, nel lavoro, nei rapporti interpersonali e familiari. Vengono sollecitate, come sempre, azioni di prevenzione e di cura, ma un recente sondaggio ha riscontrato un aumento dei casi rispetto a dieci anni fa, che ha aggravato i costi già altissimi per il Servizio Sanitario Nazionale.
Sembra che le discipline deputate alla salute mentale quali la Psicologia, la Psicoterapia e la Psichiatria siano impotenti ad arginare questo malessere che si diffonde globalmente; non sempre per loro incapacità, ma perché le ricerche e gli sforzi sono spesso vanificati dall’azione subliminale del sabotaggio alla salute che fa l’informazione di massa, di ogni luogo e in ogni modo. Ma questo è un discorso di Sociologia Politica che qui non serve approfondire.
I molteplici aspetti della malattia fisica, i disadattamenti sociali, le manifestazioni dell’ansia e degli attacchi di panico – sempre più frequenti – hanno una stessa radice: la paura. Paura del futuro, della solitudine, della morte, della povertà, paura di non avere una motivazione abbastanza forte e valida per continuare a vivere.
Avvertiamo sempre più intensamente la separazione da una fonte divina di amore, da quel ‘paradiso terrestre’, da uno stato di ‘grazia’ che sappiamo esistere, ma non percepiamo più, vivendo, di conseguenza, una schizofrenia esistenziale tra ciò che siamo e ciò che pensiamo o sentiamo di dover essere.
Ci troviamo davanti a una sofferenza antica, che non è soltanto fisica o psicologica, ma spirituale e dà origine a una molteplicità di nevrosi e psicosi. Dietro al malessere noogenico⁵, inteso come perdita del significato della nostra vita, c’è di più. La crisi dei valori del mondo occidentale sta portando verso un’aporia esistenziale che fa dilagare ‘un tipo di nevrosi ontologica’: non riusciamo più a sentirci ‘vivi’, a percepire e riconoscere ‘il senso della felicità’. Alcuni individui più di altri avvertono il bisogno di soddisfare un’esigenza interiore che parte dal cuore, un bisogno di ‘più vita’, simile a quello della fame e della sete, andando alla ricerca di un’unità, di un contatto con l’essere⁶. Spesso si cerca il lettino dello psicoanalista per ritrovare il contatto con il nostro essere più profondo, ma lo si fa invano. E allora, come dice Hillman, "cosa fa un’anima che non ha un terapeuta con cui fare le sedute? Porta le sue pene a un bosco, alla riva di un fiume, a un animale amico, oppure in giro senza mèta per le vie della città, a contemplare il cielo notturno. Oppure guarda fuori dalla finestra o mette a bollire l’acqua per farsi una tazza di tè. È come respirare: espandiamo i polmoni, li rilassiamo, e ci arriva qualcosa, da fuori. Il daimon, nel cuore, sembra contento, perché preferisce la malinconia alla disperazione"⁷.
Sempre più persone – giovani e adulti – si allontanano dalla Psicologia e dalla medicina tradizionale e si rivolgono ad altri professionisti, che ritengono più adatti a cogliere quel senso profondo e invisibile che da soli non riescono a dare alla loro vita⁸. Cercano risposte e forme di aiuto in orientamenti di fede e spirituali, depositari di verità antiche e universali, che utilizzano un linguaggio capace di parlare al cuore e di toccare le corde dell’anima: la religione, la mistica, l’esoterismo, lo sciamanesimo, le pratiche e le discipline orientali, l’astrologia, la cartomanzia e tante altre. Questo fenomeno così dilagante, viene osservato dall’ambiente scientifico con uno sguardo sprezzante e un atteggiamento saccente; spiegato come ignoranza e ingenuità di persone che si illudono di trovare soluzioni ai problemi concreti, deresponsabilizzandosi e mettendosi nelle mani di maghi e ciarlatani. Può essere anche vero, in parte, ma credo sia una versione semplicistica e riduttiva del problema. La Psicologia, prima di tutti, dovrebbe porsi la domanda del perché di questo fenomeno e fare una sana autocritica. Invece, è impegnata a fare le lotte politiche per salvaguardare i propri ‘spazi di competenza’ e a rivaleggiare con la medicina per occupare cariche istituzionali, mentre l’umanità se ne va da tutt’altra parte.
Così osserviamo una sorta di schizofrenia: da un lato la psicologia accademica, che s’insegna agli studenti e si divulga alla massa, e dall’altra un sapere psicologico
, che corre e si sviluppa tranquillamente fuori dai canoni della cosiddetta ‘legalità’, richiesto e utilizzato da un numero sempre maggiore di persone, spesso di grande sensibilità, intelligenza e preparazione culturale.
La ricerca della psicologia tradizionale sembra essersi arenata nella difesa a oltranza della sua ‘legittimità alla cura’, nel difendere e dimostrare la sua ‘scientificità’ rimanendo a osservare altri che occupano quel vuoto che lei stessa ha creato. Ma questo si sa da tempo. È stato E. Husserl⁹ ad asserire che il metodo scientifico era fallito e che bisognava rifondare la scienza basandosi su diversi presupposti logici, partendo dalla Psicologia. Non quella classica e accademica fino allora conosciuta, ma una psicologia capace di entrare ‘nel mondo della vita’, di trascendere tutte le tradizioni e accedere alle leggi eterne dell’universo. Ma, per entrare in questa visione, lo scienziato deve fare epochè della fenomenologia, superare i veli dei diversi fenomeni, cioè fare la trascendenza degli stereotipi. "Il discorso scientifico esige, infatti, per la sua costituzione di una coscienza intersoggettiva, un intelletto puro che lascia fuori di sé ogni sorta di condizionamento psicologico. Tale è il cogito cartesiano da cui prende avvio la scienza nella sua accezione matematica e a cui si rifà la psicologia nel suo tentativo di prodursi come scienza. Ma qui la psicologia viene a trovarsi in una contraddizione insuperabile perché, se la scienza può nascere solo in presenza e a opera di un cogito de–psicologizzato, se la non interferenza dello psichico è la propria condizione per la produzione di un discorso scientifico, se la soggettività empirica e individuale è proprio ciò che non deve intervenire dove l’analisi pretende di essere oggettiva, può la Psicologia prodursi come scienza senza abolire se stessa?"¹⁰.
E a denunciare questa crisi non è stato soltanto Edmund Husserl.
CRISI DELL’IO E PSICOLOGIA DELL’ESSERE
Nei primi del Novecento, molti scienziati, tra i quali Skinner, Carl Rogers, Rollo May, Abraham Maslow e Sutich, che oggi conosciamo come i massini esponenti della Psicologia Umanistica, asserirono che per risolvere i problemi della psicologia bisognava pensare a un’altra strada, aprire un’altra via che rappresentasse la quarta forza¹¹. Fu proprio Maslow a proporre un ampliamento filosofico della psicologia che doveva essere più elevata trans–personale, trans–umana, una psicologia dell’essere
¹². Era necessario partire da uno stato mentale più significativo di quello della veglia, dalle "esperienze picco o peak-experience, che fornissero all’uomo una nuova visione del mondo e della realtà. Queste esperienze non potevano essere vissute dall’uomo malato, ma da un uomo sano, autorealizzato, per cui la psicologia doveva darsi un nuovo punto di osservazione e nuovi obiettivi. Oggi si parlerebbe di posizione generativa o
imprinting generative"¹³.
Da queste riflessioni è nata la Psicologia transpersonale¹⁴ il cui intento è di studiare i livelli più elevati ed evoluti della coscienza umana, vale a dire la sfera della spiritualità. Essa riconosce la necessità di integrare la ricerca psicologica occidentale con le più profonde tradizioni orientali per conoscere la natura profonda della psiche e arrivare alla saggezza, cioè portare la personalità al di là dell’ordinario e del suo ego risvegliandolo alla realtà dell’esistenza.
L’intuizione di Maslow è stata sviluppata da Antonio Meneghetti che negli anni Ottanta ha formalizzato l’Ontopsicologia¹⁵ o Psicologia dell’essere nell’uomo, ponendo alla base della conoscenza un nuovo criterio: l’In Sé ontico, o progetto di natura, operando una sorta di rivoluzione copernicana in ambito psicologico. Invece di partire da un Io fittizio e schizofrenico, ha scoperto la realtà su cui rifondare le coordinate logiche e superare il problema critico della conoscenza posto da E. Husserl. Da qui, la necessità e la funzione di una Psicoterapia in grado di autenticare
l’Io, partendo ovviamente dall’Io dello psicologo. Compito di ciascun uomo, e in particolare dello scienziato, è fare la metànoia, il cambiamento della mente: far coincidere l’Io logico con la vettorialità e i messaggi del progetto naturale, in modo che sia in grado di leggere e interpretare il dato di realtà senza sovrastrutture, deviazioni o interferenze.
Dobbiamo ammettere che l’Io, così com’è, è una fonte di errori: continua a produrre dolore e sofferenza; è inautentico perché si basa su criteri esterni, non funzionali allo sviluppo di un’individualità e di un’umanità sana. E anche la Psicologia è costruita sull’Io, e l’Io, si sa, ha le sue resistenze al cambiamento, perché dovrebbe essere disposto a mettere in discussione se stesso e la validità di ciò che ha costruito. Ma se si ha paura del cambiamento, si potrebbe invece sospettare che sotto ogni crisi dell’Io ci sia in realtà una novità che si annuncia e allora la cura dell’anima diventa una critica, una revisione della coscienza, una critica della cultura che occulta la natura
¹⁶.
Questa revisione dell’Io non può essere un’operazione puramente intellettuale fatta pur sempre dall’Io. E qui si rivela il limite dell’attuale Psicologia: Ciò che manca alla Psicologia è una dimensione esterna all’Io, dalla quale osservare innanzitutto l’Io stesso e, al contempo, anche tutto ciò che l’Io percepisce, capisce e crede. Solo osservandola da fuori dell’Io è possibile delineare una struttura della nostra psiche, che renda comprensibile le modalità di tutti gli elementi che la compongono: e da fuori dell’Io non significa certo dal punto di vista di uno psicologo che osservi il paziente per se stesso – dato che anche uno psicologo è ancor sempre un ‘Io’
¹⁷.
Ma questo fuori dell’Io
fa un po’ paura e allora basiamo la nostra conoscenza su qualche strumento esterno che ci dia una garanzia. In realtà, il vero strumento di conoscenza in Psicoterapia è esclusivamente la percezione endopsichica del terapeuta e per autenticare questo strumento non bisogna basarsi sul giudizio degli altri o su qualcosa di esterno: è una percezione di trasparenza interiore dove lo psicoterapeuta si autentica dal principio dell’azione che visiona
¹⁸. Allora per autenticare l’Io, bisogna partire da un altro punto di partenza che non sia l’Io.
Purché preziosi e innovativi, questi contributi teorici e le relative applicazioni rimangono fuori dall’ufficialità scientifica, impoverendo la Psicologia e spingendo molti a guardare altrove.
PSICOLOGIA E PSICOTERAPIA: RITORNO ALLE ORIGINI
L’inconscio era conosciuto molto prima di Freud ma veniva chiamato ‘sacro’; i sacerdoti e i taumaturghi erano i grandi terapeuti. Poi la Psicologia si è allontanata dal sacro e ha rincorso la ‘scientificità’, la sua antagonista medicina, con cui ha poco, se non niente, in comune.
Ancora oggi, capita spesso di constatare che appena si parla di Psicologia e Psicoterapia si pensa al malato mentale: Dallo psicologo? Non sono mica matto!
. Oppure si pensa a una professione che serve a poco, perché i problemi prima o poi passano e le sole parole non risolvono.
Al contrario, la Psicologia e la Psicoterapia, nelle loro funzioni più alte, sono indispensabili all’uomo che costruisce scienza e società in quanto prodotti della sua mente, del suo Io
che si sa, tanto sano non è. Psicologia e Psicoterapia sono fondamentali per tutti, in particolare per coloro che ricoprono cariche e funzioni di guida, di cura ed educative: genitori, insegnanti, politici, avvocati, magistrati, medici ma ne è andato perduto il profondo significato.
Originariamente Psicoterapia
significava cura interiore dell’anima, dove per ‘cura’ si intendeva avere riguardo e deferenza per qualcosa di sacro che è nell’uomo: la psickè, l’anima. Il significato etimologico della parola terapia è ossequio, servizio, attenzione, dono, inteso come spirito, fluido vitale
¹⁹, così lo utilizzavano i grandi filosofi di un tempo come Tucidide, Platone, Fedro e Omero. Anche il cristianesimo l’ha sempre inteso in questo modo e, fino a poco tempo fa, in alcuni paesini, il sacerdote veniva chiamato il curato: il curatore delle anime. Quindi, inizialmente la Psicoterapia aveva una funzione quasi sacra: si prendeva cura dell’anima.
Il concetto di ‘anima’ è antico. Già Platone asseriva che l’anima nasce pura ma, cadendo nella materia e nel corpo, si carica di dolore e rimane imprigionata. Per leggerla, si faceva ricorso al mito, al simbolismo e alla metafora. Anche il teatro era adibito a questa funzione. Negli anfiteatri, nati in Grecia e poi diffusi in tutto il mondo, il popolo faceva Psicologia, mitologia e morale ed erano momenti in cui, attraverso la rappresentazione, si insegnava agli uomini la catarsi e il rinnovamento, secondo le indicazioni divine"²⁰. La malattia veniva vista come rottura di un equilibrio naturale dell’uomo con la divinità, quindi la Psicologia è nata proprio come intento di discorrere e parlare delle cose dell’anima.
Poi è arrivato Galileo Galilei e la sua rivoluzione copernicana; l’Illuminismo riporta al centro dell’universo la ragione, si dà importanza al fenomeno e tutto deve essere misurabile, quantificabile, dimostrabile e ripetibile: i principi del metodo scientifico. Inizia la sistematizzazione delle diverse branche della scienza in tutti i campi e si formalizza il Positivismo razionale e logico. Anche la medicina deve affrontare lunghe lotte, perché non essendo ritenuta scientifica, viene perseguitata. Ippocrate (830 a.C.) nel tentativo di dimostrare che la malattia fosse un evento comprensibile anche razionalmente, ne eliminò la dimensione sacra e anche quella causale: la cura è solo la soppressione del sintomo²¹. E, forse, per dare dignità alla medicina, riprese il termine terapia e lo riferì alla cura del malato; e in questo senso, la medicina venne utilizzata impropriamente. Anche la parola ‘Psichiatria’ sarebbe impropria perché, dal greco iatròs, significa curatore del corpo, mentre psyché è anima, spirito. Così come l’arte medica si focalizza a scoprire il male nel corpo, anche la Psichiatria "medicalizza l’anima esercitando su di essa una decisa