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Wildfire- the velux series #1
Wildfire- the velux series #1
Wildfire- the velux series #1
E-book539 pagine8 ore

Wildfire- the velux series #1

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Info su questo ebook

Chris Sanford è uno studente universitario, abita a Salem e discende da una famiglia di Veggenti; ha cioè Facoltà di avere delle Visioni. Può vedere il futuro ed è così che scopre che Chase, suo fratello gemello,verrà ucciso entro pochi mesi da una ragazza misteriosa. Provare ad avvisare lui o i genitori risulta impossibile:non ha rapporti con loro da anni e nessuno è al corrente del suo potere. Per salvare Chase non gli rimane che trovare la ragazza e fermarla in tempo.
Emma Moore è un'orfana di 18 anni; vive a Oak Hills e passa le sue giornate con Gabriel, il suo migliore amico gay. Prima di morire, sua nonna le lascia una lettera in cui rivela la natura della loro famiglia:sono Facoltose col potere del controllo del fuoco. Emma scopre così l'esistenza di un mondo a lei sconosciuto, il Velux, lacerato da lotte interne e maledizioni, come quella che lega da secoli la sua famiglia ai Veggenti . E' lei la prescelta per spezzarla: dovrà uccidere l'ultimo Veggente prima di caderne vittima.
Quando Emma incontra Chris non può immaginare la sua vera natura, nè quello che si nasconde dietro i suoi segreti. In un crescendo di colpi di scena e rivelazioni scoprirà che l'amore può essere la maledizione più pericolosa di tutte.
LinguaItaliano
EditoreJ. Lovely
Data di uscita4 nov 2013
ISBN9788868558475
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    Anteprima del libro

    Wildfire- the velux series #1 - J. Lovely

    Wildfire

    J. Lovely

    The Velux Series # 1

    A Filippo e Andrea,

    E a tutti quelli che se ne sono andati troppo presto.

    PARTE PRIMA

    Prologo

    Ci risiamo.

    Credo che non mi abituerò mai a questa sensazione. E’ inutile sperare che sparisca tutto in fretta. Non posso decidere nemmeno quando finirà.

    Dove sono? So che sta succedendo tutto nella mia testa, almeno per ora. Ogni volta è lo stesso senso di impotenza, costretto a vedere e sapere cose di cui non mi importa un dannato accidente. Non devo perdere tempo. Attivo i miei sensi, le uniche armi per capire dove mi trovo.

     E’ notte  e ho freddo. Il buio avvolge un vicolo, illuminato solamente da una luce intermittente. Un’insegna, forse. Luce, buio. Luce, buio. E il buio è così denso  che non faccio in tempo ad abituare gli occhi ai momenti di oscurità che subito l’insegna si riaccende, accecandomi. Devo trovare il modo di vedere qualcosa! Mi affido all’udito. Sento dei rumori che arrivano da dietro l’angolo. Sembrano.. passi? Scarpe, il cui rumore è però stranamente attutito. Guardo in basso e capisco nel frattempo, perché sento così freddo. Inverno, questa volta.

    Uno spesso strato di neve ricopre la strada e la mia tenuta estiva non aiuta a scaldarmi.  Mi avvicino, le orecchie come antenne,incrociando le braccia sul petto per mantenere un po’ di calore. Il senso di vertigine non mi abbandona e il mio petto è scosso da  brividi di freddo. Altri rumori e bisbigli mi riportano in quella strada. Mi muovo silenzioso fino ad arrivare all’angolo oltre il quale provengono le voci  che nel frattempo si sono fatte concitate. Per fortuna i miei occhi riescono a vedere meglio ora. La debole luce di un lampione si riflette sulla neve e avvolge tutto in un’atmosfera misteriosa e inquietante. Mi devo nascondere, succede sempre così; è come essere  catapultato in un film di cui però non mi è dato scrivere la trama, e non mi é concesso nemmeno di rimanere abbastanza a lungo per capirla. Sporgo il viso attraverso lo spigolo e scorgo due figure, ma devo prestare attenzione. E’ una grandissima seccatura non potermi far vedere, ma non posso correre il rischio di alterare qualcosa.

     Non li distinguo bene perché sono lontani, oltre il lampione. Cerco con gli occhi un dannato qualcosa dove potermi nascondere, per avvicinarmi, ma non c’è nulla. Un  vicolo chiuso, sgombro da tutto tranne che un  lampione solitario che illumina chiaramente la metà sbagliata di asfalto.

    Gli occhi mi tradiscono ancora così riattivo le orecchie. Le due figure, come ad aver sentito la mia richiesta ora tacciono, dannazione. Si scrutano. Sono uno di fronte all’altro.

    Per quello che posso intravedere, la figura che mi dà le spalle dovrebbe essere un ragazzo. Di fronte a lui invece,ne sono quasi sicuro,deve essere una ragazza o addirittura una bambina per quanto è bassa e minuta. Cosa diavolo ci faccio qui? Catapultato in un litigio amoroso da quattro soldi?

     La risposta arriva in un attimo. Senza accorgermene mi investe quella sensazione di sbagliato. C’è qualcosa che urta la scena ma  impiego troppo a realizzare di cosa si tratti. La ragazza, perché solo di questo si può trattare, impugna un’arma. Una pistola? La sta puntando al ragazzo. La vertigine diventa reale ora.

    Aspetta aspetta, a questo non sono preparato, non mi era mai successo con una vera aggressione! Cosa significa?

    Immobilizzato dal freddo e dalla paura non riesco a fare nulla. Se anche potessi? Non posso cambiare un accidenti, non ancora almeno.

    Come se servisse a qualcosa mi ritrovo lo stesso a pregare che non spari, che non prema quel dannato grilletto. Mi renderebbe tutto più facile, sarebbe chiedere troppo?

    Poi è un attimo. Tanto mi serve a capire il perché sto assistendo a quella scena.

    Un riflesso di luce mi colpisce negli occhi accecandomi per un momento. E’ proprio quel  bagliore a fornirmi  la soluzione che non avrei mai voluto scoprire. Il ragazzo. Al polso ha un bracciale, incastonato al centro, un piccolo brillantino. Uno stemma di famiglia. La mia famiglia.

    Chase. Mio fratello.

    Il respiro è ormai affannoso. Sto correndo? Con la mente forse. I miei piedi sono ancora bloccati. Non riesco a muovermi. Spero finisca presto. Finisci. Finisci! Mi ripeto di non preoccuparmi, ci sarà tempo per quello, ma è tutto così reale. La vertigine è diventata nausea. E tutto gira, gira, gira! So che sta per finire e non sto più guardando la ragazza, invece devo farlo! E’ tutto quello che avrò quando questo sarà sparito!Mi sporgo, fregandomene di essere visto questa volta. Chase  è sempre  di schiena, silenzioso. Si stanno ancora fissando, come a volersi studiare. Lei ha le lacrime agli occhi. Sta cedendo? Forse non lo farà. Non deve premere quel grilletto!

    All’improvviso tutto precipita. 

    Lei impugna la pistola con due mani. Vuole tenerla meglio? Non sembra più in grado di calmarsi. Sta piangendo. È scossa da fremiti. Non farlo allora! Ti prego!

    Per mia madre, per me e per tutte noi dice in un sussurro.

     Poi, la fine.

    Carica la pistola, e gli spara.

    Capitolo 1 -Emma

    Era uno di quei momenti in cui ti sembra che il tempo si stia dilatando e tu lo passi a meditare sul significato della vita. Non riuscivo a inquadrare quale illuminazione stessi aspettando, ma una profonda inquietudine mi si era attanagliata nel  petto, come un peso che non mi faceva respirare a pieni polmoni.

    Eravamo sdraiati sul mio letto, i piedi che si toccavano. Guardavamo il soffitto e nessuno dei due parlava, o meglio per quella volta riuscii a starmene zitta, Gabriel non avrebbe comunque mai proferito parola. Di solito ero io quella che, tra i due, rovinava l’ascolto di Elton John con le mie chiacchiere.

    Gabriel l’aveva spuntata per quella sera e, anche grazie alla mia inusuale arrendevolezza, stavamo ascoltando per l’ennesima volta un album del suo cantante preferito. Cantante era sicuramente un termine limitativo agli occhi di Gab. Per lui Sir John Non poteva essere definito con termini usati per qualunque altro musicista da strapazzoper dirla con parole sue. Quando si riferiva a lui sembrava avere un rispetto reverenziale tipico solo della Madonna o, se ci fossimo trovati nel  nostro libro preferito, di Lord Voldemort.

    Quella sera era tutto diverso ma dovevo ammettere di aver abbassato le difese e lasciato in libera uscita il mio lato più malinconico. Avevo sempre preso in giro Gabriel per la sua passione sfrenata per il cantante inglese, ma quella sera gli risparmiai battute e commenti sarcastici. Lo stato emotivo di entrambi era esattamente in linea con una canzone melodica, come dicevo io per sminuirlo, o d’amore con la A maiuscola come ribatteva lui.

    Avrei voluto parlare, dire qualcosa di intelligente che immortalasse quel  momento in modo epico ma non ci riuscivo. Mi sarebbe piaciuto essere una di quelle ragazze che dal nulla formulava un discorso super stratosferico sulla vita, sul futuro che ci aspettava, il tutto condito da quelle pause e quei cambiamenti di voce tipici delle eroine femminili di qualche film adolescenziale.  Mi sembrava invece che tutto sarebbe cambiato dalla mattina dopo; la fine di un periodo della mia vita si stava avvicinando e non riuscivo a catturare nemmeno un secondo di quella sera, come a tentare di afferrare le immagini di un sogno appena concluso.

    Mi sfuggì una lacrima traditrice e tirai su col naso in modo decisamente poco elegante.

    Maledetto Elton John.

    Gabriel mi strinse la mano, forte, fortissimo, come quando eravamo piccoli e nessuno si stupiva nel vederci insieme.

    Lo sai che non ti abbandono, vero?.

    Si che lo so, ma so anche che da domani cambierà tutto, tra qualche settimana te ne andrai anche tu e ci vedremo pochissimo e io rimarrò da sola qui a Oak Hills e poi sono preoccupata per la nonna dissi tutto d’un fiato, come se l’elenco delle cose che mi stavano sfuggendo di mano fosse infinito.

    Si sistema tutto, non ti preoccupare mi disse lui, con quella dolcezza quasi tangibile che ti faceva venir voglia di credere a quello che diceva.

    Mi accarezzava il braccio facendo dei disegni invisibili con le dita. Anche lui era dispiaciuto, lo sapevo, ma non avevo il coraggio di consolarlo né di dirgli nulla,  come se a parlarne troppo sarebbe diventato tutto ancora più reale di quanto già non fosse.

    Tornammo in silenzio. L’unico rumore era quello dei nostri respiri, come sempre sincronizzati. Non c’era imbarazzo tra noi, non c’era mai stato. Le parole che vibrarono nell’aria dopo pochi secondi espressero l’inquietudine che stavo provando.

    There's a calm surrender

    To the rush of day

    When the heat of a rolling world

    Can be turned away

    An enchanted moment

    And it sees me through

    It's enough for this restless warrior

    Just to be with you

    And can you feel the love tonight

    It is where we are

    It's enough

    For this wide-eyed wanderer

    That we got this far

    And can you feel the love tonight

    How it's laid to rest

    It's enough

    To make kings and vagabonds

    Believe the very best

    There's a time for everyone

    If they only learn

    That the twisting kaleidoscope

    Moves us all in turn

    There's a rhyme and reason

    To the wild outdoors

    When the heart of this star-crossed voyager

    Beats in time with yours

    "Oddio ti ricordi quando abbiamo visto Il Re Leone  al cinema?" gli chiesi, perdendomi in ricordi lontani. Era tipico di giornate come quella il fare dei bilanci oppure tirare in ballo vecchi episodi.

    Non l’abbiamo visto al cinema, l’abbiamo visto a casa mia mi rispose con tono da so-tutto-io mentre si metteva seduto, a gambe incrociate.

    Cosa ti inventi?  L’abbiamo visto al cinema! Quanti anni  avremo avuto? 5 o 6?.

    Sentivo che Gabriel, come sempre quando si parlava di cose in cui si credeva ferratissimo, si stava scaldando.  Faceva infatti quei movimenti frenetici come quando a scuola, da migliore della classe quale era, sapeva la risposta e non riusciva ad aspettare che la professoressa lo chiamasse per rispondere.

    " Senti, mi puoi cogliere impreparato su qualsiasi argomento, ma non casco su Elton John e le sue colonne sonore! Il Re Leone è del ‘94 quindi non credo che ci abbiano portato al cinema in fasce! Fidati, l’abbiamo visto da me. E tu continuavi a piangere quando il papà di Simba muore, se proprio lo vuoi sapere".

    Cavoli, non perdeva un colpo in effetti.

    E’ una parte tristissima provai a giustificarmi e continuai " Non dovrebbero fare dei cartoni così tristi, sono pur sempre per bambini! Comunque forse hai ragione però se non sbaglio, ricordo che te l’ho regalata io la cassetta! Quindi si può dire che è tutto merito mio se hai conosciuto il tuo beniamino musicale! Musicalmente parlando intendo!" .

    Che rivelazione mistica avevo avuto! Al mio solito volevo tornare al centro dell’attenzione e prendermi il merito di una cosa che sarebbe nata comunque e indipendentemente dal mio zampino.

    Va a finire che è tutta colpa tua rise Gabriel, troppo abituato al mio comportamento da prima donna per rimanerci male. Subito  riprese Si, mi ricordo che mia mamma mi aveva accompagnato a casa tua e aveva fatto quella terribile figuraccia con tua nonna chiedendole di Madelyn.

    Non me lo ricordo  risposi vaga.

    Scusa Em, non volevo farti intristire ancora di più.

    Non ti preoccupare. Lo sai che con me puoi dire tutto quello che ti passa nella testa, non che tu non lo faccia già. Comunque non c’è problema, anzi mi piacerebbe ricordarmi di più di lei, invece tutti evitano anche solo di nominarla in mia presenza per paura di ferirmi. Sai, a volte penso al suo viso e faccio fatica a inquadrarlo,come se mi ricordassi i dettagli ma non l’insieme; allora vado in camera della nonna e do una sbirciatina a una foto della mamma che lei tiene sul comodino; è quella che mi piace di più perché sembrava.. felice, in quello scatto.

     Non avrei voluto che anche la conversazione prendesse la strada della malinconia, ma era ormai inevitabile.

    Basterebbe che ti guardassi allo specchio; dalle foto che mi hai mostrato siete identiche!.

    E’ la vera lei che voglio ricordare, non la lei me.. insomma hai capito.

    Certo che ho capito. Ho scritto io il dizionario bilingue Emma-Mondo e Mondo-Emma.

    Un giorno me ne farai avere una copia, per autografarla intendo suggerii.

    Ti cedo la mia; tanto a me non serve mi rispose, e mi fece uno di quei sorrisi da lui, in cui sembra che esca il sole dopo il temporale.

    Gabriel era quello che si  sarebbe potuto definire il mio migliore amico, ma etichettarlo così era fin troppo riduttivo. L’attaccamento che mi legava a lui era più viscerale, come se si  fosse trattato di  mio fratello. Gli volevo un bene fisico; lo abbracciavo e lo cingevo a me tutte le volte che ci vedevamo. Il mio era proprio bisogno di sentirlo vicino, perché tutto di lui mi calmava e mi dava quella sensazione di essere a casa, anche se mi fossi trovata a miglia da  Oak Hills. Non ricordavo un prima o un dopo Gab. Lui c’era semplicemente, sempre stato.

    Ci eravamo conosciuti all’asilo. Mi ero appena trasferita quindi non conoscevo nessun altro bambino a quel tempo. Non so se me lo ricordo veramente o se mi sono costruita io un film a partire dai racconti di mia nonna ma pare che, al momento di entrare, il primo giorno, tutti gli altri bambini piangessero e si dimenassero perché non volevano lasciare la mamma. Solo due bambini entrarono senza farsi troppi problemi, io e Gabriel! La nonna mi raccontava che ci rimase addirittura male, pronta com’era alle tipiche scene strappalacrime al momento della prima separazione. Quando vennero a riprenderci mi videro uscire mano nella mano al piccolo Gabriel, e quella mano non ce la eravamo ancora lasciata andare.

    In città non c’era una singola persona a conoscerci che dubitasse del nostro amore. Per tutti eravamo i bambini cresciuti insieme e che sarebbero finiti per sposarsi entro qualche anno. Per ora glielo lasciavamo credere, ma io e lui sapevamo che non sarebbe mai successo. A Gabriel piacevano i ragazzi. Io l’avevo sempre saputo, perché queste cose si sanno e si sentono. Non c’era stato bisogno che lui me lo dicesse o rivelasse; l’avevamo sempre dato per scontato perché non c’era bisogno di rimarcarlo. Era, per così dire, un dato di fatto, una constatazione. Gabriel aveva gli occhi marroni ed era gay. Grazie ed arrivederci. Noi non fingevamo di volerci bene in pubblico per convincere qualcuno; ci comportavamo così perché ci amavamo, ma a modo nostro, quindi che ognuno pensasse quello che voleva. Io per il  patito di Elton John avrei fatto qualunque cosa. E a breve lui  sarebbe andato al College e ci saremmo separati per la prima volta. Avevo una paura tremenda di perdere quello che avevamo.

    Abbiamo ancora qualche settimana per stare insieme no? gli chiesi, preoccupata.

    Si Em, ma non metterla giù così drammatica per favore! Non vado mica dall’altra parte del mondo! Ti prometto che in questi giorni mi vedrai talmente tanto intorno che mi pregherai di tornarmene a casa! disse.

    Era una caldissima sera di fine Giugno e quel giorno era stato quello che si dice un traguardo importante della nostra vita, ci eravamo diplomati. Aspettavo talmente tanto quell’ avvenimento che come spesso accade, mi sembrava di non essermelo vissuto a pieno. Solo allora, sdraiata accanto a Gabriel riuscii a rilassarmi e a ripensare alla giornata passata.

     Tutto era andato secondo tradizione. La giornata era stata scandita dai classici momenti di rito come il discorso della migliore della classe, la consegna dei diplomi   per poi continuare i festeggiamenti a casa. Di festa in verità non ne aveva avuto molto le sembianze, non da me almeno, a causa del bassissimo numero di invitati.

    Vivevo infatti con mia nonna da quando mia mamma era morta in un incidente d’auto 15 anni prima. Successe a Mount Kisco, nello stato di New York, dove abitavamo prima dell’incidente, e da cui traslocammo subito dopo la sua morte.

    Bam

    La nonna da qualche settimana stava male.

    Bam bam

    Quel giorno era riuscita a fatica a venire alla cerimonia dei diplomi. Se non ci fosse stata lei, non avrei avuto nessuno da compiacere e far felice. Invece venne, un po’ affaticata ma c’era, e scattò anche delle foto, evento che aveva dell’incredibile data la sua risaputa riluttanza per la tecnologia. 

    A casa, dopo la cena, festeggiammo con  una torta ai frutti di bosco che avrebbe Resuscitato un morto come disse Gab quando passò a festeggiare con me dopo la sua cena. Si era  diplomato anche lui ovviamente, ma al contrario dei festeggiamenti con la sua chiassosissima famiglia, sapeva che saremmo state io e la nonna da sole, quindi decise di passare per movimentare un po’ la serata.

    La nonna adorava Gabriel. Non so se avesse capito qualcosa, a volte pensavo di si. Faceva delle specie di battute da signora anziana che non facevano assolutamente  ridere ma sembravano avere degli strani doppi sensi. Allora io e Gabriel ci guardavamo di sottecchi ma poi lei finiva per aggiungere qualcosa tipo Quando avrete dei figli voi due o cose del genere  quindi ci ributtava nel dubbio cosmico saprà o non saprà? Ormai ci divertivamo a provare a ipotizzare le risposte più strampalate ma alla fine non riusciamo mai veramente a capire.

    Con la nonna ci stavo bene, ad essere sinceri. Gab mi aveva creato una teoria che condividevo e cioè che se non hai mai conosciuto qualcosa, è difficile che ti manchi, perché ormai sei abituato alla tua normalità ( che per un altro normalità non sarebbe, certo). Purtroppo non avevo molti ricordi di mia mamma, nulla che mi facesse rivivere veramente la sua presenza. Ero decisamente troppo piccola per ricordare i momenti passati insieme prima del suo incidente. Non c’era un odore che mi ricordasse di lei, oppure una stanza in cui non riuscivo ad entrare perché il suo ricordo era troppo forte e mi assaliva. Tutto questo sarebbe potuto sembrare molto triste, e lo era sicuramente, però mi permetteva di non vivere nella disperazione di un mondo in cui lei mancava.

    Era  la nonna a stare  molto peggio di me. Lei soffriva perché una figlia le era stata strappata, e si dispiaceva perché non avrei conosciuto mia madre, non mi avrebbe visto sposata     ( con Gab?) e tutte queste cose. A volte lo leggevo nell’espressione  del suo viso segnato dalle rughe e capivo all’istante a cosa stava pensando. Avrei voluto consolarla ma non ne ero in grado. Non ero capace di dirle che andava tutto bene, che non soffrivo. Era la verità per come la vivevo io, ma temevo che l’ avrei fatta soffrire  ancora di più nel rivelarle che quei pochi ricordi che avevo, non mi bastano a sentirne la mancanza . Si sarebbe sentita sicuramente peggio .

    Come se non bastasse la nonna non stava bene; non avevo ben capito cosa avesse perché non voleva  preoccuparmi e per di più fino ad allora non avevo avuto un minuto libero a causa di tutte le faccende per il diploma. Si era indubbiamente molto indebolita, mangiava pochissimo ( non toccò praticamente la torta resuscita-morti) e aveva una strana ombra negli occhi. Speravo con tutte le mie forze che non fosse rassegnazione, perché se avevo una certezza era che non mi volesse certo lasciare da sola. In verità temevo che sapesse già qualcosa e non me lo volesse dire.

    Se non torno a casa mio padre darà l’allarme alla polizia questa volta mi disse Gab, alzandosi dal letto e andando a spegnere lo stereo. Mi sa che mi tocca andare ora!.  Si infilò le scarpe e poi mi volto a guardarmi.

     Ci vediamo domani mattina? Abbiamo delle commissioni da fare, giusto? mi chiese.

    Sei instancabile! Non ci concediamo nemmeno un giorno di vacanza?.

    No perché se non ti accompagno io a portare i curriculum, da sola non ci andrai mai, te ne starai a letto per i prossimi mesi, e quando tornerò dall’università per le vacanze ti dovrò spolverare e sarai piena di piaghe da decubito!.

    Messaggio recepito, domani mattina ti aspetto. Comunque si dice curricula. Un curriculum, due curricula. Quanto mi divertivo a correggerlo!

    Ah ah ah! Fai la secchiona adesso! Comunque perfetto sorella, buonanotte mi disse avvicinandosi.

    Si sporse per darmi un bacio ma io lo avvolsi all’improvviso con le braccia e lo strinsi talmente forte che lui si lamentò.

    Ti voglio bene lo sai?.

    Lo so! disse facendo la voce strozzata, per prendermi in giro. Ma non c’è bisogno di soffocarmi per dimostrarmelo. Ti voglio bene anche io. A domani.

    Sciolsi il mio abbraccio e lui uscì. Per fortuna che avevo Gabriel; senza di lui non sapevo proprio starci. E il pensiero che presto sarebbe partito senza di me non contribuiva a migliorare la situazione.

    Ero sempre stata molto cosciente della mia situazione. Sapevo già da qualche anno come sarebbero andate le cose. Mia nonna non si sarebbe potuta permettere la retta universitaria. La sua pensione non sarebbe bastata per pagare il College e nel contempo garantirle una vita dignitosa.

    Aveva lavorato come consulente in gruppi di recupero per tossicodipendenti e persone con varie problematiche. Dicevano tutti che era la migliore, che ascoltava in silenzio e poi dava sempre i consigli giusti. Anche ora che era in pensione a volte riceveva telefonate che duravano un paio d’ore (quasi sempre quando dovevo chiamare Gabriel) e non c’era verso a farla riattaccare prima del tempo!

    Ero già preparata all’idea di non andare al College, non entro un anno perlomeno, ma mia nonna durante l’ultimo semestre aveva voluto provare lo stesso con le richieste per le borse di studio. Non fu una gran mossa, sia perché non portò ovviamente a nulla sia perché ebbi la conferma di non essere praticamente portata per niente di particolare. Evviva l’autostima.

    Purtroppo non ero mai stata un genio in nessuna materia, anzi studiare non mi era mai piaciuto più di tanto. Nello sport ero capace, ma non eccellevo tanto da poter pensare di provare con una carriera sportiva. Da quando avevo  focalizzato quello che sarebbe stato il mio futuro avevo deciso di prendermi un anno per lavorare e mettere via un gruzzolo con cui andare all’università l’anno dopo. Gabriel ovviamente si era librato in voli pindarici dal contribuire in prima persona e farmi un prestito famigliare ai piani più inconsistenti come vendere un disco in vinile di Elton John molto raro che avevamo trovato in un negozietto a Portand durante un viaggio anni prima. Inutile dire che mi ero fermamente opposta a qualsiasi sua proposta. Un anno di lavoro non mi avrebbe certo fatto male, e alla luce delle recenti condizioni fisiche di mia nonna non me la sarei mai sentita di lasciarla sola in casa.

    Nonostante la cena e, soprattutto, la torta, avevo ancora fame, così mi alzai dal letto e scesi al piano di sotto diretta in cucina. La nonna stava sempre in piedi fino a tardi quindi non mi sarei stupita nel trovarla ancora indaffarate tra le pentole.

     Nonna, dove hai messo lo sformato che è avanzato?.

    Ma non poteva rispondermi. Quando mi voltai per  cercarla la vidi stesa a terra,  immobile.

    Oddio è morta, pensai.

    Capitolo 2- Emma

    In quel momento di panico assoluto, mi ritrovai a pensare a un corso di primo soccorso che avevo seguito a scuola per avere dei crediti extra. Ore passate ad analizzare tutta la  teoria possibile e immaginabile ma mai nessuno che avesse spiegato come affrontare l’ansia e la paura. Un’altra idea totalmente fuori luogo mi sovvenne. Le istruzioni su come affrontare incendi o terremoti a scuola. La prima cosa era sempre Non gridate e mantenete la calma. Che razza di consiglio era? Non si poteva dire che fossi calma ma restai letteralmente paralizzata per quelli che forse furono uno o due minuti. I miei piedi si rifiutavano di muoversi e la mia testa mi suggeriva solo idee infauste.

    Riuscii a riprendermi solamente quando la  nonna si mosse, alquanto paradossale come comportamento, perché se avesse avuto bisogno di me le sarei stata utile come un secchiello porta ghiaccio nel deserto. Non era colpa mia se non avevo ancora avuto modo di scoprirmi una fifona dal panico facile! In un secondo fui su di lei. Era ancora accasciata quando riaprì gli occhi come se si fosse appena risvegliata nel suo letto dopo un sonnellino pomeridiano. Aveva il viso rilassato, nulla che potesse far pensare a un malore o qualcosa di grave. L’agitazione di quel momento mi fece anche pensare che forse si era veramente addormentata lì per terra.

    Nonna! Cosa ti è successo? Come ti senti? Chiamo subito l’ambulanza! strillai con un tono di voce che non sembrava poter uscire dalla mia bocca. Forse tutto il panico stava traboccando all’esterno solo in quel momento.

    Una cosa per volta, bambina disse con assoluta calma, la voce ferma e sicura mentre si rialzava.

    Ero frastornata e mi sentivo tremare in tutto il corpo. La scena che avevo visto, con lei a terra, non aveva nulla a che vedere con il suo stato in quel momento.

    Si alzò, sicura sulle sue gambe, e come se niente fosse riprese a fare quello che, suppongo, stesse facendo prima di svenire. Io ero ancora a terra e la fissavo basita.

    Non guardarmi in quel modo Emma. Sono cose che capitano alla mia età, e ora tirati su per piacere!

    Cose che capitano? Ora andiamo subito in ospedale e ti fai visitare! Non credo serva la laurea in medicina per capire che questo svenimento potrebbe essere un sintomo di qualcos’altro. Quindi non fare la stupida e andiamo subito!. Mi ritrovai a gridare in preda a una rabbia incontrollata.

    Temo di aver capito male, signorina disse lentamente guardandomi dall’alto, visto che i miei muscoli non ne volevano saperne di farmi alzare in piedi.

    "Hai forse detto a tua nonna di non fare la stupida? Credo che qui qualcuno dovrebbe rispolverare l’educazione. Ti dico che mi sento benissimo, fine della questione. Ora vai a letto, si sta facendo tardi."

    Preoccuparsi e venire anche sgridata come una bambina? Non esisteva!

    Mi alzai per poi lasciare la cucina a passi pesanti e sbattei anche la porta della mia camera. Dio che scena! Stavo impersonando l’adolescente arrabbiata! Con l’unica differenza che non volevo andare in discoteca, né tatuarmi qualche stellina sul didietro! Mi stavo solo preoccupando per la salute dell’unica persona che formava la mia famiglia!

    Nel lasciare liberi i miei pensieri cominciai a piangere in modo totalmente incontrollato. Ero forse in preda ad una attacco di panico? Cosa mi stava succedendo? Era come guardarsi da fuori. Mi vedevo seduta sul letto, scossa da degli spasmi al petto ( abbastanza impressionanti direi) che non accennavano a diminuire. In quel momento riuscivo solo a pensare che non dovevo far rumore, altrimenti mia nonna sarebbe entrata e la mia sceneggiata sarebbe solo peggiorata. Era lei la causa. Ero.. arrabbiata! Si, con lei proprio! Trattarmi così, come se avessi 5 anni! Quando mi stavo solo preoccupando! Perché in quel momento, in cui l’avevo vista a terra, mi ero già vista sola. Senza di lei sarei rimasta D-A S-O-L-A! Era così difficile da capire?

    Il pianto non accennava a smettere, ma almeno non sembravo più in preda a delle convulsioni. Passo qualche minuto prima che riuscissi a spogliarmi e infilarmi il pigiama. Andare sotto le coperte voleva solo essere un tentativo di ripararmi da una possibile incursione sua in camera. Non avevo per nulla sonno, e mi sforzavo di far girare il mio cervello. Dovevo pensare, provare a capire cosa le stava succedendo, trovare un modo per farla visitare da un medico. Il giorno dopo avrei cercato su internet; magari scrivendo qualche parola chiave tipo anziana e svenimento avrei scoperto qualcosa.

    Sapevo  però che sarebbe stato inutile. La conoscevo troppo bene per prevedere che non avremmo più toccato l’argomento Svenimento misterioso.

    Man mano che i miei pensieri rallentavano, lasciarono spazio ad un’unica grande consapevolezza dentro di me. Era sempre stata lì ma forse non avevo mai voluto vederla così chiaramente. La nonna era l’unica persona che avevo. Certo, c’era Gabriel ma lui stava per andare all’università e non avrebbe mai dovuto cambiare i suoi piani per colpa mia. Se le fosse successo qualcosa, sarei rimasta soltanto io, me e basta.

    Mi immaginai solo per qualche istante cosa sarebbe stata la vita senza di lei; quella casa, già fin troppo grande per due, mangiare tutti i giorni senza nessuno con cui parlare e .. i soldi? Come avrei fatto senza di lei? La paura mi assalì, forte come una pallonata nello stomaco che ti toglie il respiro per qualche secondo. Prima o poi sarebbe comunque successo. Non avevo mai pensato veramente a quando e come. Ma forse, a questo punto, sarebbe avvenuto prima di quanto avessi mai pensato.

    Allora cominciai a pensare a lei. Forse sapeva già cosa aveva e non voleva rivelarmelo? Era già stata da un medico e le aveva confermato di avere una malattia grave? Di essere terminale? Era per questo che non voleva andare in ospedale, per non spaventarmi? O era così incosciente da sottovalutare la sua salute e, di riflesso, la mia condizione? No, se la conoscevo lei viveva per me, non volevo credere che stesse facendo qualcosa che mi avrebbe potuto nuocere, anche se in futuro.

    Da che ero arrabbiata, mi sentii in colpa. E lei? Chissà quanto si era spaventata nel sentirsi male, nel vedermi lì, bianca come un panno, preoccupata a morte nel vederla. Come avevo potuto pensare anche solo di avercela con lei? Era chiaro che sapeva benissimo chi delle due sarebbe rimasta da sola. Questa consapevolezza mi calmò. Totalmente assurdo ma vero. Dovevo stare tranquilla e non farmi vedere agitata, glielo dovevo. Se davvero le fosse successo qualcosa, non doveva preoccuparsi per me, perché me la sarei cavata. O almeno così le dovevo far credere. Il giorno dopo ( dopo qualche ora, ormai) avrei consegnato i miei curricula ovunque e avrei trovato un lavoro serio che mi garantisse uno stipendio; avrei iniziato ad aiutare di più in casa e mi sarei resa autonoma. Glielo dovevo.

    Quando mi svegliai avevo quella brutta sensazione di essermi addormentata un secondo prima. Per l’orario in cui il mio cervello aveva smesso di macinare idee, poteva anche essere vero. Mi alzai e andai in bagno. Lo specchio rivelò quello che potevo immaginare. Ero un mostro! Chiamarle occhiaie sarebbe stato un complimento. Gli occhi poi erano ancora gonfi e arrossati, come se non avessi mai smesso di piangere; i capelli erano sporchi, ancora impomatati dalla lacca del giorno precedente. Non mi sembrava fosse possibile essermi diplomata solo il giorno prima! Sembravano passate delle settimane!

    La doccia divenne quindi inevitabile. Nonostante la giornata fosse già calda, puntai il getto sul rosso, lasciandomi rilassare i muscoli da quell’acqua bollente. Mi tornò in mente il mio proposito della sera prima: iniziare a comportarmi come persona adulta. Da quel giorno Emma sarebbe cresciuta! Che rivelazione avevo avuto! E proprio la notte del diploma! Tutto tornava insomma.

    Uscii dalla doccia  e iniziai a districarmi i capelli annodati. Mi sarei curata meglio quella mattina, per fare bella figura nei vari posti in cui sarei andata a cercar lavoro. Asciugai i capelli con la riga di lato, e li racchiusi in un elegante chignon basso. Non sembravo nemmeno io. Poi scelsi dall’armadio un paio di pantaloni il più femminile possibile e la classica camicia bianca vado-bene-in-qualsisasi-occasione. Alle All Star da ginnastica preferii delle ballerine che avevo messo solamente una volta, dopo averle comprate.

    Scesi per la colazione. Mia nonna era in cucina che si arrabattava tra le stoviglie e mi fece trovar pronta la pancetta con le uova strapazzate.

    Buongiorno mi disse. Cercai di leggere nel suo tono di voce se fosse arrabbiata, delusa o che, ma mi sembrò irrimediabilmente normale.

    Buongiorno risposi io, ma con troppo entusiasmo. Si capiva che fingevo, sembrava un orrendo spot pubblicitario di una marca di cereali per la prima colazione. 

    Stupita dal mio tono di voce la nonna si girò e solo allora vide il mio out-fit.

    Però!A cosa dobbiamo l’onore? scherzò. Mi rilassai subito, avendo la conferma che era serena, come se la sera prima non fosse mai avvenuta.

    Dovrò fare una bella impressione se voglio trovare un lavoro no? dissi, iniziando a mangiare le uova.

    Giustissimo, brava ragazza mia! Il tuo ragazzo sta arrivando? mi chiese, riferendosi a Gabriel. Ecco un’altra uscita delle sue. Ma veramente pensava che fossimo fidanzati? Non ci credevo fino in fondo, però d’altro canto, non faceva mai nulla per smentirlo.

    Starà arrivando, se si è ricordato di puntare la sveglia abbozzai.

    E’ molto gentile ad accompagnarti, soprattutto la mattina dopo il diploma  in cui potrebbe stare  a letto! Ha scelto per Seattle alla fine giusto? Almeno non sarà così distante!.

    "Si andrà lì. Vuole provare la scuola di medicina. Gli ho fatto vedere troppe puntate di Grey’s Anatomy, mi sa".

    Ecco, nonostante non volessi toccare l’argomento medici-dottori-ospedali, vi eravamo planate direttamente sopra. Feci finta di nulla, ma il silenzio che seguì era carico di quell’imbarazzo di chi sa ma non vuole affrontare l’argomento.

    Parli del diavolo.. disse mia nonna, dopo che il campanello suonò.

    Non ha ancora capito che può entrare anche senza suonare dissi facendo la finta lamentosa mentre mi alzavo e andavo ad aprirgli la porta.

    Anche Gabriel, come se fossimo connessi da una strana telepatia mentale ( più volte avevamo ipotizzato di avere qualcosa del genere per davvero) si era tirato a lustro.

    Indossava una camicia azzurra, con sopra un gilet grigio che gli dava proprio l’aria di uno studentello universitario; aveva smorzato tutto con un paio di jeans e le immancabili All Star bianche che, a differenza mia, riusciva a mantenere sempre pulite e come nuove.

    Scusa il ritardo gioia ma ho avuto un casino a casa, si deve essere rotto un rubinetto stanotte o qualcosa quindi ci siamo ritrovati la casa allagata, l’idraulico non si trovava, e sai com’è mia mamma quando succede qualcosa disse tutto d’un fiato, tanto che dopo dovette inspirare a fondo per recuperare il debito d’ossigeno.

    No problem. Stavo facendo colazione, mi sono appena svegliata.

    Abbiamo fatto tardi eh signorina? mi chiese Gab con quel tono finto inquisitorio. Non gli risposi, gli feci solo uno sguardo allusivo, uno di quelli che significano Dopo ti spiego.

    La nonna era sempre di spalle, ma aveva sicuramente capito, dato che la domanda era nata e morta lì senza alcuna risposta. Sembrava proprio che tutte e due ci sforzassimo a far finta di nulla.

    Gabriel hai fatto colazione o l’acqua in casa ha allagato tutte le riserve di cibo? chiese la nonna, divertita.

    Oh, no grazie Harriet, sono a posto e poi, dopo la torta che mi avete offerto ieri dovrò stare attento a non mangiare troppo per oggi, ci tengo al mio fisico, io disse Gab, sottolineando troppo l’ultima parola.

    In effetti lui era abbastanza invasato di dieta e alimentazione. Magari poi mangiava tutto , ma solo dopo aver ininterrottamente rotto le scatole sul contenuto di fibra di ogni alimento e cose così. Colsi il sottile riferimento a me e al mio fisico, ma al momento ero più occupata a fargli altri sguardi della serie Non parlare più di ieri, grazie!. Ma Gabriel, che quando ci si metteva, diventava il più duro tra i ragazzi, capì che mi riferivo alla sua battuta sul fisico.

    Emma, te lo voglio dire anche qui davanti a tua nonna. Secondo me ti trascuri! Sei una così bella ragazza, ma dovresti mangiare più equilibrato! Tutte quelle uova e pancetta ti faranno venire il colesterolo alto! sbuffò. Dio quanto lo volevo ammazzare! Ma cosa aveva capito? La scenetta stava diventando tragi-comica. Decisi allora di arrendermi con le occhiatacce e spiegargli tutto più tardi.

    Io, caro il mio Brad Pitt, sono perfettamente nella media; ho giusto un paio di chili che potrei, se volessi, buttar giù! Cosa che comunque non mi crea alcun problema. Ho abbastanza autostima da piacermi quindi sei pregato dei smetterla! Se dovrò morire per il colesterolo alto, almeno morirò felice! .

    Dai Em, non scaldarti! Non ho mai detto che sei grassa! Dico che sei talmente bella, che con qualche chilo di meno diventeresti una divinità! mi disse ridacchiando.

    Non vorrai fartela portar via, Gab aggiunse la nonna. Bene. Tre persone che parlano e non si capiscono.

    Ci rinuncio dissi, finendo la colazione. Mi lavo i denti e usciamo, ok?.

    Gab annuì. Li lasciai in cucina, sperando con tutto il cuore che non parlassero della sera precedente.

    Quando uscimmo, i miei curricula nella borsa, ebbi finalmente il tempo di spiegare tutto a Gab.

    Forse è stata colpa della torta? Non mi sentivo molto bene neanche io dopo averla mangiata.

    Ma dico sei scemo? La torta? Tu sarai stato appesantito visto che ne hai mangiata metà da solo! suggerii.

    Allora cosa pensi che abbia? Magari sbagli a preoccuparti troppo; in fin dei conti, tua nonna non è più giovane, e alla sua età sono cose che possono capitare. Anche la mia prozia Terry sveniva ogni tanto, ma il dottore la rassicurò dicendole che poteva capitare e infatti ci tocca andarla a trovare ancora per le feste.

    Non lo so Gab; ho una strana sensazione. Preferisco preparami psicologicamente all’idea che ci potrebbe essere qualcosa, capisci? Piuttosto che nascondere la testa nella sabbia e poi essere risvegliata da una brutta notizia.

    Si, ho capito. Lo struzzo-style non aiuta, solo non ingigantire le cose ok? Avrai già tanti pensieri di tuo. Non complicarti la vita.

    Va bene dissi, poco convinta.

    Eravamo in macchina, Gab stava guidando la sua auto nuova, regalo del diploma. In verità gli era arrivata da due mesi, perché era una super offerta e i suoi genitori non volevano aspettare il giorno giusto per consegnargliela. Pianificammo un giro per lasciare il curriculum in tutti i posti che mi ero prefissata: tavole calde, ristoranti, qualche ufficio in cui cercavano segretarie, un salone di bellezza ( ma lì vi avrei potuto al massimo rispondere al telefono, data la mia scarsa capacità manuale), un veterinario che cercava un’assistente e una libreria ( nella quale mi avrebbero subito scartato se solo avessero capito quanto poco leggessi).

    Sei tiratissima, baby!.

    Oh, pensavo non te ne fossi nemmeno accorto! dissi, facendo finta di essere immusonita.

    Io noto sempre tutto; come stai bene! Non avevo avuto ancora il tempo di dirtelo.

    Seh seh seh.. dissi per prenderlo in giro, mentre imboccavamo il vialetto della prima tavola calda.

    Il giro-consegna-curricula come lo aveva ribattezzato Gab, non fu un completo diastro, ma sarebbe potuto andare decisamente meglio. Ci imbattemmo nell’ordine in: cameriera idiota che continuava a chiederci se volessimo ordinare ( Commento sarcastico dell’amico gay: " Se a fare la cameriera si diventa così fulminate, ti passo uno stipendio io piuttosto); estetista con spiccata passione per il botulino che dopo avermi squadrato da capo a piedi, mi spedì fuori dicendo che non cercavano personale ( mentre sulla porta svettava uno strano foglio di carta con incise sopra parole che sembravano: Cercasi varie figure professionali:rivolgersi all’interno), ufficio del municipio        ( in cui, strano a dirsi, sembravano persone normali), veterinario molto giovane e visibilmente gay che sembrava più interessato a Gab che al mio curriculum e infine, libreria, dove ritirarono le mie referenze ma non nascosero che cercavano soprattutto un maschio in quanto il lavoro poteva consistere anche nello spostare scatoloni di libri eccetera ( e io avevo risposto, con finta sfacciataggine, che la fatica non mi spaventava. Peccato che ero agghindata, per la prima volta nella vita, come una bambolina, quindi zero credibilità. Ottimo).

    Salvo sorprese quindi speravo  nell’ordine negli uffici, nel veterinario (che Gab mi avesse fatto guadagnare dei punti?), nella libreria e infine nella tavola calda. Certo era che sentirsi dire le faremo sapere non era per nulla piacevole. Dover aspettare che, nella migliore delle ipotesi, mi richiamassero era a dir poco snervante. Senza considerare che non era scritto da nessuna parte che si sarebbero fatti vivi, anche solo per dirmi Abbiamo già trovato e bla bla bla.

    Gabriel continuava a tentare di convincermi che non era andata così male,che qualcuno avrebbe sicuramente richiamato e altre cose di questo tipo. Io sapevo che lo faceva per me, per tenermi sù di morale, ma avrei voluto solo non pensarci più e cambiare argomento. In  verità ne avevo uno che mi era stato servito qualche minuto prima, su un vassoio d’argento, e decisi di sfruttarlo.

    Vogliamo parlare di come ti guardava il dottorino? chiesi maliziosa.

    Non iniziare! Sei sempre la solita! disse Gabriel, che era già palesemente arrossito.

    Invece inizio e eccome! Ti mangiava con gli occhi!.

    Oddio che brutta immagine Em! Ma si può sapere perché se uno è gay, qualsiasi ragazzo che incrocia,dovrebbe per forza provarci?.

    Non ho detto questo! E’ un dato di fatto! Non ti toglieva gli occhi di dosso e , non volendo peccare di arroganza, ma con me lì non mi ha degnato di uno sguardo! Comunque devo dire che era molto carino lasciai la frase volutamente aperta, sperando che lui stesso continuasse. Ma il suo tono divenne troppo serio

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