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L'ultimo eroe
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E-book328 pagine3 ore

L'ultimo eroe

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Info su questo ebook

Alessandro Vinci riapre gli occhi dopo un mese di coma nell’ospedale di Sharm El Sheik e lentamente ricorda gli avvenimenti che l’hanno portato fin lì.
Durante la sparatoria in cui si è trovato suo malgrado coinvolto, sono stati rubati cinque milioni di euro in contanti e il primo indiziato è proprio lui.
Dopo la lunga riabilitazione torna a Roma, ma il rapporto con l’ex moglie Caterina sembra irrimediabilmente compromesso, anche a causa della turbolenta relazione con la giovanissima Elena.
I dubbi tra la stabilità di Caterina e la passione di Elena diventano protagonisti della sua nuova vita, mentre il passato continua a rincorrerlo dall’Egitto all’Italia.
Il trafficante d’armi tedesco Loal Richten, il disperato mercenario Gus Mastricht, il fuggitivo Lorenzo Vignaccia e il detective Jack Norton incrociano le loro strade con quelle di Vinci alla ricerca dei cinque milioni di euro scomparsi.
Il finale riserverà però una sorpresa in questo romanzo d’azione scritto con lo stile ruvido e stringato dell’hard boiled.
 
LinguaItaliano
Data di uscita29 nov 2016
ISBN9788866903451
L'ultimo eroe

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    Anteprima del libro

    L'ultimo eroe - Alessandro Spocci

    Spocci

    L’ultimo eroe

    EEE-book

    Alessandro Spocci, L’ultimo eroe

    © Edizioni Esordienti E-book

    Prima edizione: dicembre 2016

    ISBN: 9788866903451

    Tutti i diritti riservati, per tutti i Paesi.

    Copertina di Giacomo Garrò.

    La dedica

    Perché qualche volta mi capita di pensarci e in fondo non potrebbe essere altrimenti.

    Una volta, la ricordo chiaramente, dietro alla grandezza di quella scrivania sempre piena di cartelle colorate di cui non capivo ancora il senso né l’utilità, seduto sulla sedia nera di pelle che mi pareva la più comoda del mondo, lasciò la stilografica e tolse gli occhiali da vista sottili e non troppo belli, guardandomi come se fossi stato più grande; ero solo un ragazzino, con la maturità di un ragazzino e persino la voce di un ragazzino.

    Disse: Noi siamo come una mano e, se le cose non andranno bene, ci stringeremo in un pugno, un pugno d’acciaio che non potranno scalfire, perché così fanno le famiglie.

    Non so perché quelle parole mi siano rimaste così impresse nella mente, perché di quel momento ricordi ogni dettaglio, ma è così.

    Perché in fondo a volte penso volentieri a quando mi chiamava, seduto sul divano, perché stava per cominciare un film d’azione e non importava se l’avessimo già visto, né tantomeno se ricordassimo la trama: fino a quando l’eroe buono non aveva eliminato tutti i cattivi, noi non ci alzavamo dal nostro posto.

    Perché mi ha insegnato la differenza tra onesto e furbo, perché dice sempre la verità, anche quando non dovrebbe, perché mi ha mostrato l’educazione e spiegato che cazzo non è una parolaccia ma un intercalare; perché sa essere uomo senza fare proclami e ha l’intelligenza di non farmelo pesare, perché mi dice di dimagrire quando mangio troppo e ha la luce negli occhi quando mi fa assaggiare quello che compra; perché ha un’idea tutta sua e a volte mi pare più giovane di me; perché mi ha insegnato un lavoro e trasmesso ambizione, perché mi ha spiegato che puoi guidare anche a 200 all’ora se sei concentrato, ma non fare lo stronzo con il telefonino, perché, e Dio lo benedica, non riesce a perdersi un solo film di Steven Seagal alla televisione; perché in fondo quello che sono è un po’ merito suo.

    Per questo, soltanto per questo motivo, sono orgoglioso di dedicare il mio libro a mio padre.

    Le tre copertine

    2012: Eroe

    Kelly

    Di Kelly ho sempre conosciuto meno di quanto credessi, nonostante i pianti, gli abbracci tanto intensi da sembrarmi veri, le urla violente in segno di disappunto; viveva a Londra, anche se non ho mai saputo quale città le abbia dato i natali, ed è lì che ho condiviso con lei la sua menzogna, credendola realtà. Non ha mai accennato a una famiglia, a un passato, e forse anche per questo avrei dovuto pormi delle domande su di lei, chiedermi come potesse una ragazza tanto bella e sveglia fare la prostituta, perché fosse interessata a uno come me.

    L’ultima volta in cui l’ho vista mi stava abbandonando in una stanza grande e maleodorante, lasciandomi una collanina d’oro e un accenno di verità dopo giorni di menzogne; le ho sorriso ma non mi sono sentito uno stupido.

    2015: Il secondo eroe

    Flora

    Non credo di aver mai trascorso una notte intera ad ascoltare parlare qualcuno, a maggior ragione su un letto, accanto a una ragazza. Veniva dal Brasile e, se non ricordo male, fuggiva da una famiglia per bene e da un fidanzato che mi somigliava: il nostro incontro è durato così poco che sono sorpreso di ricordare tanti aspetti di lei. Non ha mai avuto paura, neppure nell’istante in cui l’hanno ammazzata, colpevole solo di trovarsi nel posto sbagliato. Spesso la sogno, mi domando come sarebbe oggi la sua vita se non mi avesse incontrato in Egitto, se quell’assassino avesse sparato a me invece che a lei.

    2016: L’ultimo eroe

    Elena

    Se fossi un credente, la definirei una specie di rivelazione, con tutti i contorni e le sfumature che ne conseguono. I suoi capelli rossi, le lentiggini, quel maledetto modo di guardarmi; Elena non ha niente di una donna, le sembianze, i modi di fare, il mondo che frequenta. Non mi ha capito per un solo momento, figlia della sua giovane età e di quell’entusiasmo che ha saputo crearmi dipendenza. È come una manciata di acqua gelata di prima mattina, un caffè amaro preparato da una moca bollente, una strana sostanza di cui non riesco a capire la composizione.

    Su una mano

    Ti conosco da una vita,

    ma non ti capisco più,

    ti ho cercata in ogni modo,

    come se servisse ancora.

    Ogni sguardo e ogni momento,

    ogni goccia del tuo io,

    ma mi accorgo che il tuo mondo,

    senza freno mi divora.

    Ti ho tenuta su una mano,

    per proteggerti dal vento,

    ma sei scesa giù da sola

    e ti ho persa in un momento.

    Il treno non si ferma,

    ma continua sempre a andare

    se qualcosa non va bene,

    è una vita che succede.

    Quando perdi tutto quanto,

    e rimani senza niente,

    pensi a quanto era speciale,

    quel che adesso non si vede.

    Ti ho tenuta su una mano,

    per proteggerti dal vento,

    ma sei scesa giù da sola

    e ti ho persa,

    in un momento.

    Sogno

    Mentre la lancetta dei secondi cammina lenta su quel disco, attaccato alla parete solo da un piccolo chiodo sottile, i colori della mattina non sembrano dividersi dal resto della sua vita.

    L’uomo se ne sta seduto dalla sua parte della scrivania, pregna di tutti gli aspetti che lui odia maggiormente.

    È pensieroso e stanco, per nulla abituato al lavoro d’ufficio, a compilare moduli, firmare carte e vedere altri prendersi i meriti, la gloria.

    Non è nato per questo.

    Sogna le indagini, quelle alla luce del sole e allo scoperto di tutti i pericoli che non mancano.

    La finestra affaccia su una strada grigia e trafficata di Roma.

    Automobili accodate nella confusione dell’ora di punta si mescolano a edifici troppo alti per non coprire almeno in parte i sogni di chi li guarda, e i colori sono spenti, incapaci di entusiasmare.

    La gente urla.

    Nessuno lo aiuta, neppure le altre persone che a tratti si affacciano dalle finestre dei palazzi di fronte.

    Troppo lontani.

    Ha una penna stilografica in mano, regalo dopo il diploma in ragioneria di ormai tanti anni fa.

    Nera e blu.

    Funziona ancora benissimo, meglio di lui, nonostante gli anni trascorsi in fretta.

    A un tratto dalla porta entra un poliziotto.

    Commissario, posso far entrare la signora?

    Sì.

    Abbandona la stanza, lasciandoli soli.

    È una ragazza, neanche trentenne.

    Il viso magro gli pare immediatamente pulito, di una tenerezza disarmante in mezzo al contesto tanto diverso.

    I capelli corti e mori le arrivano appena alle spalle e i suoi occhi sono lucidi, mentre parla del furto che ha subito in casa la notte precedente.

    Il commissario la fa accomodare su una delle due sedie blu che si trova dall’altra parte della scrivania.

    Mi dica…

    Ho subito un furto.

    La sua voce è ancora turbata e il suono che ne fuoriesce è tremante, come si muovesse in punta di piedi.

    Quando?

    Ieri sera…

    Le farò solo un po’ di domande.

    Ha un tono rassicurante e la ragazza pare apprezzarlo, accennando un sorriso timido nonostante il momento.

    Lui la ascolta, anche se sembra più interessato al movimento della sua bocca e al timbro della voce che non alle parole.

    Qualcosa di lei gli piace, in modo particolare.

    Il commissario non ha volto.

    Distinguo solo quel modo di fissarla, di essere completamente preso dal profumo e dal momento e dalla bellezza.

    Il volto del poliziotto comincia a prendere forma.

    La pelle giovane, i capelli mori, corti e non per questo ordinati, la forma della bocca e il colore dei denti.

    Sono io.

    Non riesco a smettere di guardarla un solo secondo.

    So già il suo nome prima che lo dica.

    Caterina, pronunciato con quella voce dolce e leggera.

    Io sono il commissario Alessandro Vinci…

    Le porgo la mano.

    Me la tocca ed è la sensazione più bella tra quelle provate negli ultimi tempi.

    È liscia, come se non fosse mai cresciuta e avesse mantenuto la delicatezza di una bambina appena nata.

    Vorrei solo asciugare quel luccichio che le illumina gli occhi e smorzare la forza delle lacrime.

    Passerò il resto della mia vita a perseguire il mio scopo e, prima o poi, cascasse il mondo, ci riuscirò.

    M’inorgoglisco vedendola sorridermi di nuovo.

    Tutte le macchine, la confusione, la gente e i semafori sembrano avere più senso adesso.

    Sono soltanto uno sfondo.

    Come tutte le cose belle, dura poco.

    Qualche secondo, non di più.

    Mi si ferma il cuore.

    È una sensazione maledettamente contorta.

    Ho di fronte ciò che voglio senza possederlo, senza la minima idea di come renderlo mio.

    Per un attimo vedo tutto nero.

    È sempre la stessa storia.

    Mi pare di essere caduto in un buco enorme, di quelli in cui non puoi neppure vedere i bordi e così mi arrampico a tentoni aggrappandomi all’aria pesante che mi circonda e fatico in modo indescrivibile a respirare e sento dolore ovunque, nonostante in questo sfondo offuscato e indefinito nemmeno dovrebbe esistere il dolore.

    Le spalle, il collo, la schiena e le gambe sono in condizioni che non posso sopportare a lungo, ma non m’importa e provo a farcela.

    Mi manca l’aria.

    Sono esausto, senza un briciolo di speranza ad aiutarmi nel mio tentativo lungo e sfiancante.

    Non mi fermo: voglio rivederla.

    Non riesco più a respirare, e non mi rendo conto di quanto potrò ancora trattenere il fiato senza perdere i sensi.

    Con le ultime forze rimaste esco da questa fossa scura.

    Finalmente, sui gomiti, sono fuori.

    Eccola ancora di fronte a me.

    Lo sfondo è rosso, poi giallo e ancora blu, in un continuo cambiamento che rappresenta i miei stati emotivi o forse i suoi in un ciclone di sensazioni che mi mutano nel profondo.

    Siamo ancora in quell’ufficio, ma guardandola negli occhi rivedo tutta la mia vita che sarà.

    Ho la consapevolezza di trovarmi all’interno di un sogno, con la sensazione spiacevole di essere vicino al risveglio, ma la spoglio di colpo rivestendola da fidanzata, amante, moglie, punto di partenza e di arrivo.

    È stato in quel lunghissimo istante che ho capito la cosa più importante: lei è la donna della mia vita.

    Lorenzo Vignaccia

    L’insegna luminosa brilla rosa nella notte quasi terminata di una temperatura non troppo fredda.

    La Pupa Strip illumina la via buia in cui l’auto si trova parcheggiata a pochi metri dal locale.

    Sono quasi le cinque.

    Si accende una sigaretta prima di montare su quella Fiat Bravo nera, ideale per passare inosservati.

    È finito il tempo di stare a Roma.

    I soldi rubati al suo ex cliente Al Jadir Houssain sono ormai al sicuro e non rimane altro che lasciare definitivamente l’Italia.

    Il volo partirà alle dieci e nulla viene lasciato al caso, nemmeno il più piccolo dettaglio.

    Parte con largo anticipo per ridurre il rischio al minimo.

    Cosa abbandona?

    Non molto, o quantomeno non abbastanza per rinunciare ai cinque milioni di euro che lo attendono nel suo paradiso fiscale.

    Da una parte la vita che ha sempre sognato, alle isole Cayman, con denaro sufficiente a essere ricco per almeno trent’anni e auto da sogno e donne meravigliose disposte a tutto per condividere un po’ di quella ricchezza; dall’altra un lavoro da avvocato, sporcato dai suoi rapporti con soggetti poco raccomandabili e una donna che lo ha creduto diverso da chi realmente è.

    Non ci sono dubbi.

    La macchina cammina senza esagerare, mentre Lorenzo, ancora sotto l’effetto dei Gin Tonic e con un segno scuro sul collo, si allontana dal suo passato definitivamente, con appena un paio di piccole valigie con sé.

    Un biglietto lasciato sul tavolo della cucina è l’unico scrupolo avuto nei confronti di una donna con cui si frequenta da quasi un anno.

    Non gli mancherà Antonella.

    L’unico momento in cui le è piaciuta davvero è stato il primo incontro, la cena in un ristorante carino e il sesso nella sua casa piccola ma calda.

    Non c’è più stato nient’altro di vero, in una storia campata sulle bugie, i segreti e l’interesse.

    Non che ogni passo del loro rapporto fosse stato calcolato con precisione: soltanto dopo averla frequentata per un paio di mesi, ha conosciuto la sua migliore amica Caterina e di conseguenza Alessandro Vinci.

    Chi meglio di un poliziotto con la testa dura e il cuore grande poteva fungere da diversivo per un boss della malavita egiziana?

    Non è stato difficile per lui, con le sue conoscenze, raccogliere ogni informazione utile su Vinci, dal suo passato da eroe nella polizia, alle indagini poco ortodosse di Londra, dall’amore ossessivo e controverso nei confronti della moglie Caterina, ai recapiti di ogni suo amico, non molti a voler essere precisi.

    È proprio scorrendo questa breve lista di nomi che ha trovato il soggetto perfetto: Luca Giglioni, uno dei più vecchi amici di Vinci, uomo dal passato difficile a causa del gioco d’azzardo: anni prima durante una partita di poker aveva perso centomila euro, una somma impagabile per uno che di mestiere fa il fiorista.

    Lorenzo Vignaccia non ha creduto ai suoi occhi quando ha scoperto che il ragazzo a cui Luca Giglioni doveva i soldi era Ahmed Lajula, nipote del suo cliente Al Jadir Houssain e che proprio per una testimonianza del Giglioni e un’operazione magistrale della polizia condotta da Vinci, Lajula e altri uomini della stessa banda erano finiti in carcere.

    A quel punto il destino aveva già apparecchiato la tavola e non serviva altro che un po’ della sua furbizia per far combaciare ogni tassello.

    Ha impiegato pochissimi minuti a convincere Al Jadir Houssain a rapire la figlia del fiorista che aveva costretto alla prigione il nipote e, una volta presa la bambina, la tela continuava a essere tessuta in modo preciso e puntuale.

    Luca Giglioni disperato si è trovato suo malgrado costretto a chiedere aiuto al vecchio amico poliziotto, quell’Alessandro Vinci che mai si sarebbe tirato indietro di fronte a un’ingiustizia tanto grande.

    È a quel punto che nella testa di Lorenzo Vignaccia è nata l’idea dell’ultima mossa: convincere Al Jadir Houssain della pericolosità di Vinci che si era immischiato nella faccenda per l’amicizia che lo legava al fiorista e far rapire dai suoi uomini Caterina.

    A quel punto per Vinci era scacco matto.

    Il poliziotto si sarebbe mosso come un burattino fino alla villa di Nama Bei in cui Al Jadir Houssain teneva in ostaggio Caterina, in compagnia di una trentina di suoi uomini e a cinque milioni di euro in contanti che il giorno seguente avrebbero dovuto essere pagati a un trafficante di armi tedesco di nome Loal Richten.

    Mentre la mina vagante Vinci attirava l’attenzione di tutti nel disperato tentativo di salvare la moglie, lui avrebbe potuto prendere indisturbato il denaro, allontanarsi dalla villa, e cambiare finalmente vita.

    Il destino gli aveva messo su un piatto d’argento la possibilità della vita.

    Ora i soldi sono depositati su un conto a suo nome e nessuno potrà più toccarli; inoltre è andata addirittura meglio di quanto avesse ipotizzato: Vinci, prima di essere raggiunto da decine di colpi, è riuscito a eliminare Al Jadir Houssain e la maggioranza dei suoi uomini, togliendo di mezzo ogni possibile collegamento con lui.

    È meglio nascere fortunati che ricchi ha sempre pensato.

    Ma non è più ora di quel passato.

    Ciò che Vignaccia ancora non immagina è che il trafficante d’armi tedesco, quel Loal Richten che ha sentito solo nominare un paio di volte, diventerà presto il suo incubo peggiore.

    Entra nel parcheggio sotterraneo dell’aeroporto, seguito da un’automobile che con i suoi fari alti gli crea fastidio agli occhi.

    Lorenzo gira lo specchietto retrovisore per non essere accecato dalla luce.

    Coglione! urla, mentre percorre la rampa che lo conduce al piano di sotto.

    Nulla lo innervosisce di più.

    La macchina dietro si ferma prima e finalmente lui può riposizionare lo specchietto nel modo più consono.

    Con il gin ancora in corpo gli fa un segno con la mano, fuori dal finestrino, quando ormai non rappresenta più un pericolo.

    La sua camicia bianca è umida, in una strana via di mezzo tra sudore e alcol.

    La ballerina rumena di poco fa l’ha eccitato e soddisfatto nel modo giusto.

    Trova un parcheggio abbastanza comodo.

    Non gli interessa di quanto sarà il conto per il parcheggio della macchina, perché con ogni probabilità non la tornerà mai più a prendere.

    Finalmente è fatta.

    Tira giù le valigie dal baule e chiude l’auto con circospezione.

    È proprio mentre comincia a camminare, trascinandosi dietro i due trolley, che gli pare di sentire un rumore di passi sempre alla stessa distanza.

    Si ferma.

    Non ode più nulla.

    Si volta, guarda a destra e a sinistra, ma niente gli sembra muoversi né essere vivo.

    Non è agitato, ma la tranquillità di pochi minuti prima sembra sparita.

    Riprende a camminare e questa volta lo fa con un passo più veloce e deciso.

    Anche il rumore ricomincia.

    Questa volta non si ferma ma prosegue, sempre più convinto di essere seguito da qualcuno.

    Cazzo.

    La paura è reale, mentre il suo passo è interrotto da un rumore scandito, chiaro, inequivocabile.

    Qualcuno dietro di lui ha appena caricato il colpo in canna.

    Capitolo 1

    I miei occhi sono socchiusi, come la porta della mia vita indecisa sulla prossima mossa.

    Non è un gesto volontario.

    Fatico a mettere a fuoco quello che entra nelle mie pupille stanche e fastidiosamente irritate e le sagome indefinite mi ricordano un quadro astratto senza significato, completamente staccato dal suono circostante.

    Non ci sono oggetti, ma soltanto una riga lunga che divide il grigio dal nero della superficie in un contrasto marcato, a dispetto di tutto il resto: quella riga è l’unica cosa che distinguo chiaramente.

    Mi fanno male come se non si fossero chiusi completamente per troppo tempo e non capisco immediatamente la situazione, ma mi rendo conto di non essere in grado di muovere nessuna parte del mio corpo.

    È come se il cervello mandasse ordini a vuoto.

    Non è un risveglio improvviso, di quelli che ti fanno gridare in preda al panico della non conoscenza: riemergo dal sonno lentamente, quasi accompagnato da una musica lontana che non sento abbastanza bene per riconoscerne il suono, una via di mezzo tra Gus Black e Jorge Calderon.

    Non mi muovo e, a essere sincero, non so neppure se sono vivo.

    La testa si può girare molto poco e molto piano e la sensazione che provo è indescrivibile.

    Vedo tutto sfuocato di fronte a me, non distinguendo nulla di diverso dal colore bianco acceso che copre meticolosamente ogni dettaglio.

    La musica lascia spazio all’unico suono che riesco a percepire, quel regolare e irritante bip bip bip che mi martella la testa.

    È da poco che lo sento, segnale chiaro che devo aver ripreso coscienza solamente da qualche minuto.

    Bip bip bip.

    Di nuovo.

    Bip bip bip.

    Intuisco di essere in un ospedale anche dall’odore fastidioso.

    Forse sono in stato vegetativo e non me ne rendo conto, oppure ci sono rimasto fino a qualche minuto fa.

    I miei ricordi sono vaghi, in un miscuglio di scene ed emozioni che non riesco a mettere in ordine.

    Credevo di essere morto.

    Bip bip bip.

    L’ultima

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