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Così muoiono i sogni
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E-book140 pagine2 ore

Così muoiono i sogni

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Info su questo ebook

L'arte che prende forma di donna, nei tratti botticelliani, nella purezza rinascimentale dei lineamenti. Questa è Giulia. La sua conoscenza ha sconvolto la fredda e desolante vita di Carlo Sartori, vedovo e artista fallito che vorrebbe conquistarne il cuore. Il problema è che non è giovane come lei e l'unica soluzione sarebbe ritornare a esserlo. Un sogno impossibile?
LinguaItaliano
Data di uscita10 giu 2021
ISBN9791220342643
Così muoiono i sogni

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    Anteprima del libro

    Così muoiono i sogni - Fulvio Barluzzi

    vita."

    3 Agosto 2019

    Lo sai, Elena? Dicono che uomo e donna differiscano nel comportamento anche dopo avere fatto sesso. Tu probabilmente non ci hai mai fatto caso, anche perché lo abbiamo praticato talmente di rado che non ne avrai neppure memoria, ma c'è stato qualcuno, non ricordo chi, che ha paragonato la donna all'acqua e l'uomo al fuoco, nel senso che la donna è come l'acqua che va in ebollizione lentamente mentre l'uomo...

    Beh, c'è bisogno di dirlo? L'uomo eiaculando non libera solo il liquido seminale, ma anche ogni energia. Per questo motivo avverte il bisogno di rilassarsi, di dimenticare, per un momento, le fatiche affrontate. E allora fuma, o si mette a dormire, o a mangiare. E le carezze, le coccole che gli richiede la partner arrivano in qualche caso a produrgli fastidio. È come se dicesse stai buona, ho già dato. Naturalmente parliamo di regole generali che, come sempre, ammettono le loro belle eccezioni.

    Mi chiederai perché te ne parlo dato che il sesso (solamente il sesso?) non è mai stato motivo di conversazione tra noi. Se lo faccio è perché in questo momento, lasciamelo raccontare, una eccezione alle regole sta proprio davanti ai miei occhi. Ho appena copulato (devo ammettere con soddisfazione) e non ho avuto la reazione che la letteratura o i sondaggi attribuiscono al genere maschile. L'ha avuta lei, invece, la ninfetta che ora giace nuda, con gli occhi chiusi, di traverso sul letto. È piombata in un sonno così subitaneo, così profondo da non crearmi difficoltà ad allontanarla da me. L'ho fatto bruscamente, con una sensazione di fastidio, come se il suo corpo emanasse un odore insopportabile e non il profumo di Armani che lo nasconde abitualmente all'olfatto. I miei modi rozzi non l'hanno svegliata. Le hanno provocato solo un brevissimo sussulto che le ha fatto abbracciare il cuscino. Io mi sono alzato, ho bevuto un bicchiere di acqua e poi mi sono seduto davanti allo scrittoio prendendo in mano quella Settimana Enigmistica che tanto spesso mi ha fatto da compagna durante il matrimonio.

    Già, perché cosa c'è di meglio dei cruciverba per impegnare il cervello a non riflettere sui guasti di una vita priva di amore e, forse proprio per questo, di senso.

    Non ti offendi se te lo dico, vero? Sono convinto che già lo sapessi cosa significasse per me il ricorso a un tale svago. In questo momento, per esempio, non mi permette di porre attenzione all'insensatezza di una relazione basata solo sull'attrazione fisica. Avevo cercato l'amore, e mi sono trovato, invece, sul letto di una ragazza conosciuta per caso e della quale m'importa meno di niente.

    Ha solo venti anni e se il fatto ti stupisce perché io ne ho più di sessanta sappi che di aspetto ne dimostro pochi più di lei.

    No, non ho perso il lume della ragione, Elena. La mia testa, benché talvolta confusa, non lo è al punto di trasformare la realtà in modo tanto abnorme. È che sto dicendo la verità. Anche se è incredibile, anche se scommetto, cara Elena, che se tu non appartenessi al regno dei morti, mi crederesti uno stupido, assurdo millantatore. Come sempre, del resto.

    Non so se tu sia in alto, in Paradiso, o in basso, all'Inferno. Magari non sei in nessuna parte al di fuori della fredda tomba che reca il tuo nome. Mi rivolgo a te, comunque, nella convinzione che tu possa ascoltarmi. Non mi è chiaro perché lo faccio. Ci siamo sempre parlati poco e quale senso può avere iniziare adesso. Non è paradossale?

    Il fatto è che sono sempre stato un represso, uno che ha tenuto dentro sentimenti ed emozioni fino a renderli sterili, mentre ora sento ardere il fuoco della ribellione ed è forse proprio questo il motivo per cui voglio renderti partecipe: farti conoscere la mia vera essenza, quella che ho tenuta nascosta quando mi eri accanto e che non immaginavi esistesse. Perciò ascoltami con attenzione e capirai perché non sto dando di matto se affermo di avere le sembianze di un giovane di meno di trent'anni. Perdonami se risulterò prolisso cominciando dall'inizio e perciò enunciando fatti che già conosci. È che probabilmente li hai dimenticati. Alcuni, perlomeno.

    Sono nato in un borgo di montagna nel Trentino, e questa, si sa, non è una notizia dato che ci sei nata anche tu. Era uno di quei posti in cui ci si conosce tutti e in cui se non sposi la figlia del vicino rimani scapolo per il resto dei tuoi giorni. È così che ti ho conosciuta, Elena. Non poteva avvenire diversamente. Frequentazioni obbligatorie come la parrocchia, il piccolo cinema di paese... Ci siamo messi insieme per forza di inerzia, perché così doveva andare.

    Eravamo solo dei ragazzi, oltretutto diversi. Io preso dalla mia solitaria e ossessiva dedizione alla pittura, tu... beh, lo sai, non c'è mai stato niente ad appassionarti. Anche il periodo dei miei studi di Storia dell'Arte, a Firenze, pur distante da te rimasta al paese, non ha comportato la rottura della nostra relazione. Come poteva essere? Il mio tempo lo impegnavo sui libri o a dipingere, visto che l'arte non aspiravo solo a studiarla, ma anche, povero illuso, a esprimerla con mie opere. La mia indifferenza per coetanee, pur spesso avvenenti, fu tale da guadagnarmi tra i compagni di corso il poco lusinghiero nomignolo di iceberg.

    Il fatto, Elena, è che io e te non abbiamo mai saputo cosa significasse amare, e questo è stato il motivo per il quale siamo rimasti insieme, l'uno accanto all'altra, fino alla tua morte.

    Già, la tua morte. Tre anni fa. Per un male incurabile. Te lo devo confessare: nel momento in cui ti hanno introdotta nella bara ho provato indifferenza come se tu fossi una perfetta estranea e non la persona con la quale ho convissuto per trentasei anni. Non mi sento neppure in colpa a rivelartelo. D'altronde, cosa c'è stato tra noi se non un'abitudinaria e insignificante frequentazione?

    Non ci siamo mai parlati molto. Dopo il matrimonio, con il nostro trasferimento a Venezia per il mio incarico di insegnante di Storia dell'Arte al Liceo Artistico, la situazione è anche peggiorata. Io, i primi tempi, nelle ore di libertà, ho continuato a dipingere quadri che nessuno avrebbe comprato: privi di creatività, squallidamente scolastici. Mentre tu eri nel negozio che gestivi trascorrevo i pomeriggi con il pennello in mano cercando, ma non trovando, un barlume di bellezza in quel che facevo, fino a che ho smesso, naturalmente vinto dalla consapevolezza della mia inettitudine, per dedicarmi a solitarie partite a scacchi con il computer o, come già ti ho rammentato, soluzioni di cruciverba.

    A te non è andata meglio: il fiacco andamento degli affari ti faceva rientrare a casa stanca e sfiduciata, così entrambi finivamo per cenare facendo poche parole, giusto per salvare la faccia: Com'è andata, oggi? Faceva freddo? e altre amenità del genere. Finire ad appisolarsi sul divano di fronte al televisore acceso era la ovvia conseguenza. Le voci che dall'etere si diffondevano nella stanza colmavano i nostri silenzi.

    Ricordi come ci posizionavamo sedendoci? Ai lati opposti del sofà quasi avessimo timore di un reciproco contatto. Ognuno con i propri pensieri in testa. I tuoi, sono sicuro, dedicati al negozio di falso artigianato veneziano che rendeva quattro soldi, ma in compenso ti impegnava tutto il giorno sfiancando le tue già labili resistenze.

    I miei...

    Lasciamo perdere.

    Diciamo che per entrambi si tramutavano presto in agitati sonni dai quali ci svegliavamo nel mezzo della notte, pronti, in religioso silenzio, a riprenderli in letti separati di stanze separate.

    Per anni e anni non ho pensato ad altre donne, Elena, e non perché ci fossi tu a togliermene il desiderio. Semplicemente, così doveva essere la vita ai miei occhi: priva di sussulti, azzerata di qualsivoglia turbamento. Piatta e prevedibile come un film le cui immagini scorrono con monocorde ripetitività.

    Tu non te ne sei accorta, credo, ma cominciai a modificare la mia visione un giorno preciso, anche se si potrebbe facilmente dire che il fuoco covava sotto le ceneri e che il fatto che sto per riportarti, in definitiva, si limitò a metterlo in chiara luce.

    Accadde all'inizio dell'ultimo anno scolastico quando, per la prima volta, vidi Giulia, una mia nuova allieva che, da Verona, si era trasferita con la famiglia a Venezia.

    Fino a quel momento avevo ritenuto i miei allievi, tutti, soltanto un elenco di nomi e cognomi riportati nel registro di classe.

    Non vere persone.

    Nomi.

    E come tali li avevo sempre trattati.

    Cosa aveva Giulia di diverso, allora?

    Mi si illuminano gli occhi mentre sto per dirtelo.

    Lei era Venere, Elena. La Venere di Botticelli. Il volto delicato, quasi evanescente, i lineamenti dolci e perfetti, lo sguardo malinconico, i fluenti capelli del colore dell'oro lunghi fino ai fianchi, la pelle chiara e luminosa. Un'immagine eterea. L'ideale di bellezza rinascimentale espresso dalla mano del pittore toscano che trovava la sua rappresentazione fisica.

    Tu ricordi la mia reazione quando, alla Galleria degli Uffizi a Firenze, ne ammirai l'originale. Eravamo insieme. Erano i tempi dei miei studi e ogni tanto ti portavo (costringevo?) a visitare musei. Accanto c'era La Primavera l'altro capolavoro di Botticelli. Opere che avevo visto fino ad allora sui libri, in formato ridotto, naturalmente. Ammirare dal vivo il tocco leggiadro, soave del Maestro, sentirmi pervadere dalla intensa spiritualità di quei corpi, in particolare della Venere, mi fecero capire una volta di più quanto unicamente l'arte fosse in grado di scaldare il mio gelido cuore, quanto quelle figure mute stimolassero la mia mente e mi parlassero, come mai mi succedeva, né sarebbe successo dopo, al cospetto di persone in carne e ossa. La grazia, la spiritualità che emanava la Venere mi soggiogarono rendendomi preda di turbinose sensazioni. Qualcosa che andava al di là della semplice infatuazione artistica, qualcosa che entrava nella mia intimità tanto da aver timore di farmene divenire un'ossessione. Ne uscii scombussolato, con l'effetto che per un lungo periodo cercai ogni pretesto per evitarti. Il pensiero della tua vista mi infastidiva dato che, assurdamente lo ammetto, mi veniva sempre da sovrapporre il volto della Venere al tuo. Avrei dovuto interpretare i segnali che mi venivano inviati alla mente e, invece, una mal intesa assunzione di responsabilità nei tuoi confronti me li fece reprimere con il risultato che poi si è reso evidente nel resto della nostra vita.

    Naturalmente non ti misi a conoscenza dei miei turbamenti. Mi avresti irriso obiettandomi sarcastica che idealizzavo una donna vissuta cinquecento anni prima, una donna impressa su una tela e

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