Na Spirànza. Poesie in dialetto sambiasino
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(dalla Prefazione)
[…] Giovannino Borelli appare in queste pagine come poeta maturo che nella sua lingua materna analizza il passato e il mondo che lo circonda ponendo anche il lettore nella necessità di riflettere: in questi ultimi anni non pochi sono gli studiosi che sentono la necessità di riscrivere la storia degli ultimi secoli del meridione d’Italia ed è forse necessaria anche una riflessione sulla massificazione linguistica in atto che ha ormai quasi cancellato l’uso quotidiano dei dialetti i cui termini hanno spesso rappresentato, fino ai nostri giorni, l’ultima testimonianza dell’alternarsi delle dominazioni straniere nel sud della nostra penisola.
La lingua storica di un popolo contiene anche la sua mappa genetica, quindi negli arcaismi spesso usati da Giovannino Borelli è scritta la storia di Sambiase, dagli abitanti preistorici che hanno lasciato i loro disegni neolitici nella cava del monte Sant’Elia fino ai nostri giorni.
(dalla Nota del Curatore)
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Anteprima del libro
Na Spirànza. Poesie in dialetto sambiasino - Giovannino Borelli
speranza.
Prefazione
Finalmente sono riuscito a leggere sia M’a sùanu… e mm’a càntu… e sia Na spirànza e bisogna fare i complimenti per la forza espressiva e per il dettato poetico raffinato e calibrato che immediatamente appare in evidenza. Si avverte che alle spalle c’è una grande dimestichezza e un’educazione alla lettura profonda e sensibile.
Ha ragione Carmelo Carabetta, La lettura di queste liriche riporta alla memoria i sapori scomparsi, gli usi e le tradizioni non più presenti in una società interessata da nuovi valori e da nuovi modelli di vita
. Dunque una fonte inesauribile di indicazioni storiche, antropologiche ed etnologiche che però trovano freschezza interpretativa e si pongono come esempio di un mondo che andava salvato e invece sta perdendo i suoi connotati di bellezza e di spessore umano e sociale.
Mi pare che anche il giudizio di Pasquino Crupi sia illuminante non solo per quanto riguarda gli editi, ma anche gli inediti: Non conosco nella lunga vicenda della poesia dialettale nessun altro poeta che, come Giovannino Borelli, sia stato capace di stringere in una sintesi poderosa e prodigiosa le ragioni, liricamente dette, della stagnazione della Calabria, …
Ecco, Giovannino ha il dono di saper pescare nel passato remoto e prossimo alcuni momenti di vita per farne momenti di meditazione e di ritorno
(in senso quasimodiano) alle radici e lo fa con un senso dell’armonia efficace e di lunga durata. Infatti la lettura dei suoi versi lascia un alone nel lettore e lo accompagna a lungo. Ciò non solo perché i versi risultano musicali e ben torniti, ma anche per le cose dette, per la grazia e la profondità con cui si rivisitano le memorie.
Sarebbe il caso qui di riprendere un vecchio discorso di Pietro Pancrazi e di Mario Sansone sulla distinzione tra poesie dialettali, poesie vernacolari e poesie in dialetto, ma credo che alla fine affronteremmo un falso problema che ormai ha preso connotati precisi su cui il fronte della neodialettalità si è cimentato senza trovare uno sbocco definitivo. Certo è che Giovannino Borelli porta dentro i suoi versi una ventata di nostalgia che si giustifica soltanto con la sua attenzione all’umano, alla tristezza di rendersi conto che molte cose si stanno perdendo.
E così fa sentire con pienezza il canto del suo cuore, a volte con accorato accento, a volte con una esplicitazione di intenti legati alla grande tradizione lirica proprio per far intendere al lettore che certi patrimoni andrebbero salvaguardati.
Comunque su tutto prevale l’eleganza del verso, il fluido ritmo che non s’ingorga mai e che fa risentire una sorta di antica voce della natura, del mondo agreste, dei sentimenti più autentici e più sinceri.
Dante Maffia
Nota del curatore
La tradizionale divisione del territorio della Calabria in Calabria Ultra (o Calabria greca) e Calabria Citra (o Calabria latina) non corrisponde, come apparentemente potrebbe sembrare, alla divisione linguistica della regione che presenta varietà di dialetti romanzi che, solo indicativamente, possono essere articolate in tre grandi aree linguistiche: una settentrionale, comprendente le province di Cosenza e di Crotone; una centrale che comprende parte dei dialetti delle province di Catanzaro e Vibo Valentia; una meridionale che, oltre alle frange meridionali delle province di Vibo Valentia e Catanzaro, interessa tutta la provincia di Reggio Calabria.
La Carta dei Dialetti d’Italia (Pisa, Pacini editore 1977) elaborata da Giovan Battista Pellegrini, e che si basa prevalentemente sui dati dell’Atlante italo-svizzero (Sprach-und Sachatlas Italiens und der Südschweiz, Zofingen 1928-1940), colloca la parlata di Sambiase tra i dialetti meridionali estremi
, a vocalismo tonico siciliano, cioè tra quegli idiomi che, secondo l’opinione del filologo tedesco Gerhard Rohlfs, considerato il padre della lessicografia calabrese, manifestano fenomeni riflessi di una lunga bilinguità greco-latina.
È da considerare comunque che il territorio di Lamezia Terme, di cui Sambiase, comune autonomo sino al 1968, fa parte è collocato nel punto di transizione rappresentato dalla strozzatura Lamezia-Squillace, che divide l’antica Calabria Citra dalla Calabria Ultra e che è storicamente rilevante per lo scambio culturale e linguistico di civiltà remote che hanno lasciato un’indelebile traccia. Segni di questa posizione mediana sono l’uso alternante di passato prossimo e passato remoto