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Lettere dal fronte – Cartoline di un semicolto abruzzese nella Prima guerra mondiale
Lettere dal fronte – Cartoline di un semicolto abruzzese nella Prima guerra mondiale
Lettere dal fronte – Cartoline di un semicolto abruzzese nella Prima guerra mondiale
E-book165 pagine2 ore

Lettere dal fronte – Cartoline di un semicolto abruzzese nella Prima guerra mondiale

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Info su questo ebook

Attraverso 79 cartoline, inviate da un bersagliere abruzzese ai suoi parenti più cari per dare notizie di sé e per trovare conforto dalla guerra viene offerta una panoramica sull’italiano popolare e sulla scrittura dei semicolti.
L’esperienza della Prima guerra mondiale ha impresso un segno profondo nella storia della società umana, non solo dal punto di vista morale, ma anche culturale e linguistico: migliaia di soldati, lontani dalle famiglie e immersi nell’orrore della guerra, hanno trovato nell’epistolografia un unguento per curare le ferite dell’animo. Scrivere ai propri cari diventa, in un’epoca tanto dolorosa, l’unica strada per mantenere il contatto con la realtà e con la vita.
Gli italiani delle classi popolari, reduci da un’unificazione linguistica tardiva, sono stati costretti a superare i limiti della loro scarsa competenza scrittoria per fare arrivare le proprie parole ai parenti lontani. Pietro Tenaglia, bersagliere abruzzese, è stato solo uno dei tanti uomini che si sono trovati ad affrontare gli ostacoli di una lingua “semisconosciuta”: l’italiano.
In prevalenza dialettofoni, i cosiddetti “semicolti” rappresentano tutti coloro che, non potendosi permettere un’istruzione elevata, possiedono delle competenze linguistiche elementari che permettono loro di fare un basilare uso del mezzo scrittorio, destreggiandosi tra dialetto e lingua ufficiale. La varietà di lingua intermedia che emerge dalle scritture dei semicolti viene definita “italiano popolare” e presenta caratteristiche simili e ricorrenti, rintracciabili nei numerosi scritti di guerra oggi ancora conservati. Tali lettere rappresentano un tassello fondamentale della storia linguistica del nostro paese, una testimonianza di una fase di passaggio dal dialetto alla lingua comune, un esempio concreto delle influenze dell’oralità sulla scrittura.
In questo saggio le cartoline di Pietro Tenaglia, custodite presso il Museo “Nelli-Polsoni” di Paglieta, vengono accuratamente trascritte e analizzate per testimoniare e descrivere le caratteristiche linguistiche fondamentali che accomunano gli scritti dei semicolti. L’italiano popolare del bersagliere abruzzese, infatti, è una delle tante testimonianze dell’evoluzione linguistica che, nel corso del tempo, ha dato origine all’italiano di oggi.
LinguaItaliano
Data di uscita22 gen 2019
ISBN9788833282220
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    Anteprima del libro

    Lettere dal fronte – Cartoline di un semicolto abruzzese nella Prima guerra mondiale - Dana Napolitano

    Cover

    Prefazione

    L’origine degli studi sull’italiano popolare è strettamente legata alla Prima guerra mondiale: tra le opere che hanno dato avvio a questo filone della ricerca linguistica, infatti, occupa un posto di particolare rilievo il saggio di Leo Spitzer sulle lettere dei prigionieri italiani durante il conflitto (Spitzer 1921); per merito dell’impulso dato da quel contributo, è stata messa a punto nei decenni successivi un’ampia mappatura linguistica delle scritture dei semicolti, che ha privilegiato soprattutto il periodo tra XIX e XX secolo, anche grazie all’interesse per le lettere degli italiani emigrati all’estero.

    Negli anni Settanta Manlio Cortelazzo ha evidenziato come queste scritture, al di là degli elementi riconducibili alla componente dialettale locale, mostrino numerose costanti invariabili, che hanno consentito di parlare di una vera e propria grammatica dell’italiano popolare, caratterizzata da tratti come l’uso scarso o improprio dei segni paragrafematici, le errate segmentazioni, la regolarizzazione dei paradigmi nominali e verbali, i malapropismi (Cortelazzo 1972). Più recentemente, gli studi hanno condotto non solo all’emersione di numerosi materiali inediti, come lettere, diari e memorie, ma anche a un progressivo mutamento della prospettiva di analisi: come è stato sottolineato da Rita Fresu in un volume pubblicato in occasione del centenario del primo conflitto mondiale (Fresu 2015), oggi non ci si limita più a incasellare indistintamente le produzioni nella categoria delle scritture semicolte, ma si tenta di collocarle in un continuum di competenze scrittorie che va sostituendo la tradizionale opposizione tra italiano standard e italiano popolare.

    Lo studio di Dana Napolitano pubblica, con un’accurata trascrizione di tipo conservativo, la corrispondenza inedita del bersagliere abruzzese Pietro Tenaglia durante la Grande Guerra e ne esamina a fondo, con competenza e precisione, le principali caratteristiche linguistiche. Accanto a fenomeni come la difficoltà di individuare il confine di parola o di usare accenti e apostrofi, nelle cartoline del soldato nativo di Paglieta sono frequenti alcuni tratti fonetici e morfosintattici di provenienza dialettale, come la sonorizzazione dopo nasale (sendire, 1), la vocale indistinta finale (sone ‘sono’, 2), l’uso di tenere per avere (tengo in denzione ‘ho intenzione’, 1), l’ausiliare essere con verbi transitivi (sono ricevuto ‘ho ricevuto’, 11), la perifrasi stare a + infinito (sto a scrivere, 35).

    A differenza di quel che avviene per altri documenti di questo tipo, lo scrivente si mostra scarsamente influenzato dal modello dell’italiano burocratico e risultano rari anche i fraintendimenti del lessico colto; fanno eccezione alcuni tecnicismi relativi alla mitragliatrice, come lementazione al posto di ‘alimentazione’, condra leva per ‘controleva’ e reffigerante per ‘refrigerante’ (tutti nella cartolina 79).

    L’analisi di materiali di questo tipo si rivela molto preziosa anche per lo studio dell’italiano regionale in prospettiva diacronica; per limitarci a un solo esempio, è interessante l’uso di ancora documentato dalle cartoline: in alcuni casi si trova il costrutto che ricalca il tipo dialettale, in cui l’avverbio ha valore negativo ed è accompagnato da un verbo al presente (angore posse ricevere ‘non ho ancora potuto ricevere’, 12), mentre in altri casi si registra un tentativo di avvicinarsi all’italiano standard che produce un costrutto intermedio, documentato fin dal secondo Ottocento (Picchiorri 2016), consistente nell’aggiunta della negazione non ma con il mantenimento del tempo presente e della posizione preverbale dell’avverbio (gli oscritto e non angore ricevi risposto ‘gli ho scritto e non ho ancora ricevuto una risposta’, 51).

    È solo uno dei tanti esempi possibili, ma è sufficiente a dimostrare l’importanza di testi simili, che rappresentano non solo un documento storico e sociale di eccezionale interesse, ma anche un tassello fondamentale per la ricostruzione di un momento decisivo della complessa e policentrica storia linguistica italiana.

    Emiliano Picchiorri

    Introduzione

    Gli studi sulla storia della lingua italiana sono stati a lungo segnati da una forte contrapposizione tra lingua scritta e lingua parlata; a partire dagli anni Settanta, però, tale rigida distinzione è stata superata a favore di studi improntati all’analisi delle varietà intermedie che intercorrono tra i due estremi opposti della lingua.

    Il presente lavoro ha come oggetto proprio una delle espressioni linguistiche poste fra i due poli: l’italiano popolare dei semicolti, cioè la lingua di coloro che, sforzandosi di superare gli ostacoli di una scarsa alfabetizzazione, diedero vita a testimonianze scritte di fondamentale valore storico e linguistico.

    Ci si è occupati, nello specifico, di analizzare le cartoline di un soldato abruzzese, scritte durante la Prima guerra mondiale e oggi conservate presso il Museo delle Tradizioni Popolari Nelli-Polsoni di Paglieta, con l’obiettivo di approfondire le indagini linguistiche sull’uso dell’italiano scritto da parte delle classi popolari, un ambito che ha riscosso l’interesse degli studiosi in tempi piuttosto recenti.

    Prima che, nel 1921, Leo Spitzer, con le sue Lettere di prigionieri di guerra italiani, desse avvio a questo genere di studi, l’élite culturale era già consapevole da tempo dell’esistenza di una varietà di italiano posta a metà tra la lingua letteraria standardizzata e il dialetto locale; in proposito, pochi anni dopo l’unificazione nazionale, Ramondini (1866: 14-15) osservò che sebbene da un lato:

    in Italia non si possieda una lingua effettivamente comune ed universale, dall’altro giova riconoscere che appo di noi esiste un linguaggio di uso, il quale non è né il dialetto, né la lingua letterata, ma, attinto direttamente alle fonti di quest’ultima, è, per così dire il crogiuolo nel quale vanno i dialetti vari a rifluire, e rigettando le plebee goffaggini e le storpiature, atteggiarsi a foggia di lingua, e lingua parlata.

    Una lingua che, agli inizi, caratterizzò prettamente l’oralità, ma che col tempo finì per inglobare anche la scrittura.

    Le cause che portarono a una diffusione del mezzo scritto da parte delle classi meno alfabetizzate furono molteplici, ma l’avvento della Prima guerra mondiale (insieme all’emigrazione) può essere senz’altro considerato uno dei fattori più rilevanti, poiché costrinse migliaia di persone ad allontanarsi dai propri affetti, con la conseguenza che l’unico modo per rimanere in contatto con la propria famiglia divenne esclusivamente quello della scrittura. Fu in un momento storico di così grande impatto che uomini di ogni età facenti parte del ceto popolare ebbero modo di confrontarsi con le limitate conoscenze linguistiche, maturate in pochi anni di frequentazione della scuola, per far fronte al bisogno e all’urgenza di mantenere il contatto con la realtà, dimenticando anche solo per pochi attimi il peso gravoso della guerra.

    Certo, non poteva bastare solo mezzo secolo di vita unitaria a unificare la lingua scritta e tanto meno la lingua parlata. Ma nelle varie regioni del Nord e del Sud, e specialmente nelle città, gruppi sempre più vasti, accanto al loro dialetto, sono in grado di adoperare, scrivendo e parlando, la lingua nazionale: non proprio in forme identiche, ma mantenendo qualche peculiarità locale o regionale nell’uso scritto e più ancora nell’uso parlato (cit. da Migliorini, 1978: 674).

    Attraverso le cartoline del bersagliere Pietro Tenaglia, inviate ai parenti più stretti, si è tentato di ricostruire i fenomeni linguistici che accomunano la lingua del soldato all’italiano popolare degli altri semicolti dell’epoca, così da poterle presentare come una chiara ed esplicita testimonianza delle caratteristiche linguistiche delle classi popolari.

    Con il primo capitolo di questo saggio si è tentato, in primo luogo, di dare una panoramica generale delle posizioni critiche dei maggiori studiosi che si sono occupati dell’italiano popolare, citando le definizioni e le classificazioni personalmente ritenute più valide, allo scopo di filtrare i dubbi e le certezze che, nel corso degli anni, hanno caratterizzato gli studi relativi all’identità e alla lingua dei semicolti.

    Dopo aver preso in esame le principali tipologie di scritti popolari, si passa a introdurre le cause di diffusione della prassi scrittoria tra le classi popolari, soffermandosi in particolar modo su quelle ritenute più importanti ai fini di questo studio, introducendo anche le principali caratteristiche che accomunano le migliaia di lettere inviate dal fronte di guerra.

    Nel terzo capitolo si entra nel merito della questione, presentando brevemente la vita di Pietro Tenaglia e le cartoline, successivamente riportate fedelmente in trascrizione.

    Il penultimo capitolo presenta, in maniera generica ma precisa, i principali fenomeni che caratterizzano la lingua dei semicolti, suddivisi in base all’ambito grammaticale di appartenenza. Tali tratti linguistici vengono poi documentati attraverso la puntuale analisi di tutti gli aspetti grafici, fonetici, morfologici, sintattici e lessicali della lingua delle lettere del soldato abruzzese, dimostrando come il linguaggio utilizzato da Pietro Tenaglia rientri effettivamente nella categoria dell’italiano popolare.

    La trascrizione e l’analisi linguistica delle cartoline del soldato di Paglieta vanno quindi ad arricchire il patrimonio storico e culturale delle tante lettere inviate dal fronte, oggi tuttora conservate in diversi musei italiani, in modo che possano diventare un’ulteriore valida documentazione delle competenze scrittorie dei semicolti nel passaggio obbligato dal dialetto locale alla lingua standard.

    Capitolo 1

    La lingua dei semicolti italiani

    1.1 Semicolti: identità e cultura

    Una lingua è come un codice genetico che conserva dentro di sé l’identità culturale di un popolo (cit. in Croci, 2006: 117); è per questo che è corretto fornire informazioni sull’identità e la cultura dei cosiddetti semicolti prima di analizzarne le caratteristiche linguistiche.

    Precursore dell’interesse per l’italiano popolare è stato l’austriaco Leo Spitzer, che nel 1921 raccolse e studiò le lettere dei prigionieri italiani durante la Prima guerra mondiale; successivamente, come vedremo, si deve a studiosi come Tullio De Mauro e Manlio Cortelazzo un più preciso inquadramento del problema dal punto di vista linguistico nel corso degli anni Sessanta e Settanta.

    Il termine semicolto comincia a essere usato da Francesco Bruni che, nei suoi studi linguistici, li definisce come gruppi sottratti all’area dell’analfabetismo ma neppure del tutto partecipi della cultura elevata (cit. in Bruni, 1978: 195-96). Si tratta, dunque, di parlanti che si differenziano dagli analfabeti in quanto posseggono una certa abilità scrittoria, sebbene ristretta e circoscritta, ma che si distinguono anche dai cosiddetti colti poiché non ne posseggono le stesse ampie e approfondite conoscenze linguistiche.

    Il fatto di non saper padroneggiare la lingua scritta porta i semicolti a mantenere un costante e inevitabile legame con l’oralità e quindi, essendo ormai superata la tradizionale opposizione tra lingua parlata e lingua scritta a favore di studi che valorizzano le esecuzioni intermedie tra i due poli, possiamo includere i testi dei semicolti nella categoria delle produzioni scritte più vicine al parlato (D’Achille, 1994).

    Poiché "il fatto di saper scrivere non abilita per fortuna ipso facto alla scrittura. Saper tracciare le parole non insegna a comporle (cit. in Cardona, 1983: 80), non deve stupire che i testi di vario genere che compongono quella che potremmo definire letteratura semicolta" presentino un diffuso numero di deviazioni dalla norma, che coinvolgono ogni aspetto della lingua (ortografia, fonetica, morfologia, sintassi e lessico).

    Tale difficoltà nel destreggiarsi tra le innumerevoli regole grammaticali che caratterizzano la lingua italiana non è estranea agli stessi scriventi semicolti, nei cui testi, specialmente in quelli di carattere personale come lettere e diari, è possibile leggere parole di scuse o di giustificazione per l’improprietà del linguaggio utilizzato.

    Di certo apprendere la lingua era considerata una conquista dai semicolti, che potevano uscire così dall’oscurità dettata dall’ignoranza, riuscendo finalmente a far sentire a tutti la propria voce.

    Per quanto limitata, una minima abilità scrittoria permetteva a molti di coloro che appartenevano a classi sociali popolari e meno agiate di sentirsi parte del mondo che li circondava: l’alfabetizzazione li rendeva partecipi della realtà. Inutile sottolineare quanto fosse importante tutto ciò all’alba delle grandi guerre mondiali, quando in migliaia furono mandati a combattere lontano da casa,

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