Clara Hörbiger e l'invasione dei Seleniti: Clara Hörbiger 1
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1847, golfo del porto di Venezia. Clara Hörbinger si sta godendo la spiaggia insieme al padre, un colonnello dell'esercito asburgico, quando sul mare sorge un grande disco luminoso. Ma non è l'atteso plenilunio: il globo di avvicina e vomita uno sciame di piccoli velivoli che attaccano la folla dei bagnanti. Poco dopo, un esercito di esseri alieni sbarca dalla nave volante. È l'inizio dell'invasione più incredibile e inaspettata per l'impero Austro Ungarico e per i popoli della Terra.
Alessandro Forlani insegna sceneggiatura all'Accademia di Belle Arti di Macerata e alla Scuola Comics di Pescara. Premio Urania 2011 con il romanzo "I senza tempo", vincitore e finalista di altri premi di narrativa di genere (Circo Massimo 2011, Kipple 2012, Robot e Stella Doppia 2013) pubblica racconti e romanzi fantasy, dell'orrore e di fantascienza ("Tristano"; "Qui si va a vapore o si muore"; "All'Inferno, Savoia!") e partecipa a diverse antologie ("Orco Nero"; "Cerchio Capovolto"; "Ucronie Impure"; "Deinos"; "Kataris"; "Idropunk"; "L'Ennesimo Libro di Fantascienza"; "50 Sfumature di Sci-fi"). Vincitore del Premio Stella Doppia Urania/Fantascienza.com 2013.
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Anteprima del libro
Clara Hörbiger e l'invasione dei Seleniti - Alessandro Forlani
9788867758173
1.
Al di là dalle volute dei cancelli neoclassici, le cabine di lacca bianca e toilette, il Lido tossiva di ciminiere e di spurghi; dei fumi che eruttavano dalle torri di frazionamento dell'impianto petroalchemico sulle sponde di Mestre. Una lingua d'acqua nera e venefica, un impero di nutrie, pantegane e di blatte, lambiva il posteriore degli alberghi e dei caffè: che ammiccavano di lanterne, porcellane e pianole al passeggio dei turisti sul lastricato del lungomare.
Seduta sullo sdraio, con i piedi nell'acqua, Clara scavò la ghiaia umida del bagnasciuga e prese fra le mani i carcami dei crostacei, affondò con le dita nelle chiocce e gli esoscheletri: i gamberi, i granchi, i paguri, i molluschi, tornarono da vivi a pizzicarle le crinoline, le pieghe della gonna e i nastri del bustino. Lei li nascose nei risvolti del padre: poi aspettò, trattenendo il sorriso, che gli salissero la striscia rossa dei pantaloni dell'uniforme, lo pungessero ai polpacci sotto i panni verde-scuro.
– Ahia, accidenti! – papà brontolò, masticando l'eterno sigaro e grattandosi i favoriti. Si scrollò gli animaletti che ricaddero nel ghiaino, e tornarono cose morte fra i frammenti di conchiglia.
– Mi annoio – disse Clara, – quanto manca alla Luna?
Suo padre spiegò, da una tasca della giacca, il Gazzettino del Lombardo-Veneto
di quel venti di giugno; affondò con il monocolo nella rubrica astronomica: – Devi smetterla con codesti tuoi scherzi che non rientrano nell'ordine delle cose.
– L'abate mi ha detto che il Galvani fece lo stesso cinquant'anni fa con le rane dissezionate.
– Non era esattamente la stessa cosa. E scommetto che quel tuo povero precettore, sant'uomo di Dio, non sa che sei capace…
Papà si segnò, levò lo sguardo al cielo: affollato da aerostati che solcavano il Golfo dal porto di Venezia agli approdi di Trieste. Il porpora del tramonto si specchiava sui dirigibili, le carlinghe e le navicelle scintillavano di Adriatico; i passeri cinguettavano dietro le eliche dei vascelli e beccavano sugli oblò delle cabine dei passeggeri, banchettavano di insetti e di briciole di fugassa.
– Più o meno è lo stesso – Clara pestò nell'acqua. – Non sorge la Luna?
– Il foglio riporta le ventuno e trentatré: il più grande, luminoso plenilunio di quest'anno 1847. Mi è costato una licenza e un rimbrotto del feldmarschall, ma sarà uno spettacolo che ne è valsa la pena. Soprattutto, signorina: quant’è che non ti vedo?
– Trascorri molto più tempo coi Piemontesi che me.
– Ma a quelli ci sparo… – e ammiccò ad un auto-chiosco dello zucchero filato che trillava sulla strada sull’ingresso di un caffè. – Te ne prendo un batuffolo?
– Lo sai che mi nausea.
Suo padre si aggrottò taciturno e spiaciuto, si strinse nei baveri di stellette e di edelweiss ricamate in bianco e oro su uno sfondo smeraldo. Lei gli cercò, sotto i gradi di colonnello, l'orologio a catena con la cassa in argento, spinse sulla molla del coperchio sbalzato d'aquile, lesse sul quadrante con i numeri romani e strillò, spazientita, contro il blu dell'orizzonte: – Le venti e trentuno!
– … e comunque non si addice a signorine dabbene – insistette papà, riaccendendosi il sigaro, – fare in pubblico quelle cose disgustose e sacrileghe: hai compiuto quattordici anni, controllati, sì?
Signore e gentiluomini affluirono alla spicciolata, fermarono i vapormobili sul ciglio della strada, scesero con i cestini di arrosticini e gassose, spiegarono le tovaglie e apparecchiarono le posate. Tate con i bambini e giovanotti sui vaporcicli, scalzacani coi pugni in tasca e pittori con i taccuini, amorosi a braccetto e bohémien arruffati. Spiegarono le seggiole e distesero le stuoie, puntarono i telescopi e scappucciarono i cannocchiali. Le gerle quadrupedi dei venditori di sementine, di bibite, granite, d'occhiali e binocoli, zoppicarono fin in spiaggia sulle zampe meccaniche, al guinzaglio degli ambulanti che gridavano venghino!
Clara fu assordata da