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Squadra Demolizioni: Side A
Squadra Demolizioni: Side A
Squadra Demolizioni: Side A
E-book577 pagine7 ore

Squadra Demolizioni: Side A

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Info su questo ebook

Su Aend l'epopea fantasy è morta da un pezzo.
A Bluren, poi, è in avanzato stato di decomposizione. Un coacervo di razze diverse si ammassa entro i confini mutevoli della metropoli, dove tecnologia e arcano si mescolano insieme. La mafia delle fatine klix domina i bassifondi, i demoni gestiscono le assicurazioni, i nonmorti sintetizzano nuovi tipi di stupefacenti, mentre la nobiltà degli orecchie a punta vive nel lusso della città alta.
Ma questo fragile equilibrio sta per spezzarsi.
Un misterioso terrorista, armato di ferrei ideali e esplosivi ad alto potenziale, sta seminando il caos nella città. Mentre l'altaguardia brancola nel buio, l'ispettrice Rethién si trova davanti un'unica alternativa: se gli eroi preferiscono firmare gli autografi a ragazzine urlanti, solo il peggio offerto da Bluren può affrontare la nuova minaccia. Una squadra di folli; una squadra capace di far tremare le fondamenta della metropoli; in poche parole: "La Squadra Demolizioni".
LinguaItaliano
Data di uscita11 ott 2017
ISBN9788826095240
Squadra Demolizioni: Side A

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    Anteprima del libro

    Squadra Demolizioni - Enrico Lanzalone

    Enrico Lanzalone

    Squadra Demolizioni

    Side A

    UUID: ee4b9c6c-0087-11e8-8a02-17532927e555

    Questo libro è stato realizzato con StreetLib Write

    http://write.streetlib.com

    Questo romanzo è dedicato a tutti quei cittadini di Bluren che moriranno orribilmente tra le sue pagine. Il vostro sacrificio non verrà dimenticato!

    Ringrazio specialmente il mio compagno d'armi Cesare Croci, il cui contributo per la pubblicazione di quest'operetta è stato determinante. Se adesso potete leggere e addirittura apprezzare Squadra Demolizioni il merito è tanto mio quanto suo. Grazie ancora, che Rykmar ti sorrida.

    Non dimentico inoltre la fonte di ispirazione data dal mio gruppo di D&D , che sono stati sempre disposti a vivere le proprie avventure nel mondo di Aend . I loro personaggi sono riusciti a essere fonte di ispirazione e i giocatori stessi hanno aiutato a creare buona parte dei contenuti di questo mondo. Un sentito grazie dunque a Federico Paiella, Roberto Vivona, Pietro Imperiali.

    Menzione speciale per Alessio Frattini, alias Nerdo Cadabri.

    Ringrazio coloro che hanno supportato la pubblicazione del romanzo: Sara Strada, Martina Argenti e Claudia Aletti. Infine voglio ricordare gli artisti che contribuiscono alla trasposizione visiva di Aend e delle sue genti: Samuele Ornati, Annalisa Visconti e Vasco Gioachini, autore della splendida copertina.

    Brani

    Ringraziamenti

    Prologo

    Atto Primo

    Capitolo primo

    Capitolo secondo

    Capitolo terzo

    Capitolo quarto

    Capitolo quinto

    Capitolo sesto

    Capitolo settimo

    Capitolo ottavo

    Capitolo nono

    Capitolo decimo

    Talli Van Zturm

    Atto Secondo

    Capitolo primo

    Capitolo secondo

    Capitolo terzo

    Capitolo quarto

    Capitolo quinto

    Capitolo sesto

    Capitolo settimo

    Capitolo ottavo

    Capitolo nono

    Capitolo decimo

    Talli Van Zturm

    Atto Terzo

    Capitolo primo

    Capitolo secondo

    Capitolo terzo

    Capitolo quarto

    Capitolo quinto

    Capitolo sesto

    Capitolo settimo

    Capitolo ottavo

    Capitolo nono

    Capitolo decimo

    Talli Van Zturm

    Atto Quarto

    Capitolo primo

    Capitolo secondo

    Capitolo terzo

    Capitolo quarto

    Capitolo quinto

    Capitolo sesto

    Capitolo settimo

    Capitolo ottavo

    Capitolo nono

    Capitolo decimo

    Epilogo

    Prologo

    Nel negozietto di musica vibravano le note di uno scatenato swing blimsi. Il rombo del traffico di Rykdorf faceva da sottofondo ai contrabbassi e ai sassofoni riprodotti da un giradischi gracchiante. La ragazza dai capelli blu chiaro contemplava uno scaffale. I suoi occhi dorati leggevano i titoli dei tantissimi vinili ricoperti di polvere. Mostri&Fanciulle, l'opera in due tempi.

    Errino Il Pidulino: io, me stesso, me medesimo, proprio io.

    L'ingloriosa caduta di Grampoburgo. La piccoletta scosse il capo.

    Dopo aver lanciato uno sguardo stizzito verso la figura dormiente del negoziante, la giovane raccolse una scaletta ricoperta di ragnatele, l'appoggiò contro la base dello scaffale e ci balzò sopra. Dovette mettersi in punta di piedi per raggiungere l'ultima mensola, sulla quale l'attendeva un'altra interminabile fila di custodie colorate.

    Nella ricerca rischiò di precipitare un paio di volte, ma riuscì infine a individuare ciò che cercava. Si sporse sull'estremità della ballerina destra e afferrò il vinile al volo. Le avventure della Squadra Demolizioni .

    La ragazza soffiò via la coltre di polvere, così da fare apparire l'immagine stampata sulla confezione: un prezioso orologio, un cipollotto d'oro, malamente disegnato. Scritto e composto dai Bardass, sulla base di una storia vera.

    Storia vera, facile a dirlo.

    I pesantissimi tomi delle università arcane narravano le imprese degli eroi di Aend, i fumetti di bassa lega della gilda degli eroi raccontavano le loro vicende, alcuni giornali potevano riportare notizie sugli ultimi sforzi dei protettori della civiltà, corredati pure di dagherrotipi in bianco e nero.

    Ma su un vinile rykyr non si poteva fare affidamento.

    La piccoletta storse il naso: rimaneva solo quello.

    Forse qualcuno aveva tenuto un diario o qualcosa di assimilabile, ma era impossibile dirlo. Dell'impresa più epica, più immeritata, più anarchica della storia di Aend restava solo un vinile, inciso da una band di nullafacenti dell'isola di Argira. Nessuno avrebbe mai creduto alle storie narrate tra le strofe delle ballate, neppure con il sottofondo musicale più incredibile del secolo. Esistevano vergogne così grandi che l'intera civiltà dei civilizzati si schierava compatta per tacciarle come storielle da porto oppure tra le fin troppo numerose leggende metropolitane. Un vinile non era un tomo riconosciuto, non era stato vergato da orecchieappunta con la puzza sotto il naso. La ragazza non l'aveva mai ascoltato.

    Le poche copie incise non si trovavano nelle botteghe delle città del Grande Azzurro, per trovarne una bisognava cercare tra le bettole meno in vista oppure arrischiarsi tra i vicoletti più bui dell'immensa Rykdorf.

    Una rarità senza valore, ma non per lei.

    La giovane superò una coppietta alla ricerca di opere osé.

    Squadra Demolizioni non prometteva bene, eppure dai titoli che comparivano sulle due facce del disco parevano essere raccontati alcuni degli eventi più salienti. Eventi in cui lei era stata la protagonista indiscussa, insieme a un drappello di comparse di poco conto. Solo qualche semidio, tiranno, incantatore e pure degli esseri infernali. La piccoletta zampettò sulle scale che portavano alla sala ascolto. Si fece strada tra le nuvole di fumo che serpeggiavano dalle tante sigarette ricolme di erba brillante. Trovò una poltroncina libera e ci si affondò il sedere, sempre intenta nell'analisi della prima faccia del vinile. Overture: iniziava tutto da quella parola. La ragazza raccolse le cuffie da ascolto.

    Accese il motorino a vapore situato sotto il padiglione in acciaio degli auricolari, così che il flusso arcano potesse attivarsi. Una scarica di energia violacea raggiunse il giradischi appoggiato sul comodino vicino. La piccoletta sollevò la testina di lettura. Il vinile s'inserì alla perfezione.

    Un paio di tasti schiacciati e il disco iniziò a sfrecciare sull'appoggio.

    La ragazza si mise comoda.

    Allungò le corte gambette sul puff poggiapiedi, mentre un'altra giovane dal ciuffo viola le portava un bicchiere di succo riko ghiacciato. La piccoletta guardò sollevata l'ombrellino di colore verde che galleggiava tra i cubetti di ghiaccio. «Oh, perfetto». L'overture stava finalmente per avere inizio.

    La ragazza chiuse gli occhi. «Beh, sentiamo un po' la mia storia...».

    Atto Primo

    Capitolo primo

    La costa dorata era il gioiello della penisola dell'Isile.

    Tuttavia il prezioso materiale da cui prendeva il nome sembrava ossidarsi e accartocciarsi quando se ne raggiungeva il culmine, a nord del golfo della viverna. Le università arcane, i ricchi palazzi, la cultura frenetica delle città stato divenivano nient'altro che un pallido ricordo, non appena le guglie sgraziate di Bluren apparivano all'orizzonte. Se Radheire era adagiata sulle rocce calcaree di un bel porto naturale, se Olthere garriva dalla cima di un colle sette volte benedetto, Bluren si abbarbicava sul ventre argilloso della costa come una pulce si teneva stretta alla pelliccia di un cane rognoso. Gli stemmi delle megalopoli Isiliane erano dominati da creature nobili, come draghi e leoni. Quello di Bluren era una viverna azzurra.

    Una creatura parassita, dall'alito fetido e l'intelligenza di un girino troppo vorace, talmente meschina da sorprendere con improvvise imboscate anche prede inoffensive: nulla poteva rappresentare meglio Bluren.

    Abnorme, ammassata, la metropoli multirazziale contava più di duecentomila abitanti: le millenarie mura di pietra racchiudevano a malapena una distesa di edifici dalle forme più varie, da torrioni che pendevano pericolosamente su un fianco a imponenti ciminiere ricoperte di fuliggine. Sulla costa di scogli, lambita dalle acque insozzate del Grande Azzurro, giacevano un agglomerato di squallide case dai tetti corrosi dal vento marino e orizzonti di banchine chiassose. Le fabbriche del porto sputavano ogni giorno nuvole di fumo miasmatico tra i palazzi dell'abitato, che parevano essere stati costruiti uno sull'altro, da quanto le stradine al di sotto erano scomposte. Una giungla di quartieri e borgate, popolati da ogni sorta di creatura presente sulla e sotto la superficie di Aend si estendeva a perdita d'occhio, come fosse una valanga di pietra, legno e rifiuti organici.

    I monumenti della Bluren bassa erano le fogne a cielo aperto più grandi della penisola, nonché i bordelli delle demonesse syl meglio forniti.

    In alto, la città antica osservava tutto ciò in ieratico silenzio.

    Tra le preziose abitazioni signorili dei quartieri alti, dove l'aristocrazia dei semi immortali eald tesseva i suoi elaborati intrighi, spiccavano i minareti dell'università arcana, la mole della fortezza Blurensul, le intricate facciate delle cattedrali del pantheon Aendiano. Una striscia muraria di pietra bianca, un tempo adibita a respingere le invasioni Jeniviane, adesso teneva lontano i delicati eredi delle ricche famiglie dalle grinfie della mafia klix. La mescolanza di così tante stirpi diverse non sembrava aver donato grandi risultati, a parte il fatto che se Bluren possedeva qualcosa di cui vantarsi, era la puzza. Il vecchio porto della penisola del Bisse emanava un odore unico, in tutto il Grande Azzurro.

    Forse era la presenza di un gran numero di uomini pesce drevish, o quella delle ciminiere del nuovo magazzino Rosko, ricco rivenditore di grasso di kraken, oppure le innumerevoli famiglie di viverne azzurre che migravano ogni inverno tra i tetti della città per nidificare. O forse tutto insieme.

    Di certo, chi arrivava a Bluren se la sarebbe ricordata per un bel po'.

    In particolare se indossava sempre gli stessi vestiti.

    Eppure oltre tale coacervo di vicoli, pozzi neri, taverne rattrappite, sulla prua di una vecchia nave a vapore che trasportava carciofi, un individuo respirava a pieni polmoni l'aria fetida della metropoli.

    «L'odore dell'opportunità».

    Talli, diciannove anni compiuti tre mesi prima, non era andata così lontana dalla realtà. Un tale odore poteva presupporre un sacco di opportunità, soprattutto in campo di malattie veneree e respiratorie. Nonostante ciò quella giovane ragazzotta sembrava essere appena arrivata in paradiso. Talli era la personificazione dell'insignificanza: non portava nessun tipo di arma dalla storia misteriosa, non possedeva straordinari poteri innati, non conosceva nessuna mossa di combattimento esotica.

    Come tanti, si trovava a Bluren per cercare di sopravvivere più a lungo rispetto alle terre selvagge là fuori. Non era nemmeno bionda: castana, occhi di un banalissimo marroncino povertà. Portava un orrido caschetto di capelli corti, che gli danzavano sul naso a punta, così che il suo aspetto oscillava tra quello di una ragazza brutta e di un maschio rachitico. Era infatti molto più alta rispetto alle sue simili, sorretta da lunghe gambe magre come due stecchi. Dal petto si affacciavano timorosi due minuscoli seni, insieme a buona parte delle costole. Un'espressione spavalda, che mescolava la saggezza di paese alla maliziosità di una bambina, completava l'identikit di una rykyr di campagna.

    La ragazza scese a grandi passi dalla passerella della nave.

    «Iolalà! Eccomi in città!».

    Appena prima di toccare terra si accorse che un drevish scaricatore la guardava storta. A Talli non diede fastidio.

    Lei era abituata ad essere guardata storta: era una rykyr, d'altro canto.

    Gli umani la guardavano storta (anche se molti si chiedevano quale fosse la grande differenza tra i due popoli), gli eald la guardavano storta, i drevish (come appurato) la guardavano storta, anche sua nonna la guardava storta. Lei perché era strabica, ma il concetto di fondo rimaneva lo stesso.

    I rykyr non piacevano quasi a nessuno.

    Talli della famiglia Van Zturm era per l'esattezza una quequa.

    E i quequi, i tizi della stirpe dei rykyr più simili ai noiosi umani, non piacevano proprio a nessuno. Per evitare problemi, allora, questi umanoidi dallo sguardo colpevole vivevano fra loro, dietro le palizzate di paeselli assisi sui cocuzzoli delle colline. Ma, forse perché costavano poco come manodopera o perché possedevano un cattivo senso dell'orientamento, tale gentaglia in realtà si riusciva a trovare pressoché ovunque.

    A Bluren ve n'era adesso una in più.

    La ragazza si diresse fischiettando verso i grandi pontili commerciali.

    C'erano un sacco di cose meravigliose da vedere: le navi lignee dei mercanti lùk, piccoli rospetti dal portamento fiero, capaci di manipolare quella robaccia chiamata magia. Le coloratissime bancarelle dei felini tialpa di Merow, le locande malfamate bazzicate dai nonmorti, gli uomini orsidi drendas che facevano la guardia ai bordelli, gli spacciatori di pietre arcane nascosti agli angoli delle strade. La giovane dovette stringere i denti per non farsi sopraffare dall'emozione. Quel posto era fantastico!

    Non sapeva cosa diamine fare, né come guadagnare la somma di spropositata ricchezza che si era prefissata, eppure Talli di fronte a tale spettacolo sapeva con certezza che quella città l'avrebbe resa ricca. Aveva dovuto pagare un prezzo esorbitante per arrivare fino a quel luogo, dopo quell'accurata scelta tramite imposizione del dito a caso sulla mappa. Poiché i suoi risparmi erano una leggenda metropolitana, la ragazza aveva dovuto rinunciare alle cose superflue, come le mutande e le scarpe.

    Talli guardò i suoi piedi affondare in una pozzanghera marroncina.

    Fece spallucce. Tanto ci sono abituata.

    Era una cosa diversa correre a piedi nudi per i praticelli intorno al suo villaggio, eppure Talli, cresciuta insieme alle sue quindici sorelle e con una dotazione di tre scarpe per tutte, aveva imparato a non farsi abbattere dalla prima pozzanghera sporca, nonché a camminare benissimo su una gamba sola. Puntò alla taverna dal nome più promettente: Il cadavere simpaticone. Fingersi la polena della nave per cinque giorni di fila l'aveva resa un pochetto stanca (un quequo non paga mai un viaggio, va contro la sua etica personale). Superò urlanti venditori di talismani, evitò di un soffio una sparatoria tra le cuginette fatine della mafia klix, quindi fece per entrare in quella bettola salmastra. Ma qualcosa attirò la sua attenzione.

    Anzi, schiacciò la sua attenzione.

    La gente sulla strada si era ritirata ai lati di essa, per far passare qualcuno di molto importante o molto pericoloso. A Talli era andata male, visto che il sederone di un gigantesco troll di città si era stampato dietro la sua nuca. La giovane ci mise un attimo prima di divincolarsi, quindi poté vedere il motivo di quell'assembramento: una coppia di nobili eald che faceva compere. Talli se li vide passare a un palmo dal naso a punta.

    «Come sono belli».

    Non aveva mai visto un eald in carne ed ossa da così vicino, poiché non poteva mica considerare assimilabile quel poster tridimensionale del sommo inquisitore Ethil che contendeva da anni con le sue sorelle.

    I due orecchieappunta, di sesso opposto, scrutavano disgustati la folla dalle finestre di una carrozza trainata da quattro cavalli spettrali. Indossavano vestiti intessuti in oro, sui quali brillavano gioielli e pietre preziose. Delle chiome di capelli biondo lucente ricadevano ai lati dei loro visi perfetti, fino ad adagiarsi sulle spalle, mentre sottili occhi monocolore studiavano i passanti. Non possedevano pupilla, né iride, bensì parevano essere solo dei gelidi abissi di distacco. Le sopracciglia, dello stesso colore dei capelli, si allungavano oltre i confini del volto, fino a pendere lievi per svariati centimetri. Dalla chioma spuntavano infine le sommità delle orecchie a punta, forse l'elemento più caratteristico delle stirpi lunari: raggiungevano anche la lunghezza di trenta centimetri, terminavano in una punta sottile e potevano tendersi e flettersi autonomamente. Per proteggerli marciavano ai loro fianchi cinque corazzieri in armatura meccanica. Tale minacciosa presenza non riusciva tuttavia a respingere lo sguardo curioso di Talli, che si era subito tramutato in un'espressione famelica rivolta alla collana in oro massiccio, dominata da un rubino draconico, che la dama eald faceva sfoggio sul suo petto preminente. Pareva, come la sua proprietaria, voler urlare...

    Guardatemi! .

    Non come avevano insegnato a Talli: una vera quequa sussurrava infatti Guardatela, intanto che si occupava in tutta tranquillità dei portafogli degli spettatori. Erano solo due stili di vita differenti.

    Diamine. Talli si mise in punta di piedi per vedere meglio.

    "Q-quella collanozza gigantosa della pupazza eald deve, uh, valere un sacchissimo! Chissà che bei stivali rinforzati mi ci compro, eheh".

    La gran signora doveva possedere un sacco di stivali nella sua magione!

    Talli, che seguiva da buon rykyr quello che le avevano sempre insegnato, sapeva benissimo che se una cosa serviva più a lei che a un altro, lei doveva appropriarsene. In quel frangente non sarebbe stato facile, però.

    Manco a chiederlo, ebbe subito prova della famosa simpatia degli eald lucenti. Un coboldo, una piccola lucertola gobba, sbucò di colpo dalla folla. Stringeva tra le zampette una macchina dagherrotipica di fattura rykyr. «Un sorriso per la stampa!».

    Gli eald non sorrisero. La dama preferì lanciare un dardo di energia verde che quasi incenerì la lucertolina. La macchina fotografica rimbalzò triste per terra, mentre i passanti si tiravano indietro. Il coboldo bestemmiò in una lingua sconosciuta, poi se ne andò infuriato con la coda tra le gambe. Tutto pareva a tornare alla normalità classista.

    La gente stava aspettando che la carrozza eald se ne fosse andata, ma Talli era di parere diverso. Era ancora indecisa su che professione tipica rykyr avrebbe svolto nella metropoli: oscillava in particolare tra la contrabbandiera, la ladra o la spazzacamini. Nonostante la scelta non poteva certo lasciarsi scappare quell'occasione ghiotta, o i suoi antenati le avrebbero fatto il solletico per un mese mentre dormiva. Racimolato il suo poco coraggio, la ragazza saltellò oltre la sagoma di un hobgob e, appena prima che le ruote del carro la riducessero in rottami, raccolse la macchina dagherrotipica.

    La frase andava riformulata.

    «Che Sahirie vi protegga! Incommensurabili messere e madame della nobile stirpe dei figli della luna madre, posso, per il giornale L'eco roco del truffolone, immortalarvi in un bianco e nero?».

    Uno dei guerrieri aveva già alzato una mano per sculacciare quell'impudente. «Fermo!». Il signore eald diede ordine di arrestare la carrozza. «Parli bene, piccola sottorazza. Sai esprimerti dovutamente al cospetto di un tuo superiore e ciò è sii una qualità rara in una metropoli degradata come questa. Orsù, effettua pure la tua diaboleria...».

    «Che gentil concessione!».

    Talli sorrise.

    L'istante successivo il suo pollice premeva il pulsante arrugginito: la polvere bruciò, il macchinario rykyr emise un rumore simile a quello di una caffettiera, quindi la giovane immortalò una coppia di eald, il suo dito indice e il sorriso di un soldato umano molto fotogenico. Per finire, inchino di rito. Rimase in quella posa scoordinata mentre la carrozza la superava. La dama eald le lanciò pure un'occhiata sospettosa, eppure Talli non fece una piega. A presto, rubino bello.

    Il traffico di via Cacciatori di Kraken sembrava essere tornato a defluire.

    La ragazza si ritrasse soddisfatta in un vicoletto, dove dei gatti neri ispezionavano il fondo di un cassonetto della spazzatura. Talli li studiò per un attimo, però aveva già fatto colazione poco prima.

    «Mi pare che funzionino 'ste opportunità! Sono in città da poco e ho già preso qualcosa». La macchina dagherrotipica le avrebbe fruttato un po' di quattrini, presto il rubino qualcosina di più. Estrasse dal reggiseno anche un borsello gonfio di monete d'oro, che quel troll maleducato gli aveva servito su un piatto d'argento. Certo, c'erano molte malevoli dicerie sui quequi, tuttavia nessuno aveva mai sentito uno di essi dire che non fossero vere. Allora, sfoderato un sorriso compiaciuto, Talli uscì a testa alta dal vicolo, diretta al negozio di calzature più esclusivo della città di Bluren.

    «NYAAAAAAAH!».

    Un urlo scosse la tranquilla routine del quartiere smeraldo, la zona universitaria della città antica. Decine di studenti dell'accademia degli alchimisti, riconoscibili dalle lunghe casacche di colore verde, sbucarono dal portale posteriore del palazzo dei maghi, slanciati nell'inseguimento di una piccola figura che si agitava davanti a loro. I giovani, dei bellocci eald dei mari, avevano le vesti bruciacchiate, i capelli anneriti, le sopracciglia incenerite. «Prendetela!» Sbraitò il professore.

    Erbetta, l'autodichiarata miglior ninfa alchimista del mondo, non era d'accordo. Per prima cosa non voleva farsi prendere. Per seconda cosa erano loro a non capire il vero genio. Terzo, pensava che si potesse pagare la retta dell’università in cioccolatini al cocco. «Fermate quella pazza!».

    «Ridacci la nostra lavagna!».

    Ecco, quella era l'altra cosa con cui non era d'accordo.

    La giovane si gettò in una corsa selvaggia, cominciando a distanziare gli avversari nonostante l'ingombrante lavagna che portava sottobraccio.

    «É mia la lavagna, non l'avrete mai! Marrani!».

    Ci aveva scritto sopra il suo nome con un pennarello indelebile, dunque per la sacra legge dei rykyr, adesso la lavagna era sua di diritto.

    Quei dannati criminali orecchieappunta non lo capivano. Dal fondo della strada apparve una pattuglia di archibugieri. Erbetta frenò sulle ballerine e svicolò a destra. Presto alle sue spalle ci furono sia guardie che studenti arrabbiati e la ninfa dovette destreggiarsi tra le botteghe della via centrale. Vari artigiani videro le proprie creazioni fatte a pezzi da una ragazzina con i capelli blu, ma nessuno riuscì a fermare quell'apparizione improvvisa. Erbetta corse allora fino alla via delle pelli. Quando si rese conto di essere incappata in uno dei numerosi vicoli ciechi, sussultò spaventata.

    «Per Rykmar danzante! E adesso cosa cavolicchio faccio?!».

    Perché non aveva scritto il suo nome su una pozione del volare, invece che su una lavagna inutile?! I passi delle guardie riecheggiavano sempre più vicini. Fu allora che Talli, accompagnata dal suo fischiettare brevettato, uscì dalla bottega del calzolaio arpia Skairiark. Ai piedi portava, con somma gioia delle sue estremità e della propria igiene personale, un paio di stivaletti di cuoio, insieme a dei calzettoni neri nuovi di zecca.

    «Salute, compagna ninfa ».

    Erbetta quasi le saltò addosso.

    «Ehi, ehi, ehi! Ascoltami, siamo rykyr, siamo parenti... p-per favore, ci sono dei tizi che mi stanno inseguendo». La ninfa si voltò verso l'imboccatura della strada, oltre la quale si agitavano numerose ombre. «Se mi beccano andrò di sicuro in prigione! E per il curriculum di una nobile stirpe come la mia non farebbe per niente bene, penso tu possa capire no? Peeerciò, se non ti dispiace, potresti...».

    Talli si trovava davanti un paio di occhi supplicanti.

    «Oh, ma tranquilla!» Esclamò «Se non ci si aiuta tra parenti, per Rykmar!».

    Quando gli studenti e le guardie fecero irruzione nel vicolo non trovarono che le solite botteghe, la lavagna e una quequa dal ventre preminente.

    Il sergente tialpa degli archibugieri le si avvicinò.

    «Ehi, quequa! Hai per caso visto una ninfa passare di qui?».

    Talli arricciò il naso.

    «Oh, sì che l'ho vista! Quella stupida scimmia è andata di là!».

    La ragazza indicò un punto casuale; la pancia si mosse e da essa parve provenire un grugnito. Il sergente inarcò un sopracciglio.

    «Signorina, ma lei, ehm, è per caso incinta?».

    «Certo» Rispose la ragazza «Del quindicesimo mese, per l' esattevolezza».

    «Ma... i mesi non dovrebbero essere nove?».

    «Evidentemente il piccolo non ha ancora imparato a contare».

    Talli fissava seria il soldato.

    Quello ci rinunciò, alla fine lo pagavano troppo poco.

    Diede un ordine secco ai sottoposti, quindi la folla inferocita se ne andò via con la lavagna. La giovane attese alcuni minuti, poi fece uscire la ninfa da sotto la veste. Erbetta si riaggiustava i lunghissimi capelli.

    «Oh, beh, grazie miss. Ha appena salvato una nobi...».

    Una mano aperta ondeggiava a pochi centimetri dal suo naso.

    «Ehm, cosa dovrebbe significare?».

    Talli sorrise. «Il dovuto pagamento, ovvio! Secondo il mio listino dovrebbero essere duecento monete d'oro. O la tua anima. Ma preferisco le monete, non sono una demonetta. Ah, posso farti una ricevuta se preferisci. Sarebbe comunque esente da tasse, io non le pago mica le tasse».

    Erbetta la guardava a bocca aperta. «Ma... ma...».

    «Suvvia, non credevi certo che lo avessi fatto gratis!» Cinguettò la ragazza «Neeella vita non esiste nulla di gratis, se non morire dolorosamente. O, forse, il certo rubino di una certa eald altolocata...».

    La ninfa riacquistò il suo cipiglio.

    «Beh, io non ho mica duecento monete d'oro».

    «Che miseria, non avevi detto di essere nobile?».

    «Io sono nobile! Il mio nome completo è Erbetta III del clan dei fiori gialli, figlia di Ciancillo Ajuje ed Erbetta II del clan dei fiori verdi, mia carissima bovara senza arte né parte!».

    Erbetta assunse la posa più fiera che conoscesse.

    Talli la squadrò da capo a piedi: indossava un semplice vestito di fattura tialpa, un paio di ballerine consunte, un brutto ornamento per la fronte. Era poco più bassa di un umano, come tipico della stirpe delle ninfe blimsi, e possedeva dei lunghissimi capelli blu chiaro, che arrivavano quasi fino a terra. Un nasino a patata spuntava sul visetto tondo, su cui brillavano degli occhi furbi dall'iride color mare. Particolarità delle ninfe blimsi, una pupilla a forma di croce, di colore giallo, splendeva al centro dell'occhio.

    Una ragazza dall'aria furba, eppure il fatto che fosse nobile era credibile quanto quello che Talli fosse un troll di taverna. La ragazza si controllò per essere sicura di non esserlo.

    «Meh... non ho mai sentito parlare di un rykyr nobile. Solo la principessa Kelly al massimo, ma più per sua diretta scelta che per linea di sangue. Quindi, anche se sei una ninfa, tu saresti una nobile?!».

    «Di indole» Borbottò Erbetta.

    Talli scosse la testa. «Bah, lasciamo perdere. Sono troppo contenta e oggi mi sento buona, quindi ti abbono il debito. Piuttosto, sai un bel posto con gente nostra in cui passare la notte? Non vorrei mica svegliarmi domani senza i miei nuovi stivaletti, oppure direttamente senza più le gambe...».

    La ninfa cercava la lavagna di sua proprietà.

    «Oh, grazie». Controllò dietro a una panchina.

    «Non so ancora il nome della mia eroica salvatrice, comunque. Per quanto riguarda il luogo sicuro, siamo a Bluren, non mi sembri abbastanza ricca per permettertelo. Ti posso accompagnare al quartiere dei nostri contrabbandieri». Talli si grattò il naso.

    «Uh, mi sono dimenticata. Il mio nome è Talli Van Zturm».

    Le due si strinsero la mano ed eseguirono un leggero inchino.

    «Se la sono portata via la tua lavagna, mi dispiace».

    «Accidenti. Che gentaglia di questi tempi... avevo scritto sopra pure il mio nome su quello stupido pezzo di legno». Erbetta s'incamminò verso la via principale. «Seguimi, cosa, ti farò da guida».

    Talli le fu subito dietro.

    La coppia prese di nascosto la strada degli artigiani. Attraversarono furtive la distruzione causata dalla ninfa, fino ad essere fuori dalla città alta. L'aria fumosa dei quartieri malfamati, dall'odore sempre riconoscibile, le investì non appena misero il muso fuori dalle mura: le due poterono allora emettere un sospiro di sollievo; subito seguito da familiari colpi di tosse.

    «Accidenti. Spero proprio che nel nostro quartiere ci siano bidet».

    Erbetta strinse le spalle. «Certo! Va bene che questa città fa dannatamente schifo, ma non siamo ancora così messi male da dimenticarci la minima decenza! Che domande buzzurre, Van Zturm ».

    «Era solo per chiedere». La ragazza osservava l'ammasso di tetti spioventi che si estendeva davanti a sé e le alte ciminiere delle industrie dei padroni eald. «Mmm, dimmi un po', tu che ci fai qui?».

    «É semplice. Ho bisogno di soldi. Sai, voglio andare a Rykdorf, la capitale della principessa, come una gran signora e mettermi al suo servizio. Kelly ha bisogno di una come me...» Rispose la ninfa.

    «La principessina?».

    «Già. L'erede suprema, almeno per ora».

    «Mi sembri parecchio ambiziosa, sai?». Talli sorrise.

    La sagoma di una viverna intanto sfrecciava sopra le case, come un presagio di buona fortuna. «Penso proprio che andremo d'accordo, io e te».

    Capitolo secondo

    Un vicolo cieco, accidenti.

    La bambinetta si fermò davanti al sudicio muro di mattoni.

    Si guardò intorno: file di panni appesi, finestre socchiuse, nessuna scala laterale. «Porca porchetta».

    Dalla nebbiolina maleodorante comparvero le tozze figure dei due guardiani drendas. Apparivano come grossi umanoidi dalle fattezze, e il pelo, di un orso bruno. Una criniera leonina circondava il loro capo irsuto, corredato da un minuscolo cappellino di cattivo gusto. Un fatto culturale, dicevano per giustificarsi.

    «Ehi, stronzetta quequa! Sei al capolinea» Ringhiò il più grosso.

    La piccola Pirpirra strinse la bottiglia di vino eald Bujanadur, che si era guadagnata con un onesto e faticoso borseggio. Il giorno prima suo fratello Rombil, un inventore della gilda, si era potuto vantare delle lodi del quartiere grazie al suo successone: un frigorifero milleusi a caldaia multipla con gatling. Abbreviato in fmacmcg-aaaarghah, l'ultima parte aggiunta dopo che papà Glir aveva provato a prendersi un ghiacciolo all'arancia senza disattivare la gatling. Rompil, un genio.

    Pirpirra non voleva essere da meno.

    Perciò, secondo le regole non scritte della società rykyr, si trovava davanti tre alternative: inventare qualcosa, ma lei non era mai stata una bambina creativa, distruggere l'invenzione del fratello (la gatling serviva proprio per impedire ciò) o compiere un’impresa eclatante. Più spesso corretto in fornire prove false sull'aver compiuto un’impresa eclatante. Quella bottiglia di Bujanadur sguarnita, che quel ciccione di uno schiavista di Merow portava alla cintola, non le aveva permesso di pensarci su. Adesso eccola lì, pronta per essere fatta a pezzi da due orsi dai dubbi gusti artistici.

    «A mia difesa vorrei dire che...».

    Uno dei drendas la sollevò per un piede, lasciandola penzolare a testa in giù. L'altro riprese la bottiglia di vino.

    «Sai cosa facciamo alle ladruncole come te, nella nostra foresta?» Mormorò «Le prendiamo e poi stacchiamo loro le braccine. Così non potranno più rubare nulla. Forse servirebbe anche a te una lezione del genere, non credi?». Pirpirra si morse un labbro: rubare con i piedi era scomodo.

    «Poffarbacco! In codeste contrade si suole mostrar tal costume a una bambina indifesa?!». I drendas e la quequa si voltarono verso l'imboccatura del vicolo, seminascosta dalla nebbia gialla. «C-cosa?».

    Una sagoma possente incombeva oltre la cortina di fumo.

    Clonk-Clonk-Clonk.

    Vecchia armatura di piastre completa; elmo a bacinetto, decorato con l'esagerato simbolo di un destriero rampante; l'elsa di un imponente spadone che spuntava da dietro una spalla e un lungo mantello rosso strappato che sventolava mosso dal maleodorante vento marino. I drendas deglutirono spaventati. «U-un Ardeliano?».

    Ardelia, la terra della cavalleria. La razza umana, non potendo dimostrare la propria superiorità a causa di gente più esperta come gli eald, aveva trovato un'altra valvola di sfogo: la violenza. L'avevano giustificata con ordini cavallereschi, riti sacri, armature splendenti. Si facevano chiamare eroi, tanto da creare una gilda apposita.

    Gente come i drendas, che per anni aveva vissuto nelle foreste vicine all'impero di Ardelia, conoscevano bene cosa sapessero fare quei colossi corazzati; infatti il pelo dei due si era rizzato dallo spavento. Pirpirra, che ciondolava da una parte all'altra, non aveva tempo per capire quale fazione fosse la peggiore.

    «I vostri modi mi paion esagerati. Distaccare li arti superiori dal tronco della donzella è un'usanza barbara, non consona alla storia di codesta cittade. Invito a lasciarla, messeri» Proclamò il cavaliere.

    I bestioni ubbidirono senza alcuna esitazione.

    La bambina gli fece la linguaccia, quindi sfilò ancora la bottiglia di vino dalla cintola del drendas.

    «C-ci scusi» Biascicò quello «Non sapevamo che...».

    «Vi scuso, cari orsidi villici. Posso capire le vostre usanze, tuttavia...».

    L'ardeliano si tolse l'elmo.

    I drendas spalancarono la bocca.

    Pirpirra rimise la bottiglia nella cintola.

    «... gente come voi non conosca tali regole. Eppur, come disse il grande maestro Antonis, è dovere di un cavaliere insegnar al volgo le basilari condotte di convivenza. Inoltre... eh, cosa accade?».

    Il guardiano più grosso non credeva ai propri occhi. «U-un quequo?».

    Al posto del familiare viso di un umano delle terre nordiche di Ardelia era apparsa la faccia smunta di un rykyr sui venticinque anni; dall'aspetto pure più stupido del solito. La sua bocca era corrucciata in un tentativo di espressione seria, che sarebbe stata tale solo se egli fosse stato un termosifone. Gli occhi poi risaltavano subito: quello destro aveva la pupilla spostata verso l'alto, come un originale strabismo. L'altro, che si muoveva normalmente, mostrava invece una vacuità da ubriaco. Infine un taglio di capelli a scodella, secondo lo stile degli scudieri ardeliani (forma di bullismo dei propri superiori), completava il look del cavaliere.

    I drendas si guardarono sorpresi.

    «Certo che sono un quequo!». Il tizio strambo agitò un braccio.

    «Lo mio maestro, il grande duellante Balgrazio di Valoria, mi ha nominato egli stesso cavaliere dell'ordine del cavallo impennato, grazie ai miei meriti durante la battaglia della palude Remres. Sono dunque cavaliere!».

    «Ah sì?» Mormorò un guardiano, mentre estraeva un corto manganello.

    L'altro fece lo stesso, quindi si avvicinarono minacciosi.

    Pirpirra si acquattò dietro a un cassonetto della spazzatura.

    Forse si dimenticano di me, dai.

    «Allora siamo anche noi due cavalieri, dannato pazzo».

    L'occhio buono del quequo brillò.

    Appioppò un ceffone con il guanto di maglia ad entrambi i guardiani.

    «Orbene! Allora per prima cosa vi sfido a duello! E per secondo vi rimprovero ancor di più per la violenza con la fanciullla. Siamo cavalieri! Dobbiamo comportarci seguendo onore e giustizia!».

    I drendas ringhiarono feroci.

    «Allora iniziamo! Sporco quequo pazzo ardeliano!».

    Il cavaliere ebbe il tempo solo di rimettersi l'elmo.

    «Orbene! Allora, uno alla volt...».

    Le bastonate lo interruppero.

    Il vicolo risuonò del suono sordo del legno contro l'acciaio: il misterioso cavaliere rykyr era già acquattato a terra, mentre decine di colpi ne scuotevano l'armatura alla stregua di una campana.

    Pirpirra chiuse gli occhi. «Per Rykmar, lo stanno massacrando!».

    Dopo due minuti interi di attività ricreativa Blureniana, i drendas si fermarono per riprendere fiato. Il cavaliere giaceva a terra accovacciato, la sua armatura e il suo elmo ammaccati per quasi tutta la propria superficie.

    «D-dici che lo abbiamo ammazzato?» Ansimò un guardiano.

    La bimba incrociò le dita delle mani e dei piedi.

    «La prossima volta rubo una bibita o un cocktail, mannaggia a me».

    Senza preavviso il cavaliere si rimise in piedi cigolando.

    I drendas scattarono indietro, presi alla sprovvista. A uno di essi cadde la bottiglia di vino, che andò a rotolare verso il nascondiglio di Pirpirra.

    La bambina alzò il naso verso il cielo. «Ma allora?!».

    «Orbene, avete iniziato senza preavviso... ora tocca a m...».

    E giù ancora mazzate.

    Questa volta i drendas gli dedicarono solo un minuto, poi tornarono stanchi alle loro faccende. Il cavaliere quequo era racimolato a terra come un sacco di patate d'acciaio. Appena gli aguzzini se ne furono andati, alzò tremante un pugno. «Fittoria. Lo inimico si ritira con dishonore!».

    Poi rimase inerte, la visiera dell'elmo schiacciata sui ciottoli.

    Pirpirra uscì guardinga dal suo nascondiglio.

    In punta di piedi si avvicinò al misterioso salvatore e iniziò a punzecchiarlo con un bastoncino. «Ehi... signor messere? Sei ancora vivo?».

    «Maaaa certo!» Rispose quello «Affrontai un drago a due teste una volta e subì ferite ben peggiori di queste. Fu quel giorno che capì come mai chiamavano quel criceto mutante drago».

    Pirpirra alzò gli occhi al cielo.

    «Certo. Senti, riesci a camminare? Dobbiamo andarcene da qui». Il ricordo delle storie che si raccontavano in taverna le diede un'altra idea. «Oh, aspetta! Avrai un destriero, giusto? Ti posso aiutare a raggiungerlo».

    Il cavaliere alzò un dito. «Nevvero non credo di riuscir a cavalcarlo».

    Indicò dietro di sé: appoggiata a un vecchio lampione svettava la figura di una vespetta a vapore quequa, in poche parole quello che ogni pilota cerebroleso di Aend riteneva da pilota cerebroleso. Ovviamente per i rykyr rappresentava un oggetto di uso quotidiano. Pirpirra sperava di meglio come destriero. «Ah, beh... allora mi sa che dovremo andare a piedi».

    «Tranquilla! Striscerò su i miei gomiti corazzati come un vero cavaliere delle verdi vallate del sud di Ardelia!» Esclamò il giovane «Orsù, dimmi, gentil fanciulla, quanto dista la magion sicura?».

    «Tre chilometri».

    «MA VAFF... per Rykmar bello, va bene! Un'altra disfida per me».

    Pirpirra lo aiutò a tirarsi su.

    «Io mi chiamo Pirpirra dei Van Zump. Tu, ehm, come ti chiami?».

    «Piacere di conoscerti, gentil Pirpirra della famiglia Van Zump».

    Il cavaliere le sorrise.

    «Il mio, uh, ahi, nome è Ser Tancredi Spadatratta. Conosciuto anche, ahia, come Ser Ajuju, avrai capito il motivo».

    Ajuju: ahia, aiuto, che dolore in dialetto rykyr. Pirpirra ne comprese subito il perché. Dunque, mano nella mano con lo scassato cavaliere, uscì dal vicoletto.

    Dietro ai vetri opachi di una finestra, l'ombra osservava in silenzio la metropoli. Dall'alta torre in cui si trovava poteva vedere ogni quartiere, ogni fiordo, ogni minuscolo e lurido porto. E dentro di sé cresceva una rabbia sprezzante, un fiotto di bile che lo pervadeva. Strinse i denti.

    Che cos'era diventata Bluren ?

    Un covo purulento di centinaia di migliaia di frenetici esseri, affollato, malsano, corrotto. Decine e decine di razze vivevano fianco a fianco, in quartieri fatiscenti, avvolti dall'odore delle fogne e di quello di spezie d'oltre oceano. Brulicanti, i cittadini svolgevano le proprie sudice attività in un putridume condiviso, affogandosi negli effimeri ideali di piacere e conquiste. I sogni di quella gente erano di fango ed escrementi, come quelli che i loro stivali calpestavano ogni giorno, incessanti. Dov'era Bluren?

    La grande città delle accademie, dei templi acquatici, della quieta magnificenza del popolo eald. La luna Sahirie stava piangendo, lassù, nel vedere il suo tempio circondato da venditori ambulanti e dai cartelloni delle fabbriche di artiglieria. I prodi profeti del culto di Tuttidei fremeranno dallo sdegno, di fronte all'insegna lucente della casa dei piaceri drevish, situata nella strada parallela a quella della torre sacra dei sacerdoti eald rossi. L'accademia, ora aperta a chiunque potesse pagare, svenduta. L'ombra odiava tutto ciò. Eppure la colpa non era dei tristi esseri dei quartieri bassi, bensì dei tronfi nobili eald, che avevano reso la perla costruita dai loro antenati un tale, mastodontico, orrore. Le città stato del nord, così belle e ancora potenti, non avevano dimostrato loro cosa significava seguire le antiche tradizioni? Olthere, la gemma del Bisse, non rappresentava il vero pinnacolo della potenza della luna? Avrebbe potuto andarsene.

    Raggiungere luoghi di serenità e progresso, come le terre arse dal sole del Re Sacerdote, le guglie della capitale mondiale Raelgard, i borghi paludosi dei geniali lùk o addirittura i picchi scoscesi dei draghi, esseri che sapevano realmente preservare le proprie antiche tradizioni. Ma amava Bluren.

    Quella vera.

    Solo i codardi, come i rykyr, fuggivano dalle proprie responsabilità.

    La sua città doveva essere salvata. In qualsiasi modo, a qualsiasi costo, perché il bene deve sempre trionfare, nell'oscurità della decadenza moderna. L'ombra si appoggiò al muro. «Qualsiasi modo».

    Il suo sguardo volò oltre le guglie della grande cattedrale di Tarnus, superò i tetti aguzzi del grande quartiere delle arpie e andò a posarsi sulla piazza del tribunale lucente. La cui luce era sempre più flebile. Rimase in silenzio per alcuni interminabili secondi, assordato dalla confusione sotto di sé. Poi un boato sovrastò il caos della città. Il tribunale e la piazza erano scomparsi in una colonna di fuoco. L'ombra abbassò il capo. «A qualsiasi costo».

    Capitolo terzo

    La taverna della Viverna Abbattuta era la più grande di tutto il quartiere Rykyr. Il suo proprietario, Birillo

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