Scopri milioni di eBook, audiolibri e tanto altro ancora con una prova gratuita

Solo $11.99/mese al termine del periodo di prova. Cancella quando vuoi.

L'ultima Dershing
L'ultima Dershing
L'ultima Dershing
E-book439 pagine5 ore

L'ultima Dershing

Valutazione: 0 su 5 stelle

()

Leggi anteprima

Info su questo ebook

Ros Mer, l'ultima Dershing sopravvissuta, sta per sposare il principe Clayblood così da assicurare un futuro agli ultimi draghi. Ma quando quel futuro le viene strappato da Neebia assieme a ogni sua speranza, Ros troverà la forza di tentare l'impossibile: formare un'alleanza di reietti per sfidare il Drago d'Argento.

"Non sarò più uno strumento per nessuno, né per Neebia, né per i Draghi Alti. Mai più"
 
LinguaItaliano
Data di uscita7 apr 2021
ISBN9791280360021
L'ultima Dershing

Leggi altro di Rita Micozzi

Correlato a L'ultima Dershing

Ebook correlati

Fantasy per voi

Visualizza altri

Articoli correlati

Recensioni su L'ultima Dershing

Valutazione: 0 su 5 stelle
0 valutazioni

0 valutazioni0 recensioni

Cosa ne pensi?

Tocca per valutare

La recensione deve contenere almeno 10 parole

    Anteprima del libro

    L'ultima Dershing - Rita Micozzi

    Davide Cencini

    Rita Micozzi

    Dershing

    - L’ultima Dershing -

    L’uomo è capace di formare pensieri propri? Sì, ma questa è una domanda a cui risulta facile rispondere. È evidente che gli esseri umani manifestino ciò che provano con gesti e parole. Dovremmo piuttosto domandarci se essi siano in grado di comprendere la morale, l’etica, l’arte, la filosofia e i concetti più profondi dell’universo.

    Le prove che le loro menti possiedano il potenziale per attuare tale salto evolutivo sono innumerevoli. Tuttavia, l’apparente rozzezza dei loro costumi impedisce ad alcuni draghi addirittura di concepire l’essere umano come una bestia che pensa. Nulla di più lontano dal vero. L’uomo è un animale astuto. Empatico. Sensuale. Capace tanto di coscienziosa gentilezza quanto di efferata crudeltà. A differenza delle altre bestie comprende il tempo e le strutture del mondo che lo circonda. Se istruito a dovere, esprime riflessioni di sorprendente profondità. La sua differenziazione dai suoi antenati primati è talmente recente in confronto ai milioni di anni di evoluzione che la nostra specie ha alle proprie spalle da indurre molti accademici a ipotizzare che il suo pieno potenziale rimanga ancora inespresso. Se i draghi sapranno guidare i primi passi di questa razza ancora bambina con saggezza, non c’è modo di sapere quali traguardi essa potrà raggiungere in futuro.

    Chissà se qualcuno di loro esiste ancora. Mi piacerebbe incontrarli.

    Prologo

    Anno 1118 dopo Twoblood

    del regno di Lord Neebia

    Kral si affacciò con circospezione alla via del mercato. Come un gatto che azzarda il primo passo fuori dalla tana, fece capolino da una strada secondaria. Le sue gote e la punta del naso erano lievemente arrossate dal freddo.

    Già il crepuscolo. Eppure l’orologio del paese segnava appena le quattro e mezza. Le giornate si erano accorciate in fretta.

    Il giovane portò le mani vicino alle labbra e soffiò sulle dita; per rigido che fosse quell’autunno, l’inverno in arrivo si preannunciava peggiore. Glielo suggeriva l’odore di neve proveniente dai monti di Sibil, che iniziava a danzare nell’aria assieme a quello dolce delle caldarroste e al fumo dei comignoli. Proprio in quel momento le prime avvisaglie di un acquazzone inumidirono le strade, aggiungendo una nuova velatura di scuro al grigiore di Ascalon.

    Il ragazzo tirò su il cappuccio della giacca fino a scomparirvi dentro e si mescolò alla gente. Seguì il flusso senza dare nell’occhio, in cerca di un’opportunità favorevole. Doveva agire in fretta, prima che la pioggia disperdesse la folla.

    Prese di mira la bancarella di un fruttivendolo. Anche se avesse avuto l’ombra di una moneta in tasca, non si sarebbe potuto permettere di comprare granché. La merce in vendita era sempre più scarsa e più cara ogni mese che passava. Tutto merito del ‘magnifico’ Lord Neebia e dei suoi scarafaggi che strisciavano dappertutto.

    Si avvicinò e attese tra le persone in fila un’occasione per agire. Alla prima distrazione del venditore s’infilò un paio di arance nelle tasche. Nessuno se ne accorse. Era diventato bravo.

    Odiava rubare. Ogni volta che consumava del cibo sgraffignato, poi si sentiva come se gli andasse di traverso. Tutto aveva un sapore migliore quando lui e suo padre riuscivano ancora a sbarcare il lunario con gli spettacoli. All’epoca viveva in un mondo fatto di storie indimenticabili, popolate di draghi e di eroi. Ma da quando le pattuglie dell’Ossidiana avevano iniziato a irrompere tra il pubblico con i loro ‘Altolà!’, gli applausi si erano trasformati in silenzio, e poco alla volta la musica e i colori che avevano rallegrato la sua infanzia erano sbiaditi in un caldo ricordo cui aggrapparsi nelle notti passate all’addiaccio. Ormai l’unico suono che Kral udiva di continuo era quello del suo stomaco vuoto. Accompagnato dai colpi di tosse di Kent, sempre più frequenti, sempre più profondi.

    Il mercante era di nuovo indaffarato con una vecchina. Kral stava per allungare la mano verso una mela, ma fu messo in allarme dal sopraggiungere di passi sferraglianti. Conosceva benissimo quel rumore. Subito si fece da parte e si girò di spalle, confondendosi tra i gerani della bancarella adiacente.

    La pattuglia di soldati in armatura nera si fermò di fronte al fruttivendolo. Kral li tenne sotto controllo con la coda dell’occhio, mentre il respiro gli si gelava nel petto. Il capo della squadriglia, formata in totale da tre uomini, srotolò un manifesto segnaletico e lo mostrò all’anziano venditore.

    Avete visto quest’uomo? chiese, in tono inflessibile e sbrigativo.

    Dai baffoni grigi del mercante uscì un mormorio incerto.

    No.

    Senza aggiungere altro, il capitano inchiodò il foglio su una delle travi portanti della bancarella. Kral vide che sopra c’era disegnata la faccia di suo padre. ‘Kent Morani, accusato di sedizione e propaganda contro il maje.’ La barba incolta e lo sguardo provato erano stati riprodotti fin troppo bene, ma con il naso avevano combinato un disastro.

    Se lo vedete, segnalatelo intimò il capitano, mentre agguantava una mela. Lord Neebia offre una ricompensa di tremila lire d’argento per ogni informazione valida che porti alla sua cattura.

    Il soldato diede un morso al frutto, ma subito sputò il boccone e gettò gli avanzi con espressione disgustata.

    La tua merce è avariata. Dovrei farti arrestare! brontolò prima di marciare via coi suoi scagnozzi. Uno dei due urtò deliberatamente un cesto pieno di castagne, rovesciandolo e spargendo tutto il suo contenuto nel fango. Sogghignò beffardo e passò oltre senza fermarsi.

    Tremila lire, sussultò Kral. La taglia sulla testa di suo padre era aumentata. Tutto per colpa delle sue stupide storie sui draghi! Dovevano lasciare la città prima possibile. Di nuovo. La lista dei posti dove erano ben accolti si accorciava in modo allarmante.

    Attese che la pattuglia si allontanasse. I gendarmi iniziarono a fare domande e ad appendere manifesti per tutto il mercato. Kral scivolò via in silenzio, sforzandosi di non correre. Era quasi riuscito a imboccare un viottolo quando di colpo si trovò la strada sbarrata da un soldato; l’energumeno lo fissò dritto in faccia.

    Ehi, tu! esclamò. La sua mano coperta d’acciaio corse subito a impugnare la spada.

    Prima che riuscisse a estrarla dal fodero, Kral gli rovesciò addosso una rastrelliera piena di formaggi e insaccati dalla bancarella vicina. Il soldato si ritrovò sommerso da una selezione delle migliori delizie casearie di Marchesia; mentre cercava di rialzarsi e nel farlo sguainava per sbaglio un filone di salame, Kral si diede alla fuga tra i vicoli.

    Sentì che lo inseguivano, ma si sforzò di rimanere lucido. Seminali, maledizione. Scompari! Sei un’ombra!

    Sfondò con una spallata un portoncino alla sua destra. Per fortuna era solo un magazzino vuoto con una finestrella incrinata che dava sul retro. Kral balzò su una fila di botti di vino e ci saltò attraverso con la precisione di un acrobata. I vetri gli graffiarono la mano, ma lui quasi non se ne accorse.

    Si ritrovò in un vicoletto largo abbastanza da far passare un uomo. Quelle viuzze anguste e buie erano usate soprattutto per gettare gli escrementi dalle finestre, infatti la strada era appestata dal fetore e dalla sporcizia. Sentiva dietro di sé le grida dei soldati che lo cercavano. Si rimise subito a correre ma, dopo appena qualche passo, si rese conto di essere finito di fronte a un muro.

    Mentre cercava ansioso un modo per salvarsi gli cadde l’occhio su un rampicante che saliva fino a un archetto di congiunzione tra due palazzi; il tronco sembrava robusto a sufficienza per reggere il suo peso. Lo scalò in fretta, poi proseguì la sua corsa sui tetti. Da lì riuscì a coprire un paio di isolati, abbastanza da distanziare i suoi inseguitori.

    Si fermò un momento a riprendere fiato. Sporgendosi dal bordo del cornicione su cui si trovava, notò che una strana, densa foschia aveva avvolto i piani bassi delle case. I tetti ora spuntavano come isole alla deriva in uno stagnante mare lattiginoso.

    Mai vista la nebbia scendere così in fretta, pensò. C’era qualcosa di innaturale in quel fenomeno. Doveva rientrare, e subito.

    La mansarda in cui avevano trovato alloggio era poco distante da lì; Kral ci arrivò passando da un tetto all’altro, con una decina di balzi in tutto. L’edificio assomigliava a una riga del colore sbagliato tra le facciate di due palazzi. Poteva raggiungere il balcone del secondo piano con un bel salto e arrampicarsi fino al lucernario, gli inquilini dell’appartamento sotto di loro non se ne sarebbero neanche accorti.

    Appena prima di lanciarsi, si bloccò. Nella piazza sottostante vide la nebbia scansarsi al passaggio di una figura ammantata alta e scura, che impugnava due scimitarre affilate; possedeva una sagoma umana, ma la testa era troppo voluminosa per appartenere a un uomo. La creatura emise un sibilo e sollevò il capo; sotto il cappuccio che gli nascondeva il volto, Kral distinse un paio di enormi occhi gialli dalle pupille simili a fessure, che sembrarono quasi ghermirlo da lontano.

    Si sentì raggelare. Neebia aveva mandato il suo famigerato cacciatore a stanarli.

    Scattò. Con un salto nel vuoto degno di un atleta coprì la distanza che lo separava dal balcone di fronte, poi salì fino al lucernario in cima al tetto e ci si tuffò dentro, ritrovandosi nello sgabuzzino del loro modesto appartamento. Uscì dalla porticina urlando:

    Papà, dobbiamo andare via! L’Ossidiana…

    Si rese conto che il giaciglio di suo padre era vuoto. Kral, sconcertato, seguì con lo sguardo la scia di fogli di pergamena sparsi in modo disordinato sullo scrittoio e sul pavimento, fino alla stanzetta per i bisogni adiacente al balconcino. Trovò Kent lì disteso, accanto a una bacinella sporca del suo sangue.

    Kral si precipitò a soccorrerlo. Suo padre respirava ancora, ma era pallido e gelido come l’inverno. Chissà per quanto tempo era rimasto lì a terra, troppo debole perfino per alzarsi, esposto alla corrente che veniva dalla finestra.

    Pa’, svegliati! lo scosse. Scostò i capelli lunghi e unticci dal suo viso. Le sue occhiaie erano così scure che gli occhi sembravano sprofondati all’interno del teschio.

    Kent riprese i sensi. Tossì aspramente, aggiungendo altre macchiette di sangue alla sua camicia da notte.

    Kral… sospirò.

    Ce ne dobbiamo andare subito. L’Ossidiana…

    Un fischio acuto, dalla strada. Il cacciatore stava richiamando i suoi uomini. Kral non aveva mai avuto tanta paura in vita sua.

    Sono loro. Ci hanno trovato.

    No… non adesso, dannazione, borbottò Kent.

    Papà, devi alzarti. Ora!

    La mano tremolante di Kent si tese ad afferrare una pagina di diario tra i tanti fogli stropicciati sul pavimento. Il disegno, realizzato a china, sembrava riprodurre una mappa di Marchesia con un punto preciso segnato in grande e accompagnato da una scritta in una calligrafia storta e insicura che Kral stentò quasi a riconoscere come quella di suo padre.

    L’ho trovata. Guarda, Kral… dopo tutto questo tempo, finalmente ho capito dove si trova! ripeté Kent, passandogli il foglio. Il suo sguardo era quello di un uomo in preda al delirio. Stavano per morire entrambi, e lui ancora insisteva con i suoi draghi!

    Kral si scosse di dosso l’incredulità, infilò la mappa nella camicia e si gettò sulle spalle il braccio di suo padre.

    Su, vieni con me!

    Non capisci insistette Kent, mentre il figlio lo conduceva verso lo sgabuzzino. Scresah lo deve sapere, dobbiamo dirgli dov’è la Biblioteca Perduta!

    Scresah?! Sul serio? Ancora pensi a quel…

    Una freccia fiammeggiante sfondò una finestra e si piantò nel letto di Kral. In un attimo, il giaciglio di paglia si trasformò in una pira. Le fiamme iniziarono a propagarsi in tutto l’appartamento, ingoiando le pagine del diario di Kent con tutte le sue ricerche, quasi volessero consumare ogni traccia della sua esistenza. Una serie di colpi violenti scosse la porta d’ingresso, accompagnata dal soffio sferzante di un serpente che attacca. Il cacciatore.

    Dopo anni passati a nascondersi, Kral era diventato previdente e in ciascun luogo che visitavano teneva sempre pronto un qualche piano di fuga.

    Chiuse la porta dello sgabuzzino e la bloccò con uno sgabello, poi tirò una cordicella che pendeva dal bordo del lucernario, srotolando una scaletta a corda che aveva fissato al loro arrivo. Nel frattempo la pioggia si era fatta più intensa, e sia il padre che il figlio furono investiti dai rovesci di acqua gelida che scendevano dal buco sopra le loro teste.

    Forza, papà. Devi salire.

    Con grande difficoltà, Kent sollevò una gamba, infilò il piede nel primo gradino e fece leva per raggiungere il secondo. Tentò con tutto se stesso di arrivare al terzo, ma le forze gli vennero meno e scivolò giù. Kral lo afferrò per impedirgli di cadere sul pavimento. Il fumo dell’incendio penetrava dagli interstizi della porta, rendendo l’aria irrespirabile.

    Non ce la faccio disse Kent tra i colpi di tosse. Vai, tu, figliolo. Lasciami qui.

    Kral sentì l’uscio dell’appartamento crollare. Riuscì ad avvertire la presenza di quella creatura mostruosa che entrava, seguita dallo sferragliare di tanti scarafaggi, troppi per contarli.

    Trovateli! tuonò la sua voce cavernosa. Sono qui. Sento il loro odore.

    Per un attimo, solo per un attimo, Kral fu tentato di abbandonare il fragile uomo malato accovacciato sul pavimento al suo destino. Se non fosse stato per lui e per le sue storie sui draghi non sarebbero finiti in quel guaio. Poi l’immagine del padre affettuoso che lo aveva amato e protetto in ogni istante della sua vita ebbe la meglio sul terrore. Se lo caricò sulle spalle e gli disse:

    Reggiti! Ti porto io.

    Con addosso un peso raddoppiato in un momento in cui avrebbe voluto spiccare il volo, il giovane iniziò a salire, sfidando tanto le fiamme che li inseguivano quanto le raffiche di pioggia e vento che sembravano volerli ricacciare indietro a forza. Appena raggiunto il tetto, la porta dello sgabuzzino venne divelta da un calcio, e guardando giù Kral incontrò di nuovo quegli occhi gialli da rettile che lo fissavano attraverso il fumo. Riuscì a sganciare la scala a corda un attimo prima che il cacciatore li seguisse e si allontanò trascinando Kent con sé. Kral pensò di essere scampato alla creatura, ma fu subito smentito quando la mano dell’uomo serpente si aggrappò al bordo del tetto: l’aveva raggiunto con un solo balzo. Atterrito, vide la sua figura torreggiante emergere dalla botola. Il cappuccio era scivolato giù, esponendo la sua testa da rettile, contornata da due membrane che lo incoronavano. La creatura spalancò la bocca mostrando le zanne ed emise un soffio aggressivo diretto verso di loro.

    Kral usò una tavola di legno che aveva già predisposto come ponteggio per raggiungere l’edificio accanto, il magazzino di un carbonaio. Il cobra li seguì e fece segno dal tetto ai suoi uomini in strada di tirare. Una raffica di frecce lambì i due fuggiaschi; per sfuggirvi, Kral si lanciò di peso attraverso il lucernario, precipitando assieme a suo padre su una catasta di carbone.

    Senza fiato, si voltò verso Kent, abbandonato su un letto di carbone e schegge di vetro a poca distanza da lui. L’unico colore distinguibile rimasto sul suo volto era quello degli occhi, e anche il loro azzurro si andava spegnendo in un grigio stinto, mentre gli ultimi istanti della sua vita scorrevano via come gocce d’acqua da una caraffa svuotata.

    Kral lo accarezzò, poi gli afferrò la camicia ridotta a uno straccio e cercò di scuoterlo.

    Papà. Papà, ti prego…

    Kent appoggiò la mano tremolante su quella del figlio, come a dirgli di fermarsi. Il suo respiro era diventato rapido e breve, irregolare. Non tossiva più. Perché non tossisce più, si domandò Kral. Ma già conosceva la risposta.

    La mappa. Dalla a Scresah sussurrò. Poi strinse la sua mano nella propria.

    Non dimenticare.

    Furono le ultime parole che proferì.

    Le lacrime di Kral disegnarono due solchi sulle sue guance ricoperte di fuliggine. Il fuoco, che ormai aveva fagocitato la palazzina accanto, nel frattempo aveva attaccato anche il magazzino, trovando al suo interno un’enorme quantità di materiale infiammabile. Una catasta di legname ammassata a ridosso della parete si stava trasformando in una pira. Presto l’intero isolato sarebbe diventato una macchia di bruciato sulla piantina di Ascalon, e tutto per catturare due uomini che avevano scontentato Lord Neebia con le loro canzoni.

    Maledetti bastardi, pensò Kral rabbioso.

    Perfino ora li sentiva accanirsi contro le porte del magazzino. Fu costretto a staccarsi dal corpo senza vita di suo padre e a nascondersi, sparire ancora una volta tra le ombre. Da lì osservò l’uomo serpente balzare giù dal tetto sulla pila di carbone.

    Anche con gli occhi velati dalle lacrime, il ragazzo si concesse un momento per osservare le sue fattezze mostruose. Lo vide esaminare il cadavere di Kent con la lingua biforcuta, per poi annusare l’aria in cerca dell’altra preda. Quando sollevò il busto, Kral notò che sul pettorale dell’armatura era incisa la sagoma di un serpente che formava una grande S. Aveva visto figure simili negli stemmi di famiglia di nobili e cavalieri. Quello del cacciatore era solcato in diagonale da tre graffi profondi e paralleli, segni che sembravano scavati da un colpo d’artigli inferto da una bestia enorme.

    Il cobra sembrava confuso. Kral si rese conto di essere ricoperto di fuliggine. Forse, realizzò, il fumo e l’odore del carbone confondevano i sensi del suo inseguitore.

    I soldati del cacciatore irruppero nel magazzino. Il giovane ne contò una dozzina. Il capitano della pattuglia, un soldato biondo sulla quarantina col volto segnato dalle cicatrici di una vecchia ustione, si avvicinò all’uomo serpente, che gli disse:

    Kent Morani è morto. Ma suo figlio è ancora in giro.

    Comandante Sersyde, l’incendio si propaga. Dovremmo evacuare.

    Se hai paura, dovevi obbedire al mio ordine e limitarti a presidiare l’esterno invece di dar fuoco a tutto il palazzo, lo rimbeccò con un sibilo.

    Chiedo scusa, io intendevo solo… ora però sarebbe più prudente andarcene!

    No. Il ragazzo è qui. Cercatelo. Lo voglio vivo.

    Ma, Signore, le fiamme… si oppose il capitano, titubante.

    Sersyde afferrò il suo sottoposto per il bavero e lo tirò a sé.

    "Preferisci affrontare quelle o me?" soffiò minaccioso. Kral lesse il terrore sul viso dell’ufficiale. Questi si allontanò di un passo dalla creatura, poi ordinò agli altri:

    Perquisite il magazzino!

    Mentre gli scarafaggi strisciavano in giro, Kral si rintanò ancora più a fondo. Le fiamme si erano già diffuse in metà del capannone. Doveva trovare una via d’uscita, o sarebbe arso vivo.

    Un soldato dell’Ossidiana gli arrivò di fianco, senza accorgersi di lui. Kral si appiattì dietro a una catasta di tronchi appena tagliati e afferrò un tubo di ferro dal vicino banco da lavoro. Poi fece rotolare un chiodo sul pavimento, così da distrarre la guardia.

    Al momento giusto, colpì. Il soldato andò giù senza un fiato, anche se il rumore prodotto dall’impatto della spranga sul suo elmo attirò subito l’attenzione dei suoi compagni. Kral fu costretto a improvvisare, proprio come faceva sul palco quando doveva tramutarsi da un personaggio a un altro nel giro di pochi istanti: si tolse la giacca e la gettò sul soldato, poi indossò alla svelta il suo elmo e il suo mantello. Non aveva tempo d’infilarsi anche la sua armatura, ma confidò che nella fretta, complici l’oscurità e il fumo dell’incendio, gli inseguitori lo avrebbero scambiato per uno di loro. Per depistarli afferrò una lampada a olio e la lanciò su dei barili vicini, alimentando le fiamme che già li lambivano. Solo alla luce del fuoco riuscì a leggere che si trattava di barili pieni d’olio.

    Le sagome nere emersero dal fumo. Una di loro gli gridò:

    Che succede?

    Kral fece la voce profonda, cercando di infondere alla sua imitazione un tono secco e rozzo.

    È quel vermiciattolo!

    Dove?

    Laggiù! L’ho colpito, è svenuto. Prendetelo, io vado ad avvisare il comandante Sersyde.

    Senza lasciare ai soldati il tempo di riflettere, Kral sparì in mezzo ai mucchi di carbone e legname e puntò dritto verso l’uscita. Un attimo prima di arrivarci, la mano guantata del cacciatore lo afferrò. Si sentì strattonare da una presa d’acciaio.

    Pensavi di farmela sotto il naso, ragazzino? sibilò. Per un momento, Kral si specchiò nelle pupille di quei lucenti occhi da serpente.

    "Dimmi dov’è il sorcio", gli intimò Sersyde.

    Il giovane afferrò un pezzo di legno lambito dalle fiamme e glielo spaccò sul volto con tutta la forza, lasciando un’ustione sulla pelle squamosa del luogotenente di Neebia. Sersyde lanciò un soffio di collera; il ragazzo ne approfittò per sfuggire alla sua presa e correre a perdifiato fuori dal magazzino. Continuò a correre, e a correre, finché un’esplosione spazzò via l’intera facciata dell’edificio. Una gigantesca palla di fuoco riempì il cielo notturno, per poi sfumare nel temporale.

    Kral si rialzò da terra, ansante, con le orecchie che fischiavano. Si guardò indietro, rendendosi conto che l’esplosione aveva fatto piazza pulita di buona parte dei suoi inseguitori. Si domandò se l’uomo serpente fosse sopravvissuto. D’impulso provò a chiedere a suo padre come stava, ma rimase impietrito quando non lo vide da nessuna parte. Solo in quel momento la realtà della situazione gli piombò addosso. Non l’avrebbe rivisto mai più. Quel posto al suo fianco sarebbe rimasto per sempre vuoto.

    Papà.

    Non sarebbe più riuscito a cancellare l’immagine dell’istante in cui la vita l’aveva abbandonato, la sensazione di quella mano gelida, magra e tremolante che stringeva la sua. Poi i suoi occhi socchiusi, fissi nel vuoto. Le sue ultime parole. ‘Non dimenticare’.

    La mappa!

    Kral si ricordò della pagina del diario che Kent gli aveva affidato. Quel pezzo di carta scarabocchiata per cui suo padre era morto era il suo lascito, l’unica testimonianza rimasta di una ricerca iniziata assieme a un mago muscu quando lui era soltanto un bambino.

    Tirò fuori il foglio spiegazzato e lo distese davanti al viso. Tra i luoghi abbozzati e i segni confusi, si distingueva chiaramente una scritta composta da lettere rimarcate: "Biblioteca Perduta dei Draghi".

    Cosa spinge un drago a sviluppare un’attrazione fisica verso un essere umano? Il solo porre una simile domanda è sufficiente a farci rizzare le scaglie dal collo fino alla punta della coda, ma cerchiamo di affrontare l’argomento in modo razionale.

    Con tutta probabilità, i nostri antenati Primordiali erano predatori nei confronti degli esseri umani. Ma in qualche modo la particolare capacità di raziocinio dell’animale uomo, seppur limitata in confronto alla nostra, ci ha sempre affascinato. A unire i nostri destini per la prima volta fu il Grande Cataclisma, durante il quale lo sconvolgimento delle correnti di mana rese la superficie inabitabile per la nostra specie. Le anomalie cercavano i draghi come se ne fossero attratte, e chi ne veniva catturato subiva delle orribili alterazioni. Per sfuggire a questo fato, molti draghi trovarono rifugio nelle caverne sotterranee abitate dagli umani primitivi. E per poter convivere con essi in quegli spazi ristretti, i Primordiali furono costretti a sviluppare l’incantesimo per comprimere i loro corpi in forma umana.

    Prendere l’aspetto di un essere umano, per un drago significa divenire un uomo o una donna, anche se solo in piccolissima parte. Restare a lungo in questo stato innaturale suscitò in alcuni dei nuovi istinti. Dunque, è più che probabile che le prime unioni carnali tra le due specie avvennero in questa epoca, come una forma di sperimentazione e di sfogo.

    Oggigiorno, la trasformazione non serve più a proteggerci, ma aiuta la nostra società a risparmiare risorse preziose e ci permette di convivere più facilmente con i dershi che fanno sempre più parte della nostra vita. E con questa crescente interdipendenza le occasioni per draghi ed esseri umani di avere contatti intimi non hanno fatto che aumentare. Va da sé che resta una pratica aberrante, contro natura e indice di una mente malata, da condannare con fermezza. Tuttavia risulta in un certo qual modo comprensibile che tra individui che vivono a stretto contatto possa nascere affetto reciproco o attrazione. Dunque, per ridurre le possibilità di questi rapporti, il consesso dei Devoti Celesti raccomanda a tutti i draghi di purificare con la sterilizzazione i propri dershi. Il solo pensiero che la natura possa produrre un qualche scherzo a causa di queste unioni immorali è estremamente deleterio e non farebbe altro che aggravare la crisi che il nostro popolo sta già vivendo.

    Mi domando cosa si provi a essere innamorati.

    Ros

    Anno 1119 dopo Twoblood

    La mattinata estiva più limpida che si fosse mai vista, e lei poteva solo ammirarla dalla finestra.

    Ros adagiò la guancia sul pugno e fece ciondolare la testa verso l’esterno, abbandonandosi con tutto il corpo sul davanzale. Le sfuggì un sospiro profondo, non avrebbe saputo dire se d’impazienza o di semplice noia. Chiuse gli occhi e si lasciò carezzare le guance dalla luce. Quando attraversavano la cupola magica che rendeva Amaranth evanescente, i raggi del sole assumevano una tonalità azzurrina, donando a tutta la città la luminescenza di uno scrigno di perle.

    Una città fredda, pensò Ros. Perfino d’estate.

    I passi tonanti e l’amabile chiasso che sentiva provenire dal laboratorio adiacente le segnalarono che il suo sarto stava per tornare nella sala prove con un altro carico di stoffe e merletti.

    Puntuale, Serramancu spalancò la porta con una spallata. La sua testa pelata, circondata dalla caratteristica zazzera grigia che andava da una tempia all’altra, spuntò fuori da innumerevoli strati di tessuti pregiati.

    Che fai, guardi gli uccellini? Dai, mettiti sul piedistallo. La schernì il sarto, bonario.

    Ros si staccò a forza dalla finestra, salì scalza sul suo trespolo e raddrizzò la sottoveste. L’immagine che lo specchio le restituiva le fece storcere le labbra. Non le dispiaceva avere un seno piacevolmente rotondo, ma nell’ultimo anno i fianchi le si erano irrobustiti un po’ troppo. Tutta colpa delle ore passate a leggere libri sulla storia di Amaranth e di quelle maledette paste alla cannella che Glimmer sfornava di continuo! Perfino la regina le aveva consigliato con garbo di perdere un paio di chili prima di entrare nel vestito da sposa. Per fortuna aveva ancora qualche settimana per rimediare.

    Serramancu l’aiutò a indossare l’abito che stava confezionando per lei. Era ben lontano dal definirsi completo, ma già si presentava come un tripudio di gonne, balze e decorazioni in oro, perle e argento.

    Erano partiti da un gradevole abito di raso, ma poi la cerimoniera Snowflake aveva consigliato di aggiungere un sopragonna di seta, il consigliere Redsilk delle maniche a sbuffo, la musicista Nightwish qualche velo di organza e dei merletti… infine era arrivata Glimmer e tutto si era coperto di lustrini, una marea di lustrini.

    Serramancu afferrò il metro che teneva sempre attorno al collo e prese qualche misura, con pochi movimenti rapidi ed esperti. S’infilò un ditale e iniziò a trasferire i suoi spilli uno a uno dal puntaspilli che portava sul polso alle cuciture dell’imbastitura. Fu costretto a fermarsi quando Ros si voltò verso la finestra.

    Ferma…

    La mano venosa dell’artigiano inseguì con pazienza il lembo del vestito dove andava inserito il punto. E di nuovo, il fianco della modella si spostò.

    "Benedetta figghiuzza, vuoi stare ferma? protestò Serramancu. Ti agiti come una forsennata! Vuoi che t’infili un ago da qualche parte?"

    Scusa, Serra rispose Ros. Non lo faccio apposta. È solo che questo abito è così…

    "Accussì come?" chiese il vecchio sarto. Intanto umettava tra le labbra un filo e lo faceva passare per la cruna di un ago.

    Ros si rimirò ancora una volta nello specchio. La sua espressione corrucciata sembrava quasi parlarle come un’amica fin troppo schietta. Le veniva in mente una lunga lista di aggettivi: ingombrante, pomposo, scomodo…

    Sofisticato, disse a denti stretti, per paura di ferire i sentimenti di Serramancu. In realtà lo riteneva una diabolica macchina di tortura.

    Il bustino, stretto al punto da farle sembrare la vita il palo di un lampione, le impediva di piegarsi e di respirare. Per contro le spingeva in fuori il seno e i fianchi, trasformandola una ridicola caricatura. Aggiungendo le ampie maniche a sbuffo, i tre strati di gonna e gli innumerevoli filari di perline e ghirigori draconici, più che una sposa, Ros si sentiva una bomboniera. E ancora doveva provare le scarpe.

    Beh, la regina ha insistito che avessi l’abito più sfarzoso che si sia mai visto per andare all’altare, non sei contenta?

    Sì, certo accennò Ros a denti stretti. "Solo, per il mio matrimonio avevo immaginato d’indossare qualcosa di un po’ più, ecco… semplice?"

    Serramancu si grattò il mento punteggiato di barba incolta e pizzicò i suoi caratteristici baffoni dalle punte all’insù.

    "Magari ci posso levare un paio di strati qua e là, che dici?"

    Magari anche tutti… rispose la dershing, tirando i muscoli del viso.

    Ho capito, sospirò Serra. Senti, avrei una sorpresa per te. Te la volevo dare dopo le nozze, ma… aspetta un po’.

    Serramancu sparì nel suo laboratorio. Ros lo sentì frugare tra le imbastiture e farfugliare qualcosa nel suo particolare dialetto. Quando si ripresentò, aveva tra le mani un vestitino di raso che fece sciogliere il cuore della futura sposa come un cucchiaino di miele nel latte caldo.

    Oh, Serra. È meraviglioso commentò la dershing, senza fiato.

    Provalo la incoraggiò il sarto.

    Ros non se lo fece ripetere; si rifugiò dietro il separé e appena ebbe finito di cambiarsi corse di fronte allo specchio. Subito si sentì di nuovo se stessa. L’abito, bianchissimo, staccava in modo vivido coi suoi capelli corvini, e le finiture di blu oltremare sul décolleté s’intonavano perfettamente col colore dei suoi occhi. Anche questo era ricamato con dei fregi draconici dorati, ma le trasmetteva un senso di maggior gusto e leggerezza rispetto all’abito ufficiale. Serramancu prese un paio di misure con la grazia di un ballerino, poi non aggiunse altro che una parola:

    Perfetta.

    È questo il mio abito. Voglio sposarmi con questo ripeté Ros, incantata.

    Se ci tieni tanto, la regina capirà rispose il sarto mentre cercava di sgonfiare la macchina di tortura per riporla. Tutt’a un tratto, si fermò. La sua espressione ricordò a Ros una nuvola che passa davanti al sole.

    Sai… in realtà quel vestito non l’avevo fatto per te. Era per un’altra persona, qualcuno che adesso non c’è più.

    Chi? chiese subito, sorpresa.

    Ti è piaciuta l'anteprima?
    Pagina 1 di 1