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Trattato sullla trinità
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E-book301 pagine4 ore

Trattato sullla trinità

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Il Trattato sulla Trinità. Del maestro Vilar, rappresenta un capolavoro teologico di alto profilo, datato, sì, ma valido nei suoi contenuti. Trascritto dall’allievo Giovanni Sala, il trattato è attribuito al Maestro di Sacra Teologia Pietro Vilar ed appartiene ad una collezione di scritti teologici riconducibili allo Studentato dei Domenicani di Girona in una Spagna settecentesca, ma che pienamente osserva lo spirito medievale. Di impostazione tipicamente tomista, l’opera del maestro Vilar è teologica e filosofica insieme, ma è soprattutto ontologica: il problema dell’essere è dominante, come del resto per tutto il corso del pensiero occidentale dalle origini greche ai nostri giorni. Il maestro guida l’allievo in un viaggio straordinario attraverso la vita di Dio e secondo un taglio essenziale, che pur essendo stato sorpassato dall’approccio fenomenologico della teologia contemporanea, conserva in sé ancora, come in uno scrigno, un alone di arcana beltà.

LinguaItaliano
Data di uscita19 mar 2014
ISBN9788867822720
Trattato sullla trinità

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    Anteprima del libro

    Trattato sullla trinità - Vincenzo Capodiferro

    VINCENZO CAPODIFERRO

    TRATTATO SULLA TRINITÀ

    Del Maestro Vilar

    Io e Vian al Sommo Padre

    per tutte le grazie ricevute.

    «Gli uomini sono soliti avere in grande stima la scienza del mondo

    terrestre e celeste; ma senza dubbio i migliori tra di essi sono coloro

    che preferiscono la conoscenza di se stessi a questa scienza e l’anima che

    conosce anche la sua debolezza è degna di maggior lode che non quella

    che, senza averla presa in considerazione, si sforza di investigare

    le orbite degli astri o quella che già le conosce, ma ignora quale via la

    conduca alla sua salvezza e alla sua sicurezza»

    Agostino, La Trinità, IV,1, p. 135.

    Vincenzo Capodiferro

    Trattato sulla Trinità

    Editrice GDS

    www.bookstoregds.com

    TUTTI I DIRITTI SONO RISERVATI

    Ringrazio le scrittrici Teresa Armenti ed Angelica Pezzullo 

    per il notevole sostegno morale e materiale.

    Introduzione

    Coordinate storiche

    Il presente Trattato sulla Trinità fa parte di una collezione di scritti teologici. Proviene da una scuola spagnola: gli scritti, infatti, sono di un’unica mano, probabilmente dettati, al discepolo Giovanni Sala, dai vari maestri di Sacra Teologia, che variamente si alternano nelle diverse trattazioni. Al termine di ogni trattato infatti è riportato il maestro e la data. Questo sulla Santissima Trinità è il primo trattato. Il maestro è un certo Pietro Vilar e la data di compilazione si riferisce all’anno degli studi 1706. Dai continui riferimenti alla dottrina dell’angelico dottore e dall’impostazione tipicamente tomista dell’opera possiamo dedurre che si trattasse di scuola domenicana. Di questi padri domenicani compare nel secondo trattato, quello Sul mistero dell’Incarnazione, un nome, quello di Geronimo Pages, rettore di San Daniele, e compare la città di riferimento, Girona. In questa famosa città spagnola della Catalogna vi era uno dei conventi domenicani più fiorenti, basti pensare che dalle sue mura uscì il grande inquisitore Nicolas Eymerich, autore del noto Directorium Inquisitorum (1376), ripreso dallo scrittore Valerio Evangelisti. Girona fu tra l’altro la patria di Francesc Eiximenis e di Dalmau Moner. Possiamo supporre allora che tutti questi trattati teologici provengano dal convento domenicano di Girona e che il termine San Daniele si riferisse ad una Facoltà, od ad uno Studentato, il quale forse poteva aver luogo anche nel monastero benedettino femminile di San Daniele di Girona, fondato da Ermessenda de Carcassona. Questi sono i termini di riferimento storici per comprendere la profonda portata di questo grandioso trattato sulla Trinità. Il tema, cui l’autore si riferisce è classico, quello di sviscerare uno dei misteri più arcani della dottrina della fede. L’autore espressamente e continuamente ha come punti di riferimento della sua trattazione, non a caso, tra gli altri, San Tommaso e Sant’Agostino, la Summa Teologica e la Trinità. Lo possiamo dedurre dai continui riferimenti che abbiamo riportato nelle note, indicati anche nella breve bibliografia a margine della presente nota introduttiva.

    Il mistero trinitario nel contesto della rivelazione

    Nella filosofia possiamo dimostrare, se vogliamo, l’esistenza di Dio o l’immortalità dell’anima. In questo modo avremo stabilito che non vi fosse contraddizione tra la ragione e la rivelazione, in quanto Dio, vera Verità è autore sia del fondamento della razionalità che della rivelazione. C’è una dipendenza dell’uomo, in quanto creatura, da Dio creatore a fondamento della religione naturale. La religione naturale tuttavia non è un sufficiente mezzo per comprendere la vera natura della vita divina. Vero è che l’uomo rispetto a Dio è sempre ignorante e deve riconoscere questa sua cusaniana dotta ignoranza, ma la religione naturale non basta per comprendere questi arcani misteri di Dio e la sua vita privata, se possiamo usare questa espressione, o i suoi intimi attributi, come la santità, la bontà, la provvidenza. Dove non arriva la religione naturale a comprendere i misteri divini, sopraggiunge quella rivelata. Anche la rivelazione può essere naturale o soprannaturale. La naturale è la manifestazione di Dio all’uomo attraverso il lume della ragione, la soprannaturale è la manifestazione di Dio all’uomo attraverso un mezzo soprannaturale, per cui propriamente si dice rivelazione. Questa rivelazione soprannaturale può essere immediata o mediata. È immediata quando Dio parla direttamente all’uomo, la seconda quando è mediata da un uomo, o angelo, che parla a nome di Dio, in quanto da Dio stesso ha ricevuto una rivelazione. L’oggetto della divina rivelazione comprende a sua volta verità naturali o soprannaturali. Le prime sono conoscibili con l’umana ragione, come l’esistenza di Dio, l’immortalità dell’anima. Il secondo genere comprende verità difficili da capire per la ragione, né prima, né dopo la rivelazione e di tal genere sono i misteri della fede. Il mistero è, infatti, una verità rivelata da Dio, ma trascendente all’umano intelletto, per cui non può essere conosciuto da esso per potenza naturale. Di tale sorta è il mistero che Pietro Vilar cerca di spiegare nei limiti della ragione, quello della Santissima Trinità. Come non vi è alcun impedimento che Dio possa rivelarsi per via naturale, così non vi è alcun impedimento che si possa rivelare per via soprannaturale. Vi sono delle verità soprarazionali, impervie per la ragione e questi sono i misteri. La natura di Dio è infinita, perciò non è impossibile che sia circondata da misteri più della natura finita. D’altronde quanti misteri nasconde anche la natura finita, di cui neppure gli scienziati sanno esattamente? Pensiamo ad esempio nel regno naturale alla teoria della luce, o alla dottrina degli elementi della sostanza, per non parlare del rapporto tra anima e corpo, che è già un argomento spirituale. A maggior ragione in Dio, in cui abita una luce inaccessibile. I misteri hanno un oggetto che è adeguato per l’intelletto divino, ma inadeguato per quello umano. Se queste verità non possono essere raggiunte per via soprannaturale, sono inintelligibili per noi, e così escluse dall’estensione degli oggetti adeguati alla nostra ragione. Se queste verità non possono allora direttamente essere apprese, o insegnate dagli uomini, nulla impedisce che possano essere insegnate direttamente da Dio, il maestro interiore. È questo che vuole fare il nobile maestro, Pietro Vilar, verso i suoi discepoli: permettere che gli allievi si avvicinino al mistero, senza mai raggiungere appieno il profondo significato di esso. La rivelazione soprannaturale, pur non essendo conforme alla natura umana, non per questo non deve essere ammessa. Questa difatti non intende essere di contrasto alla natura umana, ma rappresenta un’elevazione di essa allo stato soprannaturale e supplisce alle carenze della religione naturale. Si potrebbe obiettare, cartesianamente, che le verità debbano essere evidenti di per sé, ma i misteri, come quello della Santissima Trinità, non sono evidenti di per sé, né chiari né distinti, dunque dovrebbero essere esclusi dalla verità. I misteri evidentemente escludono l’evidenza dell’oggetto, ma non quello della fede e della testimonianza.  I misteri sono incomprensibili all’uomo. Ciò che è incomprensibile non può essere percepito, ma non per questo non possono essere rivelati da Dio. I misteri sono incomprensibili circa l’oggetto e non possono essere concepiti, né per conoscenza diretta, né per dimostrazione, né prima, né dopo la rivelazione. Ma non per questo sono incomprensibili rispetto all’enunciazione, o alla percezione delle proposizioni, o delle asserzioni. Il mistero «Tre Persone sussistono in un’unica essenza» è difficile da capire da parte di qualsiasi ragione umana, eppure il senso esterno dell’asserzione si comprende chiaramente. Ma gli argomenti di cui non si capisce il senso intimo, o interno, per usare il termine degli scolastici, sono di per sé insolubili, per cui non potrebbe neppure essere percepito il senso esterno delle parole che assumono i misteri. Gli argomenti insolubili però possono essere positivi o negativi: nel primo caso vi è un’evidente contraddizione nell’oggetto, nel secondo caso, invece, questi sono solo inaccessibili all’umana ragione, ma non vi è una vera e propria contraddizione. I misteri sono allora argomenti insolubili negativi di cui si può percepire solo il senso esterno a mezzo di postulati. I criteri della rivelazione sono noti: caratteri e giudizi per i quali si accetta se l’oggetto della rivelazione sia certo oppure sia da respingere. Questi criteri possono essere interni e negativi o esterni e positivi. I primi si deducono dalla stessa ragione umana. Essendo Dio verace, buono, santo, infinito in ogni genere di perfezione, è necessario che anche la dottrina che si attribuisce alla rivelazione della divinità debba essere vera, scevra di ogni errore e che non vi sia evidente contraddizione con la ragione umana. La dottrina della rivelazione deve contenere argomenti che siano degni alla perfezione divina. Il fine della rivelazione e dei suoi misteri è sempre la salvezza dell’uomo. La dottrina rivelata può contenere delle verità soprarazionali. La verità rivelata da parte dell’uomo non necessariamente deve essere dimostrata o verificata. Dio che è sommo bene  non può rivelare all’uomo il male, se non per la sua salvezza, né può rivelare il falso. I criteri esterni o positivi sono, invece, come i sigilli regi che venivano apposti sulle missive. Questi segni possono essere i miracoli o le profezie, ma di questo non trattiamo perché esula dal nostro argomento.

    La missione di Gesù Cristo e il mistero trinitario

    Intendiamo per processione divina il processo di originazione di una Persona dall’altra o da altre due. Il Padre non è stato fatto da Persona alcuna, è increato ed ingenerato. Il Figlio procede dal Padre per via di generazione. Lo Spirito non è né creato, né generato, ma procede dal Padre e dal Figlio, consistendo nel loro amore sostanziale. La grande difficoltà è che malgrado vi siano queste processioni divine, le tre Persone sono coeterne eguali e coessenziali. Tra di esse infatti non vi può essere anteriorità temporale, ma semplicemente anteriorità logica. Possiamo sperimentare in noi qualche cosa di analogo: la facoltà di pensare ed il pensato, la facoltà di volere ed il voluto, la facoltà di amare e l’amato, la facoltà motoria ed il moto, sono distinti, ma procedono l’una dall’altra. Nel bambino ancora queste facoltà non sono ben chiare, ma nell’adulto sono perfettamente distinte e la distinzione è logica, non reale, né temporale. In Dio eternamente sussistono le tre Persone. La chiesa greca non ha riconosciuto solamente che lo Spirito procedesse dal Padre e dal Figlio, secondo la nota formula del Filioque. Questa aggiunta non era stata fatta nel Simbolo, ma è stata sempre sottintesa sia dai Padri che dalle Scritture. Per missione invece intendiamo una destinazione a qualche effetto temporale di una Persona divina da parte di un’altra, dalla quale procede. La processione dunque è una condizione essenziale della missione.  Il Figlio non è inviato che dal Padre e lo Spirito dal Padre e dal Figlio. Vi sono molte testimonianze della missione nel Vangelo, come quando Gesù dice: Sono uscito dal Padre e sono venuto nel mondo. O per lo Spirito: Ma il Paraclito, lo Spirito Santo che il Padre manderà nel mio nome, lui vi insegnerà ogni cosa. Come è possibile una destinazione temporale quando in Dio tutto è eterno? Il risultato di questa missione divina è che una delle Persone comincia ad essere una creatura temporale, come la santa umanità del Cristo in virtù dell’incarnazione. Un altro esempio è la presenza reale dello Spirito Santo negli apostoli dopo la Pentecoste. La missione temporale è possibile in virtù dell’immensità di Dio. Egli è presente dappertutto, e può rendere una Persona divina presente in modo nuovo. La missione può essere visibile o invisibile. Visibile è quella manifesta alle facoltà sensibili, come l’incarnazione, o la Pentecoste. Invisibile è quella manifesta ad una facoltà puramente interiore. Questa missione è sempre permanente per la grazia santificante, mediante la quale lo Spirito Santo ci viene donato. La grazia santificante stabilisce tra Dio e noi un rapporto permanente di amicizia. Lo Spirito non viene a noi dall’esterno in tutta la sua potenza terribile ed adorabile, davanti la quale tremano le virtù dei cieli, ma viene nell’anima da dentro di noi, in un modo piacevole, ma ciò richiede naturalmente la cooperazione dell’uomo. Così il Signore stesso ce lo rivela quando dice: se qualcuno mi ama, mio Padre l’amerà e noi verremo a lui e dimoreremo presso di lui. Noi dobbiamo riportare il mistero della Santissima Trinità, di cui trattiamo, alla dottrina rivelata da Nostro Signore Gesù Cristo, il quale è inviato da Dio Padre, come anche insiste il maestro Pietro Vilar nell’ultima parte del suo trattato, quando parla della missione nell’ambito trinitario. Gesù Cristo è inviato dal Padre e la sua dottrina è rivelata, ed anche il mistero della Santissima Trinità. Vi sono criteri interni e negativi, di cui parlavamo, che non sono in contraddizione con la missione di Gesù Cristo. La mia dottrina, dice il maestro, non è mia, ma di colui che mi ha mandato. Ed anche i Giudei, che non lo riconobbero come Figlio, esclamavano: un grande profeta è sorto tra di noi. Dio ha visitato il suo popolo. Ed ancora: Ha fatto bene ogni cosa: fa udire i sordi e fa parlare i muti!. Tutta la dottrina di Gesù, così come esposta nei vangeli si sintetizza nel Simbolo, ove c’è il chiaro riferimento alla Trinità e cui più volte si appella lo stesso Pietro Vilar, oltre che anche al simbolo atanasiano. Si compendia nella sintesi tra la vecchia legge mosaica, culminante nei dieci comandamenti e la nuova legge dei mandati dell’amore. Si compendia nei sacramenti e nell’istituzione della Chiesa. Nessun criterio interno e negativo è contrario a questa dottrina. Questa dottrina completa ogni religione naturale, ogni culto, interno ed esterno, che sarebbe vano senza l’anima che vi infonde il Figlio: Questo popolo mi onora con le labbra, ma il suo cuore è lontano da me. Invano mi rendono culto, insegnando dottrine che sono precetti di uomini. La dottrina del Figlio contiene molti misteri, che non possono essere indagati da ragione umana e tra questi primeggia quello della Trinità. Questi misteri sono veri, non possono essere falsi, perché Dio stesso è verace e non possono essere contestati né da criteri negativi e interni, né da positivi ed esterni. La missione del Figlio, infatti, e la sua dottrina è comprovata anche dai miracoli e dalle profezie: i miracoli verso la natura inanimata, come la tempesta sedata, la pesca miracolosa, la trasmutazione dell’acqua in vino; le guarigioni degli infermi; la cura degli indemoniati; la resurrezione dei morti, oltre la resurrezione di sé stesso. Ai Giudei che ancora increduli chiedono: Fino a quando ci terrai nell’incertezza? Se tu sei il Cristo, dillo a noi apertamente. Gesù risponde chiaramente: Ve l’ho detto e non credete; le opere che io compio nel nome del Padre mio, queste danno testimonianza di me. Perché Io e il Padre siamo una cosa sola. E lo stesso Gesù testimonia fortemente questo aspetto trinitario della sua missione filiale nell’episodio, ad esempio, della resurrezione di Lazzaro, ove riporta Giovanni: alzò gli occhi e disse: «Padre, ti rendo grazie perché mi hai ascoltato. Io sapevo che mi dai sempre ascolto, ma l’ho detto per la gente che mi sa attorno, perché credano che tu mi hai mandato». Dio dà una prova della missione e della dottrina del Figlio risuscitandolo dalla stessa morte e così dà il fondamento alla stessa fede, come conferma Paolo: Dio, passando sopra ai tempi dell’ignoranza, ordina agli uomini che tutti e dappertutto, perché egli ha stabilito un giorno nel quale dovrà giudicare il mondo con giustizia, per mezzo di un uomo che egli ha designato, dandone a tutti prova sicura col risuscitarlo dai morti. Ma oltre ai miracoli, la vera fede non può infatti fondarsi solo sui criteri esterni o sul miracolismo, c’è la testimonianza degli apostoli, che videro, udirono, palparono il maestro dopo la morte per quaranta giorni, ma oltre loro tanti e tanti altri, più di cinquecento, tra discepoli, donne ed anche persone esterne alla primitiva cerchia dei cristiani. Ma oltre alle testimonianze, la missione del Figlio è confermata da altri criteri esterni, le profezie. Lo stesso Gesù Cristo fece molte profezie, sulla sua passione, morte e resurrezione, prendiamone una ad esempio: Ecco, noi saliamo a Gerusalemme e il Figlio dell’uomo sarà consegnato ai capi dei sacerdoti e agli scribi; lo condanneranno a morte e lo consegneranno ai pagani perché venga deriso e flagellato e crocifisso, e il terzo giorno risorgerà. Oltre alle profezie dei profeti e le profezie dello stesso Figlio e la testimonianza degli apostoli e di tutti quelli che erano vicini al Cristo, vi è anche la testimonianza dei suoi nemici che dissero innanzi a Pilato: Signore ci siamo ricordati che quell’impostore, mentre era vivo, disse:  Dopo tre giorni risorgerò. Gesù profetizzò la morte di Giuda, la distruzione di Gerusalemme, che avvenne dopo quaranta anni dalla sua morte, come testimonia anche Giuseppe Flavio. Profetizzò anche, dopo la fondazione e la missione di Pietro, la duratura essenza della Chiesa, che dopo duemila anni è ancora in piedi, nonostante le tante difficoltà e le persecuzioni. Vi sono testimonianze che attestano la divinità del Cristo ed anche la Santissima Trinità: voi dite: Tu bestemmi, perché ho detto Sono figlio di Dio? Se non compio le opere del Padre mio, non credetemi; ma se le compio, anche se non credete a me, credete alle opere, perché sappiate e conosciate che il Padre è in me, e io nel Padre. E poi vi sono tantissime testimonianze da fonti cristiane e non cristiane sulla fede e sul cristianesimo primitivo, che ha accolto la dottrina del maestro. Sant’Ignazio, discepolo di Pietro, ad esempio, scrive ai fedeli di Filadelfia che la chiesa di Cristo si è estesa fino agli estremi confini della terra. E oltre a Giustino e Minucio Felice, Tertulliano nel suo Apologetico conferma che i cristiani hanno riempito tutte le città, le isole, i castelli, i templi. Anzi può opporre ai suoi persecutori: «Le vostre più raffinate crudeltà a nulla servono: danno invece maggior fascino alla nostra religione. Noi ci moltiplichiamo, in proporzione di quanto voi ci mietete; il sangue dei cristiani è semente!».E della moltitudine dei cristiani parlano anche gli autori pagani come Tacito e Plinio. La rivelazione altro non è che la manifestazione di Dio e delle sue ignote verità per via soprannaturale, che avviene per speciale assistenza o per semplice approvazione dello Spirito. L’ispirazione dello Spirito Santo, infatti, deve ammettersi per tutte le Sacre Scritture. Non tutte le verità di fede possono però essere comprese appieno dall’umana ragione. La ragione, infatti, è la facoltà dell’anima che ci permette di raggiungere i primi principi col solo lume naturale. Dobbiamo evitare gli estremi di far dipendere da un lato tutto dalla Sacra Scrittura o dalla semplice rivelazione e dall’altro tutto dalla ragione, senza tener conto invece della fede. Non vogliamo in questa sede imbatterci nel difficile tema del rapporto tra ragione e fede. Diciamo solo che non tutte le verità di fede possono essere comprese colla sola ragione. Dio diede all’uomo la ragione per conoscere altro, in comune cogli altri animali, che possiedono l’anima sensitiva. Dio può istruire la ragione naturale sulla vera scienza, essendo egli stesso verace e questo vale per le verità naturali, che possono essere apprese nella teologia naturale, come l’esistenza di Dio, o la creazione del mondo. Ma anche la verità della ragione naturale, come l’esistenza di Dio, che può essere messa in discussione dalla stessa ragione, non può essere riguardata sotto lo stesso aspetto come verità di ragione e verità di fede. L’esistenza di Dio come verità di fede viene accettata secondo un diverso motivo che non come se fosse una verità di ragione e viene accettata per la somma veracità di Dio e per l’autorità della rivelazione. Molte verità rivelate, o misteri, non possono essere né comprese, né dimostrate dalla ragione. Molti misteri, come quello della Santissima Trinità superano l’umana ragione. Così Paolo afferma che la sapienza di cui parliamo, quella dei perfetti, non è la sapienza di questo secolo, ma parliamo della sapienza nascosta nel mistero. Ciò che supera l’umana ragione nel mistero è nascosto. Tuttavia anche se la fede è superiore all’umana ragione non è detto che sia contraria ad essa, per cui non si può dare una proposizione vera per la fede e falsa per la filosofia, o per la scienza, perché Dio è l’autore sia della rivelazione che della creazione naturale. La ragione umana non dovrebbe essere indipendente dalla fede, soprattutto in materia di teologia, oltre che nelle scienze umane.

    Sublimità del mistero trinitario nella vita di fede

    Abbiamo visto come sia necessaria la rivelazione. L’uomo è incapace di conoscere da se stesso pure l’esistenza di Dio in modo chiaro, immaginiamo poi il suo volere. La rivelazione è la manifestazione di una verità che Dio fa agli uomini al di fuori dell’ordine abituale della natura. È una manifestazione, ed in ciò si distingue dall’assistenza e dall’ispirazione. Attraverso l’assistenza lo spirito di colui che parla, o scrive, o pensa, è preservato dall’errore per il soccorso dello Spirito Santo. L’ispirazione è l’illuminazione dello spirito di chi parla o scrive a nome di Dio in quanto si ha un moto volontario che porta a parlare od a scrivere perché si è divinamente portati. Gli autori della Sacra Scrittura, ad esempio, sono ispirati, in quanto viene loro dettata la parola dal maestro interiore. La rivelazione, invece, consiste nell’illuminazione dello spirito senza il moto volontario che accompagna l’ispirazione. Essa può essere interiore e allora Dio è sia il soggetto, in quanto immette nello spirito di chi riceve la fede, e sia l’oggetto della verità che viene rivelata. La rivelazione può essere anche esteriore, per cui viene propagata a mezzo di intermediari scelti da Dio stesso. La rivelazione può avere come oggetto delle verità comprensibili dalla ragione, come delle verità al di sopra della comprensione umana, e queste ultime sono i misteri. Le verità storiche, ad esempio, della creazione, del diluvio, sono comprensibili dall’umana ragione. Altre verità, come quello della Santissima Trinità, dell’incarnazione, della morte e resurrezione, sono soprarazionali.  Naturalmente molte verità rivelate non sono scientifiche e furono adattate dagli intermediari ai tempi ed alla cultura dell’epoca, ma ciò non significa che le verità di fede siano da meno di quelle scientifiche. Qui ci addentreremmo in un difficile tema, che esula dal nostro contesto. Diciamo solo che anche le scienze si affidano a verità, che potremmo definire di fede, come i postulati matematici. La rivelazione può essere particolare, cioè rivolta ad un uomo per le sue peculiari necessità e secondo le intenzioni di Dio, ma il più delle volte è rivolta all’umanità ed ha come destinazione la sua salvezza. Abbiamo detto che la rivelazione può essere interiore od esteriore. Per essere interiore vi sono due condizioni: che lo spirito sia predisposto a ricevere il messaggio divino, e che il consenso che lo spirito presta alla rivelazione sia attendibile, nel senso che il soggetto della rivelazione sia Dio stesso o chi per lui inviato. Dio che precede ogni cosa si serve dell’anima intelligente per poter propagare le verità di fede. Le verità di fede che passano attraverso la convinzione dell’anima non sono contrarie all’umana ragione, né alla natura dell’anima, altrimenti l’anima non li potrebbe proprio ricevere. Alla rivelazione esteriore altresì sono richieste altre condizioni: che Dio possa interpellare l’uomo con un suono di voce, o attirare il suo pensiero con un’idea, possa intercettare la sua adesione. Dio è puro spirito, ma può riprodurre suoni materiali o immagini visive. La rivelazione nel suo oggetto può essere accessibile o inaccessibile, o mistero. Il mistero è una relazione non percepibile dall’intelletto umano, in quanto vi è una contraddizione trai termini. Anche se vi è questa apparente contraddizione non si conclude però che la verità sia falsa. A che ci sia una rivelazione è indispensabile che Dio possieda delle verità soprannaturali, che queste siano incomprensibili ad un uomo dotato di normale ragione e che possa comunicare queste verità agli uomini. Ciò è dovuto principalmente al fatto che lo Spirito di Dio è superiore a quello dell’uomo, che invece è limitato. Nella natura ci sono poi tanti misteri. E si ammettono anche delle verità razionali che sono inaccessibili pienamente alla ragione stessa, come l’esempio delle idee noumeniche,

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