Cani Salati Nel Profondo Blu
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Anteprima del libro
Cani Salati Nel Profondo Blu - Claudio Di Manao
Claudio Di Manao
CANI SALATI NEL PROFONDO BLU
testo e disegni Claudio Di Manao
Copyright©2009 Magenes
Copyright©2016 Claudio Di Manao
www.claudiodimanao.com
A Marianna, mia madre
Table of Contents
Cover
CANI SALATI NEL PROFONDO BLU
INTRO
1.0 Sharm El Sheikh
CAPITOLO I
1.1 Ritorno a Sharm El Sheikh
1.2 Snorkeling boat.
1.3 Ah, Sharm El Sheikh… ah!
1.4 Geroglifici Moderni
CAPITOLO II
2.0 Il ritorno di Gianni
2.1 Corso Avanzato
2.2 Legge del contrappasso sharmese, o del videoperatore
2.3 Manutenzioni
CAPITOLO III
3.0 Uno squalo tigre di nome Obelix
CAPITOLO IV
4.0 VIP Diving Centre
4.1 Arrivano i Russi
4.2 Polli, kofta e melanzane
4.3 Ancora un’altra avventura al Thistlegorm
CAPITOLO V
5.0 Il Mistero dei Martello nel Blu
5.1 Legge sulla ritenzione delle informazioni in acqua salata (area di Sharm: salinità 0,035%)
5.2 Taxi Number One
5.3 Parola di Franz
CAPITOLO VI
6.0 Un’altra famigerata immersione staff
6.1 Sai giocare a spider?
6.2 Usque Tamen Shamandura?
DOMANI
VIP Safari
L’Autore
INTRO
1.0 Sharm El Sheikh
Accidenti, ma quella è El Nur, la zona che sta alle spalle di Naama Bay!
Le immagini del suolo di Marte scorrevano in televisione. Sassi rossi, montagne rosse, nessuno in giro. Sembravano davvero i dintorni di Sharm El Sheikh.
Ehi, non è che gli americani ci stanno prendendo in giro?
Steve era molto preoccupato della sua considerazione, e continuava a fissare lo schermo come cercando di identificare qualcosa di familiare in quell’altro deserto un po’ più lontano, diciamo nello spazio.
Guarda meglio magari spunta qualche cammello…
dissi versando altre due birre nei bicchieri. A casa mia la birra si beve, a volte, nei bicchieri.
Aspetta, magari tra un po’ spunta un tassista!
ridacchiò Steve, affascinato.
Taxi Number One?
dissi imitando l’accento dei tassisti.
Peccato che non ci sia acqua…
osservò Steve. Allora trasalii. Mi resi conto che anch’io avevo formulato lo stesso pensiero: ‘peccato che non ci sia acqua’.
Immersioni, sempre immersioni, non ci riferivamo né alla sete né alla speranza di altre forme di vita. Riuscivamo a pensare ad altro, anche quando si parlava di Marte? Ma ero sicuro di essere in Egitto e non su Marte, oppure dovevo aspettarmi d’incrociare, da un momento all’altro, un piccolo trabiccolo che rovistava nei sassi alle spalle di El Nur? Ho cercato, e hanno cercato, di convincermi che Sharm El Sheikh non è il centro dell’universo, e che i subacquei non sono l’umanità intera. Il problema è che per essere testimoni di fatti tanto strambi quanto significativi come quelli che capitano a Sharm, temo bisognerebbe intraprendere un viaggio verso qualche galassia lontana. Ma dato che né la NASA né i Russi hanno ancora organizzato spedizioni per umani di tale portata, io m’accontento di Sharm El Sheikh dove continuo a vivere, nonostante tutto. Molti infatti si chiederanno se questo libro, come se lo sono chiesto riguardo a quello precedente, è un’opera di fantascienza. In realtà Sharm El Sheikh è uno dei pochissimi posti al mondo dove regolarmente la realtà supera la fantasia. In quasi sei anni di lavoro e di attenta osservazione dei fenomeni della zona, sono giunto comunque ad alcune conclusioni.
Per una strana combinazione di clima desertico, birra e azoto, la comunità di Sharm El Sheikh mostra costumi e comportamenti sociali molto diversi dal resto delle altre popolazioni della Terra. La comunità di Sharm El Sheikh è prolifica, multi-etnica e seminomade: fanno figli, partono, ma poi ritornano qui. Prova della multi-etnicità di Sharm è la sua lingua ufficiale: lo Sharmese.
Lo Sharmese è un guazzabuglio di lingue che comprende elementi di arabo, di inglese, di italiano e, recentemente, anche di russo. E’ la lingua ufficiale dei tassisti e dei venditori di tappeti, nonché la lingua in cui avvengono tutte le discussioni. La Discussione Egiziana non è un semplice parlare ma uno sport che segue regole ben precise e influisce decisamente su comportamenti e relazioni tra i diversi gruppi etnici che popolano la zona.
A differenza di altre società terrestri, il prestigio dei membri stranieri all’interno della comunità di Sharm, non è indicata da status symbol di tipo tradizionale, come automobili o case, bensì è indicato dal numero di bottiglie di alcolici esposte in salotto (o in cucina se si occupa un monolocale). La quantità di alcolici posseduti determina anche: numero di amici, frequenza delle visite di appartenenti all’altro sesso, tempo di ascolto da parte dei managers etc. La capacità di procurarsi ‘passaporti freschi’ per fare acquisti di alcolici al duty-free è, dopo la cattura di numerosi membri dell’altro sesso, la prova più alta di dignità sociale.
L’impegno professionale perseguito con maggior zelo da parte delle guide subacquee di Sharm consiste nel cercare e nel trovare il misterioso branco di squali martello che orbita a Nord di Jackson Reef, per la gioia dei clienti e per raccontarlo al bar. La posizione del branco e la migrazione degli squali martello in generale sono state poste in relazione con le anomalie del campo magnetico terrestre, nonché coi buchi spazio-temporali presenti nella zona. L’elaborazione e la discussione di teorie sugli spostamenti degli squali martello impegnano gran parte delle energie intellettuali di un divemaster di Sharm.
Tuttavia il soggetto principale delle storie narrate a Sharm è sicuramente il relitto del Thistlegorm. Il Thistlegorm è affondato circa 60 anni fa nello stretto di Gobal. Nella zona si registrano inspiegabili stranezze come: errate letture GPS, variazioni magnetiche della bussola, spostamento dei riferimenti a terra, correnti strane, rotture improvvise e misteriose sparizioni di: torce, coltelli, orologi, elicotteri, clienti e divemasters. Ogni tanto ci piove pure. La difficoltà delle operazioni di ricerca e ormeggio ha stimolato la proliferazione di diverse scuole di pensiero su come condurre l’immersione al Thistlegorm. Ogni scuola di pensiero fa riferimento a uno o più divemaster anziani che frequentano lo stesso bar. L’elaborazione e la narrazione di una lunga serie di aneddoti e di racconti di avventure al Thistlegorm formano l’ossatura di un’antica tradizione eroica tramandata oralmente, tradizione che sembra rispondere a esigenze formative e di identificazione culturale, come il Mito per i Greci. Misteriosamente, a differenza delle altre culture dotate di scrittura, non esiste ancora nessun poema di riferimento. Le letture più diffuse a Sharm restano i manuali PADI e SSI, più recentemente ESA e TDI, le e-mail e gli SMS.
Esiste, nella comunità di Sharm anche una sorta di setta segreta. La setta, ancora operativa, un tempo si riuniva al Pirates Bar, dove su una lavagnetta venivano segnate le massime profondità raggiunte in immersione accanto ai nomi dei membri. Nome ufficiale della congrega era ‘Club dei 100’. Scopo dell’associazione era il raggiungimento dei cento metri per scriverlo su una lavagnetta. A seguito di incidenti e sparizioni degli associati, la setta è stata oggetto di persecuzioni da parte dei diving centers e delle autorità locali, e ha dovuto darsi alla clandestinità. Per difendersi dalle attività clandestine della setta i managers dei diving centers impongono al loro staff di firmare alcuni pezzi di carta dove li si fa giurare sulla nonna di non effettuare immersioni profonde. I luoghi di culto della setta sono punti d’immersione ben noti, e tutti gli istruttori e divemasters che li frequentano diventano oggetto di investigazioni da parte della rete di spionaggio dei diving centers.
I turisti che vengono a Sharm sono: italiani, inglesi, tedeschi, francesi, belgi, olandesi, spagnoli, portoghesi, svedesi, norvegesi, finlandesi, irlandesi, islandesi, danesi, polacchi, russi, ucraini, sloveni, croati, serbi, turchi, estoni, lituani, lettoni, sauditi, indiani, kuwaitiani, giapponesi, coreani, americani, ungheresi, svizzeri e qualche canadese. E mostrano tutti delle singolari inclinazioni:
a) fare un mucchio di domande personali ai residenti;
b) scottarsi al sole;
c) farsi coinvolgere in qualche sorta di escursione;
d) beccarsi la diarrea.
Le notizie in Sharm El Sheikh si diffondono attraverso l’iperspazio, divulgandosi prima ancora del loro accadimento temporalema soprattutto per telepatia: nessuno ha detto niente in giro, eppure lo sanno tutti. Ma veniamo alle barche.
Uscire in barca a Sharm El Sheikh comporta il doversi portare sempre dietro il passaporto. Le barche di Sharm El Sheikh presentano tutte un’anormale tendenza: dopo essere state al dry-dock, cambiano nome.
Gli skipper, in genere, non amano molto i divemasters, i divemasters in genere non amano molto gli skipper. Unico interesse nella vita degli skipper è vendere pranzi a bordo, risparmiare benzina e sonnecchiare alla shamandura. La divisa ufficiale degli skipper è il pigiama, mentre quella dei cuochi è un pigiama e una padella. Anche gli skipper si dividono in due categorie: i buoni e i cattivi. I buoni sono quelli che accompagnano volentieri i clienti in acqua a fare snorkeling, e che non ti fanno pinneggiare troppo quando ti vengono a prendere. I cattivi, invece, hanno indole dispettosa, ti fanno pinneggiare per ore e non entrano in acqua neanche morti. Ma l’Oscuro Signore delle barche è il cuoco. Il cuoco esce dall’ombra della cucina solo quando si tratta di dare una mano (discutere) per l’ormeggio. Può avere l’aspetto d’un pacioccone sorridente oppure il profilo affilato d’una volpe dagli occhi pungenti. La sua conoscenza di riti magici e la sua misteriosa influenza sui venti e sugli umori dello skipper può cambiare la vostra giornata. Le due cose che fanno arrabbiare di più cuochi e skippers sono: la carta igienica che intasa il cesso e la gente che entra bagnata o con le scarpe sottocoperta. Quelli che non pranzano a bordo vengono detestati in silenzio.
La shamandura (adesso vi spiego finalmente cos’è) è il più classico motivo di discussione tra skippers e divemasters, causa prima di casini e vanto dei divemasters più anziani che ne conoscono esattamente le loro posizioni. Ma insomma: cos’è ‘sta shamandura? La shamandura non c’entra niente col supermercato di Naama Bay, quello sotto al MacDonald. Shamandura vuol dire ormeggio. Ma spesso gli ormeggi sono ‘maksur’ (rotti) e dato che in un parco marino rigoglioso di coralli non si può gettare l’ancora, al divemaster gli tocca di scendere in acqua e legare la barca a una catena, a un anello di ferro, o a una minuscola staffa sul fondo. Questo fare su e giù e la scarsa conoscenza della loro ubicazione da parte di skipper, cuochi e divemaster è il motivo principale di tensioni a bordo. Il secondo motivo di tensione è l’immersione in drift, cioè coi subacquei trasportati dalla corrente e la barca che segue coi motori accesi e il cuoco che brontola perché non riesce a tagliare le cipolle. Il terzo motivo è la terza immersione. Tutte le altre discussioni provengono essenzialmente da precedenti malintesi e incazzature su uno o più dei tre suddetti argomenti. Il motivo più grave resta la carta igienica nel cesso.
Per strane distorsioni della curva spazio-tempo, Sharm El Sheikh è l’unico posto sul pianeta Terra dove i fusi orari si intersecano. In alcuni Resorts l’ora può essere quella di Roma, in altri quella di Teheran, in altri quella del Cairo. Il che vuol dire che tra il Coral Bay e lo Sheraton, che stanno attaccati, basta saltare un muro divisorio per essere più giovani d’un’ora o in ritardo di due. Dove vada a finire il tempo perduto (o guadagnato) durante questo salto dimensionale nessuno è stato in grado di spiegarlo. L’ora ufficiale di Sharm El Sheikh è quella dell’Happy Hour al Pirate’s Bar.
Su tutta l’area persistono disturbi elettromagnetici e anomalie gravitazionali che determinano un certo numero di malfunzionamenti e di rotture inspiegabili, nonché onde di marea al livello della rete fognaria. Nessuno di questi guasti, essendo essi di origine misteriosa, è riparabile. Tutti i malfunzionamenti tendono a ripetersi enigmaticamente anche dopo le riparazioni, e non è stata mai provata una loro relazione con le fasi della luna e del sole. Con l’umore degli abitanti, invece sì.
CAPITOLO I
1.1 Ritorno a Sharm El Sheikh
Le mosche ronzavano nel silenzio spesso, i clienti erano tutti in barca, e i ragazzi egiziani erano tutti spariti. Dovevano essere circa le 11, lo sapevo perché a quell’ora arrivava sempre, da qualche zona misteriosa del sottosuolo, un certo odorino strano. Era, insomma, una tarda mattinata molto tranquilla al counter e ero al telefono con Jack. Per colpa dei suoi incisivi sporgenti Jack aveva un difetto di pronuncia che al telefono peggiorava. Aveva anche occhi sporgenti e era così magro che tutto l’insieme ti dava l’idea di un roditore. Da un po’ di tempo Jack sognava che gli squali gli mangiavano i clienti. Ma da quando l’aveva raccontato al manager gli avevano dato una settimana di riposo; da allora mi chiamava quasi ogni mattina.
Stavolta ho sognato che me li mangiavano a Middle Garden, capisci? Vuol dire sicuramente qualcosa…
Sapresti dirmi che squali erano, e dove esattamente?
Non pensai che si trattava di un sogno, la mia era la domanda che avrei posto automaticamente a qualsiasi divemaster che avvesse avvistato suquali.
Erano molto grossi, dei toro, non so… e erano esattamente sul pianoro di sabbia dietro ai glassfish!
Ma lì ci sono cinque, massimo sette metri! Agli squaloni piace la profondità…
osservai.
Ma che ci posso fare se li ho sognati lì!
protestò Jack.
Poi la radio gracchiò il nome del nostro diving center. Era il manager. Mi chiamava da ‘Babaganoush One’, la nostra barca, e mi spostai sul canale privato.
E’ mezz’ora che sto cercando di chiamarti col telefonino dello skipper, ma è sempre occupato!
Gli dissi che avevo appena risposto a una telefonata. Dall’altra parte dell’etere arrivò in replica un ostentato silenzio.
Ti dispiace richiamarmi sul telefonino dello skipper?
Perché, non hai il tuo cellulare con te?
Ero dall’altra parte del bancone, quindi dovevo fare un’osservazione acida.
S’è scaricata la batteria.
Rispose secco, la mia domanda l’aveva certamente infastidito.
Richiamami subito, altrimenti lo skipper mi chiede un rimborso di un milione di Pounds per questa telefonata! ti do il numero…
Lo scrissi e misi giù il ricevitore, ma il telefono squillò di nuovo.
Salaam Aleikum! Mohammed?
Gli dissi in sharmese che lì non c’era nessun Mohammed. La voce insisté:
Mohammed?
Evidentemente non si fidava. Spiegai che nello staff avevamo un Galal, un Ramadan, un paio di Ibrahim e un Waleed, ma nessun Mohamme e riattaccai. Il telefono dello skipper era occupato; tutti i cellulari di Sharm sono sempre occupati al primo tentativo, misi giù per riprovare, ma il mio telefono squillò ancora.
Can I sbeak to Mr. Mohammed?
Era quello di prima che aveva rimediato uno che parlava Inglese. Gli ripetei, in Inglese, che a quel numero non c’era nessun Mohammed. L’uomo si scusò e mi chiese se ero italiano, gli dissi di sì, e lui mi passò un altro ancora.
Buongiorno!
disse la nuova voce.
Buongiorno!
risposi.
Buongiorno!
mi fece eco lui. Un brivido di paura mi attraversò: potevamo andare avanti così all’infinito.
Buongiorno a lei!
dissi io. Ci fu un attimo di silenzio, denso di disagio.
Mohammed?
Risposi che non ero deficiente e che avevo già capito la domanda in Arabo e in Inglese, gli dissi che avevano il numero sbagliato. Glielo dissi in Arabo e in Inglese. A quel punto il mio cellulare squillò. Era di nuovo il manager.
Ancora occupato…
era davvero infastidito.
C’è uno che cerca Mohammed, non vuole arrendersi, non ci crede: roba da matti.
Per forza non ci crede!
ribatté lui calmissimo, Tu ci crederesti che da noi non c’è proprio nessun Mohammed?
Mi parve di vedere la sua espressione tipica,