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È facile vivere bene a Palermo se sai cosa fare
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E-book261 pagine3 ore

È facile vivere bene a Palermo se sai cosa fare

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Info su questo ebook

Una guida insolita per godersi tutto il meglio della città

Tra le leggende legate al mare, le architetture millenarie e lo street food, vivere a Palermo è davvero un orgoglio

Palermo è la terra degli approdi e dei ritorni anche per chi appartiene alla categoria dei “pesci di mare aperto”: quelli che, se pure tentano di prendere il largo dal golfo dell’isola, ne restano irrimediabilmente attratti. Luogo dei fenici, dei romani, dei greci, degli arabi, dei normanni, degli spagnoli, questa città ha contenuto e contiene ogni cosa, come una sorta di riassunto del mondo intero: tra moschee nascoste e itinerari dell’occulto, tra le figure liberty e l’abbagliante bianco di Serpotta, può capitare di passeggiare tra i ficus più grandi d’Europa, di trovare un’orchestra multietnica dentro a una chiesa barocca, di percorrere l’itinerario dei sapori del cibo da strada, di assistere alle prove aperte al pubblico all’interno del teatro più imponente d’Italia. O di ballare il tango sotto un cielo stellato, brillante, accogliente. Come solo Palermo sa essere.
Elisa Chillura
lavora come giornalista per diverse testate italiane occupandosi di cultura e di tematiche sociali. Nata nell’entroterra, vive a Palermo.
LinguaItaliano
Data di uscita14 set 2017
ISBN9788854199187
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    Anteprima del libro

    È facile vivere bene a Palermo se sai cosa fare - Elisa Chillura

    Ringraziamenti

    L’autrice desidera ringraziare l’Archivio fotografico Museo Mare Memoria Viva, le Edizioni precarie e l’associazione Per esempio per il cortese consenso alla riproduzione delle immagini.

    Introduzione

    Chi si ritrova a scrivere di Palermo, operando per dissezioni, ha in genere un conto da risolvere con questa città. Io in realtà non ne ho nessuno. Sarà che l’ho a lungo desiderata scappando da lontane solitudini pastorali e l’ho abbracciata in tutta la sua interezza, chiedendo di esserne adottata. Con occhio straniero l’ho spiata nelle sue mille contraddizioni, ho imitato una musicalità che non mi appartiene ma che amo infinitamente, e persino ho giustificato tutta la sua supponenza, quello spirito di grandezza che è tutto dei palermitani e li fa in qualche modo sentire dèi. Sotto le loro azioni tutto è preso da una luce di magnificenza che fa scordare le minuterie e fa guardare all’assoluto. Eppure, ereditato un tesoro di saperi millenari da parte di ogni tipo di dominazione immaginabile (fenici, greci, arabi, normanni, spagnoli) qui tutto è vasto e contraddittorio, come lo stesso carattere dei palermitani che si manifesta in abitudini di segno opposto: la tradizione orale dei poetici cunti evapora dinanzi al saper parlare con soli cenni, l’innato senso di ospitalità si dissolve in storie di spietato isolamento, mentre ogni personale moto di gioia può trasformarsi in una collettiva esplosione di felicità. C’è la Palermo che guarda al mare dopo aver voltato per anni le spalle all’orizzonte e che adesso torna a firmare un patto antico col Mediterraneo. C’è la Balarm multietnica non solo nelle stratificazioni verticali (che grazie alle memorie conservate nel sottosuolo restituisce camere dello scirocco, moschee e quartieri ebraici) ma anche nella quotidianità di un popolo mescolato, integrato e in qualche modo felice, tra vecchi e nuovi sbarchi. Per le strade, una musicalità piena di cadenze antiche che fa incontrare note liturgiche, sonorità moderne e stupori dialettali, svelando la lunga storia di resistenza di mercati ancora fedeli al vociare. C’è la città da percorrere a piedi, lungo itinerari immaginari suggeriti da antiche leggende, o a volte improvvisati, ma sempre suggestivi. Infine c’è l’esperimento di nuove forme di racconto: produzioni multimediali a cui affidare la memoria eterna della perla del Mediterraneo. Il luogo delle scoperte e dell’azione è quasi sempre la strada, dove poter apprendere storie ed essere coinvolti in esperienze indimenticabili. C’è sempre qualcosa da fare: tra itinerari dell’occulto, figure liberty e l’abbagliante bianco di Serpotta, può capitare di poter passeggiare tra i ficus più grandi d’Europa, trovare un’orchestra multietnica dentro una chiesa barocca, percorrere l’itinerario dei sapori del cibo da strada, assistere alle prove aperte in uno dei teatri più belli d’Italia, ballare il tango sotto un cielo stellato. Questa è una città che ha contenuto e contiene ogni cosa, seducente e scontrosa, viva e immobile come sanno esserlo solo certi colossi del mare.

    N.B. Le canzoni a fine di ogni capitolo sono il frutto di suggestioni, connessioni e regressioni suggerite da ogni luogo o storia, e di un divertente scambio di impressioni con Simone Giuffrida, musicista palermitano che mi ha contagiata con la sana abitudine di identificare gli spazi con una musica.

    Mare e altri orizzonti

    Oltre le leggende di esseri umani diventati pesci e di sirene innamorate, a Palermo esistono ancora gli uomini di mare e il racconto dei loro luoghi, da scoprire tra borgate e porticcioli e lungo le vie della città, dove incontrerete chi vi svelerà come nasce il nuovo patto con il mare.

    1

    Il patto con il mare

    Palermo e la sua gente di mare, con un occhio rivolto alla città, l’altro all’orizzonte. La grande memoria di quel patto tra i palermitani e la costa marina sta tutta dentro l’Ecomuseo Urbano Mare Memoria Viva, all’ex deposito delle locomotive di Sant’Erasmo (via Messina Marine 27), che comprende un padiglione di 1400 metri quadri e uno spazio esterno che si affaccia sulla foce del fiume Oreto e sul mare, perfetto per accogliere un vero e proprio archivio nato da un lavoro di ricerca sulla memoria e sul presente: per anni i ragazzi dell’associazione Clac si sono immersi nei quartieri della fascia costiera della città per conoscere e dialogare con la comunità del fronte mare di Palermo, registrando storie e segnando percorsi, incontrando e intervistando gli abitanti e la gente, mappando i luoghi significativi del territorio. Installazioni video, audio, e fotografie creano oggi un racconto corale fatto da decine e decine di testimonianze, biografie, pezzi di storia della città e tracce del passato: c’è la signora Alossi, nata nel ’29, che riporta alla memoria l’emozione di acquistare il suo primo costume da bagno, blu con le righe bianche, e di passeggiare sulla spiaggia con le gambe nude. C’è chi rispolvera l’emozione dell’arrivo della Santa al porto, nel giorno del Festino, osservata da una barchetta sul mare piatto, proprio lì dove partono i giochi di fuoco. Sono storie di resistenza, di viaggio, di commercio, di vacanze, di lavoro. Si passeggia tra istantanee sbiadite dal tempo, fiabe, cartoline spedite da qualche luogo dimenticato. Un museo che sa raccontare la fatica dei naviganti e dei portuali, i sorrisi dei bagnanti, le scoperte dei pescatori, la gente che va per mare e la gente che se lo porta appresso con un tatuaggio, una malinconia, una certezza. Da Capo Gallo allo Sperone passando per Mondello e l’Addaura: un’immersione all’interno di quella che è l’educazione sentimentale al paesaggio marino per ogni palermitano, inframezzata da registrazioni come O’ plindindin, tracce sonore che sanno di pioggia e di onde. Passeggiare per il museo aiuta a ricordare l’incanto del porto di Sant’Erasmo, com’erano belle le estati passate ai Bagni Italia o al Lido Petrucci, quando dopo un po’ di sole si faceva un brevissimo bagno e poi si mangiava il panino con la frittata che aveva preparato la mamma. C’è la storia del mare negato, il mare rubato, il mare dei divieti di balneazione: la verità su una città che ha voltato le spalle al suo litorale, dimenticando il patto secolare, procedendo con l’abusivismo scellerato che ne stravolse la fisionomia negli anni del sacco di Palermo. Ma c’è anche la traccia di una comunità che si è opposta allo scempio e che oggi si muove per restituire il mare ai palermitani: decine di gruppi, comitati e associazioni si impegnano ogni giorno per la valorizzazione della costa da Sferracavallo ad Acqua dei Corsari. Sul sito www.marememoriaviva.it ci sono anche le loro storie, e l’invito a sottoscrivere il patto con chi ama il mare.

    Ascolta: Otis Redding, Sitting on the Dock of the Bay

    La lisca bianca

    Corri, corri Lisca Bianca, barchetta fedele e ardita che porti nelle tue logore manovre, nelle tue vele rattoppate i segreti dell’impegno e della fatica. Corri, corri, piccola creatura dell’oceano tra le grandi onde amiche che ti sovrastano mentre tu prosegui decisa e imperturbabile, a dipanare l’invisibile filo della tua lunga rotta. Corri sotto l’ardente disco del sole meridiano, corri con il tuo piccolo seguito di bruni pesciolini che hanno trovato rifugio all’ombra della tua poppa, corri verso la rossa luce del sole morente tra le gioconde balenottere che ti scortano sbuffando. Corri sotto lo sfavillare delle stelle tropicali tra le misteriose fosforescenze di grandi meduse. Corri mentre il tuo minuscolo equipaggio fragile e imperfetto sente sopirsi in sé ogni tensione, pago di esistere senza passato né futuro.

    È il 1985 quando Sergio Albeggiani annota nel suo diario di bordo queste parole. Allora forse non immaginava che la piccola imbarcazione in legno che lo stava portando in viaggio intorno al mondo, insieme alla moglie Licia, avrebbe fatto la storia: quel Carol Ketch di 36 piedi è stato in grado di trasformarsi in una casa, di attraversare tutti gli oceani e di diventare simbolo di riscatto per soggetti in difficoltà. Su quella «barca da abitare», Sergio e Licia scapparono «via dalle folle rumorose, via dagli stupidi rituali della civiltà dei consumi». L’impresa del giro del mondo iniziò il 23 settembre 1984 con la partenza da Porticello e terminò nell’agosto del 1987 col ritorno in Sicilia. Dall’Atlantico al Pacifico fino alle coste australiane, per poi tornare nel Mediterraneo, passando dal Mar Rosso, attraverso il Canale di Suez. In totale oltre 30.000 miglia di paesaggi marini, incontri, silenzi sterminati e angoli di paradiso, raccontati nel libro Le isole lontane. Ma come tutte le grandi imprese anche quella di Lisca Bianca ebbe la sua fine e un ventennio dopo, calato il sipario sul viaggio, ammainate le vele, la barca rischiò la demolizione. Per fortuna tutti gli uomini di mare avvertono il fascino dell’epica: fu così che nella primavera del 2013 Francesco Belvisi ed Elio Lo Cascio, che si trovavano in un cantiere navale alla periferia di Palermo per cercare dei pezzi di ricambio, si innamorarono dell’inconfondibile prua con l’immagine di una lisca di pesce. Decisero di ribaltare il destino dell’imbarcazione, cominciando una folle corsa contro il tempo, buttando le basi di quello che è oggi il Progetto Lisca Bianca – Navigare nell’inclusione. Nei lavori di restauro vengono coinvolti migranti, richiedenti asilo e rifugiati, i ragazzi della comunità per tossicodipendenti, e quelli dell’istituto penale per minorenni di Palermo (ex Malaspina) che si sono occupati della messa a nuovo delle parti asportabili e stanno rimettendo la nave sulla rotta di una nuova avventura. Se volete, passate a salutarla nell’arco di mare della Cala prima che salpi (www.liscabianca.com).

    Ascolta: Ivano Fossati, La barca di legno di rosa

    17

    Il logo dell'associazione Lisca Bianca.

    Argonauti al Nautoscopio

    Svetta sulla Marina, tra la Cala e il prato del Foro Italico e guarda verso il blu d’oltremare: quando vedrete un veliero fluttuare in aria potrete esserne certi, quello è il Nautoscopio. È una vera e propria installazione artistica, firmata da Giuseppe Amato, anche se si tratterebbe di uno strumento a forma di nave utile all’osservazione del panorama, capace di alzarsi dalla terraferma, indifferente a quelle nove tonnellate di ferro e legno che lo tirano verso il basso. Pare messo lì ad aspettare che da un momento all’altro salpino gli Argonauti. All’interno c’è una finestra di dodici metri spalancata sul mondo e, grazie a un gioco di bilanciamenti, la nave può girare su se stessa di 360° compiendo una rotazione totale. Nato come luogo e strumento di aggregazione, oggi il Nautoscopio è una delle più piacevoli mete di ritrovo estivo: la struttura si trova in prossimità di una spiaggetta dove è possibile prendere una bibita fresca, seduti su comodi divanetti, affondando i piedi nella sabbia fresca. Nelle sere d’estate si può assistere a concerti, jam session, reading di poesie e tantissime altre forme di intrattenimento. Spesso da lì si possono vedere le tante navi da crociera in arrivo o in partenza, imponenti e un po’ sbuffanti, che al Nautoscopio invidiano un po’ di leggerezza.

    Ascolta: Francesco Guccini, Odysseus

    Avventure acquatiche

    Una leggenda racconta di un giovane innamorato del mare a tal punto da rimettere in acqua tutti i pesci pescati ogni giorno dal padre. La sua fama di abile nuotatore arrivò all’orecchio del re di Sicilia Federico ii che gli propose una sfida definitiva. Recuperare la sua corona lanciata tra fondali più scuri. Al suo ritorno Colapesce raccontò di una Sicilia poggiata su tre colonne: una solidissima, una danneggiata e una terza scricchiolante a causa di un fuoco magico che non si spegneva. Sfidato dal re capriccioso a recuperare questa volta un anello negli abissi del mare, il ragazzo non fece più ritorno, preferendo restare a sorreggere la colonna cadente che regge l’isola. Orfani di Colapesce, non resta che andarlo a cercare. Dopotutto respirare sott’acqua è un’esperienza alla portata di tutti. La mia amica Claudia, che in un’altra vita deve essere stata un delfino, mi dice sempre che le coste palermitane offrono diversi punti di immersione. Per chi vuole sperimentare come ci si senta con qualche metro d’acqua sopra la testa, il battesimo del mare secondo lei è la soluzione ideale:

    Consente di indossare tutta l’attrezzatura, constatare il grado di dimestichezza che si ha in questo nuovo ambiente e provare quanto ci si possa sentire liberi e leggeri laggiù. Pochi metri sotto la superficie i rumori spariscono, resta solo il gorgoglio rassicurante dell’erogatore. L’aria scivola via in bolle verso la luce ondulata del sole. Un minuto per ambientarsi e dimenticare totalmente il peso della bombola e della zavorra, perdersi nel blu e iniziare a guardare intorno smaniosi di esplorare un ambiente naturale spesso inviolato e sconosciuto fatto di boschi di alghe, gorgonie e spugne, pareti di margherite da scalare, relitti sonnecchianti sul fondo, nuvole di pesci piccolissimi e grosse cernie imbronciate.

    Scegliere il luogo più adatto per inabissarsi tra le mille sfumature di blu non è così difficile: tra i punti più suggestivi c’è la Riserva Naturale Orientata di Capo Gallo, tra Sferracavallo e la Baia di Mondello. La sottostante Area Marina Protetta si snoda sino a Isola delle Femmine e vanta un ambiente marino incontaminato e un ecosistema ricco di biodiversità. Persino le balene ogni tanto passano da lì, ma bisogna davvero essere fortunati e saper riconoscere da lontano il loro sbuffo tra le onde. Molto più facile è incontrare durante le prime immersioni i coloratissimi nudibranchi, perlopiù sconosciuti a chi non si avventura con la maschera un po’ al largo. Ogni settimana l’associazione Alalonga (www.alalonga.it) organizza delle escursioni con la sua barchetta blu e arancione o con il suo gommone, in partenza dalla borgata marinara di Sferracavallo, e programma battesimi del mare e immersioni nei punti più suggestivi della costa marina, come la bellissima Grotta dell’Olio, raggiungibile solo via mare, e l’Isolotto, a duecento metri dalla costa. Punto di facile accesso (per chi non teme l’obbligatorio lungo percorso a piedi all’interno della riserva) è quello conosciuto come alla Fossa, particolarmente adatto alle prime immersioni. Chissà che lì in fondo non capiti di incontrarlo, il giovane Colapesce.

    Ascolta: Alessio Bondì, In funn’o mare

    Nei luoghi dell’uomo pesce

    Una vita intera dedicata al mare e ai pesci, una vita intera a tentare di essere pesce pure lui. La casa di Eliodoro Catalano allo Sperone era piena di ricordi. Raccontavano la grande impresa di un acquario di ottanta metri quadri costruito da solo negli anni ’70, e con dentro centinaia di specie. Venivano da tutta Europa a visitarlo, ed era motivo di grande orgoglio per quella parte di città che ne conosceva l’esistenza. Nel suo grande mausoleo dedicato alle specie marine – e a ogni cosa che il mare possa contenere o restituire – c’era anche una raccolta con tutti i ritagli di giornali che lo vedevano protagonista: L’uomo pesce, titolavano. Nelle giornate più assolate, si immergeva dentro le pozze d’acqua scavate dal mare, piene di alghe e molluschi, e si faceva grattare la pancia dai gamberetti. Naturalista, pittore e intrattenitore di platee di amici e sconosciuti nel suo salotto, Catalano pareva un Dalí imbizzarrito dicevano in molti: visionario e ribelle, aveva lasciato le scuole per coltivare una totale e completa devozione al mare quando ancora rappresentava nei suoi sogni l’Eden tanto desiderato. Almeno prima dell’avanzata delle muraglie negli anni ’70, che portò cemento e abusivismo edilizio. Studioso e artigiano cocciuto, aveva inventato un brevetto tutto suo per la costruzione di un acquario marino riutilizzando vecchie taniche dismesse. Con metodo e rigore aveva analizzato la fauna del Golfo di Palermo. Dei pesci del Mediterraneo sapeva tutto, ed erano così intimi che li voleva vicini, sempre più vicini: ma in che modo? Ricreare l’ambiente delle acque palermitane a casa sua. Così allo Sperone costruì a proprie spese il suo acquario. Oltre venti vasche. Una specie di arca di Noè per i naufraghi del mare, che potesse contenere almeno una specie da tirare in salvo dall’assalto edilizio delle spiagge. E ogni pesce una storia. La più bella è forse quella della cernia Berenice, morta ubriaca (è lo stesso Eliodoro a raccontarla in una poetica videointervista dell’archivio www.marenegato.it, Volevo solo fare un tuffo). L’aveva comprata viva-viva al mercato di Porticello, risparmiata al sacrificio di un pranzo domenicale. Arrivò all’acquario a sirene spiegate, la pupilla quasi per niente reattiva. Ma il pesce si riprese in un attimo. Eliodoro la chiamò Berenice e raccontava di come amasse risalire a galla e farsi accarezzare, a bocca spalancata, con l’occhio strabuzzato. Si abbandonava alle lusinghe, sorniona. Qualcuno vedendola indugiare sul pelo dell’acqua, a bocca aperta, deve averle versato del vino. O roba simile. L’indomani planava senza logica. Ma è morta felice, si suppone.

    Ascolta: Grouper, The Man Who Died in His Own Boat

    Vivere Mondello

    «Scusi, sa dove posso trovare via Calàteo, vicino il palazzo Hòtel?». Me lo domanda un automobilista che gira per Mondello e si trova esattamente in viale Galatea (non via Calàteo) dinanzi l’entrata dell’Hotel Palace, e non palazzo Hòtel, con alle spalle il mare. Proprio di fronte l’entrata dell’albergo, che fa angolo all’imbocco del viale, si trova una casa con le staccionate gialle, scolorite e piena di vegetazione incolta. È probabile che l’imbesuito forestiero provenisse proprio da quella struttura, inabitata da anni perché – si dice – infestata dagli spiriti. Anche il più miscredente si sarà stropicciato gli occhi dinanzi alla notizia di alcuni muratori che, in fase di ristrutturazione, dopo aver tinteggiato tutte le mura le ritrovarono il giorno dopo di nuovo imbrattate. L’alone di mistero che avvolge questa dimora, dall’aspetto tanto pomposo quanto tetro, permane ancora. Dietro l’Hotel Palace, invece, si trova il mare, meta turistica per antonomasia di chiunque voglia fare tappa a Palermo. La zona balneare si espande dalla piazza di Mondello Valdesi (a due passi dal Charleston, lo stabilimento liberty costruito sul mare dove amavano pranzare i Savoia) fino alle scogliere dell’Addaura. Con o senza le cabine, le mille sfumature d’azzurro dell’acqua, soprattutto nei periodi meno frequentati, non hanno nulla da invidiare alle famose mete caraibiche o a isole da sogno: Mondello dopotutto è amata proprio per la pace e la tranquillità, un vero e proprio angolo di paradiso che si traveste da paese autosufficiente a pochi chilometri dal centro città. E sopra il mare la montagna; mentre si è distesi a prendere il sole sulla spiaggia, rivolgendo lo

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