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L'estate di smeraldo
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E-book351 pagine4 ore

L'estate di smeraldo

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Info su questo ebook

Russia. Fine del XIX secolo. Ėl'za Riger, figlia illegittima del possidente Selivanov, viene a sapere della morte di suo padre e che le spetta una non piccola eredità. Ricolma di speranze per il futuro, si dirige verso la tenuta del padre con il proprio fidanzato. Nella tenuta Ėl'za viene a sapere che, sfortunatamente, non è l'unica erede e il contenuto del testamento fa cadere la ragazza in stato di shock. Secondo il testamento, l'eredità toccherà all'erede che la troverà per primo. Tra gli eredi si svolge un'aspra lotta per il possesso della ricchezza di Selivanov. Per ottenere l'eredità gli eredi non disdegnano alcun mezzo. Per giunta nel possedimento appare un certo fantasma…

La sorella del defunto Selivanov, che è una medium, tiene una seduta spiritica, avendo intenzione di richiamare lo spirito del fratello defunto e venire a sapere: dove ha nascosto i suoi enormi tesori?

Per giunta Ėl'za trova casualmente in biblioteca il manoscritto di un certo conte Savin, in cui si descrivono le sue tumultuose avventure in Sudamerica. Presto la ragazza comincia a sospettare che Savin sia suo padre…

LinguaItaliano
EditoreBadPress
Data di uscita4 dic 2019
ISBN9781547598113
L'estate di smeraldo
Autore

Olga Kryuchkova

Olga Kryuchkova began her creative career in 2006. During this time, the author had more than 100 publications and reprints (historical novels, historical adventures, esotericism, art therapy, fantasy). A number of novels were co-written with Elena Kryuchkova.

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    Anteprima del libro

    L'estate di smeraldo - Olga Kryuchkova

    Ol'ga Krjučkova

    L'ESTATE DI SMERALDO

    Contenuto in breve

    Russia. Fine del XIX secolo. Ėl'za Riger, figlia illegittima del possidente Selivanov, viene a sapere della morte di suo padre e che le spetta una non piccola eredità. Ricolma di speranze per il futuro, si dirige verso la tenuta del padre con il proprio fidanzato. Nella tenuta Ėl'za viene a sapere che, sfortunatamente, non è l'unica erede e il contenuto del testamento fa cadere la ragazza in stato di shock. Secondo il testamento, l'eredità toccherà all'erede che la troverà per primo. Tra gli eredi si svolge un'aspra lotta per il possesso della ricchezza di Selivanov. Per ottenere l'eredità gli eredi non disdegnano alcun mezzo. Per giunta nel possedimento appare un certo fantasma...

    La sorella del defunto Selivanov, che è una medium, tiene una seduta spiritica, avendo intenzione di richiamare lo spirito del fratello defunto e venire a sapere: dove ha nascosto i suoi enormi tesori?

    Per giunta Ėl'za trova casualmente in biblioteca il manoscritto di un certo conte Savin, in cui si descrivono le sue tumultuose avventure in Sudamerica. Presto la ragazza comincia a sospettare che Savin sia suo padre...

    PROLOGO

    Dalle memorie del conte Savin

    Cominciando il mio racconto, prima voglio presentarmi al lettore: io somo Leonid Savin, un conte russo. Le circostanze si complicarono in tal modo che fui accusato della morte di una persona da me amata e, cercando di fuggire da me stesso, dalla colpa e da mostruosi rimorsi di coscienza, lasciai la casa paterna e mi misi a viaggiare per l'Europa. Ma poi, qualche anno dopo, il destino mi condusse in Sudamerica, prima nella Guyana francese e poi in Colombia.

    In dieci anni di peregrinazioni mi è capitato di sperimentare e vedere molto. Ora non sono già più giovane e la mia salute è definitivamente minata dalle esperienze e dalle malattie tropicali sofferte. Ho lasciato il Sudamerica, sono tornato in Russia e mi sono stabilito nei miei possedimenti. Tuttavia i fantasmi del passato mi perseguitano continuamente. Sarebbe ingenuo pensare che un viaggio così lungo per paesi d'oltremare senza denaro, senza sostegno — spesso mi guidava solo la vena avventurosa (caratteristica degli uomini della nostra stirpe) - potesse andare così liscio da permettermi di mantenere onore e nobiltà. Del resto, di queste qualità già non c'era da parlare. Quando mi diressi in Sudamerica ero gà un assassino, uno spergiuro, un seduttore di donne, un dissipatore, un ubriacone e un dissoluto. Del resto, questa lista si potrebbe prolungare ancora.

    Tuttavia non sono intenzionato ad affaticare il lettore con un problème aussi complexe[1], poiché lo scopo di questo lavoro non è affatto l'autofustigazione. Sono intenzionato a raccontarvi le avventure a cui ho partecipato e come per volere del caso mi sono arricchito.  

    E così lasciai la tenuta e giunsi al confine dell'impero russo, lo attraversai e passai qualche tempo in Polonia. Dopo aver riposato, messo ordine nei miei pensieri e flirtato con le incantevoli damigelle polacche, decisi di riscaldarmi nella soleggiata Italia. Mentre passavo un po' di tempo là, stanco del  temperamento delle signorine locali e dell'enorme quantità di vino bevuto (giustamente pensavo, il fegato cesserà di funzionare), mi unii ai rivoltosi garibaldini. E partecipai perfino ad alcune sortite. Poi, dopo aver quasi perso la vita, rimasi deluso dagli eroi italiani e mi mossi verso le città svizzere di Berna e Zurigo e di là in Germania.

    Dopo aver avuto un bambino da una giovinetta tedesca, non aspirai comunque a legarmi con i vincoli del matrimonio, ma, sbolognata l'amata sotto il tetto di alcuni miei parenti russi, intesi andare a cercar fortuna in America.

    Ma prima visitai Parigi, dove sperperai gli ultimi soldi. Che ci si può fare, ogni russo sogna di vivere a Parigi. Non molto tempo fa, qualcosa più di mezzo secolo fa tutta la Mosca istruita e San Pietroburgo sognavano continuamente la Francia e parlavano solo in francese. Dopo la guerra del 1812, parrebbe, questo ardore doveva estinguersi, ma sfortunatamente...

    I prigionieri francesi si trasformarono in precettori e proprietari di botteghe di merceria e di vini. E nelle capitali divennero in tutto e per tutto i legislatori della moda e dell'etichetta. A loro appartenevano i maggiori atelier di moda, le aziende vinicole e i ristoranti, dove i nobili erano ammirati dei vini francesi, delle ostriche e delle lumache dei vigneti. Pfui, o Signore! Che razza di schifo!

    ...E così, dopo aver goduto di tutte le attrattive di Parigi, io, alla fine la lasciai e, dopo aver compiuto un tour per la Francia centrale, raggiunsi la Linguadoca, il sud della Francia. Mentre passavo qualche giorno ad Avignone, e io avevo sempre sognato di stare nella città in cui per 72 anni si era trovata la Santa Sede[2], e dopo aver ammirato a sufficienza l'architettura medievale ottimamente conservata, finalmente raggiunsi la meta del mio viaggio — Marsiglia, il porto più grande, da dove partivano navi per tutte le parti del mondo. 

    Dopo essermi collocato in un albergo modesto (per uno più caro mi mancavano semplicemente i mezzi) decisi proprio di stabilire definitivamente su quale nave salire e in quale direzione dirigermi. Il compito non era tra i più facili. Al mondo c'è tanto di sconosciuto e io possedevo un tipo di carattere avventuroso e mi richiamavano instancabilmente terre e tesori lontani, che erano nascosti nel loro sottosuolo.

    Così, soggiornando a Marsiglia, venni a sapere che esiste la colonia francese della Guyana, posta in Sudamerica. Questa terra d'oltremare tra i fiumi Maroni e Oyapock, era rinomata per il brutto clima. Posta quasi all'equatore e dotata dalla natura di numerose paludi, d'estate la Guyana estenuava i propri abitanti con incredibile calore e umidità. In quel clima prendersi la malaria o, come la chiamano, la febbre palustre era come bere un bicchier d'acqua. Come se non bastasse, in questa remota colonia già da quasi trent'anni erano deportati ladri e banditi di ogni sorta. In una parola, quello era proprio un bel posticino! Se possedessi l'inferno, vivrei là e darei la Guyana francese in affitto.

    Non di meno, in Guyana erano stati scoperti giacimenti d'oro. Per questo modesto paese, nel cui sottosuolo si potevano estrarre solo minerali, in particolare rame, era uno sorta di strappo. 

    Ed ecco che verso Caienna, la capitale della Guyana, si mossero truffatori, avventurieri e cercatori di vita facile. Si capisce, qualcuno si recò là anche con lo scopo di trovare l'oro, tanto più che dalla Francia, come metropoli, era stato dato il permesso di estrarlo tanto ai cercatori solitari quanto alle compagnie. Tuttavi le grandi compagni per qualche motivo non aspiravano a impadronirsi dell'aureo mercato della Guyana. Forse i nuovi ricchi, che avevano accumulato un patrimonio con l'oro del Nordamerica, non erano attratti dal clima malarico della Guyana. 

    Io comprai perfino un piccolo libretto da due soldi scritto, a quanto si diceva, da un cercatore d'oro che era stato in Guyana. Ma penso che l'avesse buttato giù un qualche scrittorucolo locale, che nelle taverne di là aveva ascoltato a sazietà i racconti di marinai ubriachi.

    Da questo lavoro venni a sapere che la Guyana era stata scoperta dagli spagnoli nel 1499, ma non aveva attirato il loro interesse per via del clima dannoso. Nel 1604 sul territorio dell'attuale Caienna si insediarono i primi coloni francesi. Tuttavia in seguito di questo forte più di una volta tentarono di impossessarsi inglesi e olandesi. E alla fine la Francia consolidò le proprie posizioni in questa regione solo nel 1817.

    La popolazione della Guyana era scarsa. Tuttavia il governo della Francia incoraggiava in ogni modo i coloni e verso là si mossero dei creoli delle Isole Antille francesi e poi indiani e cinesi ingaggiati. 

    I coloni giunsero, bramando le varie agevolazioni concesse dal governo, tuttavia non ne sopravvissero molti. Come lessi ancora in quel libretto da due soldi, secondo gli ultimi dati nelle giungle della Guyana francese si contavano quarantamila cercatori. E decisi: dato che là aveva trovato posto una tale massa di gente, mi avrebbe sorriso la fortuna di trovare un posticino al sole. In una parola decisi: partirò per la Guyana a cercare l'oro!

    E così ingaggiai un fiacre[3]e giunsi al porto, dove alla cassa acquistai un biglietto di seconda classe su una nave transoceanica dal nome romantico «Boss de la mer», che tradotto dal francese significa: padrone del mare.  

    Correva l'anno 186..., inizio di aprile. E decisi che quel tempo — l'inizio della primavera, quando tutto si ravviva, tende al sole e nasconde in se la speranza nel futuro — fosse proprio il più adatto per un viaggio al di là dei monti e dei mari verso la Guyana. Perfino in quel momento mi sorsero dei pensieri: non tornare mai in Europa, ma divenire un magnate locale e comprarmi tutti i papuasi. (In parte questo mi riuscì...)

    PRIMA PARTE

    GLI EREDI

    Capitolo 1

    1886

    La tenuta del possidente Lev Dmitrievič Selivanov a dieci verste da Kaluga

    La tenuta di Selivanovo consisteva in una casa principale a due piani in stile gotico russo[4], che pareva esser stata trasportata per magia nel governatorato di Kaluga da qualche posto in Francia o in Germania, e da alcune costruzioni di servizio di buona qualità. La casa era circondata da un ampio parco con dei chioschi e una gran quantità di stagni. Sopra la piatta superficie d'acqua di uno degli stagni si stendeva un ponticello decorato ai lati da torrette. Dalla casa principale della tenuta allo stagno scendeva una scala in pietra bianca con figure di leoni.

    L'unica cosa che turbava la vista della ricchissima tenuta era così una vecchia casa signorile semibruciata che stava non lontano da uno degli specchi d'acqua artificiali. Abbastanza spesso il signore passeggiava vicino ad essa non solo in orgogliosa solitudine, riflettendo sulla vita e sulla morte, ma anche in compagnia di un'incantevole dama, raccontandole ogni sorta di storie sulle terre di là e sui loro padroni, che adesso riposavano in Dio.

    ...Lev Dmitrievič non aveva eredi diretti, anche se sapeva benissimo dell'esistenza di una figlia illegittima. Negli ultimi tempi Lev Dmitrievič stava molto male. Il medico si trovava quasi continuamente vicino a lui, senza lasciare la tenuta. 

    Ed ecco che ora il medico teneva il signore per mano, contando le pulsazioni con la lancetta dei secondi del suo Breguet[5] d'argento. Sfortunatamente i risultati non erano consolanti. Le medicine da lui prescritte al paziente non servivano.

    — Ebbene, che c'è?... — si interessava Lev Dmitrievič.

    Il medico sospirò pesantemente.

    — Il polso è accelerato. Ahimé, nessuna delle medicine adesso note è efficace. Toccherà fare un salasso...

    — Allora fatelo... — disse insoddisfatto il signore con voce flebile. — Non intendo morire... Ho voglia di vivere ancora.

    — Oh, Lev Dmitrievič, voi sopravviverete a tutti noi! — tentò di incoraggiarlo il suo Esculapio.

    Tuttavia il salasso non servì, la disposizione fisica del signor Selivanov peggiorava di giorno in giorno. Allora questi mandò a chiamare il possidente vicino Pëtr Petrovič Muravin.

    Pëtr Petrovič colse il suo amico in uno stato penoso.

    — Caro mio! — esclamò, abbracciando con lo sguardo la camera da letto riempita di ogni possibile provetta medicinale. — Che vi siete messo in testa di star male? Il tempo adesso è eccellente, è l'inizio di maggio! E voi vi siete ammalato!

    — Oh, Pëtr Petrovič, anima mia... — gemette il padrone. — Sto male... Respiro con affanno... Il cuore... Le conseguenze della febbre tropicale...

    Il visitatore si sedette su una sedia presso il giaciglio del malato.

    Vicino al signore si affaccendava la cameriera Glafira. Sistemò i numerosi cuscini, il lenzuolo e si allontanò con un inchino.

    — Mmm, sì... — disse cantilenando Muravin in modo significativo, perché tutti i suoi peggiori timori si erano confermati. — E magari cambiarvi dottore? Farne venire uno da Mosca?

    — Che diavolo di necessità ne ho?.. — gemette di nuovo il malato.  — Pare che questo medico sia tenuto in buon conto.  Da lui là si curano persone con cognomi noti...

    — Beh, se è così... — concordò l'ospite.

    — Voglio mandare a chiamare Klebek a Kaluga... — ammise Selivanov.

    — Karl Fridrichovič? — precisò Muravin. Selivanov annuì. — Lo so, lo so, il suo è uno studio legale — nel centro della città. Dicono che questo avvocato è onesto e affidabile...

    — Sì-sì... E' così, — confermò Selivanov. — E' di sangue tedesco e io stimo questi Teutoni... Ecco, voglio nominare Klebek mio esecutore testamentario.

    La stirpe baronale tedesca dei Klebek aveva le sue radici in Vestfalia, da cui Kurt Klebekquattrocento anni prima si era trasferito nei paesi baltici. Karl Fridrichovič era uno dei numerosi rampolli di questa stirpe un tempo nobile. Questi, sfortunatamente, non aveva un titolo baronale, ma aveva fama di eccellente ed onestissimo avvocato, di cui godeva in tutto il governatorato.

    Negli ultimi anni il signor Selivanov si era rivolto alcune volte a Klebek e aveva valutato i suoi sforzi secondo i meriti. Perciò nella scelta dell'esecutore testamentario non aveva dubitato un attimo. Klebek era proprio quella persona di cui aveva bisogno. Avrebbe fatto tutto come si deve e non si sarebbe messo a fare domande inutili.

    — E a te, Pëtr Petrovič, farò una richiesta molto insolita... — pronunciò già più fiducioso Selivanov.

    L'ospite intrigato si fece avanti.

    — Tutto ciò che è nelle mie forze, caro amico... — assicurò.

    — Sapevo di poter contare su di voi... 

    ***

    Il giorno seguente, verso mezzanotte, giunse nella tenuta Karl Klebek. La cameriera gli propose di bersi un tè appena arrivato, ma questi rifiutò, anche se la strada da Kaluga a Selivanovo non era affatto breve. 

    Klebek era un uomo severo nell'adempimento delle formalità e si distingueva per un'esagerato attaccamento a certi ordini, in una parola, nella società di Kaluga aveva fama di pedante. E sapeva benissimo che in casi simili, quando si tratta di un testamento, non si può indugiare. Poiché il cliente può rendere l'anima a Dio in qualsiasi momento.

    Lasciò da parte tutti gli affari a Kaluga e si diresse a Selivanovo alla prima chiamata del suo cliente.

    E così risultò: Klebek era giunto in tempo, perché il suo cliente peggiorava di ora in ora.

    Karl Fridrichovič era un uomo imperturbabile, per il quale gli affari venivano prima di tutto e tutte le emozioni e le passioni erano fuori dal servizio. Proseguì immediatamente nella camera da letto del padrone. Il dottore si trovava accanto a lui.

    Pareva che Lev Dmitrievič fosse nell'oblio...

    — Come sta?.. — si interessò compassionevolmente Klebek.

    Il dottore strabuzzò gli occhi in modo significativo e pronunciò con un sussurro teatrale:

    — Ahimé, la medicina è impotente... Il signor Selivanov è in condizioni estremamente gravi, ma ha la memoria salda ed è in possesso delle facoltà mentali. Posso testimoniarlo come medico.

    Klebek annuì soddisfatto. 

    — Quando tornerà in sé, sarà necessario darsi da fare.

    — Quando vorrete...

    Lev Dmitrievič tornò in sé mezz'ora dopo. A quel punto Klebek si sistemò ad un piccolo tavolino, pronto a scrivere il testamento. Dovevano essere testimoni il dottore e Pëtr Petrovič Muravin, a chiamare il quale avevano già mandato un servo. 

    — E così, Karl Fridrichovič, scrivete... — pronunciò in modo appena udibile Selivanov.

    Passò circa un'ora prima che il dottore e il signor Muravin potessero entrare nella camera da letto del morente e dare testimonianza del testamento.

    Klebek s'inchinò, augurò a Selivanov una pronta guarigione (anche se aveva capito che i giorni del suo cliente erano contati) e si diresse a Kaluga.

    — Pëtr Petrovič... — si rivolse Selivanov al suo amico, — trattieniti, caro mio...

    Selivanov e Muravin conversarono a lungo tête-à-tête. Nessuno indovinava il contenuto della loro conversazione...

    Verso sera Lev Dmitrievič terminò tutte le formalità riguardanti il suo patrimonio e sentì la vicinanza della sua ultima ora. Ordinò al maggiordomo di mandare a chiamare padre Feoktist, sacerdote della chiesa dell'Assunzione, a tre verste dalla tenuta.

    Comparve padre Feoktist. Erano passati vent'anni da quando ricevette la parrocchia. Il sacerdote conosceva bene i possidenti locali e Selivanov non gli ispirava affatto simpatia. Poiché il servitore della chiesa sospettava che avesse commesso un peccato mortale — l'omicidio...

    Anche se questo era un affare del passato e l'ispettore locale, che aveva indagato sulla morte della signora Selivanova e del giovane amministratore della tenuta, aveva sancito la piena estraneità di Lev Dmitrievič da questa incresciosa circostanza, padre Feoktist era convinto del contrario. Adesso voleva proprio sentire la confessione dalle labbra del possidente morente.

    Selivanov in confessione ammise di aver sospettato la giovane moglie di tradimento. Una volta decise di andare per mostra a caccia con Pëtr Petrovič Muravin. Egli stesso col favore della notte lasciò il campo dei cacciatori e a cavallo si precipitò nella tenuta, sperando di sorprendere la moglie con l'amante. Effettivamente la sorprese tra le braccia dell'amministratore. Con due colpi precisi a bruciapelo di un revolver Constable Selivanov uccise la moglie e l'amministratore, dette fuoco alla camera da letto e uscì di casa senza essere notato dall'uscita di servizio utilizzata dalla servitù. Tornò al campo dei cacciatori come se niente fosse successo. Stranamente la servitù non sentì gli spari...

    Comunque alla fine la servitù percepì odore di fumo. La camera da letto della signora era completamente avvolta dalle fiamme. Non si riuscì a salvarla, alla servitù non venne neanche in mente che Elizaveta Matveevna fosse già morta e insieme a lei pure l'amministratore.

    Verso sera Selivanov tornò a casa, scoprendo al posto della casa fondamenta di pietra e tizzoni bruciati. Il giorno seguente giunse l'urjadnik[6]da Kaluga ed espresse al signore le sue sincere condoglianze, esaminò il luogo dei fatti, registrò nel rapporto un comportamento imprudente con il fuoco e di conseguenza la morte della signora Selivanova e dell'amministratore.

    E qualche giorno dopo il signore nominò amministratore della tenuta Nikanor, l'ex maggiordomo e si mise a viaggiare all'estero per liberarsi dalla mortale nostalgia della defunta giovane moglie.

    Come tutti i nobili russi di quei tempi, Lev Dmitrievič si diresse in Italia. Godette pienamente dei vini locali, delle bellezze locali piene di temperamento e combatté perfino dalla parte dei rivoltosi. Poi trascorse un anno e mezzo in Germania ed ebbe una figlia da una certa Annchen Rieger. La bimba fu chiamata Elsa. Tuttavia Selivanov non aveva il minimo desiderio di sposare la sua amante tedesca. Le prestò una discreta somma di denaro e le consigliò di dirigersi in Russia da suo fratello, che in un primo tempo l'avrebbe aiutata a sistemarsi, comprare una casetta e vivere a suo piacimento. Questi, quando sarebbe tornato, avrebbe immancabilmente aiutato la tedesca, perché non avrebbe rinnegato la figlia. 

    Annchen si addolorò, pianse e come donna pratica prese i soldi offerti dal perfido amante. Dopo che Selivanov ebbe lasciato i confini della Germania, Annchen raccolse le sue semplici suppellettili e si diresse in Russia (visto che aveva imparato a esprimersi discretamente in russo). E proprio in una piccola cittadina del governatorato di Kaluga che aveva sofferto molto durante la guerra del 1812 che si chiamava Malojaroslavec, nella speranza che l'amante cambiasse idea e tornasse da lei.

    Tuttavia ad Annchen toccò attendere lunghi anni...

    Giunto in Francia, Selivanov sperperò là tutti i soldi rimasti. Poi nel porto di Marsiglia si imbarcò su una nave che andava in Sudamerica e mise la sua vita nelle mani della provvidenza del Signore.

    Questa provvidenza condusse l'assassino e cercatore di avventure in Guyana e poi in Colombia. Dieci anni dopo Selivanov tornò dal Sudamerica ricco e ricostruì una nuova ricca casa, tuttavia preferì non fornirsi di una numerosa servitù. Ordinò di lasciare il vecchio rudere bruciato. La servitù vedeva spesso il signore stare presso le rovine carbonizzate. Mormorava qualcosa, probabilmente pregava, ma forse conversava con la moglie defunta. Tuttavia qualche tempo dopo pose un piccolo cannone davanti alle rovine e con questo sparava abbastanza spesso sulla sua vecchia casa. Forse sperando, in tal modo, di liberarsi da ricordi penosi. 

    Annchen non attese fino all'ultimo il suo amante, sposò l'anziano mercante di terza categoria Samojl Artem'ev (sfortunatamente, ma nella sua situazione non c'era scelta) e riuscì presto a restare vedova. Ėl'za crebbe bella e somigliava alla sua mamma come due gocce d'acqua. Lev Dmitrievič fece visita a suo fratello e poi all'ex amante e alla figlia. L'incontro fu freddo. Questi lasciò ad Annchen una cospicua somma di denaro, vide di nuovo il fratello e il nipote, dopo di che si allontanò verso la sua tenuta. Da allora si incontrò raramente con i suoi parenti di Malojaroslavec e neanche una volta con l'ex amante e con la figlia.

    ...Padre Feoktist sospirò pesantemnte: aveva molto peccato Lev Dmitrievič, oh quanto. Tuttavia rimise i peccati del servo di Dio Lev.

    Il signore morì due giorni dopo la confessione. Presso il suo letto di morte erano presenti il dottore, l'amministratore Nikanor e Pëtr Petrovič Muravin. 

    ***

    Ėl'za Samojlovna Riger-Artem'eva, figlia illegittima del conte Selivanov, compiva vent'anni. Per quasi dieci anni non si era incontrata con suo padre. Tuttavia il conte non aveva dimenticato di fornire ad Anna Ditrichovna un sostegno materiale, seppure modesto. 

    Giacché l'aiuto era notevole, Ėl'za spendeva senza freni in abiti all'ultima moda e aveva fama di essere la più graziosa e ricercata signorina della città. I giovani del ceto medio la guardavano, celando nell'animo la timida speranza che la figlia del mercante Artem'ev alla fine li degnasse della sua preziosa attenzione.

    Tuttavia ad Ėl'za non piacevano i suoi aspiranti — pensa, dei figlioli di mercanti! Voleva un fidanzato di nobile origine. Ma sfortunatamente, a tal signore, come si dice, tale onore. Finalmente le comparve un aspirante: il giovane ingegnere Vasilij Fëdorovič Udal'cov. Questi si distingueva dai mercanti per le maniere ricercate, l'erudizione letteraria e le coraggiose opinioni politiche. Ma non aveva la cosa principale che Ėl'za tanto bramava — la nobiltà e il denaro, perchè Vasilij proveniva, come si usava dire, dall'ambiente dei raznočincy[7].

    Da quando Ėl'za cominciò ad accettare la corte di Vasili, non perse occasione di punzecchiare la sua adorata mutter[8].

    — Se sono figlia di Lev Dmitrievič Selivanov, ricchissimo possidente del governatorato di Kaluga e per di più conte, perché non mi riconosce legalmente? 

    — Lo sai, Ėl'za, tuo padre ci aiuta... Ma di riconoscimento legale non si è mai neanche parlato.

    Ėl'za di solito si irritava.

    — Ah! Neanche parlato! Mi ha messa al mondo! E via!

    Anna Ditrichovna sospirava soltanto, capendo la fondata indignazione della figlia.

    — Dicono che il mio paparino non ha dove mettere i soldi! — Ėl'za non si tratteneva.  — A proposito, non ha eredi!

    Di solito Anna non sopportava l'ostinazione della figlia.

    — Ėl'za, cosa vuoi da me?

    — Che tu vada nella tenuta da mio padre e gli ponga categoricamente la questione!

    Anna abbassava soltanto gli occhi, poiché ciò la figlia esigeva era impossibile da realizzare. E non si trattava solo del suo orgoglio... Anna capiva: se Lev avesse voluto riconoscere la figlia, lo avrebbe fatto subito dopo il ritorno dal Sudamerica. Tuttavia questo non avvenne.

    Una volta alla porta di casa bussò un visitatore. Questi risultò essere un inviato dello studio di Klebek. La porta fu aperta da una domestica.

    — Una busta personalmente nelle mani della signora Riger-Artem'eva! — riferì questi.

    La domestica si confuse.

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