Calico Blues
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Anteprima del libro
Calico Blues - Michele Mingrone
Michele Mingrone
CALICO BLUES
I edizione digitale: ottobre 2015
© tutti i diritti riservati
Nativi Digitali Edizioni snc
Via Broccaindosso n.16, Bologna
ISBN: 978-88-98754-36-6
www.natividigitaliedizioni.it
info@natividigitaliedizioni.it
Disegno in copertina a cura di Carmelo Ferro Ingaglio
Questo libro è dedicato a
Veronica Locatelli (1971-2008)
Ovunque tu sia, abbi cura di te.
Troppi imbecilli. Me ne vado
(Bonvi)
Capitolo primo:
Lo strano caso del tanga arancione
1
Lei si chiama Calico.
Aldo Cipriani la battezza così mentre prende forma sul foglio, sinuosa e morbida, le labbra piene, un pareo con i pappagalli a coprirle i fianchi perfetti.
Calico è mora, la pelle ambrata, gli occhi verdi: una bomba.
Le disegna una collana con la testa di Jack O’Lantern di Nightmare Before Christmas
come ciondolo. Una borsa indonesiana a tracolla, infradito arancione. Una cavigliera a impreziosirle una gamba già preziosa di per sé.
Fa spuntare un tanga, anch’esso arancione, dal pareo.
Aldo trova molto sexy dare a una ragazza del genere un nome che finisca per o
, pensa che dia un tocco di mistero.
Calico gli viene in mente per via dei pappagalli, che collega alla recente lettura della Storia della Pirateria
, dove Calico Jack è un pirata bello e sfortunato, una specie di Jack Sparrow protofemminista (aveva due donne nella ciurma), che più o meno al secondo arrembaggio viene arrestato e impiccato. Uno sfigato adorabile, insomma.
Calico nasce come ennesimo tentativo di far svoltare una carriera di fumettista appena nata e già in declino, dopo essere riuscito a piazzare un po’ di storie qua e là per il sottobosco editoriale, aver fatto la gavetta nel fumetto porno, il passaggio all’erotismo d’autore, un breve cortometraggio d’animazione e un momento da dimenticare come autore di un libretto commissionato dalla discoteca del paese vicino, per cercare di abbassare il tasso alcolico dei giovani virgulti locali.
Si ispira lontanamente, per disegnarla, a un’amica pugliese che ha tentato invano di portare sotto le lenzuola anni prima, poi comincia ad aggiungere dettagli, fa prove, accorcia e allunga capelli, la veste da gran dama, da motociclista, da cortigiana del ‘700.
Infine, decide per il pareo.
La spoglia, la mette in pose via via più sconce, la fa accoppiare con un uomo, con due, con tre, con una donna, con una tigre, la stende a gambe larghe sulle ali di un aereo da turismo in volo, le fa carezzare coi piedi la pelata del Presidente del Consiglio.
Insomma, ci prende confidenza, familiarizza con Calico. Dopo tutto questo profluvio di schizzi preliminari, è pronta. Bisogna scoprire chi sia, quale sia il suo ambiente di movimento, darle degli amici, degli amori. Sarà la donna di un gangster o una poliziotta in borghese? Un’attrice di teatro o un’omicida? Una vampira? Una puttana d’alto bordo? Una musicista? Più semplicemente, un’impiegata in vacanza che entra in un gioco più grande di lei?
Aldo disegna e si arrovella, pensa al timbro di voce di Calico che non sentirà mai, ma che deve immaginare per farla parlare sui fogli. La disegna a china, a pastello, la scannerizza, la fotocopia, si diverte a sfumare, illuminare zone, creare ombre sul suo volto.
Calico, paziente, sorride dal tavolo di lavoro, aspettando di pronunciare la sua prima parola, che, giustamente, sarà Aldo
. Aldo che è la sua mamma, il suo babbo, il suo Dio.
2
Suono di una sveglia in lontananza. Un disturbo sempre più stridente all’interno di un sogno di foreste tropicali: Calico è stata rapita dai cannibali, lui, l’eroe, la sta cercando.
Il vero Aldo è sdraiato in mutande davanti a un ventilatore gigante, sul letto pieno di matite e pennarelli. Si è spiaccicato sul letto verso le 4 del mattino, come sempre, e come sempre la sveglia alle 7 e 20 gli ricorda i suoi più tristi compiti quotidiani.
Nel sogno, cerca di trovare la fonte del disturbo, afferra una liana, si lascia cadere al di là di sabbie mobili, attraversa acquitrini pieni di coccodrilli, si avvicina al suono sempre più insostenibile.
Scopre che proviene da un grande albero, nel mezzo di una giungla umida e caldissima, si arrampica fino in cima con velocità onirica e scopre che il suono esce da dentro un enorme giaguaro. La belva lo guarda con occhi gialli e, anziché ruggire, trilla violentemente.
Aldo cerca di fuggire ma scivola, precipita, si afferra alla coda del giaguaro che trilla ancora più forte, inferocito.
Cadono insieme giù dall’albero, sente una gran botta al fianco, il felino gli è sopra, spalanca la bocca, il trillo aumenta ancora, la bocca ha lancette d’orologio al posto dei denti, lo inghiotte, il suono è forte, sempre più forte, sempre più forte…
Aaaaaaarghaiut!!!!
Grida Aldo, svegliandosi di soprassalto, e, tutto indolenzito, scopre di essere rotolato giù dal letto tirando anche la sveglia con sé, la maledetta sveglia che continua a trillargli addosso come se trovasse la scena sommamente divertente.
Il primo pensiero, confuso, ancora nella nebbia del sonno, è:
Calico. Dov’è Calico?
Poi comincia a realizzare, guarda la bottiglia di limoncello semivuota (era piena, la sera prima), il cerchio appiccicaticcio del bicchiere sulla scrivania, Calico sparsa un po’ dappertutto nella stanza su fogli sporchi di liquore e cenere di sigarette.
Ah. Sei qui
bofonchia. Ramazzando tra i fogli, rimedia un paio di pantaloni decenti, i calzini del giorno prima, una camicia non stirata. Si pettina alla meno peggio con tre dita, va in bagno, tuffa la faccia nel lavandino, si lava i denti fumando contemporaneamente la prima sigaretta della giornata. Pensa che dovrebbe farsi la barba. Decide di non farsela nemmeno stavolta. Razzola in un cassetto, recupera le lenti a contatto, se le pianta negli occhi in qualche modo.
Si guarda allo specchio, trovandosi del tutto repellente.
Afferra l’autoradio, due cd rock di quelli tosti per svegliarsi, perde due o tre volte le chiavi della macchina, torna in bagno per uno strizzone improvviso, fa la cacca leggendo le istruzioni dell’aspirina. Finalmente, esce di casa, pronto per arrivare, come sempre in ritardo, in ufficio.
Dopo un’ora di At The Drive In
sparati a tutto volume nell’abitacolo della macchina, altre due sigarette e un brick di tè freddo consumato guidando con una mano sola, è più o meno in grado di cominciare la giornata.
Lo accoglie, come sempre, un rumore di fondo collettivo di condizionatori e ticchettio di tastiere, l’odore marcio ma attraente della macchinetta del caffè. Si tuffa verso la sostanza catramosa come un assetato di fronte a un’oasi.
Si trasforma lentamente nel Ragionier Cipriani, impiegato di concetto. Comincia il lavoro. Finisce il lavoro.
Le otto ore passano, come sempre, senza niente che valga la pena di ricordare, in un’apnea mentale assoluta:
il cervello, settato sul pilota automatico, svolge solamente le mansioni strettamente necessarie. Ogni tanto, una mano sfugge al controllo e butta giù su un foglio una piccola Calico versione manga, sorridente e buffa, che batte il piedino imbronciata perché lui non è a casa.
***
Mentre Aldo suda e sbuffa come una Panda ingolfata cercando le chiavi della macchina, Elena si sveglia, a qualche chilometro di distanza, con tutta un’altra classe.
La sveglia cinguetta melodie dolci, nella stanza piena di luce.
Elena si stira, ancora mezza avvolta in un sogno di baci e carezze al tramonto, e apre gli occhi su una stanza color pastello, rischiarata da grandi vetrate che danno sul parco cittadino. La stanza è ordinata e pulita, piena di libri e di animaletti di peluche. Una scrivania tirata a lucido ospita solo il monitor del Pc, il tappetino, il mouse, un taccuino e una penna. Elena si alza con movimenti lenti e studiati (le hanno sempre detto che alzarsi di scatto fa malissimo), zampetta un po’ alla ricerca delle ciabattine rosa col pon-pon e si dirige verso la doccia. Su uno scaffale della libreria, all’altezza degli occhi, la faccia stropicciata di Aldo sorride da dentro una cornice color cielo.
Elena esce dalla doccia in una nuvola di vapore, si asciuga i lunghi capelli biondi col phon, si drappeggia in un largo accappatoio bianco e scende al piano di sotto per fare colazione coi genitori. Dal basso si sente un profumo di tè e paste appena sfornate, di uova e prosciutto, di toast croccanti.
Una valigetta, preparata la sera prima, contiene tutto il necessario per la giornata.
Elena è una di quelle rare e fortunate creature che amano il proprio lavoro: non che sia qualcosa di così straordinario, niente affatto: fa la guida turistica in giro per la Toscana. Una professione che le piace perché ha il pregio di un orario flessibile, non la costringe a una vita sedentaria e la mette in contatto con persone sempre nuove.
In più, il che non guasta, è assolutamente innamorata del buffo personaggio che campeggia nella sua libreria, ha una bella casa e dei genitori più che sopportabili. La vediamo uscire sorridendo da casa nel sole estivo, senza un pensiero che non sia lieve: è un peccato, davvero un peccato, che sia l’ultima volta.
3
Aldo sta tornando a casa, con la stanchezza che solo una giornata di lavoro fatto male riesce a darti. Un misto di senso di colpa, frustrazione e sonno arretrato. Mentre guida cerca di respirare lentamente, regolarmente, di rilassarsi; in fondo ha un appuntamento romantico in programma, potrebbe andare peggio. Ha fissato con Elena un classico cenetta e cinema, che probabilmente si trasformerà in cenetta e coccole, saltando il cinema di netto come spesso accade quando da qualche giorno non si vedono.
Arriva sotto la reggia della fidanzata (rispetto alla sua catapecchia i due piani con giardino di Elena sono praticamente Versailles) e suona il clacson tre volte, sentendosi molto più che cafone a comportarsi come immagina si comporti Briatore con l’ipermodella di turno:
braccio fuori dalla macchina (lui la Spider,