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Qualcosa di bello
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E-book261 pagine2 ore

Qualcosa di bello

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Info su questo ebook

Paolo e Andrea si amano da molto tempo. Un giorno, però, il loro equilibrio viene incrinato da un evento inaspettato: una mail proveniente dal passato di Andrea e alla quale è impossibile sottrarsi. I due dovranno fare i conti con le proprie fragilità, scoprendo che non basta amarsi per impedirsi di soffrire, non basta nemmeno essere attenti, premurosi, volenterosi che le cose funzionino. Manuele, intanto, il migliore amico di Paolo, scrive in un blog irriverente le sue disavventure con un amore non corrisposto. E poi c'è Giulia, legata a Paolo da un segreto, che dopo la perdita dei genitori decide di fare volontariato nel carcere di Padova. Le storie di tutti i protagonisti s'incastrano tra speranze e delusioni, rabbia e solitudine. Un romanzo intimo sulle relazioni umane, la crudeltà dei sentimenti e la straordinaria potenza del desiderio di amare. Ma anche sulla sensazione che non tutto sia perduto, perché ci ricorda che in mezzo alle misteriose trame dell'amore, quando smettiamo di essere ostaggi del passato e di nascondere la nostra infelicità, ci si può ancora incontrare, rintracciando gli indizi per una possibile salvezza.
LinguaItaliano
Data di uscita13 apr 2022
ISBN9788893433440
Qualcosa di bello

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    Anteprima del libro

    Qualcosa di bello - Pellico Roberto

    Prima parte

    1.

    Sono le sette e trenta del mattino.

    Andrea accende il computer, controlla la posta elettronica. C’è la calma della sua vita a fargli compagnia, adagiata da anni tra le mura di casa. Gli piace questo momento. Un attimo prima che la giornata diventi caotica e la città si svegli completamente. Sta per seguire l’inclinazione della sua routine consolidata: le notizie su Il Sole 24 Ore, scaldarsi una tazza di tè e mettersi davanti al pc a sorseggiarlo mentre elimina le newsletter ricevute senza essersi iscritto. E lui non si sbaglia mai, ricorda ogni click fatto, ogni autorizzazione lasciata alle grinfie della privacy digitale.

    È così che sarebbe dovuta andare: una preparazione ordinaria, noiosa e assonnata come tutte le mattine.

    Invece è un attimo.

    Mentre preme zelante il tasto elimina lo sguardo si ferma, il dito si blocca.

    La sua routine piatta e incolore finisce risucchiata nello schermo, dentro il punto che sta fissando.

    Non può essere lui.

    Rimane incredulo per qualche istante. Il palmo della mano si appoggia istintivamente sullo schermo, quasi a voler coprire qualcosa da nascondere. Il ricordo si arrampica sullo stomaco, la porta del passato improvvisamente si spalanca e tutto si ovatta, diventa confuso.

    Per un momento, prima di cominciare a leggere, si guarda intorno. Teme che la confusione esplosa nella sua testa stia facendo troppo rumore. Paolo, nell’altra stanza, dorme ancora. Nell’aria aleggia una convivenza segnata dal tempo. Bollette, riviste, lampade, quadri, tutto si mischia all’odore del vino rosso avanzato nei bicchieri dalla sera prima. Sul muro, lungo lo spazio che separa le due ampie finestre che ha di fronte, c’è una cornice di vecchie foto in bianco e nero. I vestiti di Paolo sono sparsi sul divano. E la tavola è ancora apparecchiata con i suoi resti: doveva essere stanco ieri sera per lasciarla in quelle condizioni, sa quanto Andrea tiene all’ordine. Si sveglierà a momenti, con gli occhi stropicciati apparirà dalla porta e chiederà se il caffè è pronto.

    Andrea riesce a vedere, nella sua testa, ogni singolo fotogramma così come ogni giorno accade. E gli ultimi momenti di solitudine mattutina sono preziosi, per lui. Gli tornano in mente le parole di suo padre, lo ripeteva spesso: «Ogni brivido corrisponde a una menzogna». E si chiede quanto tempo sia passato, però, dall’ultima volta che ha provato qualcosa di nuovo, o semplicemente qualcosa di diverso da ciò che sono diventati. Dev’essere così che si finisce, quando per anni si resta ancorati alle stesse cose, lo stesso cibo, gli stessi programmi tv. Si diventa nuvole d’aria placide, dalle traiettorie infinite che poi si squassano con niente.

    Scruta lo schermo per qualche secondo, si sporge verso il computer, con l’indice della mano destra spinge gli occhiali verso l’alto e poi ingoia frettoloso le parole che ha davanti. Finito di leggere, preme il tasto logout per disattivare l’accesso automatico alla casella di posta. È la prima volta che lo fa. La prima in assoluto.

    Non ne parlerà con Paolo.

    Prepara il caffè e già sa che ci ripenserà, alla mail che ha appena letto. Ma solo quando il suo mondo lo permetterà.

    Come previsto, pochi minuti dopo, Paolo spunta sotto l’arco che separa il corridoio dalla cucina. Abitano in una casa moderna, le stanze sono ampie e illuminate da grandi vetrate. L’arredamento è minimale: divano bianco, piastrelle grigie, colori tenui alle pareti. Pochi soprammobili valorizzati dalla luce a led di costosi faretti incastrati alla perfezione nel cartongesso.

    È ancora nudo, l’unico indumento che ha addosso è una canottiera sgualcita di cotone nero da cui s’intravede un petto villoso. Si passa una mano tra i capelli folti in disordine.

    «Buongiorno» dice. La barba della notte è una leggera ombreggiatura sul suo volto.

    Dormire senza mutande è una vecchia abitudine di Paolo. Andrea, all’inizio, lo trovava piacevole. La pelle nuda sempre alla ricerca di qualcosa era una consapevolezza silenziosa. Da qualche mese, invece, lo irrita. Mentre ricambia il saluto pensa che è stanco di competere con la sua bellezza arrogante, con l’ingiustizia di quegli stessi anni che a vederli su di sé lo hanno invecchiato troppo in fretta.

    Paolo si avvicina, mentre si sporge sul tavolo per prendere un biscotto, si struscia ammiccante contro il braccio di Andrea, gli poggia una mano dietro alla nuca e l’odore di caffè gli punge le narici. Andrea sposta lo sguardo, lo schermo del pc mente silenzioso dal tavolo di vetro, restituendo l’immagine impostata sul desktop: una spiaggia qualunque al tramonto.

    «È tardi» protesta.

    Paolo è determinato, il membro ormai è duro e ha bisogno di sfogarsi.

    «Non ci mettiamo tanto» la voce è melliflua, ancora impastata dal sonno.

    Andrea cede. Gli va, non gli va, non è sicuro, non importa. S’inginocchia, gli occhi chiusi su un movimento prepotente e meccanico. Paolo resta immobile fino all’orgasmo. Poi, sorride. Prende un biscotto al cioccolato dalla confezione aperta sul tavolo e si lascia scivolare sul divano.

    «Stasera andiamo a mangiare al giapponese?».

    Si è ricomposto in una bellezza concreta, una sicurezza strafottente che non tiene al guinzaglio. Andrea si sistema i pantaloni con cura. S’infila la giacca, poi prende la valigetta di pelle nera dalla cappottiera laccata.

    «Va bene… se non faccio troppo tardi al lavoro» gli risponde automaticamente. In realtà non ha nessuna voglia di uscire.

    «Vedi di non fare tardi, allora».

    Paolo si volta di spalle, accende l’impianto dolby surround di ultima generazione e mette una di quelle compilation buddha qualcosa.

    Andrea si avvicina, gli dà un bacio sul collo.

    Dopo, la porta che si chiude alle spalle ha un suono diverso. Più lontano.

    2.

    L’ufficio di Andrea stamattina è una stanza fatta di ombre che s’inseguono tra le pareti. Si siede lentamente, accende il pc, lo sfarfallio dei neon gli ricorda che sarebbe ora di cambiarli. Ecco che ritorna. Il pensiero va alla mail che ha ricevuto. Un leggero fremito lo coglie. Ogni volta che non sa gestire un’emozione, la gamba destra inizia a tremare, finché il tremolio sale lungo la schiena e il corpo comincia a sussultare a strappi irregolari. Poco dopo, il silenzio è squarciato dal telefono che squilla. Andrea non risponde. Smette di suonare e lui rimane immobile a guardare la cornetta, intimidito dalla possibilità che riprenda a perseguitarlo da un momento all’altro. Fa un leggero sobbalzo, il rumore di un pugno che sbatte contro la porta lo riporta alla realtà.

    «Dottor Piazza, c’è il signor Boldoni al telefono che ha bisogno di chiarimenti in merito all’ultimo bilancio. Vuole che gli dica di chiamare più tardi?».

    Andrea sorride. Un po’ per il dottore, che attribuisce fascino ai suoi anni, un po’ per la voce stridula che lo ha strappato dall’ingombro dei suoi pensieri. E all’assurda paura che lo teneva per il bavero. Lui non chiamerebbe mai in ufficio.

    «No. Me lo passi ora» sospira «per favore».

    Quando termina la chiamata, il computer gli propone la schermata di sempre. Excel, Lotus, icone che rimandano ad altre icone, altri programmi. Da quando lavora per la Grazzi&Associati snc, non ricorda un giorno in cui non si sia dato da fare. Eppure, oggi, sa che se vorrà terminare qualcosa, dovrà prima trovare la formula per bilanciare i conti della sua vita.

    Accede alla mail personale. Lo schermo, ancora una volta, gli riconsegna emozioni che pensava di aver seppellito da molto tempo. Emozioni che credeva di aver dimenticato per sempre. E invece si erano soltanto assopite tra i ricordi, da qualche parte.

    > Da: Matteo Greco

    > Oggetto: Ciao

    > Data: 1 marzo 2010, 2.38

    > A: Andrea Piazza

    "Ciao Andrea,

    so che mentre leggi queste prime righe stai già pensando che non avrei dovuto farlo. Bussare alla tua porta, dopo tutti questi anni, è di sicuro un gesto sconveniente.

    Però ti conosco, e so che leggerai. Non ti riuscirà di lasciare in sospeso le parole. Sei sempre stato incapace di lasciare qualcosa a metà. Lo ricordo bene. Chissà se lo fai ancora, prima di andare a letto ti assicuravi sempre che la casa fosse perfetta. I libri al loro posto, le penne in ordine, i cd sistemati nelle custodie. Era tutto maniacale, ma eri tu, così. Che cosa ti costa sistemare la scritta rivolta nel verso giusto, in alto, nella direzione di lettura? Ricordi che me lo chiedevi spesso? Perché io non lo facevo mai, è vero. Ricordo i vestiti pronti, piegati sulla sedia, per il giorno dopo. Non dormivi sereno all’idea di aver lasciato qualcosa in sospeso. Le cose incompiute ti sono sempre state insopportabili.

    Adesso ti stai chiedendo il motivo di questa mail, mi sembra di vederti, la fronte aggrottata come tutte le volte in cui disapprovavi qualcosa. O non riuscivi a capirla fino in fondo.

    In ufficio hanno installato questo nuovo programma chiamato sisa. Sistema Intuitivo di Suggerimento Avanzato. È il frutto della tecnologia, dicono, quella che dovrebbe semplificarci la vita. Se poi è vero, ancora non lo so. È bastato digitare quattro lettere e il consiglio del tuo nome è arrivato immediato. Spiazzante. Avrei potuto oppormi, certo, premere il tasto canc. Invece ho pensato a una cosa sola: una coincidenza che non si accoglie è un’occasione sprecata. Stupido? Non so neanche questo.

    Così ho posizionato il mouse sul tuo indirizzo e ho cominciato a scrivere. Ed è strano come internet abbia cambiato il modo di avvicinare e allontanare le persone. Tradimenti e riconciliazioni si consumano con l’impudenza di una tecnologia che ci rende anche più vulnerabili alle debolezze. Sarebbe stato impensabile, altrimenti, cercarti. Viaggiare per giorni, alla ricerca di che cosa, poi? Ho immaginato persino la scena. I posti dove siamo cresciuti, i bar, i vicini di casa, una tua foto in mano. Soltanto questo, capisci? Una foto e dieci anni di distanza a separarci. Avrei rinunciato in partenza, è chiaro, perché alla fine, anche se ti avessi trovato, ad averti di fronte, che cosa avrei potuto dire? Sarebbe stato patetico. Io lo sarei stato di certo.

    Comunque sia, scriverti non è affatto facile. Mi piacerebbe sapere dove sei, che lavoro fai, se l’uomo che sei diventato somiglia ancora al ragazzo di un tempo. Se c’è un ricordo di noi, da qualche parte. Non è lecito, forse. Ti chiedo scusa.

    Con affetto.

    Matteo".

    Finito di leggere, Andrea rimane fermo davanti al computer. I gomiti sul tavolo, le mani sotto al mento e lo sguardo perso nel vuoto. Per un istante si sente vacillare. Sono le sue certezze che si contorcono. Si alza, gira attorno alla scrivania, movimenti circolari che non portano da nessuna parte. I quadri, le pratiche archiviate nei raccoglitori, i pennarelli, le gomme, i temperamatite, tutto è immobile. Fissa fuori dalla finestra. Lungo il viale che affaccia su via Santa Lucia, un’ambulanza si è appena fermata davanti all’ingresso della fioreria. Sfiora i faldoni dello studio con un dito, l’ordine minuzioso disposto con cura sulle mensole di legno gli dà sicurezza. Sa che quello che prova per Paolo è una certezza. Però sa anche che le certezze nella vita non bastano. O cambiano, che è anche peggio.

    Si siede. Qual è il limite che separa uno sbaglio dalla ragione?

    Clicca sul tasto rispondi. Fissa nuovamente il monitor che ha davanti. Un altro schermo bianco in cui ci sarebbero tante cose da scrivere. Se solo riuscisse a tirarle fuori.

    3.

    http://manueledellarocca.blogspot.com/2010/03/presentazione.html

    lunedì 1 marzo 2010 – presentazione

    Quella che state leggendo è la prima pagina del blog di Manuele Della Rocca.

    Chiariamoci subito: per quanto il cognome potrebbe indurre a pensare che abbia origini nobiliari, il mio albero genealogico si ferma alla madre di mio nonno, la quale, probabilmente, mettendo al mondo un figlio di n.n., decise di dare speranza alla sventura con un cognome importante.

    Visto che ci siamo, preciso anche che questo espediente, purtroppo, non è servito a nulla, infatti, a dispetto, conduco una vita tutt’altro che degna del cognome che porto.

    Per chi se lo stesse chiedendo, il mio lavoro è questo: personal-shopper in un negozio di abbigliamento.

    Okay, va bene, adesso non fate quelle facce.

    Confesso. Sono un commesso! Ma lasciatemi illudere, almeno per un attimo, che vestirsi non sia un atto compiuto in maniera distratta per coprire il corpo. Sebbene milioni di persone, ogni giorno, si ostinino a ignorare questa assoluta verità, violentando qualsivoglia buon gusto: vestire è un’arte.

    Poi, per chi non ne fosse ancora a conoscenza, voglio precisare anche che i commessi si dividono in due categorie:

    a) quelli che continuano a credere che un blu scuro non vada mai abbinato con un nero.

    b) quelli più avanguardisti (Dio ce ne scampi e liberi), che mischiano colori con la stessa raffinatezza di Lady Gaga.

    Nemmeno a dirlo, lo avrete immaginato, io appartengo ai primi.

    Per il resto, potrei raccontarvi che la mia vita è così ingarbugliata da poter essere paragonata a uno di quei cestini di vimini intarsiati dalle vecchie signore di campagna. Ce l’avete presente? In caso contrario basta una veloce ricerca su Google.

    Ho quasi trent’anni.

    E non occorre nessun boato incredulo. Lo so che state fissando la foto del profilo.

    Okay, okay… in realtà i trent’anni li ho già superati da qualche annetto. Pochi, sia chiaro. Il problema è che sono affetto da quella strana patologia studiata recentemente dall’Università dell’Alabama. I dati raccolti sono sconcertanti e riguardano una società sempre più affetta dall’ansia da invecchiamento. La patologia, diffusa prevalentemente nelle fasce successive al trentesimo anno d’età, pare colpisca in particolar modo individui eterosessuali di sesso femminile e individui omosessuali di sesso maschile.

    Dunque siamo in tanti.

    E voi, mentite abitualmente sulla vostra età anagrafica, oppure no?

    Ora, dopo una descrizione così appetitosa, se vi state chiedendo dove trovare l’imperdibile opportunità di non farvi scappare un fidanzato ideale come me, sappiate che vivo a Padova. Abito – in affitto, è chiaro – in un monolocale del centro. In tutto quarantacinque metri quadri. Il mio numero preferito è il 4.

    Quattro, come gli affetti fondamentali della mia vita:

    1) Mia madre. Fatevene una ragione.

    2) Il mio cane Casper (un magnifico esemplare di beagle in grado di distruggere qualsiasi cosa).

    3) Il mio migliore amico: Paolo Romani.

    4) Un uomo misterioso, che in questo blog chiamerò Alfredo, per salvaguardarne la privacy ed evitare di essere citato per danni (che non potrei permettermi di pagare).

    (nda: Alfredo è un uomo impegnato che non conosce i sentimenti di Manuele Della Rocca. Si tenga presente, inoltre, che per strane coincidenze che non mi è dato dichiarare, i due sono costretti a incontrarsi con una certa regolarità).

    P.S. Se siete a

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