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Benoit Lazarre - Il Filo Rosso
Benoit Lazarre - Il Filo Rosso
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E-book219 pagine3 ore

Benoit Lazarre - Il Filo Rosso

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Info su questo ebook

Il giallo, un po' noir è basato sulla costruzione di due personaggi molto ben definiti: il principale, Ben, mai scomposto, tipica “mente brillante” in cui il confine tra charme e “aria di indifferenza” è molto sottile; l’altro, Silvio, un po’ rozzo e delineato in questo senso è ritratto molto bene sia (soprattutto) negli atteggiamenti genuinamente grossolani, sia nella sua (scarsa, o comunque secondaria) capacità di contribuire alle indagini in corso. Aspetto – quest’ultimo – che emerge anche per merito del contrasto con il co-protagonista.

Silvio suscita senz’altro molta simpatia ed è naturale, leggendo, “vederlo” nei suoi movimenti goffi e prigionieri di una corporatura che, se anche non fosse stata descritta, non si sarebbe potuta immaginare diversamente.

È curioso che sia proprio Silvio a “rompere la quarta parete” alla fine del romanzo; in fondo è accettabile da lui, anzi forse quest’aspetto si potrebbe addirittura amplificare, non relegandolo alla sola parte conclusiva del racconto.

L'altro protagonista lo fa l’ambientazione che viene sapientemente “sfruttata”, con descrizioni particolareggiate ma non per questo noiose, e che assume per certi versi anch’essa ruolo di personaggio, rappresentato nei suoi tratti “fisici” e anche in quelli “psicologici”.

La scelta di un taglio leggero e ironico, con una scrittura che scorre abbastanza facilmente.

Ben e Silvio sono alla ricerca di qualcosa di misterioso seguendo gli indizi che qualcuno dissemina attraverso la città. Una caccia al tesoro che si intreccia con i misteri di casa Estense e l'intrigo di reliquie perdute.

LinguaItaliano
Data di uscita1 mar 2016
ISBN9788892560772
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    Anteprima del libro

    Benoit Lazarre - Il Filo Rosso - Cristiano Mazzoni

    Gatto

    0 - Tutto Iniziò in Via Contrari

    L’aria frizzante dei primi giorni di Ottobre aveva pervaso la prima periferia della città in modo prepotente e ironico. Il sole era ormai privo di forze dopo un’estate caldissima e afosa: era periodo in cui Ferrara, silenziosa e caparbia, si trasformava da nebbiosa e londinese, in una torrida fornace abbagliante e sorniona.

    La stanza in cui viveva gran parte del proprio tempo sapeva di acqua di colonia da barbiere della stazione ferroviaria e di caffè lungo e annacquato; le pareti, giuro che c’erano, erano ormai sparite sotto scaffali di libri, scatole e soprammobili, recuperati da chissà quale posto, luogo o museo. Le tracce dell’ultimo, o penultimo trasloco erano ancora lì, nei pacchi imballati e siglati BL, che attendevano di essere rimessi in vita.

    L’unico contatto con il mondo esterno era un vecchio telefono, nero, in bachelite, appoggiato sopra una Bibbia del XIII secolo, acquistata in un bazar di Istanbul, ed una pila di Rolling Stone vecchi e nuovi.

    L’odore della motocicletta, ostinatamente parcheggiata nell’anticamera, era quello di un grosso cane costretto in una piccola casa; l’olio e il retrogusto di benzina facevano l’amore in modo nervoso e depresso con l’aroma del caffè americano appena preparato. La tazza, profonda e stretta, era passata dall’ultimo piano di una Brixton beat ad un tavolino di Kartell di seconda mano, a fianco di un busto di Cesare Augusto: ovviamente non che una copia ottocentesca.

    La luce, snob e disinteressata, filtrava da una piccola finestra quadrata dal vetro opaco e sudicio posta al di sopra della vecchia scrivania in laminato beige, regalo di laurea dei genitori; dietro le inferriate si intravvedeva il cotto della facciata di un grande capannone, da tempo pieno di graffiti e di vecchi manifesti incrostati.

    Sommerso sotto gli antichi poster-catalogo dei vecchi tatuatori da cargo, che lo avevano ospitato per quasi un lustro al porto di Marsiglia, immobile e sfatto, un letto datogli in comodato d’uso dalla padrona di casa di Ferrara, giaciglio improvvisato delle notti passate a sonnecchiare tra un’indagine e l’altra.

    Appoggiata alla parete di fondo, di fianco alla porta dal vetro smerigliato, una vecchia Taurus dai freni a bacchetta, con la sella in cuoio scuro e le ruote bordate di bianco. Alcuni anni prima, sulla sella, un allevatore di cavalli, di un paesino della Brianza, aveva marchiato a fuoco la sigla BL.

    Il primo sorso di caffè era forse l’attimo unico e più interessante della giornata che ancora doveva venire. Quell’odore caldo e saporito, il calore della tazza sul palmo delle mani era il relax, la meditazione prima dell’alba; gli occhi fissi sui documenti e sulle cartelle recuperate dal seminterrato-archivio gli fecero però tornare alla mente che l’inseguimento era ricominciato: dopo giorni di silenzio, quel rumore, che prendeva la forma della paura e dell’eccitazione, era di nuovo reale.

    1 – Lo sguardo meraviglioso

    Alle 6 del mattino, il silenzio della città e il solo rumore delle auto che passano rassegnate, rendono il risveglio immediato e spontaneo.

    Il calore prodotto da una piccola stufa posta all’angolo della scrivania, generava nella stanza quadrata la giusta temperatura vitale per iniziare una giornata che, di fatto, non era mai terminata dalla mattina precedente.

    Il cartiglio disposto disordinatamente sulla scrivania tra una vecchia Olivetti e un nuovissimo Mac assumeva l’importanza del primo attore davanti ad una quinta variopinta; il giallo triste e un po’ nerd della cartellina porta-documenti contrastava con il grigio metallico del computer e della vecchia macchina da ufficio, assumendo una certa singolarità, e, in un certo senso, una sua dignità.

    All’improvviso il suono del vecchio telefono anni trenta tagliò in due la concentrata e assorta atmosfera dello studio. Per afferrare il telefono Benoit si sporse a tal punto che le rotelline della vecchia sedia ruotarono su se stesse facendo scattare di colpo la seduta all’indietro; Benoit era al tappeto, il telefono insisteva e il caffè iniziava a gocciolare dalla scrivania, segno incontrovertibile che il disastro si era propagato ben oltre il fondoschiena dell’investigatore.

    -Seh!?? – Riuscì a rispondere, dolorante guardando il casino che era esploso.

    Socchiuse gli occhi alzandoli leggermente al cielo, assottigliando le labbra e massaggiandosi la fronte corrugata con l’indice destro.

    -Benoit!...Sei sveglio!?

    Silvio Russo era da tempo il suo amico più caro, e da sempre era il suo compagno di investigazioni. Spesso però la loro amicizia era intervallata da lunghe pause di riflessione, come se la stessa persona, ad intervalli irregolari, si sdoppiasse e vivesse due vite diverse; ogni tanto pareva che i due gemelli siamesi si prendessero una pausa, si staccassero dall’arto in comune salutandosi con una pacca sull’unica spalla non comune e prendessero direzioni diverse.

    Quello, fino a quel momento, era stato uno di quei felici periodi sabbatici.

    - Beh…si, sono sveglio e tu?... – La domanda era ovviamente ironica ma Silvio, figlio di ingegneri e egli stesso quasi ingegnere non capiva l’ironia inglese ad intermittenza di Benoit e, a dire il vero, l’ironia degli altri.

    - Certo…altrimenti non ti telefonerei – Disse quasi scocciato – Senti, è successo ancora, il nostro amico ha lasciato un altro timbro… -

    - Dove? – Chiese Benoit, che sapeva già da tempo che l’inseguimento sarebbe ricominciato.

    - Troviamoci in via Contrari….C’è un posto dove riciclano la roba, non in senso criminoso ma la rimettono in sesto e la rivendono…sono ragazzi ma mi sembrano in regola….-

    - Dammi venti minuti e sono lì… - La telefonata si interruppe mentre alla radio Mick cantava Simpathy for the devil.

    Via dei Contrari era una delle strade più antiche della città; situata alle spalle della grande cattedrale, a fianco della scuola di S.Grispino, durante le deportazioni della Seconda Guerra mondiale, divenne uno dei cinque cancelli che, tagliarono fuori il ghetto ebraico dalla restante cittadinanza. Da tempo la via rappresentava per Ferrara uno dei fiori all’occhiello per i raduni di studenti e studentesse, per gli aperitivi e per i piccoli e ricchi negozi che andavano orgogliosi a braccetto con il pizzicagnolo, il piccolo bottegaio rionale, e il piccolo panettiere con il grembiule e le maniche della camicia arrotolate.

    Silvio attendeva forse da più di venti minuti; aveva l’aria rassegnata, una giacca di una taglia più grande, una camicia non stirata e un paio di pantaloni marroni eleganti sopra un paio di vecchie Adidas da corsa grazie a cui tutto il look veniva tramutato da trascurato retrò, a ricercato un po’ mitteleuropeo.

    - Che hai fatto Ben? Hai l’aria distrutta… -

    - Devo parlare di te Silvio?... Che succede? Sono le otto, non ho dormito, ho finito le calze pulite e le uniche cose che ho le ho da due giorni perché sono rimasto in studio a lavorare sui timbri che uno psicopatico ci lascia da tre anni in giro per l’Europa…sapevo che Ferrara era il posto giusto…ma non sapevo che dopo tre anni ti saresti fatto vivo oggi alle 6 del mattino causandomi una sincope….Ho vomitato e ho la bronchite...-

    Silvio guardava Ben, annuiva, e si passava l’indice sinistro lungo tutto l’arco del naso.

    - Si vede e si sente…Non sarà che Lui sapeva che eri qui?-

    I due si trovarono davanti ad un negozio dalle vetrine moderne, ampie, curate e pulite.

    In primo piano una bicicletta a scattofisso, fresca e verniciata con colori appariscenti, ruote e copertoni colorati, t-shirt, pantaloni e scarpe identiche a quelle che Ben portava ormai da vent’anni, orologi vecchi, vecchie macchine da cucire Necchi e Singer. Sembrava una succursale dell’Angelo Vintage Shop situato da qualche parte in Romagna. O di qualche store di Carnaby Street.

    Due ragazzi giovani che avevano almeno la metà degli anni di Ben.

    Look figo e curato alle prese con un paio di pantaloni da ricucire e con un colletto di una camicia, facevano roteare il mulinello delle macchine a pedale con la stessa nonchalance dei sarti delle vie più inn di Orléans.

    I Detective entrarono. All’interno si respirava un profumo intenso di legno misto cedro, mescolato all’odore di indumenti lavati di fresco e a qualche profumo per ambienti di prima classe.

    Lo Shop era diviso in due stanze, più o meno di uguali dimensioni; l’entrata dava sullo store vero e proprio. Alle pareti moderni espositori, naìf e colorati, da cui pendevano camice, t-shirt, jeans stretti e avvitati dai lavaggi più strani. Scritte, stampe di squadre di football o di basket, occhiali e orologi; agli angoli trovavano ancora spazio vecchie Vans e vecchie sneakers, che un tempo erano semplici scarpe da tennis da portare masticando caucciù e controllando l’ora di tanto in tanto su un Casio, che i più ricchi possedevano con l’optional della calcolatrice.

    La non giovane età dei detective, e meglio il look, o luc, bizzarro e un po’ border town , destarono subito la curiosità dei due sarti, titolari, simili più a due diggei glamour newyorkesi che ai nonni di Lazarre impegnati, tutto il giorno, a cucire abiti su misura; di certo l’impatto, un po’ imbrillantinato, con questi due modelli di MTV fu strano.

    - Ciao!...Cosa possiamo fare per voi? -

    Il tono del giovane era gentile, confidenziale e per bene, quasi come un dopobarba di marca.

    - Niente male qui!...- disse Ben per acquisire confidenza e per avviare il discorso – è nuovo vero? Prima c’era qualcos’altro? –

    - Non so…abbiamo deciso di aprire questo store per mettere in pratica le nostre idee e fare gli abiti come piacciono a noi… -il ragazzo era gentile…pareva nuovo del settore commerciale ma anche affabile al punto da dare il giusto tono di confidenza e professionalità. – Gesticolava come uno spacciatore nero di Harlem.

    - Bello qui…a Londra di posti come questi, così mescolati e così intrecciati ce ne sono tantissimi, qui a Ferrara forse no…anche se ultimamente vedo che la tendenza street è sempre più apprezzata…come quelle bici che non fanno zzzzzzz..-

    - A scatto fisso vuoi dire? Si quelle bici che…non fanno zzzz...In realtà sembrano una cosa nuova ma è da tempo che in europa circolano per le strade…sai qui siamo sempre un po’ chiusi… -

    - Vero ma…Qui che fate?... – Silvio rivolgeva le domande con un tono inquisitorio, quasi da poliziotto: del resto venticinque anni alla polizia di stato inglese, lo avevano in qualche modo condizionato.

    - Qui prendiamo le cose usate, abiti, scarpe e accessori e cerchiamo di rimetterli in riga, ridargli un perché, rimetterli al passo col tempo…è come rispolverare i vecchi dischi rispettandoli e senza sconvolgere il loro tessuto culturale. –

    - Si qui ci divertiamo lavorando su quello che ci portano, sugli abiti; rimettiamo in carreggiata le camicie, le braghe, i berretti e le magliette. Viene dalla nostra passione per il vintage, che qui si trasforma in prodotto di sartoria. –

    Pareva quasi ci credesse….E forse era così. Curiosando con gli occhi, Ben, si sporse e venne colpito di sorpresa dalla presenza ieratica di un quadro, appeso alla parete della stanza delle macchine da cucire…Era lui…

    - Quello?... – Il ragazzo con la barba guardò prima Silvio e poi Benoit… -Quello?...Stiamo aspettando un investigatore che abbiamo contattato…di fatto è una storia strana.-

    -Ovvero? –

    -Beh, non so se possiamo…Noi…-

    - Gli investigatori siamo Noi ragazzo! – Affermò Silvio con fare poliziesco e un po’ di boria!"

    -Voi siete l’investigatore Lazarre? – Chiese, forse più stupito da Silvio che della presenza del nome del noto investigatore di origini marsigliesi.

    - Sono io, piacere, Benoit! –

    - Uau, il famoso Benoit Lazarre in persona!!, era una vita che volevamo conoscerti, abbiamo tanto sentito parlare di te….-

    - Io sono Russo, investigatore pure io…Avete contattato me per la precisione….-

    Ben guardò Silvio senta mutare espressione, le rughe attorno alla sua bocca si contraerono leggermente ma Ben restò in silenzio; Silvio sapeva capire e capì che l’importanza era un’altra…

    - Veniamo a quello….Veniamo al quadro.. – Ben tagliò corto.

    Sulla parete di fondo della stanza del cucito campeggiava una tela che raffigurava il viso di una donna dallo sguardo magnetico, assorto, e dagli occhi leggermente malinconici ma molto vivi.

    La tela non era dipinta dalla mano di un artista, ma si trattava di un’immagine stampata e applicata; i tratti di colore, di usura e del trascorrere del tempo erano caratterizzati dalla sovrapposizione delicata e consapevole di diversi strati di carta, stoffa e pellicole sapientemente distribuite, al fine di esaltare il meraviglioso viso di donna. Volto carico di fascino, mistero e luce.

    - Quest’opera è pazzesca… - Disse Silvio quasi in estasi.

    Di fatto, Ben, pensò che di una donna così si sarebbe potuto innamorare pure lui. L’attrazione che generava quello sguardo risultava difficile da sviscerare.

    - Beh, ammetto che è davvero meravigliosa, ma è anche il motivo per cui vi abbiamo chiamati…-

    - Come è arrivata a voi? –

    Il ragazzo era colpito veramente; aveva in mano ago e filo e, al pollice, indossava un ditale da sarto per evitare di pungersi durante il rammendo o le orlature.

    - Sinceramente. – Si massaggiava la nuca con le nocche - Ieri notte è scattato l’allarme e sono intervenute le guardie. Dopo poco siamo arrivati anche noi ma le serrature erano intatte e chiuse dall’interno. Non sappiamo come sia stato possibile. Abbiamo dovuto chiamare i vigili del fuoco che hanno aperto di forza le saracinesche. I periti dell’assicurazione han detto che non c’era né segno di scasso, né altre impronte se non le nostre….Lo store era completamente al buio, erano state disattivate anche le luci di emergenza… L’unico faro acceso prendeva elettricità da un collegamento volante fatto con l’impianto dell’altro negozio grazie a quello scasso nel muro fatto con precisione e perizia assoluta, in modo tale che nessuno potesse farsi male….Siamo come dire…Allibiti…Il faro illuminava solo il quadro….Ah c’era anche questo…Un biglietto…Le iniziali del biglietto BL…Sono le sue Benoit…-

    Il ragazzo era passato dal tu iniziale ad un lei, forse di circostanza, forse professionale…

    In ogni modo Benoit sentiva l’elettricità che friggeva le vene e i nervi proprio come la prima volta.

    Dove avrebbe portato questa volta il primo, sicuramente, di una lunga catena di indizi?, era il dubbio che scuoteva Benoit di frizzante inquietudine, mentre Silvio era scosso soprattutto dal desiderio di una sana ed abbondante colazione.

    2 - Alle spalle un respiro, quasi rassegnato, sommesso e nervoso

    E’ stato in assoluto il primo luogo che ho visitato dopo il mio arrivo in città.

    Ogni volta che riflessioni, pensieri e guardafisso, mi colgono mi precipito qui dove, tra il silenzio e gli sguardi muti degli assenti ritrovo il filo, funambolico, del presente.

    Gli occhi ammalianti, stucchevoli e meravigliosi, della donna nel quadro erano uno dei regali più estasianti che l’osservatore silente avesse fatto in quasi dieci anni di inseguimenti, indagini e mistificazioni: inganni.

    Le linee severe del monumento funebre di Boldini, il mattone rosso nel contrasto magnifico del marmo bagnato dalla pioggia, erano quanto di più l’avanguardia ferrarese aveva lasciato ai suoi distratti cittadini, persi tra gli aperitivi e tra le loro fiacche arti.

    La certosa, maestosa, silente e sicura, era assorta ad ascoltare il rumore ed il ticchettio che la pioggia produceva, sui tetti in lamiera delle cappelle di famiglia, sui rami e sulle grondaie arrugginite, penzolanti dagli spioventi malmessi ed antichi del claustro grande.

    Avevo lasciato Silvio a sbrigare qualche antipatica pratica in città; gli avevo chiesto di capire di chi fosse l’opera lasciata dal nostro ammiratore, se c’erano state denunce di furto o di smarrimento da parte di qualche gallerista o da parte di qualche pittore. Gli avevo detto che per qualsiasi cosa mi trovavo tra i monumenti più antichi della Certosa. Dopo una veloce frugata nelle tasche, più per scaramanzia che per cercare qualcosa, Silvio mi guardava e, senza proferire parola, si avviava verso la pinacoteca per incontrare qualcuno che, come diceva lui, sapeva di arte.

    Passeggio all’aperto, tra i cipressi e cinici tumuli di fosse appena scavate. La coppola a scacchi che mio padre mi aveva regalato prima di lasciare Orléans era ormai consunta e fradicia; la giacca, verde militare comprata al mercato di San Lorenzo a Firenze da mio nonno, prima di trasferirsi per sempre a Roma, era ormai scura e madida di pioggia.

    Mi riparo sotto i portici e continuo a camminare assorto tra le famiglie abbienti di Ferrara che, gomito a gomito, riposano al fianco delle sfingi e delle muse che custodiscono i

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