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Santi, perdenti e vaffa
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E-book160 pagine2 ore

Santi, perdenti e vaffa

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Info su questo ebook

L’umorismo cinico e disilluso di un insegnante di musica di scuola media - “La ragazza si alzò in piedi di scatto quasi rovesciando il banco. Dopo una breve pausa, come volesse prendere fiato, scandì sibilando una bestemmia. E lo fece in un soffio rabbioso, con i denti stretti e le labbra stirate”
LinguaItaliano
Data di uscita20 mar 2016
ISBN9788892575011
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    Anteprima del libro

    Santi, perdenti e vaffa - Enrico Busani

    Enrico Busani

    SANTI, PERDENTI E VAFFA

    UUID: 5203b34c-9dc5-11e6-90fc-0f7870795abd

    Questo libro è stato realizzato con StreetLib Write (http://write.streetlib.com)

    un prodotto di Simplicissimus Book Farm

    Ringraziamenti

    Grazie a Chiara Borgonovi e Mauro Martello per i preziosi consigli

    Grazie ai miei amici di Facebook, che con il loro apprezzamento ad alcuni miei post di cronache ciclistiche autobiografiche e semiserie mi hanno dato la fiducia necessaria a cimentarmi nella narrativa

    Grazie a Monica, Lorenzo e Valeria per la pazienza ed il sostegno

    Utilizzando alcuni racconti del libro è stato realizzato lo spettacolo teatrale

    LECTIO BREVIS

    Musiche di Mauro Martello

    Regia di Chiara Borgonovi

    Quest'opera è protetta

    dalle leggi sul diritto d'autore

    È vietata ogni duplicazione,

    anche parziale, non autorizzata

    L'opera è frutto di pura fantasia

    Ogni riferimento a persone o situazioni reali

    è del tutto casuale

    A Matteo Santi

    un docente, un amico

    SANTI, PERDENTI E VAFFA

    (quadri satirici sulla scuola italiana)

    PREFAZIONE

    LOTTA DI CLASSE

    La bestemmia

    Ilarità

    L'intervallo

    La supplenza

    Perfidia

    Il bambino dipinto

    Causa - Effetto

    UOMINI E TOPI

    Lucio Di Paola (di professione docente universitario)

    Oreste

    Preside Foddu

    Il patto col diavolo

    Un tipo un po' angosciato

    La professoressa di lettere Clelia Menconi

    IN GIOVENTÙ...

    Il fenomeno

    Virginia Schültz

    L'esame

    Amore sfortunato

    La verifica

    IL MESTIERE PIÙ BELLO

    Fare lezione oggi? Non facile

    Il colloquio

    Le due categorie (ovvero: Il convivio)

    Il meglio e il peggio

    A volte capitano giornate così

    Un mestiere a 5 stelle

    Prefazione

    Matteo Santi è stato un mio amico. Un mio caro amico. Ha insegnato musica nelle scuole medie per quasi trent'anni.

    Non più di sei mesi fa, per le conseguenze di un grave incidente stradale, perse la vita. Su richiesta della madre, 93 anni compiuti proprio in questi giorni, mi fu consegnato un quaderno manoscritto contenente ventiquattro racconti, divisi in quattro sezioni, tutti sul mondo della scuola e tutti da lui narrati in prima persona.

    All'inizio non mi fu chiaro che ci volesse fare. Mano a mano che procedevo con la lettura mi convinsi che in realtà avesse in mente un progetto preciso. Da grandissimo amante del teatro qual era e dal suo frequente rivolgersi in quei testi ad un pubblico immaginario, pensai che forse andasse accarezzando l’idea di ricavarne un monologo da portare sul palcoscenico, magari intervallato da musiche che lui stesso avrebbe eseguito con il suo tanto amato Muramatsu d’argento.

    È per questo che arrivai alla decisione di realizzare il libro per lui. Chissà che qualche regista, mi dissi, non ne venga a conoscenza e decida di ricavarne uno spettacolo.

    Materiale autobiografico? Sinceramente non saprei dire. A me è risultato tutto nuovo, ma questo non significa gran che: Matteo era sempre piuttosto riservato quando si trattava di parlare di sé, e soprattutto del proprio lavoro. Comunque stiano le cose, ho ritenuto opportuno cambiare nomi e luoghi: rispetto all'ambientazione originale ho scelto la provincia di Venezia, che conosco bene. Nient'altro oltre a questo ho fatto, se non ritoccare e aggiustare il linguaggio qua e là: il testo originale era ben più denso di colorito turpiloquio (tratto inconfondibile del modo di esprimersi del mio amico) e temevo che questo potesse rappresentare un ostacolo per la pubblicazione.

    Un'ultima cosa. La mamma di Matteo ha voluto che sul libro figurasse solo il mio nome, immagino riuscendole oltre modo fonte d’angoscia pensare al proprio figlio come autore di una pubblicazione postuma. Confesso che questo mi imbarazza più che mai perché, a parte gli interventi del tutto marginali a cui accennavo prima, nient'altro ho fatto se non trovare l'editore, decidere il titolo (a quello veramente ci ha pensato mia moglie) e curare i dettagli della pubblicazione. Comunque sia, ora che tutto il lavoro è finito posso dire di essere soddisfatto di ciò che ho contribuito a realizzare. Soprattutto mi conforta la speranza che il libro renda giustizia alla memoria di Matteo, al suo irresistibile umorismo, al suo modo disincantato e amaro di guardare alle cose della scuola e della vita.

    Mestre, 5 febbraio 2016

    Enrico Busani

    - LOTTA DI CLASSE -

    La bestemmia

    Ci sono insegnanti che, per ragioni che non sto qui ad indagare, sono portati a disprezzare il proprio lavoro. E scendono giù giù lungo la china fino ad arrivare a disprezzare anche i propri alunni.

    Grave errore.

    Esiste un detto nel mondo del vecchio west: Quando un uomo con il fucile incontra un uomo con la pistola, l'uomo con la pistola è un uomo morto.

    Ed esiste un altro detto fra nerd e hacker: Quando un uomo con la tastiera incontra un uomo con il mouse, l'uomo con il mouse è un uomo morto.

    E fra noi vecchie meretrici dell'istruzione esiste un altro detto ancora: Quando un alunno incontra un insegnante che lo disprezza, l'insegnante è un uomo morto.

    Non so cosa pensiate di queste analogie (a me paiono una figata). Quel ch'è certo è che esiste un punto fermo: gli uomini che portano pistole, mouse e disprezzo sono destinati a soccombere.

    Quindi, regola n° 1: quando vi accorgete che state cominciando a disprezzare i vostri alunni... cambiate mestiere. Subito. Se pensate che sia una cosa momentanea, mettetevi in malattia finché non vi passa. E anche questo fatelo subito.

    Ah... importante: non c'è niente che possiate fare per celare questo vostro sentimento. Gli alunni in quanto a percezione del disprezzo altrui possiedono una sensibilità del tutto particolare. Basta uno sguardo, oppure il tono della voce, o che traspaia per una frazione di secondo dall'angolo della vostra bocca un impercettibile smorfia di disgusto... Se questo succede siete finiti. Finiti nel senso di conclusi, zero, stop, fine del viaggio…

    Credete non sia così, che stia esagerando? Col rischio di sembrarvi didascalico e saccente, voglio spiegarvi una cosa. A certi alunni delle medie, quelli ad esempio con situazioni familiari da mille e una notte, della scuola non gliene frega nulla. Ci vengono soltanto perché se no i genitori rompono le palle, ai quali genitori se no i servizi sociali rompono le palle. Così quando questi personaggi sentono che un docente li disprezza reagiscono, come dire, piuttosto male. E hanno tutti gli strumenti per spingere l'insegnante, come dire, a disprezzare la vita (leggasi: esaurimento nervoso, depressione, burn out... chiamatela un po' come vi pare).

    Ma veniamo al nocciolo di questo racconto.

    C'era un mio collega che, avendo per l'appunto sbagliato mestiere (ma di che avrebbe voluto fare nella vita in realtà nessuno aveva idea, e penso nemmeno lui...), i suoi alunni li disprezzava con tutto se stesso, e dal primo all'ultimo. La sua fortuna era che la scuola si trovava in una specie di Arcadia dell'istruzione, e cioè in un agreste paesino dai contorni bucolici come in Italia non ce ne sono più da almeno sessant'anni, dove se un ragazzo tornava a casa parlando male di un professore se le buscava prima dalle mani della mamma sulla faccia e poi dagli scarponi da lavoro del papà sulle chiappe.

    Però... c'era un però.

    Nella classe del prof. quell’anno era arrivata non si sa da dove una ragazza che tutto aveva meno che radici contadine. Padre non pervenuto. Madre mai vista seppur convocata più volte. Ragazza totalmente indifferente a quello che le dicevano gli insegnanti, e anche a quello che accadeva in classe, ai compagni stessi... da un certo punto in poi aveva cominciato a diventare anche più apatica e abulica negli atteggiamenti, e a presentarsi in classe la mattina via via più scarmigliata e gonfia in faccia. Insomma: un disastro disastroso.

    Figuriamoci il collega! Il disprezzo, che prima provava senza parzialità verso tutti indistintamente, ora si andava sedimentando sulla ragazza giorno dopo giorno dopo giorno dopo giorno sempre più intenso e rancoroso. L'alunna, dal canto suo, mostrava di non soffrirne, tanto e tale era il suo distacco dalle cose del mondo (almeno del mondo della scuola; si sarebbe scoperto anni dopo che, ahi lei, un mondo che l'interessasse ce l'aveva...)

    Quel giorno il prof. aveva appena detto alla classe di svolgere l'esercizio n° 3 di pag. 214. Riesco ad essere così preciso perché ci lavoravo in compresenza come docente di sostegno, e proprio in quel momento mi trovavo seduto a fianco del collega. Dalla cattedra la classe offriva un bel colpo d'occhio, con tutti gli alunni impegnati e le capoccette chine sui quaderni. Tutti meno lei. Che invece, nulla di diverso dal solito, aveva lo sguardo rivolto verso le finestre e, mi ci sarei giocato le biglie, stava pensando agli affaracci suoi. O forse non pensava a niente e semplicemente aspettava che il tempo passasse.

    Il collega ad un certo punto sbottò.

    E tu? (non gli riusciva proprio di chiamarla per nome o per cognome) Batti la fiacca come al solito?

    La ragazza gli rivolse uno sguardo assente. Poi si girò di nuovo verso le finestre.

    Ehi! Non vedi che sto parlando con te? Ti ho fatto una domanda precisa; anche stamattina hai deciso di dormire in classe? Rispondi!

    La ragazza continuava a guardare oltre le finestre.

    Il collega trasudava furore.

    Insomma! Guardami! Maleducata che non sei altro. Quando uno ti parla lo devi guardare in faccia! Passi non venire ai colloqui con noi, ma guarda un po' che bel lavoro ha fatto con te tua mamma! Complimenti, complimenti alla signora, davvero!

    Alla parola mamma la ragazza era trasalita e ora guardava fisso l'insegnante.

    Beh, ce l'hai la lingua oppure no? A dire qualche parola almeno t'ha insegnato tua mamma?

    E qui la ragazza si alzò in piedi di scatto quasi rovesciando il banco. Dopo una breve pausa, come volesse prendere fiato, scandì sibilando una bestemmia. E lo fece in un soffio rabbioso, a denti stretti e labbra stirate.

    Potevo immaginare che alunni maschi della scuola bestemmiassero fra loro, come intercalare tipico del mondo contadino appreso dai padri e dai nonni. Ma che una bestemmia fosse pronunciata davanti ad un insegnante e rivolta all'insegnante medesimo... No, questo proprio credo non fosse mai accaduto. Almeno a memoria d'uomo.

    Della terribile imprecazione non si era disperso il crepitio nell'aria, e l'acre odore della polvere da sparo ancora ci faceva arricciare il naso, che la ragazza si sedette, e sembrava aver riacquistato di colpo l'espressione assente di prima, lo sguardo perduto su di un punto indefinito al di là delle finestre.

    Il collega era rimasto impietrito. Lo guardavo con la coda dell'occhio e sembrava neanche respirasse.

    Passarono ancora alcuni istanti, poi mi chiese se potevo dare un'occhiata alla classe. Uscì e non lo vidi per tutto il resto della mattinata.

    Di come finì la faccenda so alcune cose. So che il collega non prese alcun provvedimento: non una nota sul libretto,

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