Le cose belle che non si dicono
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Info su questo ebook
Attraverso una coinvolgente narrazione in prima persona, accompagnata anche da flashback, l’autrice ci conduce nel vivo dei pensieri e delle vicende della protagonista, e i lettori non possono fare a meno d’immedesimarsi e di tifare per lei, tra una riflessione e un sorriso.
Michela Coturri è nata nel 1993 in un piccolo paesino della Toscana, dove vive.
Appassionata fin da piccola di scrittura e romanzi, dopo un paio di collaborazioni con giornali online, dove si occupa di moda e trend del momento, diventa autrice della sua prima raccolta di pensieri e poesie Una teglia d’amore (2022). Le cose belle che non si dicono è il suo romanzo d’esordio.
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Anteprima del libro
Le cose belle che non si dicono - Michela Coturri
Michela Coturri
LE COSE BELLE
CHE NON SI DICONO
© 2022 Gruppo Albatros Il Filo S.r.l., Roma
www.gruppoalbatros.com - info@gruppoalbatros.com
ISBN 978-88-306-7477-6
I edizione aprile 2023
Finito di stampare nel mese di aprile 2023
presso Rotomail Italia S.p.A. - Vignate (MI)
Distribuzione per le librerie Messaggerie Libri Spa
LE COSE BELLE CHE NON SI DICONO
Dedicato a mio padre, alle cose belle che non ho detto, e a quelle che scriverò non essendo più in tempo a pronunciarle.
Prefazione di Barbara Alberti
Il prof. Robin Ian Dunbar, antropologo inglese, si è scomodato a fare una ricerca su quanti amici possa davvero contare un essere umano. Il numero è risultato molto molto limitato. Ma il professore ha dimenticato i libri, limitati solo dalla durata della vita umana.
È lui l’unico amante, il libro. L’unico confidente che non tradisce, né abbandona. Mi disse un amico, lettore instancabile: Avrò tutte le vite che riuscirò a leggere. Sarò tutti i personaggi che vorrò essere.
Il libro offre due beni contrastanti, che in esso si fondono: ci trovi te stesso e insieme una tregua dall’identità. Meglio di tutti l’ha detto Emily Dickinson nei suoi versi più famosi
Non esiste un vascello come un libro
per portarci in terre lontane
né corsieri come una pagina
di poesia che s’impenna.
Questa traversata la può fare anche un povero,
tanto è frugale il carro dell’anima
(Trad. Ginevra Bompiani).
A volte, in preda a sentimenti non condivisi ti chiedi se sei pazzo, trovi futili e colpevoli le tue visioni che non assurgono alla dignità di fatto, e non osi confessarle a nessuno, tanto ti sembrano assurde.
Ma un giorno puoi ritrovarle in un romanzo. Qualcun altro si è confessato per te, magari in un tempo lontano. Solo, a tu per tu con la pagina, hai il diritto di essere totale. Il libro è il più soave grimaldello per entrare nella realtà. È la traduzione di un sogno.
Ai miei tempi, da adolescenti eravamo costretti a leggere di nascosto, per la maggior parte i libri di casa erano severamente vietati ai ragazzi. Shakespeare per primo, perfino Fogazzaro era sospetto, Ovidio poi da punizione corporale. Erano permessi solo Collodi, Lo Struwwelpeter, il London canino e le vite dei santi.
Una vigilia di Natale mio cugino fu beccato in soffitta, rintanato a leggere in segreto il più proibito fra i proibiti, L’amante di lady Chatterley. Con ignominia fu escluso dai regali e dal cenone. Lo incontrai in corridoio per nulla mortificato, anzi tutto spavaldo, e un po’ più grosso del solito. Aprì la giacca, dentro aveva nascosto i 4 volumi di Guerra e pace, e mi disse: Che me ne frega, a me del cenone. Io, quest’anno, faccio il Natale dai Rostov
.
Sono amici pazienti, i libri, ci aspettano in piedi, di schiena negli scaffali tutta la vita, sono capaci di aspettare all’infinito che tu li prenda in mano. Ognuno di noi ama i suoi scrittori come parenti, ma anche alcuni traduttori, o autori di prefazioni che ci iniziano al mistero di un’altra lingua, di un altro mondo.
Certe voci ci definiscono quanto quelle con cui parliamo ogni giorno, se non di più. E non ci bastano mai. Quando se ne aggiungono altre è un dono inatteso da non lasciarsi sfuggire.
Questo è l’animo col quale Albatros ci offre la sua collana Nuove voci, una selezione di nuovi autori italiani, punto di riferimento per il lettore navigante, un braccio legato all’albero maestro per via delle sirene, l’altro sopra gli occhi a godersi la vastità dell’orizzonte. L’editore, che è l’artefice del viaggio, vi propone la collana di scrittori emergenti più premiata dell’editoria italiana. E se non credete ai premi potete credere ai lettori, grazie ai quali la collana è fra le più vendute. Nel mare delle parole scritte per esser lette, ci incontreremo di nuovo con altri ricordi, altre rotte. Altre voci, altre stanze.
Certi amori, alla fine, o te li sposi o ci scrivi un libro; io ho scelto la seconda.
Sono le undici di un giovedì mattina e sul terrazzo di casa nuova c’è un sole alto e splendente, ho comprato casa da un mese, grande passo, ricordo ancora quel giorno dal notaio in cui mi tremava la mano per la firma, l’arredamento etnico chic si sposa perfettamente con il mio carattere, la libreria raccoglie libri di narrativa misti a tarocchi sibille, oracoli, una pentasfera e diversi cristalli. Sì, leggo i tarocchi, croce e delizia saper leggere il futuro. Il caffè è schiumoso al punto giusto e, ammettiamolo, c’è tutto un gusto particolare nello stare in mutande sul terrazzo con le gambe poggiate sulla ringhiera, ho quindici minuti di pausa e ho intenzione di godermeli tutti, da qui una vista che dà direttamente su un prato immenso, una signora porta a bere il suo cavallo e il vicino accanto taglia l’erba, ogni volta mi fa venire in mente quando ero piccola e sedevo sul terrazzo con mia nonna, l’odore di erba tagliata, il nostro tè caldo e le nostre chiacchiere, era una donna severa ma dolce, aveva le sue idee, sicuramente molto vecchio stampo, ogni tanto ripenso alle volte in cui la facevo arrabbiare e mi scappa un sorriso.
Il mio non è un lavoro difficile alla fine, si tratta solo di ripetere le stesse frasi più o meno convincenti per diverse centinaia di volte al giorno, un po’ ripetitivo, ma ha dei punti a favore: mi hanno appena rinnovato il contratto e la cartomante me lo aveva preannunciato, per un altro mese posso ritenermi a posto, guai a sperare in qualcosa di più stabile di questi tempi, credo sia più facile sperare di essere portata in salvo da un unicorno volante.
Cazzo, la pausa è superata di due minuti, finisco alle quattordici e sono ancora a due appuntamenti presi sui soliti sei richiesti, non male, niente più caffè sul balcone, mi distrae troppo.
Appena finito dovrò farmi la doccia, truccarmi, cercare di farmi una pseudo piega alla frangia e fare benzina, tutto ciò cercando di non maledirmi a ogni passo, devo raggiungere Debora per un giro in centro. È la mia miglior amica, la mia spalla, ci siamo conosciute anni fa e non ci siamo più separate, eravamo parte di un gruppo, poi abbiamo litigato e siamo rimaste sole, le superstiti; quando l’ho conosciuta parlava poco era timida, sempre con i maglioni larghi, adesso è meravigliosa, è stato bellissimo vederla crescere.
Ancora due minuti di chiamate e per oggi è finita, ce la posso fare, le prime due ore passano abbastanza in fretta, le ultime, quando ormai sei stanca, molto meno.
«Signorì, non mi serve niente» mi liquida così l’ultima signora con cui parlo dopo nemmeno dieci secondi e nemmeno la prima frase pronunciata per intero, ho chiuso a tre appuntamenti presi, il che vuol dire che sto abbassando la media mensile e mi sentirò sgridare di nuovo, è frustrante non arrivare al minimo stabilito ogni volta.
Chiudo il PC, stacco il mouse e attorciglio le cuffie in quello che sembra un groviglio senza senso e infilo tutto nella custodia, mi sciolgo i capelli e mi dirigo verso la mia nuovissima colonna doccia massaggiante di bambù con getti a cascata, comprata ieri, chissà se riuscirò a capire come selezionare l’acqua calda.
Non trovo mai il pennello del fondotinta e questo correttore non copre abbastanza, cazzo quanto è tardi, ma questa cellulite? Tra poco è estate e io dovrò mostrarmi al mondo con questo fisico, chissà se nascere donna presuppone che ci siano anche queste paranoie per forza, ci penso mentre mi infilo i jeans e penso all’ennesima dieta fallita lo scorso mese, ci provo sempre ma fallisco miseramente dopo qualche giorno di cibo salutare, trovo ogni scusa vagamente plausibile: la giornata al lavoro andata male, una litigata con qualcuno, la vita che non mi dà quello che chiedo, che poi quando sono nata avrebbero voluto un maschio, forse tutto sarebbe stato più semplice, anche per me.
Mia mamma mi vestiva da maschio, la mia patata non voleva proprio accettarla, l’assenza di un pene in casa mia era pesato parecchio, pensa se per punizione mi avesse chiamata Penelope, azzeccato tra l’altro, a proposito di pene, quanto è tardi per vedere un porno?
Sì, questa cosa che le donne non guardano i porno è decisamente una cavolata.
Debora mi ucciderà, il porno può aspettare, prendo le chiavi e il telefono, chiudo la porta, tre mandate, scendo le scale e salgo in macchina.
Giro la manovella del finestrino, fa già così caldo di giorno, quanto ci mette questo cancello automatico? Semaforo, alla radio parlano di un cantante mai sentito, almeno da me, cavolo son già così vecchia? Per un attimo lo penso, scorrendo tra le canzoni, spengo la radio, ho imparato a non pensarci, a non pensarlo, almeno non così spesso.
Parcheggio, torno indietro almeno due volte a controllare di aver chiuso la macchina, eccola.
È già scazzata, pensa se perdessi tempo a guardare il porno, mi dico fra me e me. ’È accostata