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Per un’infinità di motivi
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Per un’infinità di motivi
E-book112 pagine1 ora

Per un’infinità di motivi

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Info su questo ebook

"Scrivo per un’infinità di motivi" sono le parole di Fenoglio che ispirano questa storia. Costruita a partire da un fatto realmente accaduto - il ritrovamento nel 1968 di alcuni inediti fenogliani abbandonati in riva al fiume Tanaro - la narrazione che si sviluppa attorno a questa vicenda si svolge ad Alba e nelle Langhe, dove i due giovani protagonisti, Caterina e Francesco, si incontrano, si ritrovano e si perdono su sentieri reali e letterari …per un’infinità di motivi.
LinguaItaliano
Data di uscita16 dic 2013
ISBN9788898419159
Per un’infinità di motivi

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    Anteprima del libro

    Per un’infinità di motivi - Valeria Fraccari

    Table of Contents

    Titolo

    Autore

    Editore

    Introduzione

    CAPITOLO 1 1993

    CAPITOLO 2 1968

    CAPITOLO 3 1980

    CAPITOLO 4 1993

    CAPITOLO 5 1993

    CAPITOLO 6 1993

    CAPITOLO 7 1968

    NOTA

    Introduzione

    A cinquant’anni dalla morte di Beppe Fenoglio, questa nuova edizione di Per un’infinità di motivi vuole essere un omaggio allo scrittore albese e un invito a riflettere sul tema della Resistenza di cui la scrittura fenogliana è intrisa. Il racconto della storia d’amore dei due protagonisti, intrecciato con la vita, i luoghi, i romanzi e i personaggi di Fenoglio, è anche un dialogo a distanza con l’autore e la sua scrittura.

    Le storie hanno il loro destino, come le parole.

    Si smarriscono o si nascondono, si incontrano e si perdono, come le persone e le cose.

    A volte si ritrovano, altre volte no.

    Ci sono storie che non finiscono mai e ci si può camminare attraverso, da una pagina all’altra, da una fine a un nuovo inizio, senza mai arrivare.

    Sono storie di carta.

    Raccontano quello che è andato perso.

    Ne ho ascoltata una, ma si è frantumata in un prima e un dopo.

    Ho provato a rimetterla insieme e a raccontarla.

    CAPITOLO 1

    1993

    Avevo messo i quaderni sul tavolo, uno dopo l’altro, senza fare rumore.

    Caterina era accoccolata nella poltrona a occhi chiusi, in libreria non c’era nessun altro. Aveva aperto gli occhi e mi aveva sorriso.

    – Ti eri addormentata?

    – No, stavo cercando di ricordarmi un sogno che ho fatto.

    – Ci sei riuscita?

    – Non ci riesco mai. E questi cosa sono?

    – Guarda tu stessa...

    Ne aveva preso uno. Era un vecchio quaderno di cartone con la copertina rigida color senape, rilegato con una fettuccia di stoffa scura. L’aveva aperto e aveva iniziato a sfogliarlo lentamente.

    Era scritto a mano. La calligrafia era di quelle di una volta, appena inclinata, elegante, come si imparava a scuola e non si dimenticava più.

    – È un vecchio registro per la contabilità. Macelleria Fenoglio Amilcare. Cosa significa?

    – Che hai tra le mani una vera scoperta...

    Al convegno mi aveva avvicinata un tale, adesso era un uomo di mezz’età, si chiamava Giancarlo e molti anni fa era stato un mio alunno, uno dei miei primi scolari. Io non l’avevo riconosciuto subito, ma non appena mi aveva detto il suo nome, sotto a quella faccia estranea avevo rivisto per un istante il viso tondo e lo sguardo ridente del bambino che era stato. Era venuto lì per me. Aveva letto il mio nome nell’articolo sul convegno: 1963-1993: Fenoglio a trent’anni dalla morte. Così diceva il giornale.

    E lui era venuto apposta, per darmi, anzi, per raccontarmi una cosa: aveva una storia per me e aveva i quaderni. Li aveva tenuti entrambi per troppo tempo. In tutti quegli anni non aveva trovato chi volesse saperne; ci aveva anche provato, ma nessuno era stato a sentirlo, così aveva tenuto i quaderni, aspettando un’occasione propizia, e quell’occasione ero io.

    – Mi ha detto che lui si ricordava di me da quando andava a scuola ed era mio scolaro, così mi ha raccontato tutto, una vicenda incredibile che inizia nel 1968 e...

    Caterina non stava più ascoltando. Aveva preso anche gli altri quaderni. Leggeva qualche pagina, li chiudeva e li riapriva, li rigirava, come per soppesarli.

    – Cate, dove sei?

    – Scusami, hai ragione, mi ero distratta. Cosa stavi dicendo?

    – Stavo per raccontarti com’è stato che questi quaderni sono arrivati fin qui, ma tu non mi stai a sentire. C’è qualcosa che non va?

    – È una storia complicata

    – Se non ho ancora iniziato!

    – Non sto parlando di quella. Anche, ma non solo.

    – Non capisco.

    – Di storia ce n’è un’altra, anzi, altre, intrecciate con la tua.

    – Come fai a sapere di che cosa si tratta, se non ti ho ancora detto una parola?

    – Anna, io questi quaderni li avevo già visti.

    Ero rimasta in silenzio.

    – Li ho avuti tra le mani molti anni fa.

    Le parole delle storie perdute hanno in sé una forza propria, la determinazione a non incontrarsi, a resistere a ogni intento di composizione. Anche quella di Caterina era fatta così, di schegge, pezzi sparsi, saltati via da un’unica storia che si era perduta insieme a quei quaderni.

    Venticinque anni prima.

    CAPITOLO 2

    1968

    Nel dicembre del 1968 Alba era una città tranquilla.

    Il liceo ginnasio statale Govone lo era ancora di più.

    Per gran parte dei suoi studenti, occupare era solo un verbo della prima coniugazione.

    Ma non per tutti.

    Non per Francesco. Lui aveva altro per la testa. Lui leggeva i giornali, quelli che parlavano di studenti che i giornali li facevano e occupavano scuole e manifestavano in piazza.

    Li leggeva, poi ne parlava a scuola, anzi, fuori da scuola, dopo la fine delle lezioni, con gli amici, con Caterina. Francesco era bello e spensierato, e tutti lo stavano ad ascoltare a bocca aperta davanti al portone del liceo.

    Lui diceva che Alba era addormentata, che a scuola si moriva di noia, che dovevano svegliarla quella città.

    Caterina era incantata. Non era quello che diceva, ma come lo diceva. La sua voce, la bocca, come muoveva le mani e sorrideva con gli occhi.

    Dopo che tutti gli altri se ne erano andati a casa, lei rimaneva lì ad ascoltarlo un altro po’.

    – Ma lo sai o no cos’è la contestazione giovanile?

    E anche se Caterina non lo sapeva, non faceva domande, né lui si aspettava risposte. L’aveva capito che a Francesco parlare da solo piaceva. Aveva bisogno di un pubblico ed era forse per questo che a Caterina sembrava così bello starlo a sentire.

    Mentre lo ascoltava, si faceva rapire dal suono delle sue parole e dopo un po’ non era più davanti a scuola, ma nel buio di una sala di un teatro da cui, senza essere vista, osservava Francesco recitare meravigliosamente la sua parte.

    Nel dicembre del 1968 i discorsi di Francesco erano tutti ispirati dall’eco di gesta studentesche che ad Alba risuonava come se si trattasse di imprese fantastiche e leggendarie: nelle città gli studenti occupano le scuole e buttano fuori i professori.

    Erano racconti di azioni entusiasmanti, ma nessuno ci credeva davvero. L’evento più trasgressivo dell’anno era stata la falsificazione di un voto da parte di uno studente reo confesso nel giro di una mattina.

    Il liceo di Alba aveva visto altre ribellioni e tempi bui: Caterina conosceva le vicende terribili di professori e studenti che non molti anni prima avevano pagato con la vita la scelta di opporsi al fascismo.

    Tra gli studenti non erano in tanti a ricordarle; i ragazzi non se ne interessavano, e la targa in memoria del professore scannato dai fascisti era solo una parte dell’edificio, come un muro o uno di quei busti di illustri sconosciuti eroi eponimi delle scuole d’Italia.

    – È tutto vero! – Francesco non si lasciava scoraggiare dallo scetticismo dell’uditorio.

    – A Milano gli studenti di un liceo

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