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Altrove nel mondo
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E-book195 pagine2 ore

Altrove nel mondo

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Info su questo ebook

«Il titolo del libro e l’immagine di copertina ci svelano da subito l’essenza del suo contenuto. Sandro Torcini, collega di lavoro e ricercatore da una vita, ha trascorso buona parte di essa tra i ghiacci del Polo Sud. L’Antartide, entrata nel suo quotidiano per ragioni professionali, gli è poi entrata nel cuore e nella testa come una malattia; una bella malattia che ha portato in superficie emozioni e sensazioni che lui ha saputo tradurre in prosa e poesia. È un libro autobiografico, ma nel leggerlo non si pensa all’autore che racconta se stesso: ci si immedesima a tal punto che si prende il suo posto e quasi si percepiscono il silenzio, il freddo polare e il vento catabatico che punge sul viso. Nella seconda parte del libro scaturiscono forti le emozioni di un quotidiano condiviso che, se in alcuni possono svelare aspetti contrastanti del carattere, in un animo sensibile e poetico come il suo si trasformano in sentimento d’amore. È una lettura piacevole, con un solo grande difetto: stimola ricordi e rimpianti in chi ha vissuto la stessa esperienza ed un forte desiderio in chi non l’ha mai provata, desiderio, però, quasi impossibile da realizzare»
LinguaItaliano
Data di uscita25 giu 2016
ISBN9788856778243
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    Anteprima del libro

    Altrove nel mondo - Torcini Sandro

    Albatros

    Nuove Voci

    Ebook

    © 2016 Gruppo Albatros Il Filo S.r.l. | Roma

    www.gruppoalbatrosilfilo.it

    ISBN 978-88-567-7824-3

    I edizione elettronica giugno 2016

    Dedicato a mia madre

    Le più belle parole si scrivono piangendo la dolcezza dei ricordi.

    Premessa

    Questo è un libro che ho deciso di scrivere di getto, dopo venti anni dall’inizio della mia esperienza in Antartide, arricchita da ben dodici spedizioni, durante le quali ho utilizzato ogni mezzo per spostarsi in quel territorio e ho avuto modo di ammirare luoghi tanto unici quanto meravigliosi.

    Non è un libro a carattere scientifico. Di tale tipologia ce ne sono già molti riguardanti le terre antartiche. Sarebbe stato troppo specifico e non avrebbe aggiunto nulla di nuovo, esponendosi a giudizi necessariamente tecnici e rischiosamente contrastanti. Pertanto, dopo aver abbandonato questo genere, ho resistito alla tentazione di impostarlo come un libro d’avventure, quali potevano essere le spericolate traversate a piedi, anche in solitaria, da una costa all’altra dell’Antartide o lo svernare tra i ghiacci in condizioni estreme degli esploratori nei primi anni del XX secolo.

    Dopo aver abbandonato la via della scienza e quella dell’avventura, non mi restava altro che puntare su un genere decisamente intimistico, dando libero sfogo ai pensieri e alle riflessioni che quelle esperienze fuori del comune, eccezionalmente vissute in territori straordinari, avevano alimentato nel corso degli anni. Ed allora hanno preso il sopravvento la mia vita e la mia storia, o meglio la storia di quella parte della mia esistenza vissuta laggiù e della quale l’Antartide custodisce gelosamente segreti e fantasticherie. Un frammento di vita condiviso con tanti amici e dove ho trascinato, inevitabilmente, anche la mia stessa famiglia. Frammenti di vita i cui stati d’animo, le cui sensazioni e le cui emozioni, finemente miscelati fra loro, sono diventati parte integrante del presente libro, che non coinvolge direttamente i dialoghi e le chiacchierate fra amici, concentrandosi e analizzando gli effetti da essi scaturiti.

    Mi auguro che questo libro finisca per sponsorizzare i territori antartici per ciò che al giorno d’oggi rappresentano, quali luoghi di studio, di ricerca e di aggregazione, ormai lontani dalle esperienze pionieristiche ma fondati sui rapporti di vita e di amicizia. Rapporti che suggellano negli occhi e nella mente ricordi così indelebili che, ancor dopo decenni, ti fanno sorridere con leggiadria e con nostalgia a un semplice cenno di richiamo.

    Dopo aver studiato numerosi testi di divulgazione scientifica, dopo aver visionato filmati e trasmissioni dedicate all’Antartide, sono stato testimone per oltre venti anni della presenza italiana in quei territori, godendo appieno di spettacoli naturali che definire di eccezionale valore estetico è assai riduttivo. Sono stato spettatore incredulo e attonito, ma pur sempre privilegiato, di fenomeni naturali ai quali non renderebbe giustizia alcuna descrizione filmica o letteraria. Manifestazioni di tale spettacolarità e intensità emotiva che, a distanza di anni, mantengono ancora intatta la forza di meravigliarmi e di entusiasmarmi. Sono stati soprattutto questi esclusivi privilegi che mi hanno spinto a raccontare quanto ho vissuto in prima persona, incoraggiato anche dalla speranza di coinvolgere gli animi meno sensibili e quelli meno emotivamente attratti.

    Queste pagine dovrebbero essere dedicate ai tanti che, quali protagonisti involontari, hanno contribuito al loro compimento ma, come accade sempre in casi del genere, il pensiero corre alle persone care, che senza risparmio e con qualche sacrificio, mi hanno sostenuto nella difficile scelta di non rinunciare alle opportunità che mi si offrivano per soddisfare le ambizioni di un giovane scienziato.

    Introduzione

    Venti anni fa iniziava la mia lunga e inconsueta esperienza in questo immenso, incredibile continente, lontano dal più lontano dei luoghi che allora avrei mai potuto immaginare.

    Giovane ricercatore trentaquattrenne, di tante speranze, con tante ambizioni assunto in un ente di ricerca dopo quattro anni di dura gavetta e tre anni di esperienza in laboratorio, qualche convegno in patria e all’estero, un paio di stage, uno in Svezia (Goteborg) e uno più lontano per un periodo più lungo in Canada (Montreal, Quebec).

    Tutto regolare per chi si auspica di imparare a fare il ricercatore, ma nulla mi faceva ancora lontanamente ipotizzare che il mio futuro come ricercatore e come post ricercatore si sarebbe praticamente consolidato in un luogo così inconsueto e strano solo a nominarlo: l’Antartide.

    Quando mi fu chiesto dal mio responsabile di laboratorio se fossi interessato a fare un’esperienza del genere, devo dire la verità non capivo veramente cosa sarei potuto andare a fare. In quel periodo il mio principale lavoro era la messa a punto di metodologie di analisi chimica principalmente per la determinazione dei metalli in traccia in soluzioni acquose.¹ Allora mi sono fatto l’unica domanda che mi poteva venire in mente per le mie limitate conoscenze dell’Antartide di quel tempo. Ho sempre pensato, ma con superficialità, perché non era certamente il mio chiodo fisso, che l’Antartide fosse famoso per le sue immense distese di ghiacci eterni, per essere il continente più lontano e inospitale fino ad allora conosciuto, che bisognasse essere quasi dei superuomini, come ho poi verificato in alcune circostanze, per sopportare quel freddo gelido e quell’ambiente così duro dove il ghiaccio è il padrone assoluto. Allora mi sono domandato: Ma se è così, io che ci vado a fare, io che analizzo l’acqua liquida non vedo lì il mio futuro, quello è un posto per glaciologi, anche se a quel tempo neanche il glaciologo era nel mio più comune vocabolario.

    È un’opportunità unica, mi diceva il mio capo, non solo per te, ma anche per tutti quelli che come te avranno la possibilità di fare questa esperienza, ed anche per l’Italia che fa il primo passo nella ricerca antartica verso la scoperta di qualcosa di nuovo e di innovativo in un continente considerato da sempre l’unico luogo della terra ancora incontaminato.

    Tanti ragionamenti, tante offerte stimolanti, tanti pensieri, credo che siano durati solo pochi minuti e di questi credo che solo il primo mi fosse servito per capire il concetto del quando e del come.

    Ma io ero già lì. Probabilmente ancora con l’idea della slitta trainata dai cani, ma ero lì, con la barba lunga, con il viso paonazzo dal freddo, con la bandiera dell’Italia in mano, ero lì. In quel momento non ho pensato che in quell’esperienza avrei indirettamente trainato anche la mia famiglia, ero già sposato con due figlie piccole, una delle quali di pochi mesi.

    Ho detto: «Beh ci penso un po’, ne parlo in famiglia, o meglio ne parlo con mia moglie» ma avrei voluto che fosse stato già il giorno dopo per dare la mia conferma.

    Nel prosieguo della giornata, credo di aver fatto tutto fuorché il mio abituale lavoro, preso come ero dalla voglia di capire dove sarei andato a finire di lì a pochi mesi e cosa avrei trovato in quel posto così lontano da ogni immaginazione, chi sarebbero stati i miei compagni di avventura. Eh sì, per me doveva essere per forza un’avventura, un’esperienza da pionieri, qualcosa di cui andare fieri che avrebbe potuto cambiare la mia vita. Finalmente qualcosa di avventuroso ho pensato. Sarei andato volentieri anche sulla luna se le mie capacità intellettuali me lo avessero permesso!

    Ho sempre invidiato gli uomini delle grandi avventure, delle privazioni, delle fatiche, delle facce stanche e delle mani callose che si stringono, per guardarsi negli occhi lucidi della gioia della vittoria dopo una grande sfida con la natura, ai limiti e oltre le stesse capacità umane, oltre perché si può fare sempre di più anche quando si pensa di essere già al di là dei propri limiti.

    Mia moglie, non credo che si sia resa conto di cosa parlassi quando le ho dato quella notizia, credo che mi abbia chiesto cosa ci andassi a fare. Ho preso l’atlante e le ho fatto vedere dove era l’Antartide; «Sì è laggiù, è sotto il mappamondo». Qualcuno ancora oggi mi chiede, dopo venti anni, se quest’anno torno ancora lassù: «Laggiù, è laggiù che vado» gli rispondo. E sì che ormai lo dovrebbero aver capito, adesso che basta aprire un giornale per vedere pinguini, o imbattersi in interi articoli che parlano della base italiana in Antartide, o trasmissioni televisive in cui si parla di Antartide. Adesso che il fascino dell’avventura è quasi scemato, adesso che bisogna fare veramente qualcosa di straordinario per attirare l’attenzione, adesso dovrebbero averlo capito che l’Antartide e il Polo Sud sono la stessa cosa.

    Penso ancora oggi che mia moglie non si fosse resa conto di quello che le dicessi perché, in realtà, non faticai a convincerla, o forse aveva già capito che quello sarebbe stato, in qualche modo, il mio futuro, o forse il mio entusiasmo l’aveva contagiata e la sua sensibilità non le aveva permesso di farmi presente tutte le difficoltà in cui lei si sarebbe trovata senza di me, o forse è solo quello che mi farebbe piacere che avesse pensato.

    In ogni caso, non è che fossi così incosciente da lasciare mia moglie e le mie figliole in balia del nulla; c’erano i miei genitori su cui poteva contare e i suoi genitori, i miei adorabili suoceri, i miei cari anziani che ormai, a parte la mia vecchia mamma, oggi non ci sono più. È anche loro però che devo ringraziare se oggi sono qui a scrivere questa lunga storia di venti anni della mia vita, è stata la loro presenza e il loro affetto che mi hanno permesso di partire e di ripartire per anni e anni verso gli stessi lidi per 100 e più giorni ogni volta.

    La mattina dopo sono tornato al lavoro, un po’ assonnato, penso di non aver dormito molto, probabilmente durante la notte ero già stato in Antartide su qualche cavallo alato e avevo sorvolato il Continente bianco e ad ogni sorvolo è come se avessi avuto un anno in più, ed avessi vissuto una esperienza nuova, non so se abbia poi visto cose che oggi sono qui a raccontare, sicuramente ho visto uomini dall’alto trascinare i loro corpi stanchi e infreddoliti dal vento tagliente, alla ricerca di un riparo come solo un crepaccio piuttosto largo e poco profondo può dare in quegli ambienti. Forse avrei voluto essere lì con loro a condividere quella dura prova, quella sfida della natura, ed avrei combattuto con loro fino alla vittoria. Credo che fossi già pronto per gioire delle gesta eroiche di un pugno di uomini intrappolati in mezzo ai ghiacci prima ancora di aver mai letto dei primi avventurieri antartici che, come ho saputo poi tempo dopo, hanno trascorso veramente interi inverni in luoghi completamente isolati e senza ripari, contando solo sui pochi materiali a disposizione e del poco e non certo nutriente cibo che avrebbero potuto fornire in quelle circostanze qualche foca e qualche pinguino.

    La mia risposta al mio capo laboratorio avvenne prima che qualsiasi domanda mi fosse posta, prima del buongiorno e prima di qualsiasi frase di circostanza che è d’obbligo quando si va a pianificare il proprio futuro, quando ci si mette nelle mani del destino.

    A parte la tempistica che avrebbe potuto tradire l’impazienza di dare il mio assenso, quasi il timore che qualcuno potesse ripensarci o che mi dicesse che quella era stata solo un’ipotesi di lavoro, per il resto le mie parole furono molto professionali e quasi asettiche. Dopo una tormentata riunione familiare, tra mille dubbi e molte perplessità, avevamo deciso che avrei potuto intraprendere questa avventura, ma senza un reale convincimento se non per l’aspetto professionale.

    Non era quello che avrei voluto dire, ma ero combattuto tra la paura di entusiasmarmi troppo e che quell’entusiasmo potesse essere ragione di competizione con i miei colleghi.

    Avrei voluto invece raccontare delle mie sensazioni, delle mie speranze legate a una così grande opportunità che non sapevo perché fosse capitata proprio a me, avrei voluto raccontare anche che la mia immaginazione era già arrivata là dove sarei arrivato realmente anch’io, di quello che avevo visto o che avevo voluto vedere, raccontare di un mondo sconosciuto, da scoprire, di speranze e di passioni, di storie di uomini e d’amicizia, di dignità e non so che altro il mio cuore colmo di gioia avrebbe potuto dire in quella circostanza. Ma non dissi nulla, mi limitai a definirmi impegnato in un progetto sicuramente molto complesso, ambizioso e che non nascondevo avrebbe potuto portare soddisfazioni sul piano professionale e umano. Ma penso che neanche i colleghi si rendessero conto di quello che poteva significare per me, e dopotutto anche per loro, come si sarebbero poi resi conto anni dopo. Non mi sono tirato indietro e ne sono felice, questo ha cambiato la mia vita molto di più di quanto ci si possa

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