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La Vela e Altri Racconti
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E-book129 pagine1 ora

La Vela e Altri Racconti

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Info su questo ebook

La vela e altri racconti è una silloge di dieci racconti brevi, sette dei quali si attengono ad una tematica scolastica mentre gli altri tre sono di argomento vario. Essi narrano vicende tratte ora dai ricordi di gioventù dell'autore, ora dalla sua esperienza di insegnante; e si focalizzano su una serie di personaggi che mostrano qualità e difetti facilmente riscontrabili dal lettore nella vita di tutti i giorni. E' uno spaccato realistico dell'esistenza delineato con un'ironia che a volte sconfina nella vera e propria caricatura. Le vicende raccontate si propongono di far riflettere il lettore e gli indicano una serie di tematiche di ordine morale, sociale, educativo ed esistenziale tra le più sentite nella nostra epoca. Per questo si può affermare che “La vela e altri racconti” è un libro sempre aperto, nel senso che esso si apre a dibattiti e confronti che possono aiutarci a capire meglio la realtà in cui viviamo.
LinguaItaliano
Data di uscita23 nov 2016
ISBN9788822868404
La Vela e Altri Racconti

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    La Vela e Altri Racconti - Arnaldo Ninfali

    Arnaldo Ninfali

    La Vela e Altri Racconti

    UUID: b8a85266-b1a1-11e6-abec-0f7870795abd

    Questo libro è stato realizzato con StreetLib Write (http://write.streetlib.com).

    Indice dei contenuti

    Introduzione

    La vela

    Altri racconti

    L'incidente stradale

    La strana lezione del prof. Paggi

    La gita scolastica

    La maledizione

    Privata storia scolastica di una famiglia per bene

    Come anche quel giorno Gardellini la scampasse in italiano

    Ma che bella giornata, professore!

    Non tornano i conti

    Il racconto

    Note

    Copyright © 2016 Arnaldo Ninfali

    Tutti i diritti riservati.

    ISBN:

    ISBN-13:

    Pubblicato con la Esclusiva Strategia Editoriale Self Publishing Vincente

    www.SelfPublishingVincente.it

    Ai miei ex allievi,

    dai quali molto ho appreso.

    Un pensiero particolare a

    Matteo Bertucco, Marco Volterra e Leonardo Palmieri

    che un destino crudele ha rapito nel fiore degli anni

    «[...] ho voluto più bene a voi che a Dio,

    ma ho speranza che lui non stia attento a queste sottigliezze

    e abbia scritto tutto al suo conto»

    Da Lettere di don Lorenzo Milani priore di Barbiana

    Un ringraziamento a Parole Filanti officina editoriale di Alessia Franchini

    per il prezioso lavoro di editing effettuato sul presente testo.

    A.N.

    Ogni riferimento a fatti o persone riscontrabile nel presente testo è puramente casuale.

    Introduzione

    Dopo trentasei anni di onesto lavoro la legge mi consente di vivere nell'ozio il resto dei miei giorni. E a me non dispiace, nonostante il peso degli anni cominci a farsi sentire ed essere vecchi oggi sia sempre più démodé.

    Quanto alla noia, direi che non la temo, perché il mondo mi ispira ancora curiosità. Ora posso indagare la vita, scrutandola dentro e fuori di me con sereno disincanto; pensare solo per il gusto di farlo, e lasciarmi cullare da emozioni lontane per riviverle con un pizzico di fantasia; e immaginare in quali diversi scenari avrei potuto vivere se non avessi fatto quel particolare incontro o quell'utile esperienza, o cosa sarebbe stato se non mi fossi trovato in quel luogo in quel preciso istante, se non avessi commesso quell'errore o seguito quel saggio consiglio; e fantasticarci un po' sopra, alle varie soluzioni, senza farmi prendere dai rimpianti e ringraziando il cielo di quel tanto di buono che ho raccolto durante il mio viaggio.

    Mi ritengo fortunato, ad esempio, per aver fatto l'insegnante, soprattutto perché lo diventai per puro caso.

    Furono infatti i disagi sofferti al tempo di un impiego amministrativo accettato solo per necessità a farmi scoprire la mia autentica vocazione. Così, se ho avuto il privilegio di imparare insegnando per ventitré anni della mia esistenza, lo devo a persone di cui conservo un ricordo triste ma che mi sento, tuttavia, di ringraziare. Il difficile rapporto personale che segnò la nostra collaborazione mi spinse ad apprezzare il sapere astratto, facendo nascere in me il desiderio di comunicarlo ai giovani. Sono felice di averle incontrate e auguro loro ogni bene.

    Eccomi qui, dunque, canuto sessantaquattrenne del ventunesimo secolo con la pretesa di riesumare l’otium degli antichi per cercare la Verità. Non la troverò, naturalmente, ma è la sua ricerca - diceva Socrate - che dà un senso alla vita.

    Conosci te stesso, aggiungeva, spronandoci a cercarla dentro di noi. E io a questo voglio dedicarmi nel tempo che mi resta: alla conoscenza di me stesso, con lo scopo di conoscere il tutto che vive e palpita in ognuno di noi. Intendo confrontarmi con la sensibilità dei miei simili e, soprattutto, approfittare di quei mondi verosimili che la letteratura di ogni tempo ha saputo creare: non si tratta di una folgorazione improvvisa sulla via della lettura, come se finora non l’avessi mai percorsa, ma di un diverso modo di viverla, più meditato e meno utilitaristico. Ora la lettura non si giustifica più in funzione del fare, ma dell’essere: qui sta la magica differenza col passato, e il fascino particolare che ai miei occhi acquisisce.

    Italo Calvino diceva che leggere allunga la vita. Non facciamoci illusioni, però: i libri non ci regaleranno qualche giorno di respiro in più; quel che è deciso è deciso, e non possiamo farci niente. Ma se alla nostra vita sommiamo quelle dei mondi verosimili in cui ci inoltriamo leggendo possiamo infrangere il limite temporale stabilito dal destino per ciascuno di noi. La nostra vita si allunga perché, con la fantasia, ne viviamo molte altre.

    Può accadere, tuttavia, che si pervenga allo stato di grazia solo se, a nostra volta, tentiamo di allungare la vita dei nostri simili. Lo so che l’impresa può sembrare velleitaria e un po’ presuntuosa, ma spesso è difficile rinunciarvi, anche se, in rari sprazzi di saggezza, siamo assaliti dal dubbio di non interessare altri che noi e qualche benevolo amico.

    Per quanto mi riguarda, non tralascerò di coltivare la scrittura, soprattutto con l'intento di mettere ordine nel caos che avverto nel mio intimo: sarà che amo molto Svevo e quel prototipo di inetto che risponde al nome di Zeno Cosini, e sono curioso di provare su me stesso le proprietà terapeutiche della parola scritta. Solo che Zeno guarisce dalla sua malattia affogando nel lavoro le proprie frustrazioni; io, forse, maturando la convinzione che quanto scrivo ha un senso, per me e per gli altri.

    C’è poi un’ultima ragione che giustifica la mia pretesa di scimmiottare gli scrittori professionisti strapazzando la tastiera del computer. Essa deriva dal desiderio di mantenere una forma di continuità tra il ruolo che ho ricoperto a scuola e quello che vorrei ricoprire di qui in avanti. A scuola mi si chiedeva di insegnare e io l’ho fatto sempre privilegiando il dialogo, il confronto, la comunicazione in qualunque forma si presentassero. Era un rapporto diretto, vivo, di apprendimento per entrambi i poli: docente e discente. Ora nessuno mi chiede niente, ma sono io che chiedo a me stesso di mantenere vivo quel dialogo, di non disperdere quel clima di reciproca crescita morale, civile e culturale.

    Mi auguro, dunque, di continuare a svolgere, anche attraverso quel poco che riuscirò a scrivere, una funzione educativa, almeno per coloro che - me compreso - vorranno dialogare sui temi ispirati da quella singolare scuola che è il mondo.

    Le ragioni sin qui addotte spero siano sufficienti a legittimare il mio tentativo di nobilitare l’ozio narrando qualche scampolo di vita con l’aiuto dell’esperienza e della fantasia. In caso contrario, mi auguro che chi s'imbatterà in queste righe voglia perdonarmi per aver approfittato della sua pazienza.

    La decisione, tuttavia, è presa, così ora chiedo alle pagine seguenti di essermi fedeli compagne nel folle volo che mi accingo a intraprendere. E per non rischiare di chiedere troppo alle mie ali di cera, inizierò volando basso, accompagnando cioè i miei quattro lettori a visitare qualche aula scolastica, la cui aria ho respirato per oltre quarant’anni della mia vita. Ma mi arrischierò anche, di tanto in tanto, a guadagnare un po' di quota in vista di orizzonti diversi, magari più rispondenti alla sensibilità generale.

    Buon viaggio, dunque, a chi vorrà seguirmi.

    Arnaldo Ninfali

    La vela

    Su uno scaffale della libreria di casa conservo ancora La vela (Bianchi-Mistruzzi, VI ed., Zanichelli, Bologna, 1959), l’antologia di quando frequentavo la prima media nell’anno scolastico 1959-1960. Fa bella mostra di sé fra altre più recenti che ho utilizzato durante gli anni d’insegnamento, e vi spicca come un’auto d’epoca tra quattro insignificanti berline moderne. Almeno io la percepisco così, tanta è la forza evocativa che possiede. È come un dipinto realista: ritrae personaggi e luoghi familiari, impressi nella mia memoria in modo indelebile.

    Se poi mi metto a sfogliarla allora non ho scampo e mi sento afferrare da una forza sconosciuta che mi trascina a ritroso nel tempo per condurmi là dove imparare poesie a memoria non indignava ancora nessuno.

    Non ha mai conosciuto zaino, La vela, perché alloggiava in una cartella a fisarmonica di cuoio marrone con la fibbia dorata che schioccava quando la si infilava in un occhiello rettangolare, pure dorato. Stesso sistema di chiusura avevano le due tasche anteriori che potevano contenere l’astuccio, il compasso e la merenda, avvolta in un foglio di carta oleata.

    Non si è mai mischiata a costosi diari di marca imbottiti dai ritratti di idoli rockettari o pallonari, bensì a sobrie agende che impiegavo solo per annotarvi i compiti di casa. Non ha mai conosciuto quaderni dalle copertine sgargianti ma quelli neri, sempre e solo neri. Ha condiviso lo spazio con pennini, carte assorbenti e calamai, e porta ancora addosso le tracce di qualche goccia d’inchiostro staccatasi da un indocile pennino. Ormai sbiadite dal tempo, quelle tracce evocano azioni sconosciute alla scuola di oggi.

    La macchia presente su La vela, o meglio, l’alone che n’è rimasto, si trova a pagina 385 e decora un racconto di Montanelli intitolato Girardengo. Ricordo d’averlo letto non so quante volte e d’averci fantasticato sopra per ore, a scapito dei miei doveri scolastici. Cosa potevo farci se m’immedesimavo in un certo Stoppa che aveva avuto la fortuna di seguire il grande Girardengo in tutte le sue corse? Io, che avrei fatto pazzie per seguire Nencini in una tappa del Giro o del Tour, morivo d’invidia per quell’amico di Montanelli che poteva dedicare sei mesi l’anno alle gare ciclistiche. Perdevo la testa a tal punto che inforcavo la mia Bianchi Sport con cambio Campagnolo, meritata per la promozione in prima media, e in un batter d’occhi diventavo Gastone Nencini in

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