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Fiabe di Noemi
Fiabe di Noemi
Fiabe di Noemi
E-book86 pagine1 ora

Fiabe di Noemi

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Info su questo ebook

Raccolta di favole per bambini, antiche e moderne.

Opere frutto di fantasia miste ad antiche leggende e racconti popolari.

Interamente ispirato da Noemi Bello, una principessa speciale.
LinguaItaliano
Data di uscita14 lug 2016
ISBN9786050479744
Fiabe di Noemi

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    Fiabe di Noemi - Serena Baldoni

    fiaba

    Fiabe di Noemi

    Serena Baldoni Autrice

    Ispirato da Noemi Bello, una piccola principessa 

    Fiabe di Noemi

    Raccolta di favole per bambini, antiche e moderne.

    Opere frutto di fantasia miste ad antiche leggende e racconti popolari.

    Capitolo primo – Prima fiaba

    Le fatine Janas della Sardegna

    Le fatine Janas della Sardegna

    (Tratto e rielaborato dalla leggenda sarda)

    Secondo la leggenda della città di Macomer, le Janas e gli umani del luogo vivevano in pace ed in armonia.

    Le fatine erano piccole di statura, delicate, con la pelle luminescente e un paio d'ali colorate, dalle mille forme geometriche affusolate. Giunsero all’alba dei tempi da chissà dove con una ricchezza incredibile ed inimmaginabile per la mente umana.

    Vivevano all’interno dei nuraghe, un tipo di costruzione in pietra di forma tronco-conica presente con diversa densità su tutto il territorio della Sardegna. Alcuni erano dei più complessi e articolati, veri e propri castelli nuragici con il mastio che in certi casi raggiungeva un'altezza tra i venticinque e i trenta metri, e delle torri incantate che puntavano dritto verso il cielo.

    Umani e fatine vivevano in pace ed in armonia, incontrandosi alle feste del paese, non appena il sole tramontava per evitare che i suoi forti raggi bruciassero la loro pallida pelle lunare.

    Ma un giorno arrivarono nel villaggio alcuni stranieri, provenienti dalla città di Pisa, che videro per la prima volta le Janas.

    Gli stranieri rimasero folgorati dalla loro bellezza, dai ricami e dai tessuti preziosi con cui le vesti delle Janas erano fatti: panni intessuti di oro e di argento, bottoni in filigrana, bracciali scintillanti; una ricchezza enorme così vicina eppure così distante.

    Infatti, le fatine erano avvolte da un sortilegio maligno, lanciato da una delle streghe nere cattive, che vivevano ai margini delle coste. Chiunque si fosse avvicinato troppo a loro, toccandole, avrebbe innescato l’avverarsi del sortilegio, rendendole invisibili agli occhi e all’udito.

    Un giorno, uno degli stranieri arrivati nel villaggio, allungò le mani sui bottoni di una Janas. A nulla servirono i tentativi delle altre fatine di trascinarla lontano: l’oscurità cadde su tutte loro, rendendole invisibili.

    Da quel momento, le Janas sparirono da Macomer e da tutta la Sardegna, lasciando nelle mani del ragazzo soltanto una polvere di cenere lunare.

    Come potevano essere salvate?

    La tristezza che avvolse l’intero villaggio per la perdita delle sue fatine provocò una coltre incessante di pioggia, fulmini e tuoni. Il mal tempo durò così a lungo da costringere una delle streghe nere ad abbandonare la costa. Il suo rifugio era stato sommerso e distrutto e ognuna delle streghe malvagie rischiava di ritrovarsi senza una casa.

    Dianemargaret era il nome della strega che si allontanò dal mare, correndo il rischio tra le colline del villaggio, il rischio di essere cacciata o peggio ancora, esiliata dalla regione.

    Il suo aspetto era inequivocabile: indossava un cappello scuro a punta sulla testa, un naso incurvato verso il basso, una tunica nera e degli stivali ai piedi, ma l’oggetto decisivo fu la sua fedele scopa, che teneva sotto al braccio destro.

    Il giovane straniero sedò una folla cittadina inferocita, propensa ad uccidere la strega, per permetterle di parlare.

    Dianemargaret offrì loro uno scambio: avrebbe annullato l’incantesimo sulle fatine grazie alla polvere lunare conservata dal giovane, dichiarando una tregua eterna tra streghe nere e Janas.

    Per sancire il patto venne firmato un accordo su di una pergamena d’oro. Il sigillo di una cera rossa venne posto sulla carta arrotolata e conservata dallo straniero in un luogo nascosto e sicuro. Nessuno poteva sottrarsi ad un patto scritto, così Dianemargaret mantenne la sua promessa e raccolse la polvere lunare per creare un antidoto di scioglimento, aggiungendo in un pentolone della polvere d’oro e della sabbia marina.

    Lo strano composto rimase in effusione per ben due giorni e due notti, al riparo dalla pioggia.

    All’alba del terzo giorno, il temporale aveva esaurito la sua furia, mentre gli abitanti si risvegliarono estasiati da una scia di mille colori luminescenti.

    Le fatine erano ritornate visibili, ma non solo, la più giovane di esse, s’innamorò perdutamente del giovane straniero che aveva osato toccare le sue vesti, e proprio quel sentimento permise di spezzare il secondo sortilegio sulle Janas.

    Fatine e umani poterono correre liberamente tenendosi per mano, senza più la paura di scomparire.

    Capitolo due – Seconda fiaba

    Il gatto levantino

    Il gatto levantino

    (Tratto e rielaborato dalla leggenda siciliana)

    Da dove arriva il nome Sicilia?

    Ci hanno sempre raccontato che l’antico nome della Sicilia era Trinacria e che tale nome aveva a che fare con i tre capi di questa isola che con la sua particolare forma di triangolo risiede in fondo al nostro stivale.

    Un’antica leggenda, probabilmente nato durante la dominazione bizantina o Saracena dell'Isola, narra che il nome della regione derivi da un gatto levantino posseduto da una famiglia di nobili, talmente innamorati da ribattezzare la figlia con lo stesso nome.

    Anticamente viveva in Libia una bellissima principessa dal nome Sicilia, legata da un destino non proprio felice.

    Il suo Regno, forse il Libano, si affacciava sul Mediterraneo orientale dove, un oracolo, aveva predetto, quando essa era ancora bambina, che se avesse voluto sopravvivere al quindicesimo compleanno, avrebbe dovuto abbandonare il paese da sola  a bordo di una barca.

    Se così non avesse fato, sarebbe stata divorata da un mostro famelico, il Greco-Levante.

    Il mostro si riferirebbe a un vento da est-nordest, che come gli altri venti, assunse il suo nome quando anticamente si compilavano le cartine geografiche prendendo come punto di riferimento

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