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La terza perla
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E-book656 pagine9 ore

La terza perla

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Info su questo ebook

I Birkani, un popolo rifugiatosi in un pianeta inospitale per le sue eterne tempeste, meditano la vendetta contro i loro persecutori, gli Zotlar, potenti e implacabili nemici che dominano l'intero settore della galassia con le loro flotte dotate di armi in grado di distruggere interi mondi. In un eventuale conflitto non avrebbero scampo contro la superiore tecnologia del nemico, né potrebbero in alcun modo competere contro una popolazione di miliardi di abitanti, un numero infinitamente elevato rispetto alle diecimila anime rifugiate nel ventre della montagna. Costoro sono tutto quello che rimane di una violenta battaglia avvenuta quattro secoli prima, quando, dopo una pesante sconfitta, scelsero questo pianeta inabitabile per le condizioni ambientali particolarmente ostiche, ma ideale per nascondersi dagli Zotlar. Questi ripudiati senza scampo possiedono discrete capacità telepatiche, comunque inadeguate a contrastare la supremazia militare del nemico. Consapevoli della loro inferiorità, hanno atteso pazientemente per secoli l'arrivo dell'Elevato, come è stato previsto dal loro libro sacro, il Leuna. Adesso che è finalmente arrivato, potranno attuare il loro piano ambizioso per sconfiggere il nemico definitivamente.
LinguaItaliano
Data di uscita23 feb 2021
ISBN9788831690713
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    Anteprima del libro

    La terza perla - Luciano Orlandini

    633/1941.

    L’ESILIO

    ESULI DAL GIORNO DEL LORO RITORNO

    IL DIADEMA PIÙ FULGIDO IL CONO DI LATTE

    SCHIARENDO LE GELIDE NOTTI DEGLI SPAZI

    INARIDÌ LE TERRE E SOLLEVÒ LE ACQUE

    TRA LE URLA REMOTE E GLI AFRORI DEI MASSACRI

    GIUNTI SINO AL COSPETTO DI UN NUOVO DIO

    SEDUTO NEL SILENZIO DELLA SUA CASA D'ACCIAIO.

    (DA GENESI DEL PRIMO RITORNO SEZIONE 1, LIBRO 2: ESILIO)

    1. Là dove la luce rimane

    La tempesta infuriava dal settimo kret secondo il calendario attuale del pianeta o dal ciclo di Blomstra (fioritura), come riportato sull’antico almanacco di Kaupang che molti anziani si ostinavano a consultare. Già tre kret, pensavano. Un intervallo di tempo troppo ampio. Erano impegnati a rassicurare i più emotivi nei brevi attimi di quiete che segnavano il confine tra una bufera e l’altra. I lampi squarciavano l’aria ramificandosi in più direzioni, mentre i vortici ingabbiavano la nuvolaglia, rendendola partecipe di un estenuante e lento girotondo ai bordi, via via più accelerato verso il centro. Il fronte della perturbazione assumeva pertanto una costante rotazione fino a divenire una muraglia torreggiante. Le trombe marine innalzavano le acque formando colonne compatte alte decine di metri prima di ricadere a terra come gementi cateratte dai profili umani. Tutto questo era Åskvädret, l’eterna tempesta. L’eco della sua furia accompagnava i pensieri nostalgici dei Birkani più anziani avvolti nelle loro pelli di daino, reliquie da adorare come sacri simulacri. Ai più vecchi non rimaneva che rannicchiarsi nel tepore dei propri mantelli, osservando l’alternarsi dei venti mugghianti e delle massicce onde marine, prima di consegnare i sacri velli ai figli e ai fratelli più meritevoli. Altri dopo di loro avrebbero riposato nel tepore del caldo Imbuto Galattico: là dove la luce rimane per illuminare solo sé stessa, ricordava un motto degli Antichi Depositari delle Stelle; avrebbero preso il loro posto indossando gli stessi paramenti, intenti a contare il ripetersi di ogni varco della frontiera, tra il caos e l’assetto, in un eterno ciclo, sino alla fine dei tempi. S’immaginavano il Grande Imbuto e sognavano il suo calore simile al tepore sprigionato dalle loro logore pelli di daino. 

    Dopo l’arrivo sul pianeta avevano vissuto anni di tormento e sconforto, scanditi dai pianti dei fanciulli e dagli sguardi privi di un orizzonte da ammirare e oltrepassare. Generazione dopo generazione, avevano imparato a sopportare la vita in un mondo inospitale scavando la propria casa nella montagna, in attesa di una riscossa. Quando i primi profughi approdarono su Virvlar si sentirono morire davanti allo scenario di un pianeta partorito dagli inferi. Niente a vedere con i suoni e i colori che ritmavano il tempo e riempivano lo spazio della loro abbandonata Kaupang. Il primo periodo fu difficile e doloroso, descritto come un’era di nostalgia per i boschi e le rose nei giardini, per i frangenti cavalcati sulle rosse tavole di Padouk, per l'aria profumata dai fiori. Poi l’abitudine prese il sopravvento e se di tanto in tanto qualche esule Vingi non avesse narrato di paesaggi dove la luce si colora nei cieli dei tramonti, forse i Birkani si sarebbero dimenticati di vivere in un infernale pianeta.

    Birka si sviluppava su più livelli allungandosi come una tenia nelle fauci della montagna. Mentre il primo era situato sul filo del mare, l’ultimo lambiva il limite delle luminescenti perturbazioni. Se fosse stato possibile sezionare la montagna, la forma conica della città sarebbe emersa in tutto il suo splendore, con la base circolare inserita nella roccia per centinaia di metri e il vertice situato oltre la cappa delle nubi, prossimo alla superficie esterna della parete rocciosa.

    Fredrika stava osservando il cataclisma dietro un oblò. Non era la prima volta che assisteva a un simile spettacolo, ma si sentiva eccitata. Di solito i Birkani non prestavano attenzione alla violenza della natura, non per esorcizzare la paura o per dimenticare lo sconforto, ma per abitudine. Erano interessati unicamente alla vita vissuta all’interno del cono, mentre gli eventi esterni venivano accettati come un dato di fatto e la tormenta come una malattia incurabile con cui convivere. Per Fredrika era diverso. Il mondo di fuori le trasmetteva un fascino particolare e i ritorni ciclici dei rari momenti di pace erano pregni di significato. La maggioranza dei Birkani temeva invece che la kermesse non sarebbe mai terminata pur sapendo che i periodi di calma e il susseguirsi delle perturbazioni erano regolati dai campi elettromagnetici. Quando la tormenta cessava, fingevano di credere alla fine di un incubo. Fredrika al contrario desiderava respirare la pioggia e la grandine e sentirsi sospingere dalle raffiche di vento. Imparate ad amare Åskvädret, raccomandavano i vecchi Birkani, Åskvädret è il nostro mondo, impedisce ai nemici di annientarci. Fredrika occupava il tempo ad ascoltare le fiabe narrate dai Dovhjortarna, i vecchi con la pelle di daino, volando con la fantasia per creare le sue storie d’amore a lieto fine vissute in un paesaggio pieno di misteri, in luoghi traboccanti di leggende.

    L’intermittenza dei lampi permetteva a Fredrika di vedere, ma un po’ immaginare, la vita della darsena. Alcuni uomini stavano lottando contro il vento per scaricare il pesce dagli Skallarna; si muovevano freneticamente passandosi le cassette per non farle cadere. Stavano lavorando con le braccia scoperte, alla mercé della grandine e della pioggia battente. Era impossibile tenere gli occhi aperti e solo per miracolo non venivano spazzati via dal vento o fulminati dalle folgori. Tra di loro Haakon si trascinava faticosamente, impegnato a trasportare il pesce dentro la montagna. Non provava sofferenza né si preoccupava della tempesta o del vento che lo faceva inciampare a ogni passo. Le sue braccia, i piedi, il corpo, non gli appartenevano, come se il suo io cosciente fosse uscito all’esterno e si trovasse al riparo nelle viscere della montagna e la sua figura stesse lavorando come un automa controllato a distanza. I suoi pensieri si erano allontanati dalla realtà, fluiti nel tempo o in un altro luogo, in un’altra epoca. Cercava di rammentare qualcosa senza che una sola immagine prendesse forma. Percepiva soltanto parvenze di storie sconclusionate, popolate da figure confuse tra le onde di suoni acusmatici. Lottava tenacemente contro l’oblio degli antichi ricordi, cercando di intercettarne alcuni, in quanto non era in grado di rammentare ciò che non poteva essere rammentato. Spesso Haakon si concentrava con troppa intensità, oltre i limiti del tollerabile, e il suo corpo cadeva in preda al torpore, uno stadio intermedio tra la catalessi e il sonno; in quel preciso istante immagini e forme cominciavano a fluire nella sua mente, mentre trame complesse si ordinavano in storie indecifrabili, gonfie d'intrecci proiettati indipendentemente dalla sua volontà, come se stesse effettivamente vivendo un sogno. Colori e immagini, suoni e musiche mai udite, eventi, simboli e improvvise agnizioni si compenetravano e si dividevano come in un puzzle in continua metamorfosi, impossibile da comporre in un quadro completo. Allo stesso tempo Haakon si rendeva conto di non stare sognando. Sapeva di essere cosciente, di potere intervenire con la propria volontà nella babele di luci e colori, di suoni e intrecci senza senso, riuscendo il più delle volte a lasciare una traccia nell’apparente caos di forma e contenuto. Le storie uscite da eventi casuali finivano per essere addomesticate dalle sue capacità e le forme riordinate secondo i suoi gusti. Ben presto si era reso conto delle proprie attitudini, seppure appena sufficienti a condizionare eventi trascurabili. Ma poteva anche perdere la partita in vista del ruh finale, soprattutto quando con audacia abbandonava il suo corpo in balìa di situazioni pericolose. Per non rischiare troppo si coricava al sicuro nella nicchia del suo alloggio. Quel giorno invece si lasciò andare nel mezzo della tempesta. E non soddisfatto del pericolo osò spingersi oltre, esplorando un passato che non era il suo anche se era appartenuto al suo popolo.

    Improvvisamente una scarica lo colpì. Fredrika, ancora intenta a giocare con Åskvädret, vide il corpo di Haakon stramazzare al suolo; ammutolita dal terrore non riuscì neppure a emettere un suono. I suoi occhi sbarrati osservavano il male compiuto da Åskvädret.

    Perché Åskvädret? Perché l’hai fatto? pensò, mentre due lacrime emerse dai suoi occhi di un blu profondo come gli abissi di Hav, l’azzurro Oceano di Kaupang, stavano scivolando lungo il suo mento.

    La notizia dell’incidente infettò ogni angolo della montagna. La città si fermò e i battiti di tutti i cuori si mischiarono in un’unica pulsazione. Una moltitudine di pensieri cercò di scandagliare il cervello di Haakon Vibrazioni irregolari come linee ondulate di un elettroencefalogramma iniziarono a incidere il suo lobo frontale per entrare nell’area del linguaggio articolato, sperando di ottenere la reazione del pescatore caduto sui ciottoli della darsena. Ma i tentativi di ottenere informazioni urtarono contro una muraglia insormontabile, una forza che annichilì ogni energia mentale, spingendo i più a rinunciare. Fredrika non ebbe neppure il coraggio di pensare al proprio caro, irrigidito sul selciato della banchina. La ragazza inspirò profondamente per assaporare il profumo delle particelle di acqua polverizzata, ma alle sue narici giunse dalle distanti paludi dell’entroterra un fetido odore di vapori sulfurei. La sua pelle si increspò come se l’aria del porticciolo fosse penetrata nella stanza. Un brivido trapassò il suo corpo, forse una reazione istintiva al tam-tam dei pensieri già proiettati a conoscere la sorte di Haakon. Si rifiutava di  indagare, terrorizzata dalla peggiore delle ipotesi, ma la potenza del suo inconscio fece affiorare alla superficie le immagini della darsena lacerata dalle saette. Tentò di ricomporre la realtà della stanza e per un breve attimo quasi vi riuscì, ma subito dopo il freddo pungente sulla sua pelle, l’odore sulfureo del vento nelle sue narici e l’umidità di uno spruzzo d’acqua vaporizzata sul suo volto ripresero il sopravvento. Infine vide Haakon accasciato sulla banchina con il volto reclinato sul petto e vide molti Birkani che si avvicinavano per soccorrerlo, avanzando come immersi in un denso liquido. Le gambe non furono in grado di sopportare il peso del suo corpo e per non cadere dovette reggersi al tavolo. Sentì il brusio degli altri pensieri in procinto di sfondare le linee difensive del suo grande amore. Fredrika cercò di opporsi con la forza della disperazione, ma fu come urtare contro una muraglia di granito. Sentì un'acuta fitta alla testa che le impediva di respirare. Corse al lavello per bagnarsi il volto sudato; un momento di apnea prima di riprendere fiato e vedere allo specchio due pupille inchiodate sopra una bocca che inghiottiva aria. Cercò di resistere, ma il dolore penetrava sempre più in profondità. Pensò inconsciamente di sfogare l’orrore in un urlo bestiale, acuto come l’ultimo guaito di un animale ferito a morte, ma nessun suono uscì dalle sue labbra.

    L’autorità di un’emissione cerebrale penetrò la muraglia dei pensieri sospesa di poco sopra il corpo di Haakon. Chiunque poté percepire l’ira del più autorevole fra gli uomini con la pelle di daino: il Dovhjorten Ståtlig. Tutti rispettarono il suo dolore, causato dal comportamento insensato di coloro che avevano anteposto la curiosità al rispetto. E nel subire il rimprovero irritato di Ståtlig, la muraglia di sensazioni, prima solida e compatta, si sciolse come neve al sole. Per un interminabile attimo il silenzio regnò su Birka. Fredrika percepì il pentimento e la vergogna scaturiti da una ridda di bisbigli e brusii, pettegolezzi e vociferazioni, ed ebbe la sensazione che Åskvädret avesse per un attimo placato la propria ira per rispettare lo strazio di una città. Dagli animi fino a poco prima in preda alla curiosità esalò un pacato rimorso che impregnò la materia. Anche l’odore ripugnante delle turbolenze parve svanire dalle narici di Fredrika, soppiantato da un aroma gradevole e sconosciuto, più complesso e inebriante dei profumi creati nella sua mente dalle arcane leggende di Kaupang. Cessò persino il fragore assordante dei tuoni e l’intera città subì in silenzio il rimprovero di Ståtlig, il Magnifico Interprete dei Dovhjortarna. Il suo pensiero forte e morigerato flagellò l’animo di ogni Birkano penetrando nella pelle come una scabbia pruriginosa, e venne percepito come una moltitudine di immagini dalle forme e dai colori mutevoli e dai suoni e rumori più o meno intensi, più o meno acuti o sordi, a seconda delle sensazioni che Ståtlig voleva infondere nei cuori di ognuno. Visioni e grida ancestrali, riconducibili all’istinto dei primi Vanharren, quando ancora non avevano imparato a levigare la selce, riportarono tutti nei primi giorni della loro esistenza. A Fredrika parve di udire un coro armonizzato di pianti come colonna sonora di un sogno: camminava immersa in una natura mai conosciuta, ma che le era famigliare. Rivide l’incontaminata purezza di una vallata boscosa e un solo villaggio di capanne. Lungo il sentiero che si arrampicava sulla montagna incrociò una giovane contadina con un cesto di frutta. La contadina si fermò sorridendo per donarle una bacca succosa. Fredrika allungò il braccio ma in quel momento la ragazza scivolò nel dirupo. Cercò di agguantarla per una mano; sentiva le sue dita morbide e fredde tremare mentre tentavano di incollarsi al suo palmo, ma la perse per un soffio. In quel momento il cielo divenne nero rilasciando una pioggia assordante, uno scroscio d'acqua che trasportava profumi differenti, tra cui un sentore di sangue misto a fetida saliva, un odore di morte asfissiante. Poi ogni cosa svanì. Fredrika si convinse d’essere stata l’unica ad avere provato l'orrore di vivere gli ultimi momenti di una Kaupang antica migliaia di anni. Ma qualcosa di simile doveva essere capitato a tutti gli altri: lo sentì dall’eco morbido dei pensieri allo stesso tempo imbevuti di stupore e raccapriccio. Chiunque subì il biasimo del Magnifico Interprete. Se le sensazioni infuse con tanta tenacia fossero state parole, forse non avrebbero umiliato allo stesso modo, ma avrebbero potuto all’incirca suonare così:

    Avete osato penetrare nella mente di Haakon senza capire quanto amore possa contenere, quanto desiderio: quello stesso desiderio di attaccamento alla vita che è nei nostri cuori. Non avete tenuto conto della speranza che sopravvive dentro di lui, la stessa speranza che tiene in vita ognuno di noi e che ci permette di andare avanti in questo mondo inospitale, in un clima che sopprime le energie di coloro che hanno rinunciato a lottare. Se aveste rispettato l'amico, forse avreste rinunciato al vostro sordido tentativo. E se Haakon fosse ancora vivo? Se non fossi intervenuto in tempo, lo avreste spolpato come un frutto maturo, gettando la sua carcassa nei rifiuti. Vergognatevi e pentitevi di quello che stavate per fare! Oggi abbiamo scritto una pagina nera della nostra storia che ci fa regredire e ci priva di molti skottorna di speranza e di sapienza. Non voglio questo dal mio popolo. Nessuno deve desiderare questo!

    A pochi metri da Haakon, Kruger si accorse immediatamente della disgrazia e lo raggiunse in un baleno sfidando la forza della natura che voleva respingerlo indietro; si chinò sopra il corpo che non dava segni di vita, quindi posò il palmo della mano sul suo collo per sentire se il battito cardiaco fosse ancora presente. Kruger si alzò di scatto, grondante di sudore e di pioggia, con lo sguardo fiero e allegro, mentre i pescatori sopraggiunti subito dopo fecero capannello intorno al corpo privo di sensi.

    «È vivo!» esclamò raggiante.

    Poiché il suono della voce era coperto dal fragore della tempesta, nessuno poté udire le sue parole, ma questo non impedì alla sua gioia di penetrare in ogni angolo di Birka. Tutti gli abitanti tirarono un sospiro di sollievo. Fredrika pianse a dirotto, in silenzio. Mentre le sue lacrime scivolavano sulla sua pelle olivastra, vide il volto del proprio amato immerso nel sonno e vide la sua testa imbrattata di fango. Il Magnifico Interprete, da poco terminato il rimprovero, placò la sua ira e tutti poterono sentire nel proprio cuore la potenza del suo sorriso consolatore. La pelle dei Birkani venne carezzata da un tepore rasserenante simile al flebile raggio dell’alba che blandisce le membra ancora contratte dalla gelida notte.

    Quando Haakon riprese i sensi riconobbe a malapena l’infermeria del Centro Psichico. Il suo corpo pareva sospeso nell’aria sorretto da un fioco raggio rossastro, mentre una barriera elettromagnetica appena visibile si ergeva tutt’intorno come un’alta muraglia. Ebbe la sensazione di essere sdraiato all’interno della sua comoda nicchia, ma si ricredette non appena s’accorse che il suo corpo oscillava come un pendolo. Il movimento era lento e Haakon impiegò molto tempo per capire di essere sostenuto da un raggio di energia abbastanza denso da contenere le sue spalle. Nonostante il suo corpo oscillasse sotto l’azione del raggio, poteva effettuare qualsiasi movimento. Sollevò faticosamente la testa e vide un Custode seduto davanti a una console fosforescente intento a osservare l’ologramma di un organismo. Sentì che il Dovhjorten era preoccupato dalla lettura dei dati e comprese che la sagoma multicolore, costituita da una miriade di tratti e punti, era una scansione olografica del suo corpo. Haakon tentò quindi di penetrare la fluorescenza cromatica dell’ologramma per analizzare le diverse luminosità delle varie sezioni, iniziando dal cervello; continuò a sondare le reazioni dei talami ottici davanti alla formazione di un'immagine ben definita: il volto luminoso e sorridente di Fredrika. Tutto gli sembrò normale. Allora provò con altre parti dell’encefalo, ma la breve analisi lo stava affaticando e dovette rinunciare senza peraltro rendersi conto di eventuali lesioni riportate. Socchiuse gli occhi.

    Il Dovhjorten Stor si era subito accorto del risveglio di Haakon e voltandosi lentamente osservò gli occhi aranciati del convalescente. Gli sorrise alzandosi dalla sedia e si avvicinò a quella sorta di incubatrice su cui il corpo di Haakon ondeggiava come coccolato da un mare increspato. Poi lo sguardo del Dovhjorten si posò sul suo volto. Quando i loro pensieri furono in simbiosi, si rese conto che a quel giovanotto mentalmente resistente era capitato qualcosa di insolito e di non facile comprensione. Per concentrarsi Stor si mise la mano sul mento anche se non ne aveva bisogno.

    Te la sei vista brutta! Se il nostro Ståtlig non fosse intervenuto in tempo, forse non saresti più tra di noi!

    Haakon percepì a malapena alcuni suoni tranquillizzanti e l’immagine del proprio corpo fulminato da un lampo e si sentì comprimere le tempie da una ridda di bisbigli. In un primo momento provò un senso di fastidio, poi i brusii divennero guaiti e il dolore si fece più acuto, infine sopraggiunse un senso di sollievo finché, sopo avere aperto le palpebre, vide il volto sorridente di Stor. In un attimo il Dovhjorten aveva rilasciato nella sua mente la consapevolezza da quali pericoli lo avesse salvato Ståtlig. E quella sensazione valeva molto più di una prolungata esposizione verbale.

    Haakon si abbandonò a un torpore regolato da ancestrali armonie; un senso di benessere parve percorrere il suo corpo e le sue membra si rilassarono. Per un attimo paventò di essere manipolato da una mente superiore, ma era troppo gradevole abbandonarsi a una debolezza tanto lenitiva. Comprese di essere stato ipnotizzato dal Dovhjorten Stor, ma allo stesso tempo fu felice di non essere costretto a sopportare la pesantezza delle sue membra e quel senso di abbattimento che aveva provato sin dal risveglio. Anche se avrebbe voluto rimanere desto davanti al Dovhjorten più autorevole dopo il Gran Maestro, la stanchezza lo trascinò dalla veglia al sonno.

    Che il tempo ci salvaguardi!

    Il pensiero di Stor, tangibile come lo schianto di un arbusto calpestato, giunse alla mente di Ståtlig che stava per entrare nell’infermeria del Centro Psichico. Appena arrivato, Dov Ståtlig lanciò un’occhiata a Stor come per rispondere al saluto del confratello. Da quel momento i due iniziarono un dialogo particolare, composto da simboli, immagini e altre peculiari sensazioni che solo i Dovhjortarna sapevano creare, un po’ come le leggende che spiccavano il volo nella mente di Fredrika: i Bytadrömmarna. Difficile comprendere anche per molti Birkani cosa fossero i simboli creati dai Custodi. Quando poi due Dovhjortarna interagivano il caos era totale. Partecipare al loro dialogo poteva risultare fastidioso per un allievo incapace di decifrare parole e immagini spesso unite in un’unica forma, una chimera di luce e suono. I simboli roteavano nella mente producendo un insopportabile ronzio. Ognuno li decodificava a modo suo e ogni concetto veniva esperito in maniera diversa a seconda delle differenti esperienze, attitudini e opinioni. Concetti stereotipati come Bene, Male, Amore, venivano recepiti come valori creati da molteplici realtà, esperienze, sensazioni. Penetrare in una comunicazione al fine di carpire i segreti altrui non era semplice a causa dell’impossibilità di conoscere la giusta frequenza; più o meno come cercare una stazione radio senza riuscire a sintonizzarsi. Al contrario, comunicare per immagini era un’altra cosa. Se i simboli rappresentavano il modo concreto di ogni Birkano di sperimentare la realtà, definibili come uno sguardo sul mondo, sul presente e sul passato, e sulle aspettative e speranze per il futuro, le immagini esprimevano la forza della fantasia. Non che i simboli fossero privi di immagini; alcuni Birkani nel pensare alla guerra, si immaginavano morte e distruzione senza che una sola figura venisse creata dalla loro mente; altri invece vedevano distruzione e fiamme, sentivano distintamente i pianti e le grida delle vittime. Le immagini erano una parte dei simboli, come i suoni, i colori, le forme e persino certe sensazioni fisiche come i brividi sulla pelle, le goccioline di sudore sulla fronte, il bruciore di stomaco, il senso di soffocamento. Però le immagini, considerate come tali, astratte dal contesto e private di ogni significato, erano tutt’altra cosa. Sentire, intuire una comunicazione simbolica era snervante e impegnativo, ma fare parte di una comunicazione per immagini era come camminare sopra le nuvole. La capacità di fantasticare e di sognare non era la stessa per tutti e non tutti provavano piacere a immergersi nel fluire soave ed estasiante del sogno. Ma per i Birkani il sogno non era sempre un’illusione. La capacità di vivere le esperienze reali sognando altre esperienze, anche mai accadute, non significava rifiuto della realtà, ma costituiva uno dei molteplici aspetti della loro sconfinata sensibilità. In tal modo esperienze realmente vissute potevano essere travasate in altre menti. Dopo questo transfert, chiunque sarebbe stato in grado di provare sensazioni mai sperimentate sulla propria pelle, ma acquisite di riflesso: ciò non era un'illusione, non era utopia, era come un sogno realmente accaduto. In un certo senso anche le storie d’amore intessute dalla fantasia di Fredrika non erano un’illusione, ma facevano parte della tradizione tramandata nei secoli e incoraggiata dai Dovhjortarna.

    In tal modo i due potenti Custodi iniziarono un dialogo che non era un vero e proprio dialogo.

    Se non fosti intervenuto in tempo il ragazzo sarebbe morto!

    Ho solo tenuto in sospensione il suo ciclo vitale per tre ytterst. Di più non potevo fare. Del resto, il ragazzo possiede capacità incredibili e in ogni caso un decesso per una scarica di appena ottocento Strömstryka era improbabile.

    Ma non tutti avrebbero potuto sopportare una simile scarica!

    Non esagerare Stor! Il Magnifico si avvicinò al corpo oscillante di Haakon. Comunque il ragazzo ha commesso alcuni errori anche se gli avevo fatto intuire di non esagerare, per lo meno nell’attuale fase dell’esperimento. Invece si ostina a precorrere i tempi senza considerare le molteplici variabili. Sai bene che fare regredire il pensiero fino alla nostra infanzia è per noi semplice e lo dimostra il fatto che possiamo creare immagini di luoghi e situazioni della nostra vita fedeli in ogni particolare. Non perdiamo neppure un dettaglio, un colore, una forma, una frase citata o pensata. Possiamo rivisitare tutte le azioni compiute e analizzare gli errori commessi e in tal modo utilizzare simili esperienze per migliorare il nostro futuro. Ma Haakon ha voluto procedere oltre! Possiede capacità che forse neppure noi Dov ci sogniamo, però non è possibile che tenti di catturare immagini e captare conoscenze del passato di un’altra cultura!

    Ståtlig, il Magnifico Interprete degli Antichi Depositari delle Stelle, che aveva intensificato la propria corrente cerebrale sulla mente di Stor per fargli provare tutta la sua irritazione, divenne più calmo.

    Dovremo impegnarci più assiduamente per inculcargli la giusta dottrina! Non possiamo perderlo! Non almeno in questo modo.

    Stor posò indice e medio della mano sinistra sul mento cominciando a toccarsi con il pollice le profonde rughe che rigavano la sua guancia. Poi, dopo un momento di silenzio, annuì. Il volto impassibile di Ståtlig si contrasse leggermente, abbozzando un impercettibile sorriso rivolto al raggio d’energia che sosteneva Haakon. Stor sentì distintamente la forza della speranza irradiata dall’animo di Ståtlig smettendo di toccarsi i solchi del volto.

    2. Oscurità anticipatrice di sciagure

    Fredrika desiderava recarsi nel Reparto Infermeria del Centro culturale di Medicina Psichica dove Haakon era stato ricoverato da tre ögonblick (alcuni giorni). Sua madre non era d’accordo. Continuava a ripetere di non disturbarlo e di attendere ancora per un po’. Sosteneva che il ragazzo non era nelle condizioni più adatte per incontrarla ed era bisognoso di assoluto riposo. Fredrika non stava più nella pelle. Camminava nel suo alloggio con la smania di fare qualcosa per incontrare o anche solo vedere Haakon. Sarebbe stato sufficiente attendere la sua guarigione per vederlo e chiedergli tutti i particolari dell’incidente. Nonostante informazioni certe e inconfutabili, fornite dai medici per infonderle sicurezza, percepiva un pericolo, un qualcosa di subdolo che stava crescendo, come se un’ombra oscurasse il corpo di Haakon preannunciando l’arrivo di un prodigio. Inoltre si chiedeva in continuazione per quale motivo Haakon fosse stato ricoverato nel Centro Psichico anziché nel Centro di Medicina Organica e Robotica. Provava una sensazione di minaccia incombente. Dentro di lei languiva un’inquietudine emersa dall’interno di una radiosa luce. Prima dell’incidente la sua corteccia visiva rappresentava eventi gradevoli riconducibili all’immagine di una bella giornata di sole. Era questa la sua immagine-simbolo, una volta semplice e scintillante, ma adesso paragonabile a una chimera formata grosso modo da due parti fondamentali: una passeggiata sul lungomare frequentato da molta gente – bambini che corrono, donne che ridono alle battute dei loro uomini, anziani seduti a un tavolino colti nell’attimo di osservare un orizzonte tinto d’azzurro attraversato da un sole giallo – e un’ombra proiettata dall’alto sospesa sopra i palazzi, sul lungomare, sui sorrisi della gente: un’oscurità anticipatrice di sciagure.

    Perché condurlo nel reparto Psico-temporale del Centro Psichico? Ho sempre creduto che quel luogo fosse una scuola e non un’infermeria. D’altronde anch’io ho frequentato il Centro per alcuni skottorna allo scopo di affinare le mie capacità extrasensoriali!

    Non ti assillare la mente con dubbi inutili! Trasmise sua madre. La scarica violenta potrebbe avere provocato dei danni anche se trascurabili. Stai tranquilla. Sono certa che percepirai presto i suoi pensieri.

    Fredrika non prestò attenzione alle frasi della madre, percepite come un distante mormorio. Se Haakon non versava in gravi condizioni come cercavano tutti di farle credere, perché lo avevano internato per tanto tempo in una scuola di perfezionamento, invece di prestargli cure più adatte nel Centro di Medicina Organica e Robotica? Oppure il cervello di Haakon era lesionato a tal punto da non essere neppure in grado di riconoscerla? Se avesse potuto sarebbe corsa ad abbracciarlo, ma sapeva che non le avrebbero mai permesso di entrare, forse per disposizioni impartite dallo stesso Ståtlig. In effetti, durante una comunicazione richiesta nel bel mezzo della sua formazione chimerica, aveva percepito l’imbarazzo del medico di turno, notando che i suoi occhi aranciati fissavano il vuoto al fine di velare i propri sentimenti. In quel momento Fredrika cominciò a pensare che le nascondessero qualcosa, che l’ombra si stesse allargando sul lungomare di una giornata estiva trascorsa su Kaupang, e venne sconvolta dal pensiero che Haakon potesse versare in gravi condizioni.

    Le riaffiorarono alla mente le immagini di un tempo precedente, le lunghe passeggiate al fianco del suo amato tra gli anfratti della montagna e la carnosa vegetazione affacciata sulle alte falesie. Rivisse momenti stupendi che non aveva mai conosciuto, quando su Kaupang le tempeste si placavano e i Birkani uscivano all’aperto per godersi la quiete della natura e ascoltare il respiro del silenzio interrotto dal fruscio di un alito marino. Quante volte avrebbe desiderato ripercorrere le cenge che s’arrampicavano fino alla vetta, scomparendo nel fronte delle nubi perenni, o i sentieri che s’inoltravano nella fitta vegetazione avvolta in una densa e fetida nebbia! Quante volte avrebbe desiderato immergersi in uno dei tanti laghetti alimentati da sorgenti termali e rivedere il sorriso negli occhi di Haakon! Lui era capace di fermare i suoi pensieri negativi, poteva impedirle di lambiccarsi il cervello mostrandole l’effetto del tempo sui campi di grano e sui boccioli di geranio, lasciandola galleggiare in un flusso anodino di immagini e sogni per contrastare il dolore sprizzato da ogni oggetto, da ogni trasmissione di Birka e persino dai rarissimi colloqui che era possibile udire. Anche Hav, l’oceano, con la sua rabbia atavica, sempre infuriato e rigonfio, trasportava il proprio fardello di dolore, come pure la montagna, la mitica Berg, e l’aria avvelenata dai gas fluorescenti. Ma Haakon le aveva impedito di osservare il mondo di Åskvädret e di Stillhet, della tempesta e dei rari periodi di calma, la realtà fisica del pianeta Virvlar, trasferendo le percezioni sensoriali dalla realtà di Fredrika alle immagini e ai colori dei suoi ricordi indotti: suoni e composizioni floreali, silenzi di vette innevate, musiche ancestrali emesse da liuti pizzicati nel passato del suo popolo, corse frenetiche nelle primavere sbocciate d’improvviso e tuffi nella freschezza di equorei paesaggi. Le aveva donato l’immagine dell’amore: il Bytadrömmen di Fredrika, il sogno in continua trasformazione.

    Lo sforzo impiegato per comunicare con Haakon fu notevole. Dapprima non affiorò alcuna immagine, né rumore o altri segnali che le permettessero di riconoscere la flebile trasmissione dell’amato. Giunse ben presto al limite delle proprie possibilità; sentì che stavano per mancarle le forze.

    Sua madre si era resa conto dello sforzo fatto dalla figlia per oltrepassare ogni limite e tentò di fermarla. Si concentrò per incrementare in lei il desiderio di abbandonare ogni tentativo a quel punto già affiorato sulla superficie della mente cosciente. Non era una sensazione ben definita, anzi, se ne stava immobile in un angolino, sovrastata da altri sentimenti; con ogni probabilità Fredrika l’avrebbe dimenticata e forse ricacciata negli infiniti meandri dell’inconscio. Ma la stanchezza era affiorata alla superficie della coscienza e sua madre se n’era accorta. Coltivare nell’animo di sua figlia un senso d’infinito scoramento era roba da ragazzi; inoltre la madre conosceva perfettamente le sue piccole debolezze. Quando cominciò a instillare lentamente vaghe sensazioni era già convinta del successo. In fondo stava intervenendo solo per il suo bene. Le sarebbe bastato agire con discrezione inviando deboli messaggi: una immagine, un suono, alcune sensazioni provate da Fredrika nel passato e a suo tempo fedelmente registrate dalla madre.

    «Ma cosa mi combini?» urlò Fredrika.

    L’improvvisa comunicazione verbale giunse come un dardo nella mente della madre. Colta nell’atto di manipolare le emozioni della figlia, cercò di giustificarsi.

    Perché urli in questo modo? Comunicò.

    Fredrika vide la vergogna negli occhi della madre.

    «Credi sia nata ieri?» continuò Fredrika.

    Ti prego! Non comunicare in quel modo primitivo. Lo sai che mi infastidisce.

    «Ti infastidisce? Ma lo sai che stavo quasi per mettermi in contatto con Haakon? Lo sai questo?»

    Non arrabbiarti, ti prego! E poi non urlarmi nelle orecchie! Perché non comunichiamo normalmente?

    Sua madre era proprio una stupida! Davvero credeva di potere manipolare una sensazione della coscienza? Se proprio avesse voluto agire senza farsi scoprire, avrebbe dovuto coltivare un sentimento di frustrazione dall’interno dell’inconscio senza aspettare che affiorasse spontaneamente. Ma penetrare la barriera della coscienza e procedere sotto la superficie, senza farsi individuare e muoversi liberamente nel labirinto dell’inconscio, era prerogativa dei Dovhjortarna. Soltanto costoro e pochissimi altri Birkani potevano osare tanto, ma per fortuna sua madre non era una di loro e la ragazza poté nuovamente rivolgere la sua attenzione ad Haakon.

    Insisté per molto tempo: attimi, forse minuti o addirittura ore. Alcuni simboli cominciarono a presentarsi con sempre maggiore frequenza. All’inizio erano soltanto alcuni fra tanti; poi Fredrika riuscì a inquadrarli, perché le ritornavano alla mente sempre più spesso. Erano le immagini di sistemi planetari, suoni lontani simili a scrosci di applausi, poi i sorrisi, tanti sorrisi. Ma non era in grado di comprenderli. La sua mente aveva individuato qualcosa, ma cosa c’entrava Haakon con quei simboli? Cercò di fissarli, ma non fu facile. La sua mente era distratta da altro; ogni tanto vedeva affiorare il volto della madre immerso in un liquido denso e rossastro, segno evidente che era dispiaciuta per quello che aveva fatto. Cercò di non pensare. La preoccupazione per la madre le impediva di decifrare i vari segnali. Eppure le stesse immagini, divenute il centro delle sue attenzioni, celavano ciò che Fredrika cercava.

    Dovrà pure sussistere un nesso tra le costellazioni sconosciute che vedo, i vari rumori che odo e le condizioni di salute di Haakon.

    Fu allora che prese forma nel lobo occipitale l’inconfondibile immagine del Centro Psichico. Stanca di non pensare a quel luogo per paura di essere scoperta, decise di comunicare direttamente con Haakon, forzando qualsiasi scudo mentale eventualmente innalzato.

    Conosceva molto bene il Centro anche se non vi si recava da anni. Forse avrebbe fatto bene a creare nella propria mente gli emblemi del passato, quando ancora stava china sui banchi di scuola, per studiarlo con uno sguardo ingenuo, infantile. Avrebbe dovuto immaginare il piccolo produttore di sogni, che usava sempre per giocare, oppure il materiale per dipingere o l’argilla per modellare il suo mondo onirico. I Dovhjortarna che proteggevano l’ambiente forse non si sarebbero accorti dello sguardo di una bambina. Ma Fredrika aveva fretta e cercare un contatto diretto con Haakon fu un grave errore: una densa barriera di interferenze rese vano ogni tentativo, schiacciando la sua mente. Il suo cervello stava per scoppiare, mentre la pressione aumentava sempre di più, ma lei non cedette. D’improvviso, come se il suo inconscio cercasse disperatamente di sottrarsi all’azione della barriera, percepì simboli e immagini di sistemi planetari. Questo significava che doveva tentare altrove. Ormai aveva capito quale fosse il Reparto giusto. Provò a immaginarsi il volto di Somberg, un suo amico medico che lavorava in un’altra sezione del Centro Psichico. Le fu sufficiente allontanare i pensieri dai locali del Centro per non provare dolore e inquietudine. Emise un sospiro di sollievo. Nella corteccia visiva, non più alienata dal caos di immagini formatesi sotto la pressione della barriera mentale, vide apparire, come in una dissolvenza incrociata, il volto sorridente di Somberg e la familiare Sala Ricerche del reparto di Psico-astronomia, una branca dell’Astronomia che si occupava della formazione di immagini e di altri dati di mondi od oggetti alieni.

    Oh, Fredrika! Mi sono accorto della tua presenza. Posso esserti utile?

    No! No! Mi spiace di averti disturbato. Mi stavo annoiando e ho pensato a te. Era da tempo che non avevo tue notizie. Inoltre ero curiosa di sapere cosa stessi facendo.

    Fredrika percepì la soddisfazione di Somberg.

    Hai fatto bene, Fredrika.! Come vedi sto inserendo nell’elaboratore informazioni riguardanti la Hästnebula, visitata mentalmente da pochissimo tempo!

    Somberg era immerso in un alone rossastro da cui, all’altezza della sua testa, fuoriusciva un peduncolo molto più intenso lungo alcuni metri, simile a una proboscide di elefante che si restringeva all’estremità opposta. La proboscide doveva in qualche modo collegare l’elaboratore, e quindi anche Somberg, a una specie di nube molto rarefatta che cambiava continuamente la propria configurazione. Fredrika ebbe l’impressione che il gas rarefatto, somigliante a una stupenda nube vaporosa, sgorgasse direttamente dalla proboscide o ne venisse risucchiato a seconda delle diverse forme assunte.

    Vedi questa energia in continuo fermento? Rappresenta i nostri tentativi di identificare la topografia di una determinata zona galattica. Abbiamo inserito alcuni milioni di dati e quando finalmente il limite del perfettibile tenderà all’infinito, o se preferisci quando il limite dell’imperfezione tenderà a zero, forse potremo ritenerci soddisfatti. Premetto che tutti i dati immaginati dai nostri tecnici coincidono al novantanove per cento. Cioè... le stelle e gli altri oggetti identificati devono essere gli stessi per tutti i settantadue tecnici impegnati in questo progetto.

    Solo dopo la spiegazione di Somberg, Fredrika si rese conto che la sostanza gassosa si componeva e si scomponeva per formare soli e nebulose, costellazioni e sistemi planetari. Ciò che osservava non era altro che una immensa mappa olografica di una porzione di galassia.

    In quello stesso momento il gas congelò e un suono acuto interruppe la quiete della Sala. Tutti i tecnici, come Somberg immersi in un alone rossastro, sospesero il collegamento con gli elaboratori e le settantadue identiche immagini si unirono in un'unica forma che occupò l’intera sala. Al fine di modellare una nube gassosa di simili proporzioni, ogni proboscide si era allungata verso il centro della sala fino a toccarsi e fondersi con le altre per modellare una sola protuberanza. Il Custode responsabile del progetto comunicò direttamente con i presenti. Non comunicò tramite simboli e immagini, ma pronunziò il discorso con le sue labbra e Fredrika poté captare la voce di un Custode.

    «È accaduto un fatto importante! Abbiamo identificato con certezza la forma e la struttura di alcune nebulose del Pilenarm. Interessante notare la forma trapezoidale di quella in alto a destra» e la indicò con un raggio laser. «E soprattutto questa curiosa protuberanza a forma di testa d’Häst.»

    La sala scoppiò in un urlo di entusiasmo e uno scroscio di applausi la inondò di un'inconsueta sonorità. I presenti si sentirono diversi: dopo anni di quiete era la prima volta che tanti suoni differenti rompevano un silenzio interminabile, a esclusione dei gemiti di Åskvädret.

    Fredrika ne approfittò per insinuarsi nell’attiguo Reparto Psico-temporale. Era entrata nel settore dov’era ricoverato Haakon e nessuna barriera mentale l’aveva fermata! Decise di cercare l‘infermeria. Dentro di sé sentiva che non era lontana. Non ebbe neanche il tempo di capire quanto fosse vicina: un’intensa onda d’urto rigettò la sua visione oltre il centro Psico-temporale e Fredrika provò un dolore allucinante, come se una lama affilata le avesse trapassato il cervello da parte a parte. Incapace di sopportare una forza tanto violenta, cadde svenuta nella sua nicchia.

    IL GRANDE TUFFO NELL’OSCURITÀ DELLO SPAZIOTEMPO

    NEI PRODROMI DI FUGHE DA EGEMONI POTENZE ESTINGUIBILI

    COME GLI OGGETTI DEL COSMO E LE FORZE CHE LEGANO I PIANETI:

    L'ENERGIA DI ÅSKVÄDRET, HAV L'IMMUTABILE, LE FULGIDE SAETTE DEL KÄRRET

    E GLI ZOTLAR IMPLACABILI PRONTI A SBRANARE IL LORO VANTO…

    (DA GENESI DEL PRIMO RITORNO SEZIONE 1, LIBRO 3: NEMICI)

    3. L’essenza del cosmo

    Stor intercettò un flusso di energia in procinto di colpire la barriera mentale costruita e sorretta da due Dovhjortarna. Sopraggiunse come una forte burrasca colta nell’atto di abbattersi sul lungomare abitato. La trasmissione cozzò contro la barriera mettendo a dura prova le capacità dei due Custodi, i quali, dopo una debole resistenza, crollarono a terra contorcendosi dal dolore. Resosi conto del pericolo, plasmò uno scudo più compatto del precedente allo scopo di difendere i segreti conservati nelle infermerie, ma soprattutto per proteggere Haakon. Concentrò l’energia nella speranza che almeno la sua barriera mentale resistesse all'urto. Non sapeva con chi o che cosa avesse a che fare, ma intuì che l'intero reparto e una buona parte della città rischiavano la distruzione. Infatti, dopo alcuni interminabili momenti di quiete, una forza inarrestabile, simile a una raffica impetuosa di vento, investì il corpo del Dovhjorten e scaraventò per terra, frantumandoli, alcuni cristalli d'energia incastrati in un quadro comandi. Stor tentò di impedire che i conici cristalli venissero disintegrati, cercando di dirigere la sua barriera verso le loro basi, in modo che gli apici rimanessero incastonati nelle aperture. Per un attimo lo scintillio scaturito dai cristalli continuò a diffondersi come una nebbiolina opalescente intorno al quadro comandi, una mensola lunga poco meno di due metri, trasparente come l'acqua e percorsa al suo interno da un abbacinante effluvio di luce. Stor si convinse di avere impedito alla forza aliena di impossessarsi del dator dell'infermeria, un terminale del grande elaboratore matrice di Birka. Ma il suo sforzo non sortì alcun effetto: la barriera mentale, da lui creata con grande spreco di energia, venne spinta indietro e Stor rovinò sul pavimento di basalto, mentre i cristalli si disintegrarono, alcuni esplodendo in aria, altri frantumandosi sulla pietra. La mensola perse la sua lucentezza e divenne un inutile pezzo di materia grigiastra. Il Dovhjorten Stor, Antico Depositario delle Stelle, autorevole membro del VakBraStjärnor, si rese conto del pericolo: una volta estratti i cristalli di una lega a base di osmio, qualsiasi entità intelligente avrebbe potuto impossessarsi dell'elaboratore centrale e raggiungere il centro nevralgico della città: l’elaboratore matrice detto Huvudsaklig. Entro alcuni secondi, liten ytterst secondo la classificazione kaupiana, i segreti di Birka sarebbero stati rivelati, e tra questi l'organigramma del disegno ideato dai Dovhjortarna, il Våning. La fonte della trasmissione aliena doveva essere identificata a ogni costo. Nonostante i tentativi di annichilire il nemico o almeno di stabilire un contatto mentale, non ottenne alcun risultato. Colpire il nemico si rivelò un errore. Stor si accorse presto di essere diventato l'oggetto dell'attenzione della misteriosa entità. Ma almeno per un po' i segreti di Birka erano al sicuro.

    Improvvisamente la sua barriera mentale si disintegrò e l'autorevole membro del VakBraStjärnor si sentì come uno spettatore davanti a un incendio, allo stesso tempo smarrito e incantato dalla vastità delle fiamme che trascinano l'anima nell'abisso.

    Dovrà pur esistere una forma d'intelligenza dietro a tanta barbarie. Non è possibile che sia un’arma degli Zotlar, pensò.

    La forza ostile iniziò a inglobarlo prima che potesse organizzare una difesa o modellare una nuova barriera mentale. Nonostante opponesse resistenza, sentiva che il tempo giocava a suo sfavore; lottò per un interminabile attimo, finché la sua mente non venne assorbita. Probabilmente non esisteva più, la sua anima stava vagando nel Grande Imbuto Galattico per congiungersi con lo sguardo compassionevole di Skelögd. A ogni modo gli sembrava di non essere stato sconfitto. Si sentiva ancora in grado di organizzare i propri pensieri, a meno che la sua non fosse una sensazione generata dall'entità per illuderlo di essere ancora sveglio. Forse era solo un povero demente come i due Dovhjortarna riversi sul pavimento. Per quale motivo la forza aliena avrebbe dovuto ingannarlo? Se l’emissione era in grado di batterlo, perché sprecare tempo? Pur essendo in balia di una mente più potente della sua, sapeva di essere ancora libero. A un certo punto si sentì galleggiare in un vuoto di luce accecante come se fosse uscito dal suo corpo. Si concentrò per uscire dalla trappola, ma non riuscì né a raggiungere un bordo, né un confine. Quello che all'inizio era solo un senso di smarrimento, si trasformò in preoccupazione e infine in terrore. Si sarebbe lasciato andare permettendo al nemico di fondergli il cervello. Stava quasi per piangere quando provò un improvviso desiderio di protezione e come un bimbo cercò d'istinto un abbraccio materno. Un fluido di luce meno accecante assunse una forma familiare, di mani conosciute che d'improvviso gli saltarono al collo. Stor si sentì soffocare. La morsa d'acciaio gli impediva di ragionare. Aveva paura: non della morte, ma dell’idea che la propria mente vagasse alla deriva, succuba di una pazzia senza ritorno in un infinito spazio di luce. Temette di non potere controllare le proprie capacità, di perdere coscienza della propria esistenza, di smarrire il proprio io in un oceano di istinto e casualità. Cercò di reagire concentrando le sue ultime energie nella speranza che affiorasse alla mente un'immagine qualsiasi. Lo sforzo profuso fu insopportabile. Era come rimanere con il capo sotto una pressa in attesa del definitivo colpo del pistone. Sentì come un rodimento interminabile, un forte mal di testa causato dal suo inspiegabile lambiccarsi il cervello nel cercare di risolvere equazioni senza risultato, teoremi con tesi indimostrabili, finché, quando era ormai rassegnato a esalare l'ultimo respiro, gli apparve l'immagine della madre sorridente che ammiccava con gli occhi per chiamarlo a sé. L'intensa luminosità svanì.

    Stor riuscì a controllare il proprio corpo e si sentì sbattere sul pavimento del reparto Psico-Temporale. Era riuscito a sfuggire alla presa mortale della forza aliena. Per non cadere nello stesso tranello, evitò un nuovo contatto mentale e si concentrò sulla giustizia e sulle motivazioni che lo avevano convinto a difendere Birka. Doveva credere nel futuro del suo popolo riflesso nello sguardo di ogni bambino e nei sorrisi delle puerpere. La salvezza di Birka era fondamentale per i Birkani stessi, ma anche per la gloria dei Vanharren e delle altre tribù esuli e per il bene dell'intero settore, forse anche della Galassia. La salvezza di una piccola città sperduta nelle fauci di un pianeta inospitale avrebbe cambiato il destino della Galassia, avrebbe impedito agli Zotlar di commettere altri genocidi. Il Dovhjorten acquistò più fiducia. Come poteva la forza aliena opporsi a tanta certezza? In altre situazioni avrebbe tentato una contromossa per scoprire e sconfiggere il nemico, ma era suo compito difendere il Våning e soprattutto era suo compito proteggere Haakon.

    La lotta continuò a lungo, almeno dal punto di vista di Stor, anche se forse era passato un solo attimo. D'improvviso il vento cessò e il Custode tirò un sospiro di sollievo.

    Ti senti bene, Stor? comunicò il Dovhjorten Ståtlig.

    Sì, Magnifico! rispose Stor. Ma Dov Ståtlig captò senza difficoltà l'afflizione e la stanchezza del confratello.

    È stato un urto improvviso. Il tempo d'inviare il mio aiuto e tutto era già passato. Dev'essere stata una trasmissione d'una forza terrificante. Ma vedo che sei riuscito a respingerla. Ciò dimostra che possiamo combatterli con discrete possibilità di successo.

    Vero. Ma non ho sconfitto nessuno. Sono riuscito soltanto a liberarmi, ma non a identificare la provenienza della trasmissione. Ho avuto la sensazione di lottare contro qualcosa d'inesistente

    Stor interruppe la sua trasmissione calandosi nel proprio inconscio primordiale per analizzare i possenti guerrieri, gli antenati di tutti i Birkani: i Vanharren. Cercò un nemico paragonabile a quello che aveva da poco affrontato e subito gli vennero in mente gli Zotlar.

    «Pensi anche tu a quello che penso io?» chiese Dov Stor.

    «Sì. Ma credo che siano più forti, come noi del resto. Il tentativo di colpire Haakon per la seconda volta dimostra che credono in una nostra possibilità di successo. Per questo sono più pericolosi. Sapere che Birka possa continuare a esistere li renderà ancora più sanguinari» rispose Ståtlig.

    Avevano entrambi pronunciato ad alta voce le ultime frasi come se volessero farsi sentire, ma ripresero subito la comunicazione mentale.

    Dobbiamo fare in fretta, Ståtlig. La trasmissione aliena arriverà su Nyuvenia e allora non avremo più alcuna speranza.

    Non ne avremo in alcun modo! Volenti o nolenti le loro navi giungeranno presto e non passerà molto tempo prima che identifichino la nostra città.

    Ma siamo protetti da tempeste geomagnetiche con intense radiazioni ionizzanti che si espandono per ore luce nello spazio circostante! Saremo sempre noi i primi ad avvistarli!

    Certamente, Stor. Purtroppo per noi possiedono la capacità di creare campi d'energia tanto potenti da bloccare qualsiasi nostra emissione. Avvistarli per primi non ci sarebbe di alcuna utilità. Sono troppo potenti e abbiamo così poco tempo.

    Ma se è nostro destino soccombere, cosa ci resta da fare, Ståtlig?

    Il Dovhjorten Stor sentì la rabbia salirgli dalle viscere, sospinta in alto dal cuore; allo stesso tempo si sentì impotente, incapace di reagire e di difendere il suo popolo. Cadde in preda a un profondo sconforto. I suoi pensieri cominciarono a fluire liberamente nell'ambiente circostante, finché non vennero captati dalla mente sempre lucida e sigillata del Dovhjorten Ståtlig.

    Non demoralizzarti, Stor! Poco fa ho comunicato che abbiamo ancora alcune possibilità di successo, anche se uno scontro frontale con gli Zotlar equivarrebbe a un suicidio. In effetti una possibilità esiste ancora: il suo nome è Haakon. Pensiamo piuttosto a intensificare le nostre difese in modo da non trovarci impreparati.

    Dov Stor pensò che fosse giunto il momento di discutere su quanto era riportato nelle antiche scritture, sancite secoli or sono e tenute in alta considerazione da tutti i Birkani, in quanto ancora codificabili. Decise di parlargliene senza comunicazioni mentali e anche a bassa voce per limitare eventuali interferenze. Debole com’era non era in grado di difendere la comunicazione e non voleva obbligare Ståtlig a formare una barriera di protezione.

    «O Magnifico Interprete», disse con voce ossequiosa, «il Leuna ci rivela che un domani potremo contrastare il nemico con buone possibilità di successo, nella nostra epoca. Il Leuna riporta...» e Dov Stor prese un lettore ottico per cercare un brano ripreso dalle antiche scritture: «Quando il popolo esiliato sarà disperso e debole, incapace di contrastare la superiore capacità del nemico… quando l’estinzione apparirà come naturale epilogo della storia e i guerrieri fuggiranno da ogni avamposto e da ogni rifugio, appariranno tre perle, dal nulla, non insieme ma soltanto dopo una iniziale separazione e dopo avere vagato senza consapevolezza. Quando comprenderanno e si inchineranno al Leuna e si incontreranno in pace in un triangolo perfetto, le tre

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