Fiabe sarde
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Età: dai 3 anni in su.
In appendice vengono riportati i testi originali in lingua sarda pubblicati nel 1922 da Gino Bottiglioni che sono serviti agli autori come base per elaborare le fiabe contenute nella raccolta.
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Anteprima del libro
Fiabe sarde - Sergio Atzeni
Fiabe sarde
raccontate da
Sergio Atzeni
e
Rossana Copez
presentate da
Albino Bernardini
introduzione di
Giacomo Mameli
illustrazioni di
Bruno Olivieri
ISBN 978-88-7356-934-3
Condaghes
Indice
Introduzione
Cari bambini... di Albino Bernardini
Fiabe sarde
I cani ribelli
Il maureddino
Battista Nuxi
Per un canarino in libertà
Il folletto dalle sette berrette
Il tesoro del castello di Burgos
Maschinganna
È Maschinganna
Nostra Signora del bosco
Il servo di Almansor
La potenza della felce maschio
Is domus bècias
La storia di Basuccu
La scomparsa delle gianas
La vipera
Le fate di Monteoe
La réula
Sant’Antonio del fuoco
Il monte di paglia e il monte di grano
Giorgia rabbiosa l’avara
La storia di Tacchelino
Il vitello stregato
L’orco e il Traditore
Il Santo africano
Alcune note sulle fiabe originarie
Contàssias (racconti originali in lingua sarda)
Gli Autori e l’Illustratore
La collana Il Trenino verde
Colophon
Introduzione
Fiabe sarde, certo. Perché sono sardi i personaggi che gli autori ci presentano. E son sardi i luoghi in cui queste storie si svolgono. Nostri i boschi, le foreste, gli animali, le rocce e le grotte. Sarda, anche, l’estrema povertà in cui viveva la popolazione, l’isolamento col quale si misuravano costantemente i protagonisti: quello geografico e mentale.
Nonostante la ‘necessaria’ traduzione in italiano, i racconti sono sardi nello stile e nella forma (letteraria): essenziale e incisiva. Ed è forse questa l’’arcaicità’ della nostra lingua, cui fa cenno Alberto Mari nella sua Premessa al terzo volume della raccolta Fiabe popolari italiane.
Fiabe sarde, quindi. Ma le fiabe possono essere solo ‘sarde’? No davvero, perchè spaziano nel «mondo incantato» (per una volta non di Bruno Bettelheim) di Rossana Copez e Sergio Atzeni. E sono — come tutte le altre — fiabe del mondo. Basuccu che va in cerca di fortuna è di Ghilarza o abita in Australia o in Tanzania?
Battista Nuxi è una tra le prime fiabe di questa raccolta. Pescatore cagliaritano ma anche «uomo solo, senza moglie né figli». Condizione umana per eccellenza, la solitudine. Soli, di fronte all’eterno problema della morte (e della possibilità insita in noi, di accettazione o meno di tale realtà). Battista rappresenta il cosiddetto immaginario collettivo, ed è in questo che supera ogni limite geografico e temporale. Per saper scendere a patti con la morte bisogna aver vissuto consapevolmente la propria vita: questo è un problema prettamente umano e universale. E le fiabe di Rossana e Sergio ci propongono l’universalità del loro raccontare, del loro scavare nel profondo.
Tra i tanti personaggi di questi contos incontriamo Maschinganna. «E chi è Maschinganna? Nessuno lo sa.» Quanti sono i Signor Nessuno nel mondo? Quanti non hanno identità? Gli autori insistono e per Maschinganna ci dicono: «Maestro d’inganno, quindi, e non di malvagità. Come quasi tutti i diavoli delle fiabe sarde, che sono burloni, scocciatori, ma non certo cattivi».
Forse, riflettendo, potremmo aggiungere: la commovente capacità umana di esorcizzare le nostre paure con l’autoironia. Maschinganna si trasforma. Ora prende sembianze umane: si fa bambino; ora animale: un porcellino arancione; poi fuoco, nuvola, pioggia.
è possibile che questo personaggio ci suggerisca quelli che sono gli aspetti molteplici della nostra personalità, i vari stadi dell’Io e l’esigenza di trovare in noi una sintesi matura e armonica della nostra essenza? Maschinganna è anche l’accettazione della nostra persona, delle proprie contraddizioni.
Il regno di Maschinganna è Pinnia, ad Aritzo, o, forse, il mondo intero? Eccola, la fiaba universale!
V’è poi in questa raccolta la fiaba dal titolo La potenza della felce maschio, triste resoconto del nostro odio isolano, faide e fucili, banditi e vendette. Sergio e Rossana ci dicono: «la felce maschio, purtroppo, non l’ha mai trovata nessuno...». Occorre insistere, il problema è ancor oggi irrisolto, come quelli delle faide e dei fucili, dei banditi e delle vendette.
Ma emerge anche, problema senza tempo, quello contro cui combatte l’uomo: «la nostra natura animale, le nostre pulsioni istintive, il nostro selvaggio Es», come cita Bettelheim nel suo Il mondo incantato. Ancora: «soltanto quando la natura animale è stata accettata positivamente, riconosciuta importante e messa in accordo con l’Io, il Super-Io estende il suo potere all’intera personalità. Una volta che abbiamo così conquistato una personalità integrata possiamo realizzare imprese simili a miracoli». Forse, trovare la felce maschio è possibile.
I bellissimi racconti sulle ‘janas’ o ‘gianas’ che scriver si voglia ci parlano di Sardegna: misteri e segreti, poesia. Arte, fiaba. Ma le gianas, come ci ricorda Alberto Mari, non sono molto dissimili dalle fate, gli elfi, i nani e i folletti della tradizione popolare nordica, irlandese in particolare. Forse è ipotizzabile una loro possibile migrazione da un’isola all’altra: «il popolo delle colline» potrebbe essere quindi imparentato col «piccolo popolo» delle Isole britanniche.
Che dire della storia di Giorgia rabbiosa l’avara? Giorgia era una donna molto dispettosa. Fin da piccola era così. Litigava con tutti e non riusciva mai ad avere degli amici. Un giorno la donna va a portare il pranzo ai contadini tenendo in testa una corbula piena d’ogni ben di Dio. La vede un vagabondo affamato che le chiede cosa ci sia là dentro. La donna risponde: «in sa corbula b’at perda». Il vagabondo, indispettito, le lancia una maledizione e la trasforma in pietra.
Gli autori, a ragione, ci ricordano quanto siano belle le nostre rocce e che forme strane abbiano assunto nel tempo, lavorate dal vento, dalla pioggia, dalle onde del mare. Quelle rocce che hanno ispirato pittori e poeti, che sono testimoni della cronaca reale, di quella del malessere e della rinascita.
Quelle rocce sono il palcoscenico dell’immaginario di questa eccezionale raccolta che ci viene riproposta. Sergio e Rossana ci invitano anche a considerare la possibilità che questa favola, come tante altre, sia stata un’occasione educativa, per far capire l’urgenza della solidarietà e del rispetto tra gli uomini come valore dominante della nostra cultura.
è questo il messaggio, il valore sempre pedagogico della fiaba. Così come ci insegna la storia di Tacchelino, pastore povero di Esterzili, o di una regione del Caucaso, o di una pampa argentina, ma ha la speranza nel futuro perché «ha gli occhi di mare e i capelli di frumento».
Qualche settimana fa, El Pais ha dedicato diverse pagine al tema del romanzo-oggi. In un titolo si leggeva che «la novela no ha muerto, tan solo està enterrada». Questa ristampa delle Fiabe sarde si adatta a quella riflessione comparsa su Babelia del quotidiano spagnolo. La fiaba riemerge, parla, si impone alla discussione, all’analisi. Per sapere, in Sardegna e nel mondo. Per parlare, in Sardegna e nel mondo. Per cancellare i silenzi e vivere di dialoghi.
Cagliari, 1996.
Giacomo Mameli
Cari bambini...
Cari bambini, le favole che Rossana e Sergio vi presentano mi hanno fatto fare un gran balzo indietro nella mia vita.
Sì, perché le conoscevo da molto tempo, cioè da quando, bambino come voi, le sentivo raccontare soprattutto dagli anziani che, al calar della sera, per tenerci buoni, ci facevano sedere attorno al fochile o al camino, completamente avvolti dal fumo che non mancava mai, per via del vento che ce lo rimandava da tutte le parti: finestre, porte, camino, tetto, fessure dei muri.
Perché dovete sapere che queste non sono favole come quelle che siete abituati a leggere, cioè inventate da uno scrittore seduto a tavolino. Intendiamoci, non voglio dire che quelle sono brutte e queste belle. Le favole sono sempre belle, e non solo per i bambini, ma anche per i grandi. Io posso confessarvi, e non me ne vergogno, di averne lette tantissime anche da grande.
Queste sono nate dalla situazione in cui la gente di Sardegna viveva allora. La miseria, l’abbandono, l’isolamento, la paura, e allo stesso tempo la speranza che non abbandona mai gli