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Il risveglio dell'albino
Il risveglio dell'albino
Il risveglio dell'albino
E-book439 pagine6 ore

Il risveglio dell'albino

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Info su questo ebook

Un'inspiegabile glaciazione si sta abbattendo su Akarthia, flagella le terre e costringe la popolazione ad abbandonare tutto in cerca di salvezza. Sordo alle richieste di aiuto del suo popolo, l'imperatore decreta il blocco delle isole interne e schiera la flotta per impedire l'approdo di nuovi profughi.
Nella base di Enthusia la situazione per la Resistenza si fa ogni giorno più disperata. Il comandante Nasedo e i suoi compagni, l'aviopilota Nadir, il legionario disertore Lanthis e la druida Yumi, mettono a repentaglio le proprie vite per raccogliere nuove scorte e salvare i sopravvissuti delle isole più esterne. Saranno loro a risvegliare un essere che sembra l'incarnazione di antiche leggende.
Dice di chiamarsi Jonathan, e non sa nulla di Akarthia, del pericolo che incombe né del proprio scopo. Solo un monito affiora dal suo passato: Da quel momento tu vivrai… Soltanto trenta giorni…
LinguaItaliano
Data di uscita6 ago 2019
ISBN9786050449167
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    Anteprima del libro

    Il risveglio dell'albino - Franco Giacoia e Palmiro Mignini

    Franco Giacoia, Palmiro Mignini

    Il risveglio dell'albino

    Questo libro è un'opera di fantasia. Ogni riferimento a fatti, cose o persone reali è da ritenersi puramente casuale.

    I cieli del sole morente, Vol. 1

    Il risveglio dell'albino

    © Franco Giacoia, Palmiro Mignini, 2016

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    Editing e impaginazione: Scriptorama, servizi per scrittori www.scriptorama.it

    Illustrazione e grafica di copertina: Riccardo Amabili

    UUID: ce0a91c4-1c36-11e6-9316-0f7870795abd

    Questo libro è stato realizzato con StreetLib Write (http://write.streetlib.com)

    un prodotto di Simplicissimus Book Farm

    Indice dei contenuti

    Prologo

    Capitolo 1

    Capitolo 2

    Capitolo 3

    Capitolo 4

    Capitolo 5

    Capitolo 6

    Capitolo 7

    Capitolo 8

    Capitolo 9

    Capitolo 10

    Capitolo 11

    Capitolo 12

    Capitolo 13

    Capitolo 14

    Capitolo 15

    Capitolo 16

    Capitolo 17

    Capitolo 18

    Capitolo 19

    Capitolo 20

    Capitolo 21

    Capitolo 22

    Capitolo 23

    Capitolo 24

    Capitolo 25

    Capitolo 26

    Capitolo 27

    Capitolo 28

    Capitolo 29

    Capitolo 30

    Capitolo 31

    Capitolo 32

    Capitolo 33

    Capitolo 34

    Capitolo 35

    Capitolo 36

    Capitolo 37

    Capitolo 38

    Capitolo 39

    Capitolo 40

    Capitolo 41

    Capitolo 42

    Capitolo 43

    Capitolo 44

    Capitolo 45

    Capitolo 46

    Capitolo 47

    Capitolo 48

    Continua il viaggio

    Prologo

    L'aria andava facendosi più fresca e rarefatta quanto più ci si avvicinava allo spazio aperto.

    L'uomo stava in piedi sul ponte dell'aeronave, i lunghi capelli mossi dal vento. Le sue dita accarezzavano la murata e il contatto col legno scuro contribuì a placare, almeno in parte, il suo disagio. Purtroppo la calda sensazione di quiete era destinata a durare poco. Lasciò spaziare lo sguardo lontano, verso il Nucleo, il cuore pulsante di Akarthia. Indugiò sul lucore biancastro per un tempo indefinito, prima di tornare a scrutare la distesa cerulea.

    La tristezza che velava i suoi intensi occhi neri ne denunciava l'acceso conflitto interiore. Ancora una volta i suoi pensieri percorsero a ritroso i sentieri del passato; un passato che avrebbe voluto dimenticare ma che, per quanto si sforzasse, tornava insistentemente a riaffiorare. Ripensò per l'ennesima volta alla sua terra natale, cara e lontana, che si trovava oltre il Confine Interno. Le nocche delle dita sbiancarono per l'intensità con la quale stringevano la balaustra. In quel preciso momento passato, presente e futuro si condensarono in sentimenti contrastanti. Frugò nella tasca dei pantaloni finché le sue dita non si strinsero attorno a un oggetto familiare. Tenendo in mano la piuma dorata, memento di come nella vita non si debba mai abbassare la guardia, continuò a fissarla nell'assurda speranza che potesse rispondere ai suoi inespressi interrogativi. In realtà, conosceva già da tempo le risposte.

    La nave volante virò leggermente a babordo. Il fumo acre del carbone che bruciava nelle caldaie gli penetrò nelle narici, riscuotendolo. Nutriva in cuor suo la consapevolezza che un giorno avrebbe fatto ritorno in patria per confrontarsi con quegli spettri del suo passato che lo avevano perseguitato per tutto il lungo esilio.

    Quando la sagoma dell'isola di Ylania apparve in lontananza, si strinse nel mantello di pelliccia e, dopo aver lanciato un ultimo sguardo al Nucleo, scese sottocoperta per raggiungere i suoi compagni di viaggio. Il compito che li attendeva era di vitale importanza, per cui relegò le questioni personali nel profondo del suo cuore.

    E, almeno per il momento, i suoi spettri persecutori smisero di gridare.

    Capitolo 1

    Il fumo delle caldaie della Solaris si confondeva con le bianche nubi che ovattavano il cielo, mentre l'orizzonte iniziava a degradare dal suo caratteristico blu intenso a una penombra sempre più accentuata. Continuare su quella rotta significava avvicinarsi pericolosamente all'immensa marea di imperscrutabile nero profondo che, nel giro di poche ore, avrebbe inghiottito l'isola di Ylania, come molte altre che l'avevano preceduta. Ma non c'era modo di sottrarsi al pericolo, la Resistenza aveva bisogno anche delle ultime scorte di carbone dell'isola. Il prezioso minerale era indispensabile per la sopravvivenza della base tra le montagne innevate di Karsyl, quanto per i motori delle navi volanti dei ribelli. Le riserve già scarseggiavano ed era imperativo raggiungere le scorte abbandonate durante l'esodo di Ylania, prima che il Buio reclamasse l'isola, facendola scomparire nel buio, cancellandola da ogni carta nautica, lasciando solo il rimpianto in quanti l'avevano colonizzata e l'avevano chiamata casa.

    Già da diverse settimane i suoi abitanti erano stati costretti ad abbandonare le loro case e le vite che vi avevano goduto per scampare alla glaciazione che preannunciava l'arrivo delle tenebre. L'evacuazione era stata più lunga di quanto il comando ribelle avrebbe auspicato, ed erano stati necessari numerosi viaggi di tutte le navi trasporto a disposizione della Resistenza, con spole tra Ylania e Karsyl, per completare l'esodo dei profughi. Con l'urgenza di mettere in salvo quante più vite possibile, non c'era stato tempo per attingere alle risorse di combustibile dell'isola. Tra un arrivo e la partenza c'era solo una pausa per rifornire le navi, e tonnellate di carbone già estratto rimanevano abbandonate nei centri di stoccaggio.

    Sorvolando l'isola per una rapida ricognizione, Nadir osservò lo squallido spettacolo offerto dal panorama desolato. Yumi gli scivolò silenziosamente accanto, con un'espressione malinconica che offuscava la luce solitamente vivida dei suoi occhi color lavanda. Le sue iridi non erano ciò che attirava subito l'attenzione dell'osservatore, né le orecchie a punta che richiamavano i leggendari elfi delle Ere passate, bensì le doppie ali multicolore simili a quelle di una farfalla, che le spuntavano dalle scapole. Presi nell'insieme, questi elementi le conferivano un'aura fatata, quasi sovrannaturale.

    Ovunque la vista riuscisse a spaziare, non c'era altro che una distesa di terra ghiacciata; ogni traccia dei campi coltivati a ortaggi e cereali era scomparsa da tempo sotto una lastra di ghiaccio dai gelidi riflessi azzurri e violetti; dei boschi rigogliosi non restava che un cimitero di tronchi spogli e bruciati dal freddo, lunghe dita nere che grattavano un cielo plumbeo. Se qualche animale era sopravvissuto, pensò Yumi tra sé, nessuno ne avrebbe udito l'ultimo grido disperato quando Ylania sarebbe stata reclamata dal Buio.

    «Dovremmo trovare un punto adatto per atterrare» annunciò il comandante Nasedo raggiungendoli nella plancia di comando.

    «Ma davvero?» fu il sardonico commento di Nadir. «Se non ci foste voi a darci questi preziosi suggerimenti!»

    Nasedo ignorò la provocazione del mercenario e scambiò uno sguardo complice con Yumi, la quale rispose con un'alzata di spalle e un sorriso di circostanza.

    Individuato infine quello che un tempo era stato l'avioporto locale, Nadir si preparò per l'atterraggio, mentre il comandante e la ragazza si sedettero ai loro posti, imitati da Lanthis. Il guerriero ebbe un po’ di difficoltà con le cinture di sicurezza troppo strette per la sua mole, tuttavia riuscì ad assicurare la fibbia nell'apposito fermo dopo qualche sforzo e colorite imprecazioni.

    La Solaris cominciò a scendere in volo verticale e Nadir azionò gli stabilizzatori a qualche decina di metri dal suolo. Al comando impartito attraverso il complesso pannello di controllo, dalle fiancate della nave vennero sparati i rampini che arpionarono saldamente il terreno ghiacciato. Nadir allineò lo scafo e spense i propulsori, azionando una serie di levette e interruttori. Poi tirò la leva che apriva il boccaporto e si voltò verso i suoi compagni. «Coraggio, si scende ora» disse in tono asciutto.

    Sebbene la temperatura fosse già ben al di sotto dell'umana sopportazione, era il fatale destino a cui Ylania stava andando incontro a trasmettere a tutti loro la più intensa sensazione di freddo che, facendosi strada attraverso gli abiti pesanti, giungeva dritta al cuore.

    I quattro capienti cargo salpati da Karsyl insieme alla Solaris stavano completando le manovre di atterraggio. Non appena si aprirono i boccaporti, ventidue volontari che si erano offerti per la missione si misero all'opera, scaricando le slitte per il trasporto dell'antracite prima di prendere la strada per le miniere. Il minerale estratto nei mesi precedenti era stipato dentro alcune casse in un tunnel di scavo poco fuori il centro abitato, pronto per essere caricato.

    Le figure intabarrate procedettero a capo chino sotto il soffiare incessante del vento gelido. Turbini di nevischio sferzavano impietosamente la pelle del volto scoperta, pungendola come aghi di vetro. Dall'avioporto attraversarono la città ormai deserta. Gli edifici abbandonati, contro i cui muri silenziosi si ammassava una coltre bianca, sembravano giganti di pietra ibernati. Per le strade non riecheggiavano più i richiami del mercato né il brusio della folla, ma solo il fischio lugubre del vento di quell'innaturale inverno di desolazione.

    La pista da seguire usciva dalla città, lasciandosi alle spalle le ultime case già ricoperte da un sudario di ragnatele di ghiaccio. Con un crepitio di ossa rotte, uno dei tetti cedette sotto il peso della neve proprio al passaggio della spedizione. Gli uomini abbassarono la testa e affrettarono l'andatura, tirandosi dietro le slitte. La loro destinazione era in fondo a una gola stretta tra montagne dai picchi impervi che in un altro momento, prima dell'arrivo del Buio, rappresentavano l'orizzonte di quella pacifica isola dalla natura generosa. Ora sembravano solo grinfie pronte a chiudersi su di loro. Cercarono di non guardare in alto, puntando gli occhi sull'apertura del tunnel scuro che penetrava la montagna.

    Nasedo lanciò un'occhiata alle sue spalle per controllare che tutto fosse in ordine. Yumi procedeva giusto dietro di lui, con i piedi scalzi che davano l'impressione di sfiorare appena il manto nevoso senza lasciare la minima impronta. La sua diafana veste di seta azzurra, tenuta stretta in vita da una fusciacca color oro, non era certo adatta per contrastare il clima gelido, tuttavia dava l'impressione di muoversi a suo agio persino in una condizione climatica così estrema. Lanthis arrancava stoicamente alle spalle della druida con fare protettivo, senza mai lamentarsi neppure quando i suoi stivali imbottiti affondavano nella neve alta; il suo incedere dinoccolato e pesante era ostacolato, oltre che dalla mole granitica e dagli abiti pesanti, dal grosso spadone dalla lama di cristallo affibbiato sulla schiena. Sulle sue orme seguiva Nadir, che accompagnava ogni passo con un borbottio sommesso, condannando il gelo ostile e le pericolose spedizioni in isole sull'orlo della catastrofe. A seguire, venivano gli altri componenti della spedizione, chi spingendo chi trainando le slitte, scivolando ogni volta che gli scarponi chiodati perdevano la presa sul terreno ghiacciato.

    All'imbocco della miniera Nasedo gridò gli ordini, per sovrastare l'ululato del vento che sembrava strappare le parole dalle labbra. Gli uomini, non nuovi a operazioni del genere, si misero al lavoro, recuperando le casse dal magazzino sotterraneo nei pressi dell'imbocco alla rete dei tunnel, e caricandole sulle slitte. Chini sotto lo sferzare delle raffiche che già imbiancavano i cappucci e le pelli dei pesanti indumenti, compivano avanti e indietro il percorso tra la miniera e i cargo per riempire le stive.

    Capitolo 2

    Nasedo e Lanthis si concessero una pausa dall'estenuante lavoro di carico del combustibile e raggiunsero Nadir e Yumi all'interno della miniera, al riparo dall'aria gelida. Il mercenario si era categoricamente rifiutato di collaborare, dal momento che l'opera di manovalanza non era contemplata nel suo contratto. Nel tempo trascorso insieme, il comandante aveva imparato quanto fosse inutile discutere con l'aviopilota, per cui aveva deciso di lasciar correre.

    I loro volti erano illuminati dal fievole bagliore delle lanterne da miniera che gettavano inquietanti ombre sulle pareti rocciose. Soltanto le voci sommesse provenienti dall'esterno, accompagnate dallo scricchiolio delle slitte sul ghiaccio, rompevano un silenzio altrimenti irreale. I loro pensieri erano rivolti all'incombere della tragedia e l'ansia di non farcela in tempo utile minacciava di sprofondarli in un vortice di cupa disperazione.

    Yumi sedeva in disparte osservando distrattamente il resto del gruppo. Quel posto le trasmetteva una malinconia senza precedenti. Percepì che l'energia vitale dell'isola era svanita quasi del tutto, ormai. Si sentiva fuori posto, non le piacevano i tunnel. Li considerava solo inutili ferite inflitte al ventre di Gaia; inoltre avvertiva una soffocante sensazione di claustrofobia, abituata agli ampi spazi aperti della sua adorata Arboreen. Come avrebbe voluto trovarsi lì in quel momento, seduta sulle rive del lago dell'Arcobaleno con le gambe immerse nell'acqua dalla temperatura sempre gradevolmente tiepida! Il comandante e Nadir stavano parlando sommessamente tra loro, ma il suo udito fine colse ugualmente alcuni frammenti del discorso: l'aviopilota parlava di soldi e necessità. Evidentemente il concitato dialogo riguardava i termini dell'accordo con il mercenario; sembrava che la cifra non fosse mai troppo adeguata al rischio, a giudicare dalle continue lamentele di Nadir.

    Lanthis era in piedi, fermo davanti a una parete della galleria con espressione assente, remota. Si portò una mano alla fronte e un improvviso capogiro lo fece barcollare. Fu l'esclamazione allarmata di Yumi a richiamare l'attenzione di Nasedo e Nadir. Entrambi si precipitarono in avanti.

    «Cos'hai?» domandò Nasedo scorgendo lo smarrimento dell'altro.

    «Tutto bene» disse Lanthis respingendo le loro mani protese, appoggiandosi invece alla parete per riacquistare l'equilibrio. Chiuse gli occhi finché la vertigine non fu passata e controllò il respiro contando lentamente. Era certo che ci fosse qualcosa... qualcosa che si era impigliato alle sue percezioni, che aveva risvegliato il suo istinto. Il cuore aveva preso a battergli più forte, le tempie a pulsare, ma ora doveva calmarsi, trovare la concentrazione. Inspira, espira... Inspira, espira... Aprì gli occhi ma non guardò i compagni, si voltò verso la parete di roccia, ora consapevole che non tutto nella caverna era come appariva.

    Nasedo lo trattenne per un braccio. «Tutto bene, Lanthis?»

    «Sto bene, comandante» replicò seccamente il guerriero liberandosi dalla presa con uno scatto.

    «Scusate, ma avrei una certa premura» si intromise Nadir con quel sorrisetto indisponente. «Quando il Buio piomberà sull'isola preferirei trovarmi a bordo della Solaris a più di cento leghe di distanza.»

    «C'è qualcosa qui dietro» disse Lanthis, ignorando il commento ed esaminando le irregolarità della parete di roccia.

    Nadir inarcò un sopracciglio con aria scettica. Nasedo guardò Lanthis negli occhi e seppe che il guerriero non si stava prendendo gioco di loro quando vi notò ferrea determinazione.

    «C'è un solo modo per accertarsene» disse. Prese due picconi da un angolo del magazzino e ne lanciò uno a Nadir.

    «Non vorrete davvero farmi credere…» tentò di protestare l'aviopilota. «Fare i minatori non era contemplato nel contratto...» disse a denti stretti, farfugliando qualcosa sul conteggio di un extra per il lavoro supplementare.

    Lanthis trovò un altro piccone e i tre lavorarono a turno, dandosi il cambio per riprendere fiato mentre il sudore colava dalla fronte e si infilava attraverso i colli di pelliccia. Quando infine un colpo di Nadir fece risuonare un'eco metallica, cominciarono a intaccare la roccia intorno, aumentando gli sforzi per allargare il foro. Non dovettero faticare ancora molto prima che una parte della parete franasse.

    «È una porta di metallo!» esclamò sorpresa Yumi quando la polvere di roccia si posò.

    La luce delle lanterne illuminava una lastra metallica semi-scardinata da un lato, ammaccata in più punti, mentre la serratura era ossidata. Dietro la porta si intravedeva un'apertura, ancora troppo stretta per permettere il passaggio di un uomo. I muscoli di Lanthis si tesero nello sforzo di smuovere il pesante pannello. Facendo leva con la spalla, riuscì infine a spingerlo a sufficienza da creare un varco.

    La stanza al di là era completamente immersa nell'oscurità e nel silenzio. Nadir lasciò cadere a terra il piccone e, istintivamente, portò la mano allo stocco in atteggiamento guardingo. Yumi provò a entrare in comunione con gli Spiriti della Natura ma dall'ambiente davanti a loro non percepì alcuna vibrazione in risposta, appena un debole sussurro che le parlava di cose vive, ma era impossibile dire cosa. Piccoli organismi? Una pianta, forse? Era tutto troppo artificioso, innaturale. Eppure sentiva che c'era qualcosa, lì dentro.

    Nasedo mosse un passo all'interno, ma non appena mise piede nella stanza, un ronzio lo fece trasalire. In un lampo Lanthis sguainò lo spadone e seguì il comandante, chinandosi e spingendo la propria mole attraverso il pertugio troppo stretto per lui.

    Luci fluorescenti di un bianco intenso riverberarono all'interno di lunghi tubolari di vetro affissi al soffitto a intervalli regolari, illuminando l'area e aggredendo con violenza le loro pupille, assuefatte al fioco chiarore delle lanterne.

    «Questo non ha niente a che fare con la miniera» li avvisò in un sussurro Yumi, una volta che i suoi occhi si furono adattati a quella sgradevole forma di luce. Nella stanza quadrata non c'erano tracce della montagna che li circondava. La druida trattenne il respiro facendo scorrere lo sguardo lungo le pareti e il pavimento di un metallo così liscio da tradire una tecnica di lavorazione sconosciuta agli uomini. Non c'era nulla di naturale in quella stanza, sembrava persino isolata dal ventre di Gaia, nel quale pure era stata costruita.

    Nadir ebbe un sussulto, ma si ricompose in fretta mascherando l'eccitazione dietro un'espressione spavalda, anche se non poté impedire al suo cuore di palpitare mentre esaminava le strane apparecchiature sconosciute e gli oggetti dalla forma bizzarra abbandonati a terra come se qualcuno li avesse lasciati in tutta fretta.

    Nasedo continuò a muoversi con circospezione, attento a non calpestare quanto disseminato sul pavimento, ma senza mai perdere d'occhio il grosso apparato che dominava il centro della stanza.

    «State in guardia, comandante.» Dietro di lui avanzava Lanthis, il grosso spadone alzato in posizione di guardia.

    Alto il doppio di un uomo, quella specie di guscio non era fatto di alcun materiale conosciuto. Sicuramente non si trattava di legno, ma nemmeno del metallo lucente che li circondava su ogni lato. Una miriade di tubicini si dipanava dalla base piatta del misterioso congegno, un basamento di metallo con pulsanti e piccole leve. Girando intorno, videro che nel guscio si apriva un portello di vetro appannato da un velo di brina. Sembrava di osservare le acque di un lago attraverso una lastra di ghiaccio.

    «Si accende!» esclamò Nadir facendoli trasalire. Tre luci rosse pulsavano ora intermittenti sulla parte superiore del portello. Poi divennero fisse. Quindi si spensero. Nello stesso istante prese vita un pannello dove iniziarono a scorrere numeri arancioni.

    69, 68, 67...

    Nadir e Nasedo si scambiarono un'occhiata preoccupata, mentre Lanthis si avvicinò con fare protettivo a Yumi.

    42, 41, 40...

    Nadir si leccò il labbro con impazienza. Guardò gli altri, poi alzò di nuovo lo sguardo sui numeri che cambiavano a ogni respiro e avanzò risoluto. Il guscio emanava una sensazione di gelo innaturale, ben diverso da quello che avevano sperimentato all'esterno. Gli sembrò di poterlo percepire anche attraverso il guanto, quando appoggiò la mano sul vetro del portello per spazzare i cristalli di ghiaccio che celavano il contenuto. Si accostò ancora di più, cercando di spingere lo sguardo all'interno: qualcosa galleggiava in un liquido percorso da bollicine in rapida risalita. Strinse gli occhi, c'era sicuramente qualcosa lì dentro... un fianco, una gamba, un braccio... Mentre il calore del suo alito scioglieva lo strato di brina, nuovi particolari diventavano visibili: piccoli tubi scomparivano nella carne dell'essere, nel torace, nell'addome, in gambe e braccia.

    Nadir strabuzzò gli occhi e arretrò con espressione inorridita. Si voltò di scatto, e sussultò trovando il volto di Yumi accanto al suo, il capo leggermente reclinato. Si era avvicinata senza far rumore, e stava dritta sulle punte dei piedi nel tentativo di scrutare oltre la sua spalla. Un tenero sorriso era disegnato sul volto della druida. «Lui è vivo» disse con espressione quasi sognante, come se non avesse notato l'aviopilota.

    Nadir la fissò per un attimo, smarrito, prima di rivolgersi a Nasedo: «Comandante, c'è qualcosa qui dentro..»

    I compagni si irrigidirono quando il timer segnò gli ultimi numeri della sequenza.

    10, 9, 8 ,7...

    Nadir arretrò circospetto, la mano stretta sull'impugnatura del suo stocco.

    6, 5, 4, 3...

    Lanthis afferrò Yumi per un braccio e la tirò via dalla capsula spingendola dietro di sé.

    2, 1, 0.

    Per un istante il tempo sembrò arrestarsi, ma non accadde nulla. Poi, improvvisamente, le tre luci rosse si riaccesero, lampeggiando per qualche secondo prima di diventare verdi.

    Il portello si aprì con un sibilo, ruotando sui cardini. La creatura all'interno del guscio scivolò fuori, trascinata dal tracimare del liquido in cui era sospesa. Rimase a terra, rannicchiato in posizione fetale nella pozza che si andava spandendo sul pavimento, tremando convulsamente. I quattro compagni videro guizzare muscoli sottili sotto una specie di membrana grigio-blu che lo rivestiva dal collo ai piedi, i lunghi capelli di un bianco immacolato luccicavano appiccicati come una pellicola al cranio e alle spalle umide. Con un sussulto violento, come di qualcuno che riprende aria dopo aver trattenuto a lungo il respiro, annaspò riempiendo i polmoni e spalancò di colpo gli occhi sulla stanza. Erano rossi, fiammeggianti e alieni.

    Capitolo 3

    La sua mente si attivò prima del corpo. Recependo un generale intorpidimento dei muscoli, inviò il comando ad accelerare la circolazione sanguigna per aumentare la temperatura corporea. Qualcosa di umido lo avvolgeva, le sue mani incontrarono una certa resistenza nel muoversi all'interno di uno spazio limitato. Le informazioni provenienti dell'epidermide vennero decodificate come freddo, bagnato e chiuso. Una volta che le ebbe assimilate si guardò intorno. Si trovava dietro un vetro, immerso in un liquido gelido. Sono sveglio fu il primo pensiero che la sua mente cosciente riuscì a elaborare.

    Attraverso il vetro e la soluzione che gli sciabordava nelle orecchie, riuscì a percepire le onde sonore dall'esterno dell'involucro. Non era solo, i suoni avevano frequenze diverse, ma ancora non era in grado di decodificarli. Istintivamente, e senza che questo interrompesse il flusso dei suoi pensieri, il cervello cominciò a comparare i fonemi con quelli dei vocabolari memorizzati, in cerca di corrispondenze.

    Comprese, senza sapere come, che il tempo a sua disposizione stava per scadere.

    Il portello pressurizzato si schiuse lentamente. Il liquido di stasi si riversò fuori. Tubi, sonde e flebo si staccarono dal suo corpo mentre veniva trascinato fuori dal risucchio. Qualcosa non andava: solo ora si accorgeva della pressione liquida nei suoi polmoni. Cominciò ad annaspare e tossire, il petto scosso dalle convulsioni mentre espelleva il fluido di sospensione con dolorose contrazioni. Inspirò aria e odore di metallo, pellicce bagnate, sudore, sorpresa e paura.

    "È questo, dunque, quello che si prova", pensò aprendo gli occhi per la prima volta.

    Una voce indistinta risuonò nella sua testa, come in risposta al suo pensiero: … da quel momento, tu vivrai….

    ***

    Nasedo si avvicinò titubante. L'essere, dopo il violento sussulto, era rimasto immobile. Il suo respiro si faceva via via più regolare. Yumi aggirò Lanthis. Il legionario cercò di trattenerla, ma il tocco della druida sul braccio fu sufficiente a mitigare le sue preoccupazioni.

    La druida si chinò sull'essere, ai piedi di Nasedo. Il corpo alto e slanciato, perfetto nelle proporzioni, era rivestito da uno strano abito, color grigio-blu metallizzato, come una seconda pelle tesa sui muscoli scossi dalle contrazioni. Gli occhi di Yumi seguirono la linea di quei fianchi stretti che si allargavano verso un torso dai muscoli modellati, visibili sotto la tuta aderente, fino ad appuntarsi sul volto: aveva tratti sottili, simmetrici, e una pelle liscia, priva di imperfezioni. I lunghi capelli bagnati avevano il candore della neve. Era come se la natura lo avesse dotato del meglio che potesse donare. Tuttavia tanta perfezione le apparve artificiosa, troppo innaturale per appartenere a un comune mortale.

    Con movimenti impacciati, la creatura distese gli arti rattrappiti, mettendo per la prima volta in mostra l'ideogramma impresso a rilievo sulla pettorina dell'insolita uniforme.

    «Chi sarà mai costui?» chiese Nadir pur sapendo che nessuno, tranne l'essere, aveva la risposta.

    Quello volse il capo verso di lui, attirato dal timbro baritonale della voce. L'aviopilota non avrebbe mai più dimenticato gli occhi dalle pupille color rosso fuoco che lo fissarono con un'intensità tale da gelargli il sangue nelle vene.

    ***

    Di nuovo quei suoni. Dall'inflessione e dal tono si trattava di una domanda, quindi gli esseri intorno a lui erano in grado di comunicare tra loro, come dimostrava il fatto che si alternassero come in una conversazione, spesso voltandosi a guardare l'interlocutore.

    Con nuovo materiale a disposizione, cominciò a ricomporre lessico e sintassi, assegnando corrispondenze tra quei suoni alieni e la semantica della propria lingua. Impiegò meno di un minuto ad analizzare l'idioma, ancor meno a ricombinare sintagmi e periodi coerenti con la loro grammatica.

    «Cosa significano quei simboli?» si stava interrogando l'uomo dai lunghi capelli neri, indicando il codice impresso sulla sua tuta di ibernazione.

    «A023, la matricola che mi è stata assegnata» disse allora, spingendosi in piedi con gesti lenti e misurati, mentre riprendeva possesso di ogni muscolo con microcontrazioni per combattere l'intorpidimento. Si stupì per un attimo della sua stessa voce, aveva un timbro caldo, un tono né troppo basso né troppo acuto, piacevole da ascoltare.

    «Capisce la nostra lingua!» disse la donna con un sorriso radioso e gli chiese: «Ce l'hai un nome?»

    Indugiò. Quella lettera e quei numeri appartenevano a lui, erano una parte di lui. Provò a sondare i suoi ricordi, ma in quel momento non riuscì a trovare una corrispondenza. Identificare, dare un nome, assegnare un'identità per confermare sé stesso, dire a quegli esseri: io sono vivo, io esisto. «Mi chiamo Jonathan» rispose infine.

    Si guardò attorno. I suoi recettori neurali registrarono una grande quantità di dati, trasmettendo freneticamente input al cervello. Intensificò le emanazioni cerebrali nel tentativo di sondare le emozioni che pervadevano l'ambiente. La sua mente si schiuse e i sensi travalicarono la soglia delle comuni percezioni.

    Fu in quel momento che un punto dietro il cranio di Lanthis cominciò a formicolare, una sorta di campanello d'allarme che gli trasmise l'inquietante sensazione di dover stare all'erta. Pericolo! Come se… Innalzò prontamente le difese nel tentativo di bloccare ogni forma di sonda mentale, ma la sensazione scomparve con la stessa rapidità con cui si era mostrata. Se si era trattato davvero di un'intrusione psichica, allora era stata molto superficiale. Restò comunque sul chi vive, guardandosi nervosamente intorno. I suoi occhi divennero fessure mentre fissava l'umano dalla pelle lattiginosa.

    Ciò che l'individuo classificato A023, che si era presentato come Jonathan, percepì superficialmente in quelle persone, fu senso di paura nell'uomo dal pizzo ben curato, smarrimento in quello dai capelli neri e ostile diffidenza in colui che brandiva la grande spada di cristallo. Ma l'emanazione più intensa proveniva dalla donna, un sentimento capace di trasmettere un calore che gli arrivava fin nelle viscere. Il suo sguardo scarlatto indugiò a lungo sul volto della giovane. Ma ancora di più lo catturarono le sue colorate ali da farfalla che sembravano vibrare inconsciamente a ogni respiro, come in risposta a un segreto vento interiore.

    Che sia questa una delle tante strade che l'evoluzione della specie ha intrapreso? È plausibile che, a causa del fenomeno dell'inbreeding, un allele recessivo sia stato tramandato per generazioni e generazioni fino a manifestarsi in una creatura simile. Poterla studiare avrebbe fatto la gioia dei miei creatori. Quelle ali! Volare deve essere una sensazione meravigliosa: libero da catene, senza alcun orizzonte, sentire il vento accarezzare il volto.

    «Capisce la nostra lingua!» disse la donna con un sorriso radioso.

    «Jonathan?» ripeté Nadir con ironia, segno che l'iniziale timore cominciava a cedere il passo a un'ostentata spavalderia. «Che razza di nome è?»

    Costui tenta di mascherare le proprie emozioni dietro un atteggiamento provocatorio. La dimostrazione di eccessiva sicurezza di fronte all'ignoto deriva dalla necessità di difendersi. Ma da cosa? Mi considera davvero una minaccia?

    Nasedo lanciò un'occhiataccia a Nadir per quella scortesia, quindi si rivolse allo straniero: «Da dove provieni?»

    "Calma forzata, assenza di ostilità, curiosità. Cerca di mettermi a mio agio, ripropone il modello comportamentale di un capo carismatico."

    «Da dove provengo?» ripeté Jonathan con calma, ma la sua mente lavorava alacremente per interpretare tutti i segnali dell'ambiente: la sala di ibernazione era in perfetto stato di conservazione, a parte la porta divelta, le pareti metalliche non recavano traccia dell'usura del tempo. Le ventole d'areazione erano spente, forse disattivate, ma le luci erano tutte accese e non c'erano strati sedimentati di polvere sul pavimento e sulle apparecchiature che vi erano riverse disordinatamente, segno che fino all'ingresso di questi individui la stanza era rimasta chiusa a tenuta stagna. Rivolse uno sguardo alla capsula criogenica, reclinò lievemente il capo e frugò nella memoria in cerca di risposte.

    Frammenti del passato gli si affacciarono alla mente…

    ***

    C'è tutto quel liquido amniotico intorno. Galleggio come un feto nel ventre materno. Al di là del vetro, i monitor della sala di controllo gestazioni trasmettono in tempo reale informazioni sui miei processi fisiologici.

    Un uomo in camice bianco si avvicina, le sua labbra si curvano verso l'alto mentre i suoi occhi cercano i miei, poggia le mani sul vetro e le mie dita cercano di sfiorare le sue; mi sorride, rassicurante: è il Creatore in persona!

    «Ciao A023.»

    Sollevo la mano e la agito lentamente. Nell'analisi comportamentale umana inserita in memoria, questo corrisponde a un cenno di saluto, gesto amichevole di socialità. Ma se l'uomo mi riconosce come A023, perché sono identificato con una sigla? Là fuori tutti hanno un nome: John, Victor, Sheila e altri ancora. Non trovo una spiegazione logica perché il mio io non debba essere legato a un nome identificativo ma a un codice, come quelli che scorrono sui pannelli delle macchine. L'unica risposta plausibile è legata al principio di catalogazione del materiale prodotto in serie, codici diversi per categorie diverse. Sono dunque diverso da loro?

    Un'altra immagine viene proiettata sullo schermo, l'ennesima.

    «A023, è giunto il momento che tu sappia perché sei nato.»

    Ma le immagini a questo punto si fanno confuse.

    ***

    Si sentì aggredito da un fiume in piena. Le tempie pulsavano. Jonathan le massaggiò con i polpastrelli, la testa pareva esplodergli nello sforzo di riordinare le idee.

    «Dove siamo?» domandò di rimando a Nasedo.

    «Il comandante ti ha fatto una domanda!» intervenne Lanthis, ma Nasedo alzò una mano e guardò Jonathan: «Questa è Akarthia.»

    «Akarthia?» fece eco Jonathan. «Cos'è Akarthia?»

    «È il nostro mondo» intervenne Yumi.

    «Costui è totalmente pazzo, comandante» si intromise Nadir. «Lasciamolo qui e andiamocene immediatamente. Non ci è rimasto molto tempo.»

    «No, aspettate» implorò l'albino trattenendo il mercenario per una spalla. «Non capisco. Come sono finito in questo posto?»

    Nadir si sottrasse al contatto con un gesto brusco. «Tieni le mani a posto.»

    «Non ho i dati per definire la posizione di Akarthia, non conosco questo luogo. E perché mi trovo qui?»

    «Se non lo sai tu, non so davvero chi...» cominciò Nadir con tono sarcastico, non smettendo un attimo di guardarlo con sospetto.

    «Cos'è quell'aggeggio da cui sei uscito?» lo interruppe però Nasedo alzando la voce.

    «Una capsula di contenimento criostatico.»

    «E a cosa serve?»

    «A conservare un corpo in perfetta ibernazione.»

    «Ibernazione? Che significa?»

    «Sembra che molte nozioni del mio mondo vi siano ignote» constatò Jonathan. «Con il dovuto rispetto, il grado di conoscenza scientifica della vostra cultura appare arretrato.»

    «Anche su Akarthia esistono scienziati, ma non ho mai sentito nessuno di loro utilizzare termini simili» ribatté Nasedo. «Sei una creatura strana, Jonathan. Affascinante, ma strana.»

    Stanco di tutte quelle chiacchiere inconcludenti, Nadir si distaccò dal gruppo. Poiché l'attenzione dei suoi compagni era rivolta allo straniero pallido, ne approfittò per frugare nella stanza. Iniziò da una cassa accostata all'angolo più vicino. Dopo averne saggiato i bordi con fare esperto, estrasse dalla cintura un pugnale e insinuò la lama in un minuscolo interstizio. Lasciò scorrere il filo lungo il coperchio finché non sentì uno scatto. Soddisfatto, aprì il contenitore. All'interno era stipata una gran varietà di scatolame, con etichette scritte in caratteri sconosciuti. Fece per richiudere la cassa quando un luccichio attirò la sua attenzione. Umettandosi le labbra, recuperò il piccolo cilindro di vetro al cui interno spiccava un cristallo nero sfaccettato e striato di venature viola. Entrambe le estremità erano piatte, una era sormontata da una corona metallica con sei minuscole protuberanze a forma di spillo. Aveva già visto un cristallo di quel genere, con la differenza che l'altro era di dimensioni decisamente maggiori. Era talmente eccitato per la scoperta da accorgersi solo all'ultimo momento dell'avvicinarsi di Nasedo alle sue spalle. Con un rapido gesto

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