Scopri milioni di eBook, audiolibri e tanto altro ancora con una prova gratuita

Solo $11.99/mese al termine del periodo di prova. Cancella quando vuoi.

La ragazza sui calanchi
La ragazza sui calanchi
La ragazza sui calanchi
E-book365 pagine5 ore

La ragazza sui calanchi

Valutazione: 0 su 5 stelle

()

Leggi anteprima

Info su questo ebook

“Questo romanzo nasce dall’amore dell’autore per la sua terra e per la sua storia. E così, come chi, salvando una sola vita salva l’intero universo, la vicenda di una sola persona, sia pure di spicco, può bastare a raccontare un intero mondo he cambia, nel fosco fine del XVIII secolo. E in questa weltanschauung tutto si tiene: il personale e il politico, il locale e il globale, gli individui e il sistema, il micro e il macro”. (Dalla prefazione di Ugo Maria Tassinari).
LinguaItaliano
Data di uscita31 mar 2016
ISBN9788869600463
La ragazza sui calanchi

Correlato a La ragazza sui calanchi

Ebook correlati

Arti dello spettacolo per voi

Visualizza altri

Articoli correlati

Categorie correlate

Recensioni su La ragazza sui calanchi

Valutazione: 0 su 5 stelle
0 valutazioni

0 valutazioni0 recensioni

Cosa ne pensi?

Tocca per valutare

La recensione deve contenere almeno 10 parole

    Anteprima del libro

    La ragazza sui calanchi - Vincenzo Maida

    Vincenzo Maida

    LA RAGAZZA SUI CALANCHI

    www.altrimediaedizioni.com

    facebook.com/altrimediaedizioni

    @Altrimediaediz

    Copertina: Enzo Epifania /Altrimedia

    immagine di copertina: Video Foto Michele Montanaro

    Titolo dell’opera:

    La ragazza sui calanchi

    © 2013 by Vincenzo Maida

    ISBN: 978-88-6960-046-3

    © Altrimedia Edizioni è un marchio di

    Diòtima srl - servizi e progetti per l’editoria

    www.altrimediaedizioni.com

    Prima edizione digitale: 2015

    Quest'opera è protetta dalla Legge sul diritto d'autore.

    È vietata ogni duplicazione, anche parziale, non autorizzata.

    PREFAZIONE

    Ugo Maria Tassinari

    Questo romanzo nasce dall’amore dell’autore per la sua terra e della sua storia.

    E così, come chi, salvando una sola vita salva l’intero universo, la vicenda di una sola persona, sia pure di spicco, può bastare a raccontare un intero mondo che cambia, nel fosco fine del XVIII secolo.

    E in questa weltanschaung tutto si tiene: il personale e il politico, il locale e il globale, gli individui e il sistema, il micro e il macro.

    Montalbano Jonico, piccola città del profondo Sud, è attraversata dai sommovimenti profondi che metteranno capo alla rottura rivoluzionaria. I suoi giovani talentuosi sono partiti, in giro per l’Italia, a studiare, a partecipare all’onda lunga di quell’Illuminismo che vuole spezzare dall’interno le catene che impediscono il pieno sviluppo dell’umana potenza. Ma il cambiamento impone la reazione: e così il panico innescato dall’onda lunga del crollo della Bastiglia spinge a una precipitazione catastrofica anche nel sonnacchioso e lento regno delle Due Sicilie.

    Nel microcosmo del paese di collina che si apre a una vasta visione – in cui la realtà geografica allude e anticipa il salto di mentalità – si addensano tutte le ragioni del conflitto: già duecento anni fa un battito d’ala di una farfalla poteva innescare una tempesta tropicale.

    Poco importa che a infiammare di amore rivoluzionario la giovane Rachele sia stato un piccolo torto patito da ragazzina, l’amica del cuore strappata via dalla sordida prepotenza di un estorsore delle tasse: perché, ancora una volta, in quella piccola grande violenza ci sono tutte le ragioni della necessità di ribellarsi all’ordine costituito.

    È del tutto evidente che quella lezione è ancora del tutto valida, più di due secoli dopo.

    1

    Rachele stava raggomitolata nel suo letto quella calda mattina del 5 giugno dell’anno 1791.

    Dormiva avvinghiata al cuscino e un lindo lenzuolo di lino le copriva solo in parte il corpo.

    Le gambe e le braccia scoperte erano bianche del candore della sua pelle, che un abbigliamento casto oltre misura aveva protetto dal sole pallido dell’inverno e di una primavera che rapidamente andava morendo nella luce abbagliante dell’estate mediterranea.

    I lunghi capelli neri scarmigliati erano stati raccolti durante il giorno dietro la nuca in un nastro di stoffa color rosa, che la sera prima nel mettersi a letto Rachele aveva sciolto e delicatamente posato sul comodino. Il suo viso pulito, come acqua pura di sorgente, si offriva innocente alle carezze della serenità che aleggiava in quell’atmosfera di pace. Un raggio di sole s’intrufolava dal battente socchiuso del balcone e quella lama di luce divideva la stanza esattamente a metà, illuminando un cagnolino di stoffa, accovacciato dalla fanciulla con molto cura su di una sedia in vimini.

    I due grandi occhi del finto quadrupede, disegnati con il carbone, erano rivolti verso il letto di Rachele, come a voler vigilare sul suo sonno.

    Quel pupazzo glielo aveva regalato la sera prima la sua amica Cassandrina e a lungo lei lo aveva contemplato prima di addormentarsi con il cuore gonfio di tristezza a causa di un’intima confidenza che l’amica le aveva fatto, mentre discorrevano amorevolmente, tra singhiozzi e lacrime improvvise, scoppiati come un temporale inatteso in una splendida giornata di sole.

    Il letto di Rachele si trovava nell’angolo più in penombra della stanza che il suo volto illuminava, riflettendo l’innocenza immacolata dei suoi dodici anni.

    In quel silenzio e in quel tepore estivo l’espressione serena del suo viso fissava un riverbero di eternità, che violentava il lento e inesorabile scorrere del tempo.

    Al capezzale del suo letto vi era un crocefisso in legno e una immagine della Madonna. Un grande armadio in noce, uno scrittoio e una libreria con due ante di vetro, che avevano conosciuto chissà quante generazioni, completavano l’arredo della sua camera.

    Non ancora donna e non più bambina, il suo corpo già accennava alla femminilità che di lì a qualche tempo si sarebbe manifestata nel fascino magico della sua esistenza.

    Il silenzio, che allora si effondeva in ogni luogo, nella quiete dei giorni che scorrevano lenti, era di tanto in tanto interrotto dal vociare delle donne del vicinato, dallo scalpitio di muli e cavalli o dai traini che caracollando percorrevano la strada che passava proprio sotto il suo balcone.

    L’eco di quei rumori si perdeva nell’aria senza frangere quella quiete antica. Erano suoni familiari a cui lei era abituata e che non disturbavano il suo sonno.

    Nel paese lucano di Montalbano Jonico non si contavano allora più di duemila anime e la casa di Rachele si trovava proprio di fronte alla porta dell’orologio, che distava appena una cinquantina di metri e divideva il centro abitato tra la parte più antica e quella più nuova.

    Entrambe erano delimitate da due cinta murarie che da secoli lo proteggevano.

    Le spesse mura della seconda cinta erano state rinforzate dopo l’invasione dei Turchi nel 1555 ed era stata costruita la porta della terra da cui s’accedeva alla via principale del paese, su di essa era stata posta una lapide con la scritta Memoria praeteriti timoreque futuri.

    La stanza di Rachele aveva un balcone che s’affacciava a est, verso Taranto; era più alto della porta dell’orologio per cui poteva ammirare il mare con i contorni del golfo jonico che erano visibili fin negli angoli più estremi e Gallipoli appariva in una dimensione onirica.

    Nelle giornate limpide, quando il vento di tramontana spazzava via nubi e foschia e l’umidità svaporava in cielo, al mattino Rachele poteva osservare la lunga scia luminosa del sole riflesso nel mare e poi le navi o i pescherecci, incolonnati come soldati, che solcavano le acque e che da lontano sembravano muoversi con una lentezza snervante.

    Non di rado lei restava per lungo tempo a contemplare quella scena che le appariva come un dipinto animato.

    Lo Jonio infatti sguazzava sulla battigia a poco più di una decina di chilometri e lei era affascinata da quel mistero azzurro che all’orizzonte si confondeva con quello del cielo.

    Una sottile striscia bianca ne segnava l’impercettibile confine.

    La visione che il mare le apriva nel suo spazio sterminato, le dava una sensazione di libertà, come se le donasse una possibilità sempre a portata di mano per fuggire dalla gabbia della vita in famiglia e nella comunità, scandita da regole cristallizzate da secoli e che lei mal sopportava.

    Spesso pensava alla felicità di trovarsi in mezzo al mare su quelle imbarcazioni e si sorprendeva a nutrire invidia per quegli uomini che vivevano molti dei loro giorni in quella sconfinata distesa azzurra.

    Il suo paese, visto dalla costa, sembrava un ampio terrazzo edificato appositamente per godere di quel panorama.

    Fortunati loro, diceva con ingenuità a se stessa in quei momenti, che non hanno nessuna ambascia, nè sono obbligati ad apprendere come riassettare la casa o cucinare, nè compiti da fare e nè orari da rispettare.

    Le sembrava che lì vi fosse il paradiso, senza che mai sospettasse nulla della fatica e della monotonia di chi era costretto a quei lavori marittimi.

    Rachele era la seconda delle due uniche figlie di don Gennaro Cassano e donna Fortunata Mariello. Era nata in un assolato pomeriggio del 25 settembre del 1779 e la delusione dei suoi genitori, che avrebbero desiderato un figlio maschio, soprattutto di don Gennaro che avrebbe voluto assicurarsi una discendenza a cui affidare cognome e proprietà, era stata ricompensata dalla bellezza e dalla buona salute della neonata, che parenti e amici avevano evidenziato esageratamente durante le visite, scrutandola con morbosa curiosità per scovare se fossero prevalenti i tratti somatici dei Cassano o quelli dei Mariello.

    Tant’è che don Gennaro, stanco ogni volta di nascondere il gesto scaramantico delle corna dietro la schiena, temendo che la piccola e la madre potessero rimanere vittima dell’’affascina’, le aveva entrambe dotate di piccole corna d’oro appese a un braccialetto.

    Tali oggetti scaramantici usati per respingere il malocchio, acquistati a Napoli da chissà quale antenato, ben custoditi negli anni, facevano ormai parte del patrimonio di famiglia e si tramandavano di generazione in generazione.

    Al momento della nascita la ‘mammana’ aveva avuto cura di mettere in un piccolo sacchetto la ‘camicia’ che avvolgeva la neonata, quell’ involucro amnicoriale era stato accuratamente conservato da donna Fortunata, che lo aveva poi messo in un piccolo sacchetto di lino bianco insieme a un santino e appeso al collo di Rachele.

    L’abbitino portato nei primi mesi di vita era stato il talismano che avrebbe dovuto vigilare sulla vita di Rachele per tutto il resto dei suoi giorni.

    La famiglia Cassano apparteneva a quella borghesia terriera che, emancipatasi da una condizione di sudditanza alla nobiltà, aveva accumulato consistenti proprietà e poteva permettersi una vita agiata, anche se parsimonia e costumi frugali si erano radicati nelle loro abitudini quotidiane.

    Casa Cassano era posta su tre livelli, non era grandissima ma al confronto del misero monolocale nel quale vivevano i contadini, doveva apparire a tutti come una piccola reggia.

    Al pian terreno vi erano i magazzini, la cantina e le stalle, al primo piano l’abitazione con la cucina, a un lato della quale vi era ‘u ndummiat’’, vale a dire un piano in legno a cui si accedeva con una scala, dove venivano conservate le derrate alimentari per il consumo quotidiano, un ampio soggiorno, un tinello e una stanza per la fida Concetta, al secondo piano le stanze da letto.

    Le ringhiere in ferro battuto degli ampi balconi, conferivano al fabbricato un aspetto austero.

    Don Gennaro Cassano possedeva poi tanti terreni da avere necessità per tutto l’anno di una famiglia di contadini alle dipendenze come salariati fissi; e dava lavoro, inoltre, a decine di braccianti al tempo della mietitura, della raccolta dell’uva e delle olive. Egli aveva studiato legge a Napoli e si era laureato senza lode e senza infamia, ma non aveva mai esercitato la professione forense, nè mai aveva aspirato ad altre attività che non fossero quelle legate alla conduzione dei terreni.

    - Alle scartoffie, soleva ripetere - ho sempre preferito la vita all’aria aperta, le scarpe sporche di polvere o di fango, l’odore della terra, gli innesti delle piante, e adoro prendere parte alla mietitura, alla raccolta dell’uva e poi alla produzione dell’olio e del vino.

    Di quest’ultimo non era un mistero per nessun paesano che don Gennaro non ne disdegnasse un buon bicchiere, spesso non solo uno, bevuto in compagnia dei braccianti all’ombra di un albero d’estate oppure con altri notabili nelle fredde serate invernali nella cantina di proprietà sotto casa. Anche se avesse voluto mentire su tale sua predilezione, a tradirlo sarebbero state le guance perennemente rosse che quando incrociavano il vento freddo dell’inverno diventavano violacee.

    Donna Fortunata era invece sempre impegnata nelle faccende domestiche. La sua dote per il matrimonio aveva accresciuto le già cospicue proprietà di don Gennaro.

    Per quanto avesse studiato da giovinetta, non aveva avuto altra ambizione al di fuori della vita coniugale e la sua esistenza scorreva serena tra faccende domestiche e pettegolezzi di paese.

    Don Gennaro era di media statura e corpulento e i lineamenti del suo volto tradivano il suo carattere mite. Gli occhi erano pieni di bontà e il viso tondo e privo di spigolosità era il segno evidente della sua innata inclinazione alla bonomia. Rifuggiva sempre qualsiasi rischio in ogni attività e cercava di mediare ogni controversia.

    Donna Fortunata di statura alta conservava ancora la bellezza del suo viso privata dal tempo e dallo stile di vita che si era imposto di qualsiasi eccesso di sensualità.

    Il corpo negli anni si era un po’ appesantito e le sue forme marcatamente femminili, con i fianchi larghi e la vita stretta, erano ben nascoste dall’abbigliamento esageratamente ampio.

    I capi del suo vestiario venivano, infatti, sempre confezionati avendo più attenzione alla comodità che non a mettere in evidenza la generosa femminilità del suo corpo.

    Era una perfetta casalinga e la vita monotona che conduceva tra le mura domestiche, trovava una qualche compensazione nella morbosa attenzione che dedicava alla vita di paese, agli accadimenti più minuti, a ogni pettegolezzo, anche a quelli appena sussurrati.

    Concetta, che in paese per distinguerla dalle omonime veniva soprannominata ‘la serva dei Cassano’, provvedeva con quotidiana puntualità a informarla su tutto quello che succedeva e insieme, tra il disbrigo delle faccende di casa, si sollazzavano a sminuzzare ogni fatto di cronaca paesana nei minimi particolari, a ricamarci sopra con la stessa minuziosa attenzione che ponevano quando si cimentavano con ago e filo a decorare lenzuola e tovaglie per il corredo di Irene e Rachele.

    Il pettegolezzo quotidiano era il loro passatempo preferito e si divertivano anche a predire l’esito di quegli intrecci di cronaca minuta.

    Concetta era originaria di Latronico, un piccolo paese di montagna nel cuore della Lucania antica.

    Non aveva mai conosciuto il padre e solo di rado s’incontrava con qualcuno dei sei fratelli e delle due sorelle.

    La madre era morta da tempo e nonostante le pressanti richieste di Concetta non aveva mai voluto rilevarle il nome del padre o molto più verosimilmente non aveva potuto poichè la sua era stata una vita sentimentalmente molto complicata e solo un paio dei nove figli erano stati generati dallo stesso uomo.

    Per gli altri indovinare chi fosse stato il padre era per lei un rompicapo e solo qualche vaga somiglianza con qualcuno dei suoi numerosi amanti occasionali, le consentiva a malapena di avanzare delle ipotesi.

    Ancora giovinetta Concetta era stata affidata alla famiglia Cassano e aveva provveduto alle faccende domestiche e a tirare su don Gennaro ancora in fasce. Quest’ultimo alla morte dei genitori, l’aveva voluta a casa sua. Per lui era come una zia, una di famiglia, e le era sinceramente affezionato; per nessuna cosa al mondo l’avrebbe abbandonata.

    Per i paesani Concetta era dunque una ‘mula’ o quando si voleva affibbiarle un appellativo più repellente una ‘mulacchiona’; in tal modo infatti spregiativamente venivano indicati coloro che nascevano al di fuori di un regolare rapporto matrimoniale.

    Lei si era da tempo rassegnata alla sua condizione di figlia di enne enne e ormai da anni neanche si chiedeva più chi fosse stato il padre.

    Era poco più alta della media, di corporatura esile, aveva il viso oblungo con lineamenti regolari, le labbra sottili negli anni erano quasi scomparse; gli occhi perennemente in movimento riflettevano il suo desiderio di ricercare continuamente gli avvenimenti della vita degli altri che riempivano ormai anche la sua, destinata a scorrere sulle emozioni altrui; si muoveva sempre con passo rapido, come se avesse qualche ambasciata urgente da sbrigare.

    Da ragazza non era stata priva di fascino e di sensualità e non le erano mancati i pretendenti, ma data la sua condizione di ‘mula’ e di serva, s’era convinta che non avrebbe potuto aspirare a un buon partito.

    Sarebbe andata in sposa a qualche bracciante agricolo, quasi certamente a un ‘mulo’ come lei o a un forestiero senz’arte, un diseredato, con un’unica risorsa: quella delle braccia.

    Una famiglia normale difficilmente l’avrebbe accettata, e lei che era ormai abituata a vivere nell’abbondanza non sopportava l’idea di tornare nell’indigenza a una vita di stenti e di essere costretta al lavoro nei campi. Si era dunque rassegnata a rimanere zitella.

    Si commuoveva ancora quando parlava della madre, che pur nella miseria più assoluta non si era risparmiata per sfamarla durante l’infanzia. Ogni volta che il discorso cadeva sulle sue origini concludeva sempre esclamando:

    - Questa era la sorte mia!, e sibilandolo faceva seguire sempre un lungo sospiro simile a un prolungato lamento.

    Concetta si era presa cura di Rachele sin dai suoi primi vagiti e aveva contribuito a farle consumare i primi dodici anni della sua vita nella più assoluta serenità.

    Il carattere vivace della ragazza era anche per lei, come per l’intera famiglia, un motivo di allegria, ma anche di preoccupazione.

    Irene, la sorella di Rachele di sette anni più grande di lei, era invece già fidanzata e presto sarebbe convolata a nozze.

    La loro indole era molto diversa: calma, riflessiva, indifferente a tutto quello che avveniva in paese Irene; volitiva, attenta a ogni cosa, interessata a ogni vicenda invece Rachele.

    Irene era tutta impegnata ad apprendere i segreti della buona cucina e quelli per preparare dolci, conserve e insaccati.

    Si addestrava a diventare un’ottima moglie e madre.

    Rachele non aveva grande interesse per le faccende domestiche.

    Quelle rare volte che era stata costretta a cimentarsi con esse, aveva appositamente combinato qualche disastro, nella speranza che questo avrebbe scoraggiato la madre e Concetta dall’insistere.

    Le piaceva studiare, leggere, scrivere poesie, amava il canto e la sua presenza quando era in casa si faceva sentire.

    La giovane Cassano aveva anche una passione esagerata per gli animali e in modo particolare per i cavalli; tant’è che, incurante delle paure di don Gennaro e degli ammonimenti di donna Fortunata, aveva imparato prestissimo a cavalcare e non perdeva occasione per andare alla masseria e gironzolarvi intorno con uno splendido cavallo a cui aveva dato il nome di Candido.

    Era bell’esemplare di razza arabo, di colore grigio, quasi bianco con due vistose pezzature marrone chiaro, visibili una sui due lati della pancia e l’altra che gli copriva parzialmente la testa.

    I suoi movimenti armonici e energici avevano sin da subito affascinato la piccola Rachele che lo aveva scelto anche per i colori del suo manto liscio e luccicante.

    Don Gennaro aveva affidato il cavallo a mani esperte per essere sicuro che diventasse mansueto e addomesticato.

    Tra Rachele e Candido si era stabilita una immediata simpatia e lei per far contento don Gennaro e tranquillizzarlo ogni volta gli prometteva che si sarebbe limitata ad andare al passo con Candido, girando noiosamente intorno al caseggiato della masseria, ma non appena si accorgeva che il padre s’era allontanato per qualche incombenza, filava al trotto nel terreno seminativo dirimpetto.

    Con Candido Rachele ci parlava e lui sembrava che capisse ogni sua parola che lei accompagnava con lunghe carezze sulla sua chioma grigio-bianca e sulla fronte lunga e lucente.

    Don Gennaro si faceva ogni volta promettere che quella era l’ultima volta che senz’ordine e da sola si allontanava dal caseggiato e Rachele annuiva senza replicare, ben sapendo che non avrebbe mai resistito alla tentazione di trasgredire dalla noiosa passeggiata a girotondo intorno alla casa.

    Irene invece non sarebbe salita su quel cavallo neanche se spinta a forza; l’unica volta che ci aveva provato le era sembrato di stare seduta sull’orlo di un precipizio e aveva implorato don Gennaro di rimetterla con i piedi per terra.

    Anche nel loro aspetto le due sorelle erano molto diverse.

    Irene aveva preso le rotondità e la statura di don Gennaro, mentre Rachele nel fisico rassomigliava di più a donna Fortunata.

    2

    La quiete in paese, quella tranquilla mattina di giugno, venne bruscamente interrotta dall’arrivo di una diligenza con cinque cavalli, seguita da sei armigeri dai cui volti decisi e dagli occhi che roteavano rapidi a scrutare la vie del paese, mentre l’attraversavano, traspariva l’abitudine a confrontarsi in ogni istante con qualsiasi pericolo e a fare fronte anche a un’improvvisa imboscata.

    Lo scalpitio degli zoccoli dei cavalli, dal manto nero e dalla testa gagliarda sui corpi energici, che calpestavano le pietre lungo la strada principale del paese, che collegando le nuove con le vecchie mura di cinta portava alla porta dell’orologio, il tintinnare dei campanelli che ornavano i loro colli robusti, le urla dei postiglioni che facevano schioccare la frusta in alto senza colpire le bestie, scossero la monotonia quotidiana.

    I cavalli sbuffavano e nitrivano mentre li seguiva un gruppetto di uomini, donne e bambini, che si andava sempre più irrobustendo, altra gente si affacciava sull’uscio di casa e ognuno chiedeva al vicino di chi fosse quella diligenza giunta inattesa, avventurandosi nelle ipotesi più fantasiose su chi trasportasse.

    Dalle tende socchiuse della carrozza s’intravedevano solamente gli occhi curiosi di due volti sconosciuti di donne.

    Quell’insolito trambusto fece sobbalzare Rachele.

    La ragazza si sedette a gambe incrociate in mezzo al letto, si stropicciò gli occhi e poi li strabuzzò, mentre quel gran frastuono che udiva diventava sempre più assordante.

    In un attimo i suoi pensieri andarono a Cassandrina e alla confidenza fattale la sera innanzi.

    Non poteva sbagliarsi: la diligenza era venuta da Napoli per prelevare la sua amica.

    La tristezza, che l’aveva assalita dopo la rivelazione della giovane Troyli e che era annegata nella notte del suo sonno innocente, la vinse nuovamente e con un balzo Rachele si portò alla finestra, giusto in tempo per vedere svoltare i cavalli qualche metro prima della porta dell’orologio, proprio verso casa di Cassandrina.

    Quindicenne, lei condivideva con Rachele ogni cosa e la considerava una sorella minore. Le univa, tra l’altro, la stessa passione per i cavalli e anche lei era innamorata di Candido.

    Spesso con Rachele si recava alla masseria ed era un piacere infinito per entrambe stringersi in groppa al cavallo sulla sella o cavalcarlo alternandosi in tempi prestabiliti.

    Ridevano di gusto quando Candido sbuffava come se ridesse insieme a loro o quando si lasciava andare senza pudore ai bisogni corporali, o quando osservavano le sue impressionanti erezioni che per loro erano motivo di scherno e d’allegria e a volte di una inconfessata e morbosa attenzione.

    Figlia di Pietro Troyli, appartenente a una antica famiglia proveniente dalla Slesia, Cassandrina era istruita e vivace, unica figlia femmina era l’orgoglio dei genitori per la sua bellezza.

    Che nelle vene dei Troyli scorresse sangue straniero era visibile dai loro lineamenti, dall’altezza al di sopra della media locale, dagli occhi chiari e dal colorito rossiccio dei capelli.

    Qualche mese prima era venuto da Napoli il sessantenne fiorentino Luigi Targioni, funzionario della monarchia borbonica; la sua missione era quella di scavare a fondo nelle faccende private della borghesia terriera per verificare che fosse in regola con tasse e balzelli. E quando qualche ricco proprietario era ritenuto evasore dei tributi dovuti al re, il Targioni colpiva con intransigenza.

    Sotto le grinfie dell’integerrimo funzionario era finito Pietro Troyli, e le sue vere o presunte inadempienze fiscali erano state severamente rilevate.

    Ma il Targioni conosciuta Cassandrina si era perdutamente innamorato di lei e aveva ricattato con buone maniere, ma anche con fermezza, l’intera famiglia. Avrebbe chiuso un occhio sulle inadempienze del padre, anzi, avrebbe provveduto lui stesso a sistemarle, a condizione che avessero acconsentito, lui vedovo, a dargli in moglie Cassandrina.

    A lei assicurava un futuro di benessere e di mondanità partenopea e a loro la serenità e la promessa di non avere mai più grane con la burocrazia borbonica. In caso contrario Pietro Troyli rischiava il carcere, e l’intera famiglia di finire sul lastrico.

    Luigi Targioni aveva avuto modi eleganti e non era stato brusco, ma le sue allusioni, il suo eloquio fatto di doppi sensi e velate minacce, non aveva lasciato adito a dubbi.

    Era onorato di entrare a far parte della famiglia Troyli e si sarebbe sinceramente dispiaciuto se quell’antica famiglia fosse stata costretta a mendicare il companatico.

    Era questo il messaggio ipocrita che aveva comunicato con un sorriso equivoco nell’espressione, ma eloquente nel significato.

    I Troyli avevano preso tempo; si erano poi riuniti e pur comprendendo l’avversione di Cassandrina per il Targioni, che appariva agli occhi della fanciulla come un vecchio zio, non avevano potuto fare a meno di consigliarle di accettare quella proposta.

    I genitori e i fratelli si erano consolati pensando alla vita agiata che avrebbe condotto nella capitale e alla posizione che il Targioni occupava tra le alte sfere della corte reale.

    Cassandrina, che era sveglia e colta, pensarono si sarebbe fatta strada e chissà quanti lucani e montalbanesi avrebbero fatto ricorso alle sue intercessioni. A loro poi non dispiaceva avere nella capitale del regno un solido punto di riferimento.

    A malincuore la fanciulla aveva ceduto alle pressioni della famiglia, che per il momento aveva deciso di tenere nascosta la notizia ai paesani e anche a lei era stata raccomandata la massima discrezione: non avrebbe dovuto confidarsi con nessuno.

    Solo la sera prima, infatti, il suo animo, che scoppiava di tristezza, si era aperto a Rachele e le aveva fatto giurare sul loro bene che non avrebbe rivelato nulla.

    La giovane Cassano aveva pianto insieme a lei e si erano contagiate in un crescendo di lacrime e singhiozzi.

    Sedute su di un gradino di mattoni sgangherati in una stradina stretta, sporca e poco frequentata, sarebbero andate avanti in quel pianto dirotto chissà per quanto tempo ancora se un buffo cagnolino randagio, a loro noto da qualche tempo, non fosse giunto a piantarsi a pochi passi da loro abbaiando in modo strano, come a voler condividere la loro disperazione.

    Il pianto di Rachele e Cassandrina era divenuto un riso quasi isterico, esploso con ancora le lacrime agli occhi, e poco dopo avevano deciso di rientrare nelle rispettive abitazioni con la promessa di rivedersi prima della partenza.

    In paese era stata fatta circolare ad arte la notizia che Cassandrina sarebbe andata per qualche tempo a soggiornare a Napoli da lontani parenti.

    Solo in un secondo momento si sarebbe saputo del suo matrimonio con una persona altolocata, il Targioni appunto, incontrata durante il soggiorno dopo essersi già conosciuti a Montalbano.

    3

    Rachele si vestì rapidamente, raccolse i capelli nel nastro color rosa e donna Fortunata, che insieme a Concetta stava tirando il collo a una gallina, la vide filare via come il vento e a nulla valsero le sue urla per chiederle dove andasse senza aver neanche bevuto una goccia del latte già versato nel pentolino e pronto per essere riscaldato.

    - Dove corri a quest’ora? Torna indietro immediatamente!, le urlò senza ottenere risposta.

    E insieme a Concetta donna Fortunata per l’ennesima volta ricamò con lunghi fraseggi sul comportamento scapestrato di quella figlia, mentre infilava la gallina in una grossa pentola di acqua calda per iniziare a spennarla.

    Donna Fortunata si era ormai abituata all’indole vivace di Rachele e al suo ritorno le avrebbe dato il benservito: per punizione avrebbe dovuto imparare a memoria almeno una lirica oraziana in latino, standosene chiusa nella sua camera, fino a quando non fosse stata in grado di ripeterla ‘a campanello’.

    Rachele giunse nei pressi della casa di Cassandrina, dove una folla di curiosi si godeva lo spettacolo inatteso che quei forestieri stanchi, come i cavalli che continuavano a sbuffare, offrivano.

    Vide scendere dalla diligenza due donne che vennero accolte con sorrisi compiacenti dalla madre di Cassandrina, mentre il padre e i fratelli erano tutti eccitati nel dare indicazioni agli armigeri e ai postiglioni sul come e dove sistemare i cavalli.

    Rachele cercò di capire se erano genuine tutte quelle moine e tutti quei gesti ossequiosi o se si trattasse invece solo di finzione e poi scrutò con insistenza per vedere Cassandrina, ma dell’amica non vi era neanche l’ombra.

    Quando tutto terminò e i protagonisti, che erano stati sotto osservazione come degli attori sul palcoscenico, entrarono nel palazzo Troyli, la folla si disperse a gruppi e in tanti continuarono a chiedersi chi fossero quei forestieri e per quale ragione fossero venuti.

    Le risposte che si davano erano le più varie. Ma la verità, che nei piccoli paesi non conosceva ostacoli e attraversava pure i muri di pietra e mattoni filtrando anche da un semplice sguardo, incominciò a circolare dopo poche ore nonostante

    Ti è piaciuta l'anteprima?
    Pagina 1 di 1