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Broken Worlds
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E-book369 pagine5 ore

Broken Worlds

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Info su questo ebook

La Vancouver del futuro, unica città riemersa dopo l’innalzamento degli oceani in seguito ad una grande guerra. Uno scenario in decadenza, fra sperimentazioni climatiche sulla popolazione e virus.

In tale contesto, Violeth, Leth, una ragazza quattordicenne con la passione per le poesie, una civile con una famiglia, almeno questo credeva di essere fino a quando l’incontro con una medium le apre la mente a nuove realtà. Assieme a Nicholas Cavendish, figlio di uno dei fondatori della lotta ribelle, Leth affronterà innumerevoli prove di coraggio alla ricerca di un ciondolo. La legittima proprietaria del ciondolo misterioso è la stessa ragazza immune alle malattie e virus circolanti, in grado di rimarginare le proprie ferite del corpo in modo assolutamente naturale. Un viaggio fra pantere mutate in zombi, avvoltoi e coccodrilli, alleati da sconfiggere, robot agenti e persone che credeva semplici e comuni civili.
LinguaItaliano
Data di uscita24 feb 2016
ISBN9788892557963
Broken Worlds

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    Anteprima del libro

    Broken Worlds - Serena Baldoni

                                                      PREFAZIONE

    Avete mai pensato alla causalità con cui tutto può accadere? Crollare? Spezzarsi? Diversificarsi in un futuro senza speranza che credevate vostro di diritto? Alla testa, che inconsapevolmente o meno, chiniamo ogni giorno pur di andare avanti e non infrangere il ciclo vizioso che ci domina? Quando la fantasia lascia il posto alla realtà e la realtà stessa supera il confine di quell’immaginazione? 

    Combattereste se l’ultimo sprazzo di terra, comandato da un sistema totalitario, minacciasse di rendervi inermi al susseguirsi degli eventi? 

    Vittime di una vita ordinaria, sullo stesso binario che conduce ad un ennesima rotaia morta, sareste in grado di abbandonare quella che era la vostra piccola, ma importante ed unica vita? 

    Esiste un fascino primordiale negli atti di coraggio volti a difendere l’avvenire, un fascino che in alcuni casi, in precedenti cicli viziosi di guerre e stermini, si sono dovuti avvalere di una forza insurrezionale per ribaltare il presente e quel fascino si chiama : ribellione.

    Ci sono vari significati della terminologia ribelle : un popolo che insorge in una lotta armata contro l’autorità che lo opprime, spesso il termine è sostantivo e riconduce al passato della storia per indicare i rei di ribellione messi al bando. È indocile, è il temperamento di un bambino, di un adulto, di un anziano, di un intero popolo. È il rifiuto all’obbedienza che non restituisce pace in cambio. Ma è anche il sorgere di una nuova alba, dove la morale di una storia fantastica può indurre tutti alla riflessione.

    BROKEN WORLDS                                         

                                                        Parte Pima

                                                 Violeth (-I-) Anthia    

    Ho un’ultima lezione da dare: essi mi devono uccidere perché sappiano quello che hanno fatto. La città dovrà affrontare la propria colpevolezza.

                                                                       Socrate.

    Vancouver, gennaio 2095, distrutta e devastata dalla Grande Guerra di sommossa popolare, lontana dall’idea che ognuno ricordava dei passati ultimi decenni. Ultimo luogo sopravvissuto assieme a svariate Isole, numerate secondo lettere dell’alfabeto, agli innalzamenti degli oceani per effetto di sperimentazioni ad azioni divergenti sul clima.  Lo scenario era quello di un luogo in decadenza e povertà, mai completamente ricostruito dopo le rovine.

    La parte di città restante si divise in tre categorie: alleati, ingrati e civili semplici.

    Gli alleati servivano il partito regnante, gli ingrati erano considerati dei disertori ribelli che vivevano nascosti mescolandosi agli altri, mentre i civili semplici affrontavano una vita di stenti, soggetti a malattie e a scarsità di diritti personali, quasi lobotomizzati dal sistema. Ognuno pensava a se stesso, alla propria sopravvivenza, accettando il susseguirsi delle cose senza reazioni, in questo modo l’ordine non veniva mai infranto.

    Nessuno poteva dire di sapere dove vivesse il capo del partito alleato, ma la scelta di non sommergere Vancouver fu presa per ciò che si nascondeva al suo interno.

    Ore 07 di un mattino grigio invernale, quello che restava della città era in risveglio, in movimento verso l’ innalzarsi del giorno. 

    L’abbaiare dei cani, il cigolio di autoveicoli su ruote, l’alzata delle  saracinesche proveniente dalla gallerie sotterranee, situate sotto il livello di grattacieli e palazzi, i mormorii bisbigliati a voce bassa dei passanti. Sull’intera popolazione  vigeva un silenzio fatto di commenti soffusi, contenenti paure e ricordi. Nulla di tutto ciò sembra turbare il sonno di Violeth, nemmeno lo stridio della sveglia che incalzava con suono deciso da qualche minuto.

    Finalmente qualcuno varcò la soglia della sua porta   per svegliarla, si trattava della nonna paterna Maryse; da molti anni viveva ormai nella stessa casa in seguito alla scomparsa del marito. I Grey possedevano una clinica medica, l’unica rimasta aperta in tutta la città il che rendeva estremamente difficile la loro presenza frequente.

    -Leth- urlò. 

     -Non senti da quanto suona la sveglia? È tardissimo, devi alzarti o arriverai nuovamente in ritardo a lezione, ti aspetto di sotto in cucina, la colazione è già pronta-.

    Con gli occhi ancora appannati dal sonno  si alzò a fatica dando un’occhiata al display della radiosveglia.

     -cavolo!- pensò, - non sarò mai pronta in tempo-.

    In fretta e furia corse in bagno, cinque minuti ed era quasi pronta, s’infilò un paio di jeans e un maglione pesante, una spazzolata ai lunghi capelli castani con riflessi biondi e di corsa giù per tentare di mangiare qualcosa.

    -Quando imparerai ad andare a letto prima la sera...?- brontolò . 

    Violeth non diede molto peso a tali parole, intenta con una mano a reggere la tazza del latte e con l'altra a passare un velo di mascara sulle ciglia dei suoi grandi e fiabeschi occhi verde mare.  Della famiglia era l’unica ad averli cosi chiari, così come i riflessi biondo ramato dei suoi capelli lunghissimi, non li tagliava da un sacco di tempo pensò sistemandoli in una coda alta.

    Terminata la colazione prese la borsa dei libri, salutò con un bacio la nonna e vagliò il portone di casa per dirigersi frettolosamente all’Allies School, la scuola secondaria della città, privilegio di pochi civili abbienti. L’istruzione e la cultura ancora permesse, erano severamente controllate e manipolate allo scopo di occultare la verità. 

    Il nome dell’istituto derivava dal famigerato Partito governante.

    Giunse col fiatone sino all'entrata dell’istituto dove seduta ad aspettarla l'attendeva Cloe, la sua migliore amica di sempre, che  da uno degli scalini, sembrava fissarla con aria scocciata.

    -Ma che diavolo di fine hai fatto? Ti rendi conto di essere più in ritardo del solito? Lo sai che ore sono, la sirena ha già suonato! Quasi le otto e venti e adesso fino alla seconda ora non possiamo entrare, per giunta stavo letteralmente congelando qui fuori!-

    -Perdonami! Sono un caso disperato-

    Al suono della campana delle nove si affrettarono a salire sino al secondo piano nella loro aula 3, il professore di storia non era ancora arrivato. Seduta sulla cattedra vi era Thina, la ragazza più antipatica e pettegola del quartiere, convinta al massimo della sua bellezza, portava lunghi capelli neri sfumati qua e la da meches color rosso vivo, un corpo snello e asciutto e un paio di occhioni scuri. Da sempre in contrasto con le due ragazze non mancava occasione per esternare offese, cattiverie e pessime battute sarcastiche. Ignorala era l’unico modo per non attribuirle l’attenzione che andava cercando, non che servisse a farla cedere. I suoi giochetti psicologici nei confronti di Violeth riguardavano spesso e volentieri un ragazzo, lo statuario ed atletico Jason, provava attrazione per quelle iridi scure e i capelli a militare. Dalla stessa Thina aveva appreso della storia fra lui e Laura, la ragazza più popolare e desiderata dell’istituto. Come poteva reggere il confronto con il suo aspetto da bambola di porcellana raffinata? Se la perfezione avesse avuto un esempio tangibile sarebbero stati proprio i suoi occhi celesti, chiari ma non troppo, limpidi come un’alba mattutina e quei boccoli biondi oltre le spalle. Violeth stessa si incantava al suo passaggio. La notizia di quella relazione la sconvolse senza esternarlo. Pranzarono a casa di Cloe, un vecchio rudere dall’esterno ma pur sempre accogliente, la stragrande maggioranza delle abitazioni proprie civili riversava in codeste condizioni. Gli arredamenti però brillavano di luce propria, come gemme al riflesso dei raggi solari, la madre non biologica di Cloe aveva abbandonato la vita dell’esercito nei marines per dedicarsi ad un nuovo lavoro che le permetteva di passare più tempo a casa. Arredare economicamente gli interni delle persone le permetteva di sfogare la sua vena artistica. Quando non c’era Sophy era Rossy a fare da balia, una donnona dai lineamenti grossolani e robusti ma con un affetto incondizionato che la legava a quel nucleo. Non era mai stata nascosta l’adozione, un tragico incidente stradale coinvolse l’intera famiglia di Cloe lasciando in vita soltanto lei diversi anni prima. 

    La routine delle giornate  riusciva  ad eludere i controlli, due ragazzine che distribuivano volantini e provvedevano alle commissioni di qualche anziano potevano  anche passare in sordina, non classificandosi come attività per cui spiegare personale. 

    Due bambini attirarono la sua attenzione di fronte ad un vecchio edificio alimentare, erano visibilmente denutriti, qualche moneta non avrebbe cambiato il loro degrado ma era tutto ciò che le amiche potessero fare. Il viso di entrambi si accese di luce propria nel riceverle.

    -Hai mai pensato alla tragicità dell’indifferenza altrui? Tutti arrancano per sopravvivere, ma nessuno è disposto ad aiutare … - rifletté Violeth.

    -Dopo la guerra le persone sono cambiate Leth, hanno paura e la paura è una forte corrente in grado di bloccarli-

    La paura era in grado di plasmare così a  fondo da modificarne i valori umani? Era sempre stata restia ad accettarlo. 

    Il cielo si oscurava prematuramente sulla città, prima che facesse buio ogni minorenne doveva trovarsi alla propria abitazione, il coprifuoco negava per legge la loro presenza immotivata o non accompagnata per le strade. Dei robot agenti operavano, con discrezione e senza rendersi troppo visibili, per far in modo che nessuno infrangesse tale regola. 

    Le serate di Violeth erano scandite da appunti, poesie, frammenti di sogni su un quaderno blu, il tutto sulla trapunta di un letto sul quale finiva per addormentarsi. Ogni mattina il suo ritardo cresceva, lei stessa trovava seccante il ritardo, lo definiva una forma irrispettosa verso gli altri, ma abbandonare il letto era un trauma ingestibile. La notte non era fatta per dormire, era da li che nascevano i migliori versi. Occorreva sapersi calare nel buio dell’oscurità riflessa oltre una vetrata, sotto un cielo ghiacciato per trarne ispirazione.

    Quel giorno all’istituto ogni studente avrebbe dovuto partecipare alle pulizie settimanali dell’edificio al suo esterno, gli intonaci si reggevano per una sorta di miracolo ultraterreno ma nessuno se ne occupava, nessuno poteva farci niente.  Le mansioni s’impartivano singolarmente, a Violeth toccò il cortile innevato che si affacciava sull’argine di un canale artificiale. Con l’enorme sacco che si trascinava dietro, tra una lattina di limonata raccolta sotto lo strato di neve ancora fresca e una carta di snack, alzò lo sguardo dritto davanti a sé, proprio li, proprio in quel momento, vide ciò che non avrebbe voluto vedere. Jason e Laura si scambiarono un tenero e fugace bacio in pubblico. Il cuore poteva spezzarsi senza frantumarsi in miliardi di pezzi e il dolore era persino peggiore di una lesione vera, era insopportabile vedere la persona dei tuoi sogni rapportarsi con la propria. Il sacco nero poteva restare solo per un po’, il tempo di cambiare aria e l’argine sembrò il posto perfetto per pensare. Il ghiaccio era spesso ma arrampicarsi fu meno impervio di restare dov’era, soltanto a pochi metri di distanza sembrava un mondo a parte, pieno di pace. 

    -Hey … non vorrai buttarti vero? Sai, sembra una spessa lastra di ghiaccio ma in realtà non la è, stai a guardare … - 

    Un sasso di piccole dimensioni lo ruppe come descritto dal ragazzo alle sue spalle, una voce calda e decisa, sicura.

    -Scusami?-

    -Stai pensando di buttarti per caso?-

    -No! In ogni modo non sarebbe affar tuo, ci conosciamo per caso?-

    -Non ti ho mai vista prima a dire il vero, mi sarei ricordato del verde prateria dei tuoi occhi-

    Non era abituata ai complimenti, cosa avrebbe dovuto fare? Ringraziare o restare sulla difensiva come si fa quando ci si trova davanti un estraneo?

    -Non voglio buttarmi. Pensavo soltanto- tagliò corto.

    -Sono Nicholas Cavendish. Frequento l’istituto superiore a pochi passi da qui-

    Era alto, almeno sul metro e ottanta, il giubbotto nero nascondeva il suo torace ma gli conferiva ugualmente un aspetto definito, portava i capelli castani divisi da una riga al centro della testa, alcune ciocche gli ricadevano fin sino ai lobi delle orecchie, il resto giungeva quasi alle spalle. Il colore dei suoi occhi erano simili alle bacche di giuggiolo, ma le pagliuzze all’interno delle sue iridi si mescolavano a riflessi ambrati luminescenti.

    -E tu?-

    -Io?- 

    -Hai un nome?-

    -Si, Leth, Violeth insomma. Scusami devo andarmene- si alzò di scatto balzando al di sotto dell’argine. 

    -Sei più bella quando non irrigidisci le labbra e accenni un sorriso. Spero di rivederti Leth- 

    Non sorrise ma dovette trattenersi a fatica dal farlo, continuò a camminare velocemente fino al sacco prima di voltarsi e non riuscire più a vederlo. Era in fremito all’idea di raccontare tutto a Cloe all’uscita.

    -Era carino? Sembra romantico … -

    -Smettila, non l’ho mai visto prima, potrebbe essere chiunque, un maniaco, un malato psicopatico, un drogato … -

    -Come lo hai descritto fisicamente?-

    -Non l’ho fatto, perché?-

    -Credo sia dall’altra parte della strada, sarà una sensazione ma sta guardando verso di noi-

    Impietrita si costrinse a guardare. Una strana sensazione di agitazione la pervase, era proprio il ragazzo dell’argine.

    -Mio Dio … - biascicò.

    -Allora è lui? Niente male, davvero niente male Leth! Ancora meglio di Jason-

    -Non guardarlo!- imbarazzata si ritrasse dietro Cloe. 

    Nicholas aveva attraversato la strada e affrontarlo sarebbe stato inevitabile, cos’era tutta quell’ansia? Non riusciva a darsene spiegazione. 

    -Ciao! Ho pensato di farti un saluto e controllare di persona che non avessi scelto di buttarti alla fine- disse sarcasticamente. 

    -Buttarti da dove?- impallidì Cloe. 

    -Da nessuna parte!-

    -Sono passato per lasciarti il mio numero di telefono-

    -Cosa ti lascia pensare che sia disposta ad accettarlo? Non so chi tu sia!-

    -Nessuno lo sa prima di conoscere qualcuno-

    -Non fa una piega Leth- precisò Cloe. 

    Doveva pensarci su, ma allo stesso tempo voleva andarsene, tutti gli occhi erano puntati su Nicholas, le ragazze dell’istituto gli passavano accanto lanciandogli sorrisetti e smorfie plateali. 

    -E va bene!- cedette –Facciamo in fretta-

    Il rimbombo incalzante di un tuono presagiva un temporale in avvicinamento, il sole debole della giornata si lasciava sovrapporre da nuvoloni neri e densi, bisognava allungare il passo per non correre il rischio di una pioggia gelida. Nessuno correva più veloce di Violeth e Cloe. 

    -Aspetta Clo! È lo stesso bambino di ieri quello infondo alla strada- le urlò.

    -Leth! Fra pochissimo sarà tempesta!- Come non detto la inseguì lungo un vicolo antecedente al negozio alimentare. Quando la raggiunse una cascata di grandine si abbatté sulla città, i ciottoli delle strade si trasformavano in una pista da hockey, scivolosa e instabile. 

    -Leth! Dobbiamo andare-

    -Andiamo-

    -Cosa gli hai detto?-

    -Si chiama Chris, ha qualche difficoltà con la pronuncia, suo fratello sta male. Mi sono offerta di accompagnarlo a casa ma è scappato via prima che potessi reagire-

    -A cosa stai pensando? Conosco quello sguardo … - la voce di Cloe si affannava nel tentativo di correre e scansare i chicchi di grandine.

    -Voglio aiutarlo, facciamolo indirettamente-

    -E come?-

    -Un’asta benefica, un evento mai creato prima! Ho la persona giusta in mente, il sindaco è un vecchio amico di Maryse-

    -Ero preparata a un categorico no, invece accetto! Ottima idea signorina Grey … Invitiamo anche Nicholas, forse ha un amico-

    -Non se ne parla-

    -Mi dirai di si … non puoi resistermi-

    -Pensa a correre!-

    Lampi e tuoni si abbattevano sempre più violentemente, le strade si svuotarono in fretta dai pochi passanti, ognuno rincorreva un riparo nel quale arrivare in tempo. Di sfuggita, prima di arrivare alla via del ritorno, una ragazza senza giacca gli tagliò la strada sfrecciando, ciò che colpì le ragazze fu il colore sgargiante dei suoi capelli, un viola accentuato. A Violeth sembrò quasi un volto conosciuto, per un attimo, come un déjà vu sul quale non si fermò a riflettere. 

    Con gli abiti completamente inzuppati ognuna arrivò alle proprie case. I Grey si dividevano ormai in doppi turni dagli orari massacranti, i malati giungevano via, via,  in un crescendo di emergenze disperate, i fondi non bastavano mai e le forniture di scorte potevano arrivare solo se precedentemente saldate. Maryse raccolse la proposta della nipote con lo stesso entusiasmo, ignara delle future conseguenze che avrebbe provocato sul sistema. Il sindaco Jhon era cresciuto assieme al suo Enric, il marito defunto in guerra, l’amicizia che li legava era sempre stata solida come catene d’acciaio, sovralicava anche i sentimenti che in realtà aveva tentato di reprimere nei confronti di Maryse. Si vedevano di raro in seguito alla cerimonia funebre, ma riallacciare i contatti con lui non le dispiaceva. 

    A cena terminata le calde coperte e il rumore irruento, ma allo stesso tempo distensivo, le strapparono le ultime risorse d’energia accumulate nella giornata, il bambino nel vicolo tormentò i suoi sogni, così come lo sconosciuto ragazzo al canale ghiacciato. 

    Con il suo solito ritardo di routine, il mattino dopo l’intera Allies School parlava dell’iniziativa per l’asta, le lezioni vennero straordinariamente sospese per creare striscioni e brochure, scatoloni dove riporre qualsiasi oggetto utile alla vendita.

    -I tuoi verranno Leth?- domandò Cloe indaffarata con l’inventario dei prodotti.

    -No, non riusciamo quasi più a vederci nella stessa casa con i turni alla clinica, mia madre aveva un progetto in cantiere, partire per le Isole per cercare e formare nuovo personale, ma temo stia rinunciando-

    -Anche i miei non riescono a sganciarsi dal lavoro, non ho voluto insistere, si adoperano a sufficienza per me … -

    -Cloe … tu sai di essere importante per loro, devi smetterla di incolparti, perché lo fai, ti incolpi in un certo senso-

    Aveva ragione, Violeth riusciva sempre a focalizzare il baricentro esatto del problema, la sua adozione non la rendeva diversa dagli altri, eppure sin dai tempi remoti dell’asilo era stata soggetta al bullismo di Thina e del suo gruppetto di simpatizzanti. Il diverso e il nuovo spaventavano le personalità più deboli che temevano il confronto, paradossalmente la maggioranza delle persone non riusciva ad avere figli in seguito alle malattie a cui erano esposti, tenendone all’oscuro i propri figli. 

    -Io non parteciperò a questo furto!- piombò Thina con aria arrogante. 

    -Tranquilla, su di te non contavamo- replicò Violeth seccata.

    -Ma come fai? Basta un tuo sguardo e se la dà a gambe levate!-

    -Con me non riesce a raggiungere il suo scopo, quasi mai … -

    -Senti un po’, e Nicholas? L’hai avvisato per l’asta?-

    Il bip sul cellulare di Violeth le distolse dalla conversazione, dalla tasca posteriore dei jeans sbiaditi estrasse il vecchio rottame fasciato da nastro adesivo, non si producevano più nuovi telefoni. 

    -Chi è? È lui vero? Non ti arrivano mai messaggi a parte i miei-

    -Non è vero … anche mia madre mi scrive a volte-

    -Si, ma non reagisci arrossendo!-

    -Sono un libro aperto per te … è Nicholas, dice che la notizia dell’asta ha già fatto il giro della città con il passaparola e che sarà lieto di darci una mano-

    -Wow Leth!-

    -Verrà con un amico ha aggiunto-

    -Perfetto, assolutamente perfetto!-

    Ok, a domani allora, alla piazza comunale. Leth.

    Premette invio e lo ripose nella tasca, non voleva sbilanciarsi, un sano distacco non poteva nuocere, c’era ancora parecchio da fare con quei scatoloni. Lo striscione pensato da Cole rispecchiava caratteri gotici, lettere chiare e definite, nere su di uno sfondo bianco lucido che non sarebbe passato inosservato. L’unica cosa che doveva reggere era la situazione climatica, per tutto il pomeriggio si alternarono piogge e schiarite, spruzzate di neve e precipitazioni di grandine, non mutò fino a sera quando il chiarore di una debole luna piena acquietò il cielo. 

    -E’ tutto pronto per domani Leth- Maryse si affacciò sulla soglia della sua stanza. Nonostante l'età dei suoi sessantatre anni era ancora una donna bellissima, dal portamento di un'attrice di epoche passate, con i capelli cotonati color oro, occhi di un azzurro limpido dove quasi ci si poteva specchiare dentro e un corpo armonioso.

    -Siete usciti tu e John?-

    -Perché questa domanda?-

    -Per curiosità … -

    -Verrà a prenderci con il suo pick up. Non fare tardi con le poesie, domani dovrai rispettare gli orari. Ho invitato tutte le mie amiche del corso di cucito, la gente non mancherà-

    -Non stavo scrivendo, tentavo di risolvere qualche problema di aritmetica … invano. C’è qualcosa fra te e John?-

    -Un’amicizia, una forte amicizia-

    -Ok … buonanotte allora- rispose con poca convinzione. Il viso di Maryse era avvolto da un alone illuminante, sereno.

    -Buonanotte Leth- 

     La mattina dopo la sveglia suonava all'impazzata da alcuni minuti; con uno strattone della mano sinistra  la fece inavvertitamente capitolare ai piedi del comodino svegliandola; un'ora prestabilita che interrompesse il suo sonno era una cosa che aveva sempre detestato. 

    Almeno la pioggia aveva smesso di abbattersi sulla città, il cielo era ricoperto di nuvoloni grigi e minacciosi, non restava che sperare nella durata della quiete.

    - Sei pronta hai finito il latte?- le chiese Maryse

    -No, non mi va niente, sento un po' d'agitazione, e se non venisse gente? Che figura ci faremmo, non sono molto disponibili i civili in città ... -.

    -Rilassati, con tutte le amiche del mio corso di cucito che ho invitato è praticamente impossibile che non si sia sparsa la voce, sono delle tali pettegole, sbrigati dai, il sindaco è già arrivato, carichiamo tutto sul pickup-

    -Aspetta, non avevo notato il tuo essere radiosa oggi, da dove sbuca quel completo nero?-

    -Dal mio armadio direi, si tratta di un vecchio tallieur, nulla di speciale ma grazie del complimento tesoro, dai andiamo-.

    Caricata anche l'ultima scatola dal vialetto, giunse Cloe correndo all'impazzata.

    -Hey Leth! Perdona il ritardo-

    -Mi stavo giusto domandando dove fossi finita, non è da te tardare... -

    -Non riuscivo a trovare nulla da mettere!-

    -Ma se ti stanno benissimo con quei jeans... Lukas capitolerà ai tuoi piedi .-

    -Cosa ne dici se voi due mangiate insieme da soli mentre io e Lukas restiamo alla bancarella? Dopo potreste darci il cambio ... -

    -Che furba che sei... ho capito sai? Idea magnifica comunque, ora partiamo, ho caricato tutto compreso il cartellone, sono emozionatissima ci credi?-

    -Sei tu la mente di questo progetto, ed io sono fiera di te! Il tempo è dalla nostra parte oltretutto, nuvolo ma non dovrebbe finire a piovere-.

    -Senza il tuo appoggio non avrei mai potuto organizzare nulla-.

    Nel tragitto in direzione del comune si respirò un'aria serena, infondo Jhon non sembrava poi così male, Violeth non vedeva da tempo scherzare Maryse in quel modo, insieme le ricordavano due ragazzini anzi che due adulti; le venne da sorridere tutto sommato.

    La piazza alle otto e trenta del mattino traboccava di gente in cerca di cibo avanzato la sera prima e di qualche offerta conveniente, i negozietti accanto si apprestavano ad aprire, le caffetterie  emanavano uno sfizioso odore di paste dolci appena tolte dal forno. Il panificio ospitava già i primi clienti, la postazione per allestire la bancarella si trovava già pronta.

    -Ho fatto un buon lavoro spero ragazze, precisò il sindaco, ho pensato di far montare la bancarella ieri sera da alcuni miei dipendenti, per velocizzare il tutto-

    -Ha avuto un bel pensiero e grazie per averci concesso il permesso- rispose Leth

    -Forza scendiamo e scarichiamo gli scatoli, vi daremo una mano anche noi ad allestire tutto, ma alla cassa restiamo io e Jhon per sicurezza- specificò Maryse.

    In meno di un'ora ogni cosa aveva trovato posto, il cartellone venne sistemato alla giusta altezza per essere notato e le persone cominciavano a incuriosirsi pur restando prevenuti.

    -Tua nonna oggi è divina, hai notato? Quel cappotto lungo le sta a meraviglia, come mai tutta questa eleganza?- domandò Cloe.

    -Stai zitta guarda, tutta questa eleganza è per il signor John, pensa che questa sera l'ha pure invitato a cena, quei due si piacciono, non mi sbagliavo... -

    -Non te la prendere, ci ha permesso di fare questa cosa oggi solamente perché di mezzo c'era tua nonna, cerca di far finta di nulla, li vedo bene insieme oltretutto, se li guardi con attenzione te ne accorgeresti pure tu-

    -Si, me ne sono accorta... direi che per adesso Jhon è in prova, se la fa soffrire lo strozzo!- scherzò -Ma quella ragazza laggiù con i capelli viola . . non ti sembra di averla già vista?- domandò indicandole la caffetteria Dinasty.

    -Hai ragione, sembra familiare, forse assomiglia soltanto a qualcuno-.

    Il via vai di gente non stava portando a nulla di concreto, passavano, guardavano ma nessuno si era deciso ad acquistare ancora qualcosa intimiditi; le due amiche stavano quasi per scoraggiarsi quando, per fortuna, una signora di mezza età mostrò interesse per uno scialle bianco ricamato a mano in pizzo merlettato.

    -Buongiorno, posso esserle d'aiuto?- si propose gentilmente Leth

    -Grazie cara, sarei tentata per quello scialle laggiù, leggo che costa due monete, esatto?-

    -Esatto signora, glielo prendo... può pagare alla cassa verso la sua sinistra-

    -Mi sembra un ottimo prezzo, lo prendo. Stai crescendo Violeth e magnificamente direi-

    -Come sa il mio nome? Ci conosciamo?-

    -Conosco i Grey, sono una medium cara, anni fa ho lavorato alla clinica, aspettavo da molto di conoscerti!-

    -Non ricordo che mia madre mi abbia mai parlato di lei signora, mi perdoni, non ricordo il nome di tutti quelli che hanno collaborato alla clinica … Eravate amici?-

    -Diciamo cosi, quando sarai pronta io, saprò darti le risposte che cerchi-

    -Di quale risposte sta parlando scusi? Pronta per cosa?-

    -Per conoscere il futuro Leth-

    -… Un momento come sa il mio soprannome? Di che futuro parla?-

    Non ci fu risposta poiché la donna era letteralmente scomparsa tra la folla, forse non era del tutto sana di mente pensò tra sé …

    Da lontano altre persone cominciavano ad avvicinarsi e alcune ad accanirsi alla bancarella come fossero avvoltoi; la mattinata stava prendendo un'ottima piega e di quel passo si poteva iniziare a ingranare.

    -Scusa, potrei avere un'informazione?- domandò una voce delicata. 

    -Certo, mi dica pure... - rimase stupita guardando meglio la ragazza di fronte a sé, facendo mente locale ricordò di averla già vista il pomeriggio prima al parco, la stessa che Cloe le fece notare con i capelli viola scuro lunghi sino quasi alle spalle, il suo viso le era familiare ma non riusciva a collocarlo...

    -Vorrei acquistare quei due fermacapelli-

    -Solo un quarto di moneta, puoi pagare alla cassa... -

    Voltandosi immediatamente verso Cloe le fece segno di guardarla.

    -Ma sai che forse ho capito a chi assomiglia? Non noti una somiglianza con Laura? Guarda bene i suoi occhi, o si tratta di sua sorella oppure è veramente lei... -.

    -Ora che ci penso, io non l'ho più vista da giorni a scuola e tu?-

    -In effetti, non mi pare...-

    -Che sia lei sul serio? Ha cambiato pettinatura e quindi non l'abbiamo riconosciuta per questo motivo-.

    Bé lo scopriremo vedendola a lezione, dovrà tornare prima o poi!-

    -Giusto... -.

    Altre due ore trascorsero fra una vendita e l'altra, l'asta procedeva meglio del previsto, anche l'incontro con la ragazza passò momentaneamente in secondo piano, Maryse e il sindaco non si erano staccati un solo secondo, lui continuava a sussurrarle qualcosa all'orecchio durante le pause tra un pagamento e l'altro, nessuno sembrava far loro caso; Jhon nutriva dei sentimenti, li aveva sempre tenuti per sé fin da ragazzi, ma lei si fidanzò prestissimo e l'occasione per confessare quello che provava non si era mai presentata, ma più passava il

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