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Ma quando arrivano gli elefanti?
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E-book93 pagine1 ora

Ma quando arrivano gli elefanti?

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Info su questo ebook

Scriveva Italo Calvino: “Prendete la vita con leggerezza, che leggerezza non è superficialità, ma planare sulle cose dall’alto, non avere macigni sul cuore”. E così, con levità, questo libro di Anna Laura Folena, accarezza ricordi di infanzia e di gioventù, con ironia e autoironia, con un umorismo che non trascende mai nel sarcasmo. Il libro si rivolge ad adulti e ragazzi, per invitarli a sorridere e riflettere, conservando l'entusiasmo e l'emozione di chi è in perenne attesa che accada qualcosa di meraviglioso: l'arrivo degli elefanti! Ma quanto ci mettono quei pachidermi?
LinguaItaliano
Data di uscita11 gen 2017
ISBN9788892645967
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    Anteprima del libro

    Ma quando arrivano gli elefanti? - Anna Laura Folena

    COSE

    IN GITA CON PIERO

    PROLOGO

    «Il re è nudo!», urlava a pieni polmoni il bambino. E la gente si risvegliava dal lungo sonno dell’ipocrisia e dell’adulazione, portando in trionfo la freschezza infantile dell’eroe che aveva avuto la spontaneità di proclamare la verità per primo.

    Fiabesco, improbabile, inverosimile epilogo: chi crede nella realizzabilità di un simile lieto fine è un povero bietolone sognatore idealista.

    Ero in terza elementare, quando segnalai pubblicamente la presenza di un pazzo furioso in classe mia: «Guglielmo non è normale, è completamente fuori di testa! Mi fa paura, bisogna curarlo». La folla reagì molto diversamente da quella che applaudì il piccolo eroe partorito dalla penna di Andersen. Impossibile segnalare la reale nudità del sovrano sciocco senza fare una spiacevole fine.

    Io non venni osannata, bensì quasi linciata: avevo calunniato il re della classe, il più bravo, il figlio di noti professionisti, colui che veniva esaltato dalla maestra come essere indubbiamente superiore al resto della popolazione sua coetanea.

    Feci atto di contrizione, e l’episodio venne dimenticato da tutti, tranne che da Guglielmo, il quale, durante una festa di compleanno, riuscì a rinchiudermi in uno sgabuzzino buio, dove rimasi per un’oretta ad ascoltare strani scricchiolii sovrannaturali, prima di essere liberata dalla nonna della compagna festeggiata. La severa ava con capelli azzurrini non mancò di rimproverarmi aspramente per essermi rintanata lì, da perfetta asociale, al posto di partecipare al simpatico gioco a quiz organizzato dal brillante Guglielmo. Non ebbi il coraggio di urlare: «È stato proprio lui a rinchiudermi qui!». Avevo imparato la lezione: il re non si tocca, bisogna stare buoni e zitti nella speranza che faccia meno danni possibile.

    Dieci anni dopo, l’inquietante genio finì ricoverato in psichiatria, dopo aver traforato i lobi della sorella con una pinzatrice da ufficio che per fortuna aveva solo tre graffette in carica e dopo aver rincorso la madre per tutta la casa armato di coltellaccio ancora sporco di soppressa all’aglio. In quell’occasione nessuno si ricordò della mia profezia, e tutti manifestarono grande stupore di fronte a tale inaspettato comportamento anomalo. Eppure io l’avevo gridato: «Il re della classe è nudo! È stato spogliato del suo senno!». Ma dichiarare lavevodettoìo è sempre alquanto impopolare. Quindi rimasi in silenzio, ad ascoltare gli unanimi, esterrefatti chilavrebbemaidetto? della pubblica opinione.

    Del resto, mentre i parenti di Guglielmo, riprendevano possesso del coltello e ricominciavano, come se niente fosse, ad affettare salame, io, Cassandra beffeggiata, ero cresciuta ed avevo già imparato a non dire alla mia compagna del liceo, Rebecca, che il suo vestito giallo non le donava sulle calze verde petrolio. Lei era una pittrice e bisognava ufficialmente far passare la notizia che avesse un gusto ineccepibile nell’accostare i colori, in linea con la versione ufficiale, accreditata dai suoi insegnanti dell’Accademia.

    Un giorno, io e Rebecca eravamo alla fermata dell’autobus, quando si avvicinò una vecchietta di quell’età speciale che è bello poter raggiungere solo per potersene infischiare altamente di certe lezioni della vita, ritornando alla semplicità di quando si avevano gli anni del bambino che urlava «Il re è nudo!». La vecchietta ci guardò e ci illuminò con un sorriso aperto e sincero: «Che belle ragazze! – si complimentò con tutte e due e poi si rivolse con fare materno a Rebecca – ma tu perché non ti fai consigliare dalla tua amica su come vestirti? Non ci siamo mica coi colori, sai? Da’ retta a me, fatti suggerire qualche accostamento!».

    Ebbi un’illuminazione: da vecchia mi sarei potuta liberare dalle sovrastrutture, da quelle imparate per sopravvivere nello spietato mondo della scuola e del lavoro e dei loro sovrani, e avrei detto di nuovo la verità! Me lo sarei potuta permettere. Mi avrebbero sicuramente dato della rimbambita, ma che importanza può avere sentirsi dare della rimbambita da sciocchi sovrani in mutande?

    I

    Bambini ed anziani hanno questo in comune: la libertà di essere semplici. Mi pare. O era la semplicità di essere liberi?

    ***

    Avevo quattro anni, quando la signorina Lella, maestra di scuola materna, venne a trovarmi a casa, non ricordo più perché. Volendole tanto bene, mi feci comporre dalla mamma il numero di telefono dell’adorato zio scapolone.

    «Pronto, zio Mario? Ti passo la mia maestra, così vi fidanzate!».

    Semplice, facile, nessun problema. Lo zio amò profondamente la signorina Lella, che lo ricambiò con ardore.

    Il disinibito senso pratico dei bambini si perde purtroppo con il tempo. Solo qualche vecchio saggio riesce a recuperare quella capacità di rendere più snello il mondo.

    L’intero universo era stato ridisegnato secondo questo progetto da nonno Bruno Bortolin, proprio da lui che contro le complicazioni doveva combattere ogni minuto.

    Nonno Bruno, sulla sedia a rotelle, aveva abbattuto tutte le barriere architettoniche nell’appartamento a piano terra dove viveva da solo, nel ghetto di Padova. In mancanza di marciapiedi praticabili, invadeva la strada, spingendo le sue pesanti ruote sul porfido, con una colonna di automobili a passo d’uomo dietro di lui.

    Dal basso della sua sedia non aveva nessun problema a manifestare a tutti le proprie opinioni. Era un uomo di carattere, nonno Bortolin, un personaggio nel suo quartiere, dove tutti lo temevano un po’ e nessuno osava compatirlo.

    Mi telefonò una volta, da perfetto sconosciuto, in redazione, proprio quando avevo appena finito di condurre il telegiornale locale. «Grazie per il sorriso che mi fai tutte le sere, bambina. Non importa cosa mi dici. Se mi sorridi, poi mi addormento bene».

    Così conobbi nonno Bruno e l’importanza di sorridere.

    Andai a trovarlo in un pomeriggio di pioggia, a sorseggiare il

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