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La lanterna dei sogni
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La lanterna dei sogni
E-book271 pagine4 ore

La lanterna dei sogni

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Info su questo ebook

La lanterna dei sogni – Enrico Padovan

Il principe e il drago – Garridebbie

I sei lupi – Grazia Di Salvo

Riccioli d’oro – Cristina Bruni

La scarpetta di cristallo – Lily Carpenetti

Zanne rosse – S. M. May

Ti regalo il mondo – Martina Rosati

Il regno perduto di Anor Cles – Yoko Hogawa

Il dono delle fate – Eileen Walkers
LinguaItaliano
Data di uscita6 gen 2015
ISBN9788898426416
La lanterna dei sogni

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    Anteprima del libro

    La lanterna dei sogni - AA. VV.

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    Pubblicato da

    Triskell Edizioni – Associazione culturale Triskell Events

    Via 2 Giugno, 9 - 25010 Montirone (BS)

    http://www.triskelledizioni.it/

    Questa è un’opera di fantasia. Nomi, personaggi, luoghi e avvenimenti sono il frutto dell’immaginazione dell’autore. Ogni somiglianza a persone reali, vive o morte, imprese commerciali, eventi o località è puramente casuale.

    La lanterna dei sogni

    Copyright © 2014 AA.VV.

    Curatore: Enrico Padovan

    Cover Art e Design interno di Barbara Cinelli

    La lanterna dei sogni – Enrico Padovan

    Il principe e il drago – Rita Demaria

    I sei lupi – Grazia Di Salvo

    Riccioli d’oro – Cristina Bruni

    La scarpetta di cristallo – Lily Carpenetti

    Zanne rosse – S. M. May

    Ti regalo il mondo – Martina Rosati

    Il regno perduto di Anor Cles – Yoko Hogawa

    Il dono delle fate – Eileen Walkers

    Tutti i diritti riservati. Nessuna parte di questo libro può essere riprodotta o trasmessa in alcuna forma né con alcun mezzo, elettronico o meccanico, incluse fotocopie, registrazioni, né può essere archiviata e depositata per il recupero di informazioni senza il permesso scritto dell’Editore, eccetto laddove permesso dalla legge. Per richiedere il permesso e per qualunque altra domanda, contattare, l’associazione al seguente indirizzo: Via 2 Giugno, 9 – 25010 Montirone (BS)

    http://www.triskelledizioni.it/

    Prodotto in Italia

    Prima edizione – Gennaio 2015

    ISBN: 978-88-98426-41-6

    img2.jpg

    Ricordo ancora la volta in cui zio Enrico ci rivelò di essere gay.

    Era il giorno della Befana e lui e zio Vincenzo erano venuti a trascorrere le feste giù al paese. Quella sera si sarebbe tenuto il bugnèlo, il tipico falò propiziatorio con cui nel vicentino si bruciano i dispiaceri dell’anno appena trascorso e si saluta quello da poco iniziato.

    Dopo cena l’intera famiglia era raccolta attorno al tavolo in attesa di uscire per assistere allo spettacolo. Di punto in bianco lo zio si ferma, prende Vincenzo per mano e ci fa: «Lui non è un mio amico, è il mio compagno. Dal mese prossimo iniziamo a convivere.»

    Silenzio.

    Mamma, la sorella dello zio, tossisce.

    Papà distoglie lo sguardo.

    La nonna sembra una mummia imbalsamata.

    Il nonno, occhio da triglia pescata di fresco, non parla.

    E io? Beh, io, sedici anni, testa rasata, piercing al labbro, all’apice della mia carriera da adolescente rompiballe patentato, scoppio a ridere. «Cioè sei frocio

    «Federico!» scatta mamma.

    «È un linguaggio che non mi piace, signorino,» aggiunge papà.

    La nonna sbianca.

    Il nonno boccheggia, gli manca l’aria. Qualcuno rigetti la triglia in mare.

    Io alzo le spalle. «Quanto siete ipocriti. Mamma, l’altro giorno ti ho sentita mentre davano quel servizio alla tele: hai detto che due donne non possono essere una famiglia per un bambino. Quanto a te, papà, le barzellette sui finocchi le racconti pure tu.»

    Di nuovo silenzio. Anche se posso sentire i loro cervelli fare rumore.

    Per nulla intimorito, torno a rivolgermi allo zio. «Quindi andate a letto insieme?» gli chiedo.

    «Certo,» risponde lui pacatamente, rivolgendo un sorriso a Vincenzo.

    Alzo di nuovo le spalle. «Contenti voi.»

    La mamma prende per mano la nonna. «Ti senti bene?»

    Lei annuisce con gli occhi lucidi. «Qualcuno vuole un altro pezzo di torta?»

    Il nonno ormai è andato, pesce fritto in padella stasera per cena.

    Papà tace ed è meglio così.

    Poi Vincenzo osa parlare. Si schiarisce la voce. «Se permettete, vorrei dire qualcosa pure io. Avrei un regalo per tutti voi.»

    Cinque paia di occhi si posano su di lui. Sì, perfino io quando sentivo la parola regalo non sapevo resistere, pur restando un rompiballe patentato.

    «La vado a prendere,» fa zio Enrico, ammiccando. Quindi si alza e sparisce diretto alla zona notte dell’appartamento, per ritornare qualche secondo dopo, reggendo con la mano un gancio a cui è appeso qualcosa di grosso, coperto da un lungo telo di cotone.

    La curiosità ha avuto la meglio su tutti noi: la tensione di un attimo prima si è dileguata, surclassata dal desiderio di sapere cosa si nasconda sotto il telo. Perfino il nonno ha aggrottato le sopracciglia, cercando di capire di cosa si tratti.

    «Cos’è?» domando io, sporgendomi sul tavolo.

    «Spegni la luce e lo scoprirai,» risponde Vincenzo.

    Interdetto lancio uno sguardo a papà, che guarda mamma, che allarga le braccia: per lei è okay.

    Così mi alzo da tavola e spengo la luce, mentre Vincenzo attizza il suo accendino. «Magia!» esclama, scoprendo l’oggetto e rivelando il dono misterioso.

    Si tratta di una lanterna, ma non ne ho mai viste di simili. È in ferro battuto: un tripudio di riccioli e ghirigori. Un attimo dopo Vincenzo ci infila dentro la mano e accende lo stoppino collegato a una candela ed è davvero magia. La stanza si riempie di colori: la lanterna ha otto facce istoriate, ognuna delle quali rappresenta una scena diversa. La luce passa attraverso i vetri e proietta le figure sui muri.

    «È... è stupendo,» mormora la nonna, guardandosi attorno.

    Papà allunga un dito e sfiora le figure. «Ma dove siete andati a pescarla una cosa del genere?»

    «Le fa un artigiano giù al mio paese, in Calabria,» risponde Vincenzo, il cui accento parla chiaro sulle sue origini mediterranee. «Si chiama Lanterna dei Sogni, questa l’ho fatta fare apposta per voi. Sono oggetti speciali: possono raccontare delle storie.»

    «Storie?» ripeto perplesso.

    Vincenzo annuisce. «Fiabe, per la precisione.»

    «Ti riferisci ai disegni sui vetri della lanterna, non è così?» interviene allora mamma.

    Vincenzo annuisce di nuovo.

    A quel punto io studio con maggiore attenzione le immagini proiettate dal lume, cercando di ricollegarle ai racconti della mia infanzia appena trascorsa, quando tra i frammenti di luce scorgo un lupo.

    «Ma certo! Quella deve essere Cappuccetto Rosso!» esclamo entusiasta.

    Vincenzo, nella penombra della lampada, sorride sornione. «Sì e no. Vedi, queste sono le altre fiabe.»

    «Altre?»

    «Sì,» risponde zio Enrico. «Quelle che nessuno vi ha mai voluto raccontare.»

    Vincenzo ci abbraccia tutti con lo sguardo. «Ne volete ascoltare una?»

    Io, mamma, papà, la nonna e il nonno ci scambiamo uno sguardo imbarazzato: delle fiabe a quattro adulti e un ragazzino che già si sentiva tale? Che assurdità.

    «Beh, se proprio non volete…» dice Vincenzo, pronto a riaccendere la luce.

    Il nonno borbotta una parolaccia in dialetto ed esplode. «Ostia! Raccontaci questa fiaba e smettila di tirarla tanto per le lunghe.»

    Vincenzo scoppia a ridere. «D’accordo, signor Luigi, vi racconterò una fiaba. Contiene tutto quello che fa troppa paura da chiamare per nome. Dopo averla ascoltata, vi sentirete più leggeri. La paura sarà più piccola. Potrete perfino credere a un lieto fine. Ma lasciate che inizi con le parole magiche. Sono sempre le stesse, eppure diverse a ogni occasione. C’era una volta…»

    img3.jpg

    Steso nel suo minuscolo lettino, il Principe aspetta.

    Sono passate ore dall’operazione. Non è stata facile, eppure eccolo qui, in groppa al suo cigolante destriero di alluminio. Il ruvido camice, un blasone araldico che sventola nell’aria umida dell’ospedale. Il Principe si erge trionfante, le sue cicatrici l’unica testimonianza di una lotta durata una vita e finalmente vinta.

    Non è stato facile. L’attesa, i compromessi, le armi affilate che andavano appannandosi davanti ai suoi occhi sempre di più, sempre di più, mentre l’anestesia faceva effetto… Ora resta solo la nausea disorientante del post-operatorio e la consapevolezza di essere solo.

    No, non è del tutto esatto. Non è solo. Nella camera ci sono altri, oltre a lui: due persone, due esseri umani degni d’amore: quali che siano le loro colpe, qui non hanno spazio.

    La prima è una ragazza, giovane e bellissima. Quando è arrivata non era altro che un animaletto impaurito, voce troppo roca e petto troppo piatto. Il Principe aveva provato a parlarle un paio di volte, ma lei, china sotto il peso di un’umanità che sa ascoltare solo il tono e non le parole, era rimasta zitta, per paura che il segreto che tutti conoscevano le portasse altro dolore.

    Aveva avuto un altro nome, lei. Un nome da uomo, scelto da chi aveva la presunzione di conoscerla prima ancora che venisse al mondo. Ora non le appartiene più, non le pesa più. Così tranquilla, il respiro sereno sotto le coperte, dorme in attesa del momento in cui metterà il piede fuori dal reparto, compiendo così il primo, grande passo verso la sua nuova vita, quella vera.

    Il Principe sorride, benevolo. Vorrebbe donarle qualche parola d’incoraggiamento, di congratulazioni, di ammirazione, giusto per non mandarla nel mondo a mani vuote. Ma, guardandola ora, dubita che ne avrà bisogno. Chiunque riesca a dormire così pacificamente sapendo che i propri genitori hanno appena chiamato il notaio per informarsi su come diseredarla – la sorella è passata prima, per pochi minuti, solo per dirle questo. Una cortesia dovuta, dopotutto hanno lo stesso sangue, no? – dovrebbe dare a lui lezioni di coraggio.

    Il secondo sta aspettando; una pratica comune, a quanto pare. Solo che la sua è un altro tipo di attesa, quella che il Principe ha già superato, e che chiunque passi dall’essere un semplice essere umano al diventare di colpo un paziente conosce. È preoccupato e in fondo è comprensibile: alla sua età, affrontare quel genere di operazione non è facile. Non lo sarebbe a nessuna, a dire il vero, ma a cinquantacinque anni chissà che razza di scherzi è capace di combinarti il vecchio cuore?

    L’uomo ha rimandato troppo a lungo e ormai ha deciso. Ha scelto direzioni obbligate davanti a bivi che gli sono stati imposti, imboccato scorciatoie, si è nascosto nei vicoli più bui della sua esistenza, portando avanti una vita che ha potuto chiamare sua solo fino a un certo punto. Ma, ha raccontato al Principe quella mattina, dopo un bicchiere d’acqua e una sigaretta di contrabbando, ora che i figli sono grandi e il marito l’ha lasciato, finalmente può scegliere per se stesso. Senza paura, lontano dalle strade senza uscita e dalle inversioni a U, su un tracciato senza segnaletica e completamente inesplorato.

    Tra qualche ora potrà guardarsi allo specchio e dopo tutti questi anni mormorare: «Eccomi.»

    L’eccitazione supera il panico – o almeno il Principe glielo augura – e la felicità che elettrizza l’aria tutta attorno all’uomo è appena intorbidita dalla consapevolezza che, tra qualche ora, egli sarà se stesso dopo cinquantacinque anni di se stessa. Tutto ciò che ha costruito, tutto ciò che ha fatto suo, tutte le persone che quei cinquantacinque anni gli hanno regalato saranno con lui o contro di lui. Nessuna via di mezzo. Nessun compromesso.

    Un altro bivio. Un’altra scelta. Ma stavolta, almeno, sarà solo sua.

    Tutti e tre hanno qualcosa in comune: sono soli, insieme.

    Forse, pensa il Principe, dovrei trarre conforto dal fatto di non essere il solo ad aspettare.

    Forse, pensa, tutti noi siamo soli, alla fine. Dopo tutto il sangue versato, i sacrifici, il dolore, le pugnalate alle spalle e i tradimenti glorificati come normali reazioni umane, non esiste alcun premio, alcuna consolazione ad aspettarci, se non questi nuovi, agognati noi stessi.

    Forse, pensa, ci deve bastare.

    Ma il Principe non ci crede. Non seriamente, almeno. Non può, non vuole crederci.

    Lui aspetta. Ha qualcuno da aspettare, lui.

    Ha conosciuto Markus anni prima, quando ancora non era il Principe e le amiche lo invitavano ai loro compleanni.

    Markus aveva appena aperto un negozio di videogiochi in centro e stava intrattenendo gli ospiti raccontando per filo e per segno la sua ultima campagna a World of Worcraft. Il Principe non aveva mai preso in mano un mouse, se non per mandare mail o trovare la strada per un ristorante… Eppure, ascoltando Markus parlare dell’Orda, gli era venuta una voglia irrefrenabile di comprare un altro PC, più potente, e passare giorni e notti intere a giocare, e al diavolo il lavoro e la vita sociale!

    Avevano trascorso tutta la serata a parlare: da World of Warcraft si era passati a Diablo II e successive espansioni, per arrivare, non si sa come, ai genitori di Markus e al loro bed & breakfast in Norvegia.

    Neanche un week end dopo, i due erano nelle Svalbard, accoccolati l’uno accanto all’altro sotto il velo ammaliante dell’aurora boreale.

    Markus aveva le mani calde, sempre. Mani belle, forti, con le unghie divorate alla radice per la troppa tensione da GdR in notturna. Il Principe non si era mai lasciato toccare da nessuno, odiava il contatto fisico, ma a Markus aveva permesso di toccargli perfino l’anima. Non c’era un perché: non aveva cambiato idea sul proprio corpo, né sul disgusto che gli procurava il più delle volte, quando si trattava di fare l’amore con qualcuno.

    Solo, Markus era diverso. Dolce, gentile, comprensivo, non lo forzava mai a fare qualcosa che non voleva; neanche quando sarebbe stato più facile imporsi, quando altri avrebbero potuto accampare presunti diritti, validi solo nella loro testa. Una sovranità su un corpo che non era né loro né di nessun altro.

    Markus lo prendeva per mano, nella vita come nel sesso, imparando poco per volta come sfiorarlo. Come accarezzare, titillare e amare con ogni fibra del suo essere, senza farlo sentire inadeguato, a disagio, o, peggio, perduto nel vuoto.

    Si erano sposati l’anno dopo. Il Principe aveva odiato il vestito bianco. Era una menzogna e, se molte spose potevano affermare lo stesso, per quanto riguardava il bianco verginale, per lui la cosa andava al di là della tradizione e concerneva più la sostanza.

    Non aveva scelto di nascere donna e odiava la sposa radiosa che lo fissava dall’altra parte dello specchio.

    Ma così doveva essere.

    Per il momento.

    ***

    Markus, seduto in corridoio, aspetta.

    Il chirurgo è uscito poco fa dalla sala operatoria. Tra un paziente e l’altro, ha trovato a mala pena il tempo di passare per dirgli che è andato tutto bene, che: «Sua moglie sta bene,» per poi scappare via, verso l’ennesima sfida che la medicina moderna ha da offrirgli.

    Markus ha sempre pensato che tutti i chirurghi, nel migliore dei casi, siano dei sociopatici. Suo padre era un chirurgo, prima di mollare tutto e trasferirsi in Norvegia, e Dio solo sa se quell’uomo non gli ha sezionato l’anima, ai tempi.

    Markus aspetta. Sua moglie sta bene.

    L’ha fatto apposta? Per deriderlo? Ma certo, è ovvio. Stronzo, bastardo, se il tuo lavoro non ti piace tornatene alla tua villona e goditi tutti soldi. Quelli che noi abbiamo sborsato perché tu ti presentassi qui con quella tua lurida faccia da schiaffi ad annunciarmi che mia moglie sta bene!

    Certo, è ovvio.

    Quale uomo permetterebbe a sua moglie di…

    Markus sospira. Un profondo, sofferto sospiro.

    Markus aspetta.

    Non è stato facile. Non è facile.

    Nella sua ingenuità – alcuni direbbero ottimismo, altri direbbero stupidità – si è concesso per un attimo di pensare che, dopo l’operazione, tutto sarebbe finito.

    Ma avrebbe dovuto saperlo. Nulla potrà mai nasconderlo dalla tragica, straziante verità, e questa verità è che tutto, ogni cosa, inizia ora.

    Un nuovo viaggio, l’ennesima battaglia. È straziante guardare la persona che ami imbottirsi di ormoni, fasciarsi i seni, martoriarsi giorno dopo giorno nel corpo e nell’anima perché non è Lei… Markus, caro, io non sono Lei, Markus non osa immaginare cosa succederà adesso, ora che Lei non c’è più, e resta solo il Principe.

    Solo con il Principe.

    Markus non è gay. Almeno, non pensa di esserlo. Lui ama una persona, una persona conosciuta tanti anni prima, con le guance rosse e gli occhi perennemente lucidi. E questa persona è un uomo. Anche se, allora, non ne aveva l’aspetto.

    Dovrebbe sentirsi ingannato. Dovrebbe sentirsi ferito, amareggiato, stanco. Dovrebbe essere furibondo.

    Markus sospira – di nuovo – e pensa a World of Warcraft.

    Nei videogiochi è semplice: una volta creato il tuo personaggio, non puoi più tornare indietro. Quello sarà il tuo avatar per tutto il resto della partita, a meno che tu non decida di cancellare il salvataggio e ricominciare da capo. Perdi quello che hai guadagnato, esperienza, punti, progressi di gioco, ma ci guadagni su altri fronti. Il tuo personaggio ti accompagnerà nell’avventura finché lo vorrai, icona virtuale di un te stesso che non potrai mai essere. Tanto vale che ti somigli il più possibile, o meglio, che somigli all’immagine eroica sepolta nel tuo inconscio.

    Nella vita reale non è così, purtroppo.

    Nessuno decide chi nasce maschio o femmina, orco o umano, predisposto ad amare gli uomini o le donne, nessuno o entrambi, o chissà cos’altro, nel campo delle infinite possibilità. Markus pensa con orrore al giorno in cui diventerà una scelta, un’eugenetica da Ipercoop, quando la nostra capacità di correre il rischio soccomberà alla paura. Sua moglie non ha mai scelto di esserlo. Una donna, intende. Di essere sua moglie è stata più che entusiasta, e lo è ancora. Così spera Markus, almeno.

    E adesso?

    Adesso che Le… Lui è uscito indenne dalla sala operatoria, ora che tutti i pezzi stanno andando pian piano al loro posto… Dov’è Markus? Qual è il suo posto, in tutto questo?

    Fuori, ad aspettare, apparentemente.

    Ad aspettare il coraggio, ad aspettare la forza di affrontare il Drago.

    Sì, c’è un Drago. Ogni eroe, o presunto tale, ha bisogno di un Drago da affrontare.

    E il Drago di Markus si chiama Dubbio.

    Eccolo là, riesce quasi a vederlo: vertiginoso nella sua enormità, accovacciato sulla soglia della camera dove, Markus lo sa, il Principe lo sta aspettando da ore, ormai. Le sue scaglie sono specchi, impietose lame a riflettere la cruda realtà del mondo. Le sue ali lo innalzano su tornado di pettegolezzi e insulti e i suoi occhi bruciano di accusa e disappunto, di tutte quelle sfumature di ribrezzo e ottusità che, negli ultimi anni, Markus ha imparato a riconoscere e classificare anche troppo bene; la sua mente vacilla al pensiero che il Principe li conosce da sempre, quegli sguardi, e che per tutto questo tempo li ha retti senza rimanerne schiacciato. È orribile e, allo stesso tempo è un miracolo.

    Il Drago lo fissa, un ghigno sanguinolento a mostrare appena le fauci aguzze, nascoste da labbra spietate. Mormora il suo ruscello di veleno alle orecchie di Markus, il rombo della sua voce talmente profondo da far vacillare perfino il cuore più saldo.«E adesso?» sibila il Drago, mellifluo. «Adesso? Cosa credi succederà? Ti lascerà, non c’è dubbio. Non avete più nulla in comune, a parte qualche parte del corpo che lei ha voluto incollarsi addosso per capriccio… La getterà via la prossima stagione, stanne certo, come un maglioncino tarlato, non appena questa nuova, glorificata esistenza comincerà a starle stretta… E allora che ne sarà di te? Già adesso ti accusano, mormorano malignità e sconcezze… Che razza di marito permetterebbe mai a sua moglie di cambiare sesso, così, come se niente fosse? Come se fosse normale? E restarle accanto, poi! Che razza di uomo sei, eh, Markus? Ti piacciono i maschi, vero? Ma certo, deve essere così. Sai che cosa dicono i tuoi genitori? I tuoi fratelli? I tuoi amici e colleghi? Vuoi saperlo? Dicono che non sei più un uomo, anzi, che forse il vero uomo della coppia è lei, è sempre stata lei… Dopotutto, sei sempre stato un ragazzo così delicato, così dolce…»

    Markus scuote la testa. Gli occhi cominciano a pizzicare da dietro le palpebre troppo tirate e i capelli gli prudono talmente tanto che scompigliarseli con le mani non basta più. I pensieri vogliono sgusciare fuori da ogni suo singolo follicolo, cercare riparo dal fumo del Drago, ma Dubbio è senza pietà e non risparmia nessuno. «È più che naturale che dicano così, lo sai? Ma c’è di più! Anche se non ti lasciasse, anche se per qualche assurdo scherzo del destino, quell’aborto di tua moglie decidesse di restare con te… Dopo aver passato gli ultimi due anni a gonfiarsi di porcherie e a farsi tagliare come un animale da macello senza che tu avessi alcuna voce in capitolo… Come credi che sarà la vostra vita, d’ora in avanti?»

    Markus si prende la testa tra le mani. Il Drago si lecca le labbra. La sua lingua è biforcuta quanto i suoi sussurri.«Sarete additati come due fenomeni da baraccone nel migliore dei casi e nel peggiore sarete perseguitati. Nessuno, nemmeno coloro che credi ti amino, ti guarderà mai più allo stesso modo. I tuoi migliori amici, quelli con cui sei andato in Interrail in Spagna e con i quali ti sei fatto più canne di

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