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Scrivere - Manuale di tecnica narrativa
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E-book451 pagine5 ore

Scrivere - Manuale di tecnica narrativa

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Info su questo ebook

Scrittura creativa - saggio (355 pagine) - Un manuale completo, che illustra passo passo tutte le tecniche fondamentali per scrivere buona narrativa


Ogni professionista, per poter svolgere bene il proprio lavoro, ha bisogno di possedere gli strumenti e gli attrezzi necessari, e che siano strumenti di qualità. Ecco cosa troverete in questo manuale, che condensa in sé gli articoli della serie Scrivere Narrativa, debitamente rivisitati e ampliati, e arricchiti di nuovi esercizi: una cassetta completa di tutti gli attrezzi, di tutte le tecniche narrative necessarie a poter svolgere al meglio il mestiere dello scrittore.

Nuova edizione rivista.


Marco Phillip Massai è nato a Columbus (Mississippi) nel 1983. Per Il Giallo Mondadori è autore dei racconti: Le dita del diavolo (uascito nell’antologia Delitti in Giallo), Il diavolo e la zanzara (febbraio 2014, racconto vincitore del premio "Gialloluna Mondadori 2013"), L’Imbrattatele di Pietrasanta (aprile 2013) e Datteri, seta e polvere nera (maggio 2012).

Per Delos Books ha pubblicato numerosi racconti brevi in antologie e sulle riviste Robot e Writer’s Magazine Italia. Per Delos Digital il racconto La maschera di Pietrasanta (ripubblicato nell’estate 2015 da Edizioni Centoautori nell’antologia History Crime) e otto volumi della serie di manuali di tecnica narrativa "Scrivere narrativa".

Scrive testi teatrali, collabora come valutatore con alcune agenzie di servizi editoriali, e dal 2012 è selezionatore per alcuni importanti concorsi nazionali di narrativa breve.

LinguaItaliano
Data di uscita23 gen 2018
ISBN9788825404708
Scrivere - Manuale di tecnica narrativa

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    Anteprima del libro

    Scrivere - Manuale di tecnica narrativa - Marco P. Massai

    9788867757237

    Introduzione

    Attenzione lettore: questo manuale non contiene formule magiche.

    Se andiamo a spulciare nella categoria Manuali di scrittura delle piattaforme di vendita più utilizzate noteremo subito che titoli e sottotitoli dei testi sono pressoché tutti sullo stesso tono: tutti pronti, e subito, a rivelarci come scrivere un best seller. Questi tomi saranno in grado, con la loro semplice lettura, di aprirci le porte dell'editoria e di trasformarci in scrittori fatti e finiti. Be', non funziona così. Scrivere è un'arte, e come tale richiede mestiere. Richiede lavoro, pratica (tanta pratica), gavetta, e soprattutto confronto con i veri professionisti: con gli editor, gli editori e gli agenti che da anni lavorano nel campo dell'editoria e che sanno realmente come questo mondo si muove e quali regole segue.

    Ma allora, a cosa può servire un manuale come questo? È presto detto: in ogni mestiere servono dei ferri. Ogni professionista, per poter svolgere bene il proprio lavoro, ha bisogno di possedere gli strumenti e gli attrezzi necessari, e che siano strumenti di qualità. Ecco cosa troverete in questo manuale, che condensa in sé gli articoli della serie Scrivere Narrativa, debitamente rivisitati e ampliati, e arricchiti di nuovi esercizi: una cassetta completa di tutti gli attrezzi, di tutte le tecniche narrative necessarie a poter svolgere al meglio il mestiere dello scrittore.

    Show, don't tell!

    1. L'importanza dello Show, don't tell!

    Da più di tre secoli lo Show, don't tell! è una delle tecniche narrative più note e utilizzate. Imparare a carpirne i segreti è un indispensabile e fondamentale passo lungo la strada per diventare veri scrittori. Le radici storiche di questa espressione, conosciuta ai più come una trovata moderna, hollywoodiana

    … Sei righe. Trecento battute, che si leggono in meno di un minuto. Eppure sono state più che sufficienti ad annoiarci. Perché? Perché ho iniziato questo capitolo imponendo dall'alto l'importanza di quanto volevo comunicare, in modo generico e distaccato e senza dettagli concreti né appigli per l'interesse del lettore. L'ho fatto, cioè, raccontando anziché mostrando. Un errore che in un romanzo o in un racconto può risultarci fatale: immaginiamo un cliente che entra in libreria e tra le tante copertine sugli scaffali viene colpito proprio dalla nostra. Si avvicina, prende in mano il testo, lo sfoglia. In questo momento è un potenziale lettore che sta per decidere se meritiamo o meno la sua attenzione, il suo tempo e, in fondo, il suo denaro. Da parte sua è ben disposto nei nostri confronti e cerca un libro che sia in grado di catturarlo. Così apre la prima pagina e… a noi bastano sei righe per annoiarlo e perdere, forse per sempre, la sua fiducia. Sì, perché idea, trama, personaggi… sono cardini fondamentali di un buon testo, ma se non riusciamo a catturare il lettore e a immergerlo nelle nostre storie diventano solo covoni e covoni di pagliuzze: non c'è trave nell'occhio di uno scrittore che sia peggiore del creare attivamente noia.

    È qui che entra in gioco lo Show, don't tell! tanto caro agli americani: poche pagine di raccontato possono essere sufficienti ad annoiare il lettore che non avrà, invece, problemi a divorare centinaia di pagine di mostrato.

    Scrive Kirk Polking, nel suo Writing A to Z: È come la differenza tra gli attori che recitano uno spettacolo e il solo drammaturgo, in piedi su un palco vuoto, mentre racconta dettagliatamente lo spettacolo al pubblico. Mostra, non raccontare.

    Come sempre accade in narrativa, non siamo di fronte a una regola, a un assioma ferreo da accettare e seguire ciecamente (in narrativa le uniche regole sono quelle che riguardano grammatica e sintassi, e perfino queste sono suscettibili a variazioni nell'arco degli anni), bensì a una tecnica, uno strumento che è indispensabile conoscere a fondo se vogliamo affrontare la scrittura in modo professionale. Citando Franco Forte: Scrivere buona narrativa è difficile, molto difficile. La narrativa e il processo creativo che porta a realizzare un romanzo sono la disperata ricerca della sintesi all'interno di un oceano di particolari, fra i quali bisogna discernere con cura, con calma e con talento. E per farlo occorre avere a portata di mano anche la classica cassetta degli attrezzi, con dentro tutti gli strumenti di tecnica che si possono apprendere.

    In questo capitolo sviscereremo i concetti di mostrato e raccontato, affrontando così non soltanto uno strumento di tecnica di base della scrittura, ma anche un suo aspetto fondamentale e inscindibile: il narrare.

    2. Raccontare, mostrare, descrivere, narrare

    Quattro parole che racchiudono, in sostanza, tutto il mestiere dello scrivere. Affrontiamole impostando una prima definizione per ciascuna, partendo dalla fonte più semplice: il dizionario.

    Raccontare – Riferire parole e fatti.

    Mario è alto.

    Questo è il più semplice esempio di raccontato. Diamo al lettore un'informazione generica e lo facciamo senza riferimenti precisi, senza termini di paragone, senza appigli di alcun genere per la sua immaginazione. Soprattutto, glielo imponiamo: Mario è alto, perché noi abbiamo deciso che le cose stanno così. Due pagine e, statene certi, il lettore avrà dimenticato che Mario sia alto.

    Mario è il più alto della classe.

    Cambiato qualcosa? Sì, siamo riusciti a peggiorare la situazione: Mario ha una qualità che evidentemente risulta importante per inquadrarlo e noi la buttiamo lì così, sempre imposta dall'alto e generica. Abbiamo aggiunto un termine di paragone, ma non c'è nulla di concreto in questa frase, nulla che possa permettere alla mente del lettore di crearsi un'immagine coinvolgente, memorabile, di Mario.

    Proviamo ora con un periodo più complesso:

    Comunque io gli sono affezionato e anche se a volte il suo modo di ragionare mi infastidisce, gli voglio bene, perché lui ha delle qualità che gli invidio. Mario è fedele, Mario è onesto, Mario ride e soprattutto Mario ti manda a cagare, chiunque tu sia.

    Il brano è un ottimo esempio di raccontato: spieghiamo un sentimento della voce narrante, ma è un'emozione generica, insipida, poi elenchiamo una serie di qualità, sempre generiche e sempre senza che il lettore abbia altro modo di associarle a Mario che non la nostra imposizione dall'alto.

    Possiamo quindi già trarre una nostra definizione narrativa del raccontare:

    Raccontare è imporre al lettore parole e fatti generici.

    Mostrare – Esporre all'attenzione, allo sguardo altrui.

    Qui il dizionario aggiunge un dettaglio importante: ci parla di attenzione, di sguardo altrui. Nel termine stesso, mostrare, è già quindi presente un concetto preciso: mostrare attira l'attenzione del lettore. E accidenti, se è poco!

    Entrando in aula Mario chinò la testa, per non sbattere la fronte.

    Abbiamo imposto, raccontato, l'altezza di Mario? No, l'abbiamo mostrata con un'immagine concreta. Un'immagine semplice, ma che ha molta più possibilità di colpire la fantasia del lettore rispetto al piattissimo Mario è alto o è il più alto della classe dell'esempio precedente. Abbiamo aggiunto, inoltre, un nuovo aspetto che differenzia il mostrato dal raccontato: la dinamicità. Qui non abbiamo una statua, un personaggio fisso nella sua condizione di alto, ma è proprio da un movimento, in questo caso l'abbassare la testa, che deduciamo la sua altezza.

    Vediamo anche per il mostrare un esempio più complesso:

    Grant si sentì barcollare per il freddo e il terrore. Premette le mani contro il pannello di metallo della porta per tenerle ferme. Il tirannosauro ruggì di nuovo, ma non attaccò. Drizzò la testa e guardò la Land Cruiser, prima con un occhio, poi con l'altro. (M. Crichton, Jurassic Park)

    Non c'è un solo aspetto di questa scena che ci venga imposto dall'alto. Analizziamolo. Grant non "barcolla", non "è barcollante", ma "si sente barcollare". Apparentemente è una differenza da poco, ma è fondamentale perché Crichton ci trascina subito nel mezzo della scena: noi non stiamo guardando Grant, noi siamo Grant. Le mani di Grant stanno tremando, ma l'autore non si limita a raccontarcelo: ci mostra il personaggio mentre le preme contro la portiera per tenerle ferme (usa quindi un'azione, il poggiare le mani, per farcene immaginare un'altra, il tremare). Il tirannosauro non è descritto come enorme, terrificante o feroce, tutte queste qualità sono mostrate tramite le sue azioni: ruggisce, ma non attacca (creando suspence con questa non-azione!), poi drizza la testa, infine non si limita a guardare la macchina, ma lo fa prima con un occhio, poi con l'altro mostrandoci la sua feroce bestialità. Senza usare un solo aggettivo Crichton è riuscito a mostrarci (ancora una volta: mostrarci) prima il nostro terrore incontrollabile (nostro perché noi siamo lì, insieme a Grant!), poi tutte le qualità che rendono terrificante il T-Rex, riuscendo nel contempo a distanziarci psicologicamente dalla bestia con quel movimento, tipico degli uccelli, del guardare prima con un occhio, poi con l'altro. Questa è scrittura!

    Ecco quindi la nostra definizione:

    Mostrare è calare il lettore nella storia con dettagli concreti e dinamici.

    Descrivere – Rappresentare con parole cose, fatti, persone, nei particolari che li contraddistinguono.

    Una domanda non semplice: descrivere è raccontare, è mostrare, o è un'attività completamente differente?

    Cominciamo con un esempio e vediamo come se la cavano Crichton (e Grant) con la descrizione del T-Rex di cui sopra:

    Il dinosauro doveva essere da qualche parte tra gli alberi, ma per il momento Grant non riusciva a vedere nulla. Poi capì che stava guardando troppo in basso: la testa dell'animale si ergeva sei metri sopra il livello del suolo, seminascosta dalla sommità delle palme.

    Malcolm sussurrò: – Oh, mio Dio, è alta quanto una casa…

    Grant fissò l'enorme testa squadrata, lunga un metro e mezzo, con macule marrone rossiccio, e dotata di gigantesche mandibole e zanne. Le fauci si aprirono e si richiusero. Ma l'enorme animale non sbucò dal suo nascondiglio.

    La prima cosa da notare è che, pur dovendo descrivere il dinosauro, Crichton ci tiene sempre ben incollati a Grant: i dettagli non ci arrivano dall'alto, ma dalle considerazioni e dagli occhi del personaggio. L'altezza della belva ci viene precisata, ma non imposta: Grant capisce che l'animale è alto (è comunque un momento dinamico, un divenire). Poi abbiamo un dialogo a rinforzare le dimensioni del tirannosauro e solo allora comincia una vera e propria descrizione: breve, mirata (ci descrive solo la parte più terrificante dell'animale, ovvero l'enorme testa) e precisa. Soprattutto, è una descrizione funzionale al testo: quando, pochi capitoli più tardi, leggeremo di Grant nel suo faccia a faccia con il tirannosauro, questo aver indugiato sui dettagli della testa sarà fondamentale per richiamare in noi tutto il terrore causato dalla bestia. Tutto in questo brano è concreto e preciso, anche nella descrizione siamo dunque di fronte a un mostrare.

    Ora analizziamo un esempio di descrizione raccontata: abbiamo visto che la frase Mario è alto è un raccontare ma è, di certo, anche una descrizione di Mario. È vaga, imprecisa, ma è pur sempre una rappresentazione attuata tramite un particolare che rappresenta Mario, in questo caso l'altezza. Di certo non è un mostrare. Ma Mario è alto è narrativa, o è piuttosto una descrizione fine a se stessa, un esempio da manuale? Pensiamo al celebre discorso di S. King nel suo On Writing:

    Lo scrittore, anche a migliaia di chilometri di distanza, dice: – Lì c’è una gabbia con un coniglio dentro – e tutti quelli che leggono voilà, vedono la gabbia e il coniglio. Che cos’è, questa, se non telepatia?

    È abbastanza chiaro che questa non è una descrizione, dato che non ci viene fornito alcun particolare che contraddistingue la gabbia (e il coniglio) da tutte le altre gabbie (e conigli) del mondo (Eppure noi, la gabbia, la immaginiamo). Se King invece avesse scritto Lì c'è una gabbia trenta per trenta, con sbarre di acciaio da tre millimetri di diametro, e dentro la gabbia c'è un coniglio nano pezzato grigio e bianco, con le orecchie afflosciate all'indietro questa sì, sarebbe stata una descrizione raccontata. Ma sarebbe stata narrativa? No! Sarebbe stata una descrizione da manuale, esattamente come Mario è alto. La descrizione fine a se stessa, infatti, è materia da manualistica: le descrizioni fanno parte della narrativa purché siano armonizzate con il contesto e sfruttate per scopi voluti dall'autore. Per dirla con parole semplici: le descrizioni, come le azioni, in narrativa vanno mostrate. Se si descrive in modo statico, o perché si ha il dubbio che il lettore non abbia ben capito e si vogliono fornire dettagli a tutti i costi, si esce dal contesto narrativo (e si ricade nel fenomeno che viene definito infodumping, letteralmente discarica di informazioni, di cui parleremo a fondo più avanti). Ma se si descrive con dinamismo, per dare sostanza e profondità al contesto in cui introduciamo il lettore, allora le cose cambiano.

    La nostra definizione per la descrizione quindi potrebbe diventare:

    Descrivere raccontando è manualistica. Nel processo narrativo la descrizione è insita nel mostrare.

    Se, invece, leggiamo qualcosa del genere:

    In una caverna viveva uno hobbit. Non era una caverna brutta, sporca, umida, piena di resti di vermi e di trasudo fetido, e neanche una caverna arida, spoglia, sabbiosa, con dentro niente per sedersi o da mangiare: era una caverna hobbit, cioè comodissima.

    Siamo di fronte a un mostrare? A un raccontare? Un descrivere? Abbiamo stabilito che raccontare è imporre al lettore parole e fatti generici e l'inizio di questo incipit è di certo un'imposizione dall'alto. In più termini generici come brutta, sporca sembrerebbero proprio rientrare nel raccontato. D'altra parte, se mostrare è calare il lettore nella storia con dettagli concreti e dinamici… i resti di vermi e il trasudo fetido sono abbastanza concreti da mostrarci il concetto di squallore senza imporcelo. A complicare la nostra analisi si aggiunge il fatto che questo incipit è più una non-descrizione che una descrizione, dato che ci descrive come non era quella caverna. Sembrerebbe quindi un guazzabuglio confuso, un tentativo maldestro di mischiare raccontato e mostrato, eppure… rimaniamo forse perplessi durante la lettura? Incespichiamo? Assolutamente no. Leggendo riusciamo a figurarci come possa essere questa caverna hobbit: possiamo senza sforzi immaginare, crearci una nostra caverna hobbit, nonostante Tolkien ci abbia fornito soltanto informazioni su come non sia una caverna hobbit. Come è possibile tutto questo? È presto detto: "Cioè comodissima". Due parole, e per di più decisamente semplici! Due parole (nel testo in lingua originale sono tre: "That means comfort", ma il succo non cambia) che da sole ci dipingono l'intera atmosfera. Siamo tornati al coniglio di King: se vengono preparate bene, se il lettore viene indirizzato sui giusti binari, allo Scrittore possono bastare due parole per creare la magia dello scrivere. E questo non è né mostrare, né raccontare: è narrare. E non troveremo in alcun dizionario una sintesi di questa magia, che rappresenta per noi il punto di arrivo di un cammino meravigliosamente complesso: imparare a narrare è, in definitiva, imparare a scrivere.

    Ecco un altro esempio in grado di mostrarci la differenza tra descrivere, mostrare e narrare.

    È lunedì 16 gennaio 2012, sono passati tre giorni dal naufragio della nave da crociera Concordia all'Isola del Giglio. Durante un servizio televisivo il giornalista ci descrive i fatti: illustra le cause supposte dell'incidente, aggiorna la conta delle vittime, riporta parola per parola le ultime dichiarazioni del presidente della Costa Crociere. Descrive, appunto. Poi passa il microfono a una signora anziana, la madre di un maître di sala che lavorava sulla nave. Lei annaspa, tutta presa dall'emozione: Mio figlio mi ha telefonato subito, quando la costiera lo ha sbarcato! E mi diceva: mamma, mamma rientra in casa che fa freddo! Poi la signora comincia ad ansimare e aggiunge: È rimasto a casa solo un giorno! Eh, perché aveva i vestiti per lavorare, ma quelli son sottili e qua è freddo freddo. Infine spara un: E il cuore andava tanto che non ci sarebbe entrata nemmeno una lenticchia.

    Nemmeno una lenticchia: la distanza tra descrivere e mostrare è tutta qui. Possiamo descrivere per un intero servizio giornalistico (o per un intero manuale), possiamo raccontare per duecento pagine spiegando ogni dettaglio, ma la potenza e la magia di una sola frase mostrata sarà in grado di tirartela in faccia, l'acqua salmastra del racconto. E il narrare? È compiere un passo in più: è mostrare con consapevolezza, dosando sapientemente le diverse tecniche narrative per ottenere l'effetto voluto sul lettore. La signora intervistata correva a briglia sciolta, d'istinto (in narrativa potremmo dire di puro talento): non ha seguito un filo studiato o scelto con consapevolezza e infatti le sue frasi prese da sole risultano confusionarie e un tantino sconclusionate. Ma nell'ambito dell'intero servizio, colpiscono dritte il bersaglio. Eccolo, il narrare: un mostrare finalizzato.

    Possiamo quindi affermare che:

    Narrare è dosare sapientemente, con consapevolezza, le diverse tecniche narrative per creare la magia dello scrittore.

    3. Perché mostrare?

    Abbiamo, in parte, già risposto a questa domanda: il mostrato cattura l'interesse. Quando un lettore prende in mano un libro, lo fa spinto dalle migliori intenzioni nei nostri confronti: vuole essere coinvolto, vuole essere trasportato nel mondo che abbiamo creato per lui. Perché ciò accada, quel mondo deve possedere tre caratteristiche fondamentali: deve essere coinvolgente, verosimile ed efficace.

    – Il mostrato coinvolge perché…

    cala il lettore nella storia, permettendogli di crearsi una rappresentazione mentale di quanto sta leggendo. Gli studi sulle reazioni del sistema nervoso centrale durante la finzione narrativa sono sempre più numerosi e convergono tutti verso un unico risultato: quando leggiamo il cervello non si limita a rielaborare le informazioni come memorie, bensì ricrea (o, per meglio dire, riprogramma) le scene che viviamo attraverso le pagine dei libri.

    Per dirla in breve, quando leggiamo:

    – Non rendermi prematuramente felice – disse Leonard. Poi si mosse. Il suo bastone schizzò in mezzo alle gambe di Mohawk. Leonard lo spinse più avanti, gli agganciò un ginocchio e scaraventò Mohawk giù dalla veranda, a faccia in avanti. (Joe Lansdale, Mucho Mojo)

    Il nostro encefalo non si limita a visualizzare la scena, ma elabora (nelle aree premotorie della corteccia frontale) un programma motorio simile a quello che appronterebbe qualora fossimo noi a muovere il bastone contro le ginocchia di Mohawk.

    Certo, Lansdale avrebbe potuto raccontare scrivendo:

    Leonard agganciò col bastone le ginocchia di Mohawk, facendolo cadere giù dalla veranda.

    Ma in tal caso il nostro cervello non avrebbe avuto alcun appiglio per visualizzare e rielaborare movimenti… se non quelli necessari a chiudere il libro e gettarlo nel camino più vicino alla nostra poltrona.

    Attenzione, quindi: questo processo (che ha davvero qualcosa di magico) si attiva soltanto se le azioni e le immagini che assorbiamo durante la lettura sono vivide, concrete, stimolanti, e se non si percepisce la presenza del narratore. In pratica, ciò accade quando leggiamo del mostrato. Se un lettore usa termini come vivido, eccitante, evocativo, ecco che sappiamo di avere fatto centro! Per dirla con parole di J. Gardner (da The art of fiction):

    La buona narrativa trasporta il lettore in una condizione mentale simile a quella del sogno. Se l’autore interviene nella storia, ha lo stesso effetto di qualcuno che ti parla all’orecchio mentre dormi: se ti va bene non te ne accorgi, se ti va male ti svegli. Se il lettore si sveglia, chiude il libro.

    …è interattivo e partecipativo: costringe il lettore a farsi coinvolgere nella storia, deducendo i fatti da sé anziché riceverli passivamente come imposizioni dall'alto.

    Se devo descrivere la reazione furiosa di un automobilista dopo un tamponamento, posso raccontarla, imponendola al lettore:

    Ed scese dall'auto e rimase immobile, guardando in ogni direzione. I suoi occhi erano feroci e aveva le tempie contratte per la rabbia. A Ralph parve un gallo pronto al combattimento contro un invasore.

    Oppure posso farla vivere al lettore, posso renderla tanto reale da conficcarglisi nel petto come un cavicchio di frassino:

    Ed rimase immobile per un momento di fianco alla sua macchina ferita, dando l'impressione di guardare in tutte le direzioni eccetto che in quella giusta. I feroci pallini neri che gli brillavano nella testa stretta ricordarono a Ralph il modo in cui i galli studiano la loro aia a caccia di intrusi e invasori. (S. King, Insomnia)

    Un impatto completamente diverso sulla fantasia di chi legge. Narrare è trovare un giusto equilibrio tra lo stile dell'autore e la fantasia del lettore. La storia deve essere in grado di raccontarsi da sola. Non basta scrivere Mario è vecchio, né ripeterlo a ogni pagina (ottenendo né più e né meno l'effetto di un cartello sono vecchio appeso al collo del nostro personaggio), perché lo diventi davvero nella testa del lettore: mostriamo invece la sua schiena acciaccata, le rughe che si increspano quando beve il semolino, la barba bianca impigliata nella lampo della giacca a vento e le sue mani tremanti mentre cala un asso a tresette… al lettore verrà naturale pensare Mario come vecchio! Let the reader see it, dicono gli americani!

    …crea immagini durature: questa è una diretta conseguenza della partecipazione che il mostrato crea nel lettore: se è vero che viene digerito con più naturalezza, e addirittura rielaborato, allora è altrettanto vero che rimane in memoria più a lungo! Se a pagina 2 raccontiamo che Mario è grasso senza mostrarlo, quindi senza fare fatica ma anche senza fornire al lettore un valido motivo per interessarsi all'obesità di Mario, arrivato a pagina 200 il lettore se lo sarà certamente dimenticato. Supponiamo ora che il nostro racconto debba terminare con un inseguimento: Mario è la preda ed è inseguito da un animale feroce. Ecco che il suo essere grasso diventa un fattore determinante per la trama. Ci converrà allora mostrare un rotolo che sbuca ogni tanto da sotto la maglietta, o l'appiccicume della sua pelle sudata mentre sale le scale, o la foga con cui divora quattro etti di pastasciutta. Allora non correremo il rischio, durante l'inseguimento finale, di dover ricordare al lettore Ehi, guarda che Mario è grasso!: lo saprà già e il suo coinvolgimento nella scena sarà senza dubbio superiore. Insomma, dobbiamo rendere indimenticabili i nostri personaggi e possiamo farlo solo mostrando:

    Uno che faceva un censimento, una volta, tentò di interrogarmi. Mi mangiai il suo fegato con un bel piatto di fave e un buon Chianti. (T. Harris, Il silenzio degli innocenti)

    Il lettore potrà ignorare l'obesità di Mario, ma il Dottor Lecter no. E nessun lettore potrà mai ignorare, o dimenticare, il Dottor Hannibal Lecter. Questo è mostrare le caratteristiche di un personaggio.

    …non esprime giudizi, ma pone di fronte a fatti concreti: questo perché il mostrato è oggettivo. Tornando al nostro Mario, noi possiamo scrivere che Mario è vecchio. Ma il lettore avrà il nostro stesso concetto di vecchiaia? Se a leggere il testo fossero un adolescente, un trentenne e un settantenne siamo sicuri che Mario sarebbe vecchio per tutti e tre? È un esempio molto semplice, ma pensateci bene: le rughe, la barba bianca, gli acciacchi alla schiena sono tali per chiunque legga: sono inoppugnabili, oggettivi. Altro esempio: se Anna è una flautista imbranata potrebbe comunque sembrare un usignolo alle orecchie della madre o di un ascoltatore che non abbia mai preso in mano uno spartito, mentre il do diesis steccato durante il saggio è un dato oggettivo. E ci offre molti più spunti narrativi:

    Anna era una vera imbranata col flauto.

    Raccontato. Noioso.

    Questo accidenti di do diesis! Anna aprì la finestra e lanciò fuori il flauto.

    Abbiamo fornito al lettore le stesse informazioni (Anna suona male il flauto), ma la differenza di stile, leggibilità e coinvolgimento del lettore è evidente.

    L'oggettività del mostrato ha un secondo vantaggio: mette l'autore al riparo dal giudizio del pubblico sull'operato dei suoi personaggi. Una delle tendenze degli esordienti è quella di prendere le distanze, spesso inconsapevolmente, dai propri personaggi. Il mio protagonista è omofobo? E se i lettori pensassero che l'omofobo sono io? Il trucco non è evitare personaggi o scene che vadano contro la morale comune, ma mostrarli: il mostrato permetterà al lettore di dedurre da solo l'omofobia del protagonista, o le sue tendenze omicide, o la sua passione per Twilight, e l'averlo capito da sé gli renderà la faccenda talmente reale, talmente naturale che l'eventuale colpa sarà solo e soltanto del nostro personaggio. Se la perversione del protagonista, invece, viene imposta al lettore da un nostro intervento diretto, allora sì che sarà colpa nostra… ma non per aver creato un protagonista cattivo, bensì per averlo narrato male! Ci sono autori in grado di farti sentire sporco mentre li leggi… ma mentre sei assorbito da un romanzo di Ellroy, o di Palahniuk, non ti viene di certo in mente di condannare l'autore! State tranquilli: se mostrate Mario mentre trova adorabile una action figure di Edward Cullen, il lettore non penserà mai che siate voi a desiderare quel pupazzetto.

    – Il mostrato è verosimile perché…

    …è preciso: il raccontato è per sua natura generico, impreciso, ma per mandare avanti la trama mantenendo il lettore vivo e incollato alle pagine occorre precisione. Salvi pure il mondo, chi vuole, purché voi riusciate a vederlo con chiarezza e nell’insieme. Poi, qualunque parte ne rendiate, se è resa veramente lo rappresenterà tutto. Parole e musica di Ernest Hemingway, che rimarca un concetto fondamentale: se scegliamo con consapevolezza su quali binari condurre il lettore possiamo rendere il suo viaggio indimenticabile, ma solo rendendo veramente, cioè mostrando.

    …costringe l'autore a documentarsi: un punto decisivo per raggiungere una buona scrittura. Scrivi di ciò che sai è una norma fondamentale almeno quanto lo show, don't tell!

    Fu una faticaccia, ma alla fine Mario fece atterrare l'aeromobile.

    Troppo facile. Sia per Mario, che se la cava con una riga di faticaccia, sia per noi, e il risultato è che al lettore non fregherà un bel niente di questo atterraggio. E così abbiamo buttato via una grande occasione per fare presa sulla sua immaginazione. La difficoltà è che per mostrare un atterraggio noi, per primi, dobbiamo sapere come si effettua una simile manovra. Dobbiamo, quindi, documentarci. Fare ricerche online, leggere manuali di volo, guardare filmati di addestramento, parlarne e discuterne con un pilota vero che sappia darci le giuste dritte per rendere realistica la nostra scena. L'ideale sarebbe proprio prendere lezioni di volo, ma anche lo scrittore ha dei limiti… per esempio non si può pretendere una conoscenza diretta (ma documentata sì, sia chiaro!) per un autore di thriller sanguinolenti, o per un romanzo storico. A questo proposito merita di essere sottolineato un errore comune: non abbiate paura di disturbare le persone a cui potreste chiedere consigli e informazioni. Niente di più sbagliato: cercate professori, studiosi, professionisti in ogni campo che amino davvero il loro mestiere e vi accorgerete che (di solito) non vedono l'ora di poter condividere un po' della loro esperienza, specie se la richiesta arriva loro con garbo e professionalità!

    …rende credibili le situazioni narrate:

    Precisione e documentazione significano anche credibilità. E la credibilità è fondamentale per mantenere il sense of wonder durante la lettura: generi come la Science Fiction, il Fantasy, l'Horror, ma anche il Mystery e lo Storico, senza credibilità sprofondano inesorabilmente nel ridicolo. Per una completa immersione nella nostra storia è obbligatorio fornire al lettore tutti gli appigli di cui la mente necessita per restare aggrappata alle scene e all'ambientazione che le costruiamo intorno.

    Se, per esempio, passeggiando in via Montenapoleone a Milano incrociassimo un uomo grassoccio che tutto affannato grida Al lupo! Al lupo! di certo penseremmo a uno scherzo, al più lo prenderemmo per pazzo. Ma se l'uomo avesse la maglietta strappata, fosse pallido e sudaticcio e ci mostrasse i segni delle unghie e un sanguinante morso al polpaccio, allora la sua storia assurda diventerebbe subito credibile. I dettagli concreti fanno la differenza, e i dettagli concreti sono mostrare!

    – Il mostrato è efficace perché…

    … permette di scegliere i particolari importanti per la storia:

    Immaginiamo la più classica scena da Giallo: l'ispettore che esamina la scena di un crimine. Se la vicenda in questione viene raccontata il lettore riceverà una descrizione del corpo, delle cause di morte, dell'ambiente e dell'ora approssimativa in cui è stato commesso il delitto, eccetera. Insomma, sarà impantanato in una palude di informazioni, tutte piatte e fangose allo stesso modo. Così non avrà alcun appiglio per focalizzare la sua attenzione su un particolare piuttosto che un altro e… di conseguenza non avrà neppure appigli per interessarsi al caso da risolvere! Poter selezionare i dettagli su cui focalizzare l'attenzione del lettore è fondamentale, soprattutto nella narrativa di indagine.

    mette al riparo dall'infodumping:

    Abbiamo definito l'infodumping come discarica di informazioni. Un fenomeno che affligge moltissimi testi di esordienti che, convinti che il lettore non riesca a capire quanto vogliono comunicare, infarciscono descrizioni e (soprattutto) dialoghi di informazioni sovrabbondanti.

    Un paio di esempi classici di infodumping:

    – Mario, sarebbe ora di spiegare a tua figlia Angela che non è questa la maniera di comportarsi! – disse Luca.

    – Scusa, Luca, le insegnerò a non gettare le sigarette nel tuo cortile, adiacente al nostro.

    Quali sono gli errori in questo scambio di battute? Partiamo dal più evidente: dal testo è chiaro che Luca e Mario sono vicini di casa. Ma era necessario specificare adiacente al nostro? No, il lettore avrebbe capito benissimo il nocciolo del problema, senza bisogno di specificare che i cortili sono confinanti. Questo è un tipico infodump. E non è l'unico: Mario nel suo dialogo ha quel fastidiosissimo inciso Scusa, Luca, le insegnerò…, ma il lettore sa già che Mario sta parlando con Luca. Anche questo è un eccesso di informazioni. Ancora: a tua figlia Angela è un ulteriore infodump, dato che Luca sa benissimo che la figlia di Mario si chiama Angela, quindi questa precisazione risulta forzata, fasulla. Sarebbe bastato a tua figlia o ad Angela. Se è necessario che il lettore associ in questo passaggio il nome Angela alla figlia di Mario occorre trovare un sistema migliore per mostrarlo al lettore. Proviamo quindi a riscrivere lo scambio senza incorrere nell'infodumping:

    – Mario, sarebbe ora di spiegare a tua figlia che non è questa la maniera di comportarsi! – disse Luca.

    – Scusa, le insegnerò a non gettare le sigarette nel tuo cortile. Ah, queste figlie!

    Ecco: il lettore ha forse dubbi sul fatto che Mario e Luca siano vicini, che siano loro a parlare, o che la figlia di Mario si chiami Angela? No. E noi abbiamo un dialogo più leggibile e più credibile, quindi più efficace, e il tutto risparmiando battute!

    Torneremo sull'infodump, per affrontare meglio l'argomento, in uno dei capitoli conclusivi di questo manuale, per adesso è importante focalizzare bene un concetto: le informazioni vanno rese motivo di interesse.

    Philip Dick ci spiega forse come vengano assemblati i Nexus 6? Anne Rice ci sottopone a trattati sulla fisiologia dei vampiri? No, eppure Rachel e Lestat sono maledettamente reali. Però attenzione:

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