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Il giardino segreto
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E-book281 pagine4 ore

Il giardino segreto

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“Il giardino segreto”, di Frances Hodgson Burnett, pubblicato nel 1911, è un piccolo capolavoro della letteratura giovanile ma non solo, un racconto pervaso di magia, di mistero e di natura, dove i giovani personaggi compiono un percorso di trasformazione e di crescita che li porterà ad apprezzare la Vita e le sue meraviglie.
Fulcro del romanzo è la ricerca di un Giardino Segreto che la piccola protagonista Mary vuole mantenere nascosto e inviolato, un giardino che non deve essere profanato dagli adulti, metafora del nostro luogo più intimo e segreto: la nostra Anima. Protetti dalle alte mura che circondano il giardino, i personaggi prenderanno finalmente coscienza di sé, della forza vitale che permea il Tutto e delle meraviglie della Natura: la sua sacralità e il suo potere di guarigione.
LinguaItaliano
Data di uscita29 set 2020
ISBN9788831372152
Autore

Frances Hodgson Burnett

Frances Hodgson Burnett (1849–1924) was an English-American author and playwright. She is best known for her incredibly popular novels for children, including Little Lord Fauntleroy, A Little Princess, and The Secret Garden.

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    Anteprima del libro

    Il giardino segreto - Frances Hodgson Burnett

    guarigione.

    I.

    Non c’è più nessuno

    Quando Mary Lennox arrivò al castello di Misselthwaite per vivere con lo zio, tutti quelli che la videro furono d’accordo nel dire che quella bambina aveva l’aspetto meno attraente e simpatico che si potesse immaginare. Ed era proprio così. Mary aveva un corpicino esile, un visino giallo e pochi capelli sottilissimi. Capelli e volto avevano la stessa sfumatura giallognola perché, da quando era nata, in India, era stata quasi sempre malata. Suo padre era stato governatore laggiù ed era sempre impegnatissimo e spesso malato anche lui; sua madre, una bellissima donna pensava solo a divertirsi in allegra compagnia. Non avrebbe mai desiderato una figlia, e quando Mary nacque, la affidò subito alle cure di una Ayah, una bambinaia indiana, alla quale fecero capire che per far piacere alla Memsahib (così gli indigeni chiamavano la signora Lennox) doveva tenere la bambina il più lontano possibile dalla madre. Così, finché Mary era una infante malata, gracile e paurosa veniva tenuta lontano dai genitori e quando crebbe malaticcia e irritabile ne fu tenuta egualmente lontano.

    Mary non ricordava di aver visto altri volti familiari oltre allo scuro viso della bambinaia e degli altri domestici e poiché loro le obbedivano e facevano tutto quello che lei voleva (per evitare che la sua mamma si arrabbiasse sentendola gridare), quando arrivò a sei anni Mary era la bambina più egoista e tiranna che si potesse immaginare. La prima governante inglese che venne per istruirla, la trovò così sgradevole che dopo tre mesi se ne andò. Arrivarono altre istitutrici che se ne andarono anche prima. E se Mary non fosse stata così curiosa di leggere le favole scritte nei suoi libri illustrati, sarebbe rimasta una perfetta analfabeta.

    In una caldissima mattina d’estate, Mary (che allora aveva circa nove anni) si svegliò di cattivo umore e si irritò ancora di più quando vide, seduta accanto al suo letto, una domestica che non era la sua bambinaia.

    «Perché ci sei tu qui?» chiese all’estranea «non hai il permesso di stare qui. Mandami la mia Ayah.»

    La donna la guardò confusa balbettando che la bambinaia non poteva venire. Allora Mary si arrabbiò e cominciò a darle calci e pugni; la domestica, sempre più spaventata, la guardava ripetendole che la bambinaia non poteva proprio venire dalla signorina Sahib. Quella mattina c’era nell’aria qualcosa di misterioso. Niente pareva seguire l’ordine consueto; molti domestici indiani erano spariti e quelli rimasti, che Mary riusciva a incontrare, correvano da una parte all’altra, affannati, coi volti pallidi, terrorizzati. Ma nessuno disse niente alla bambina e l’Ayah non arrivò. Mary fu lasciata completamente sola tanto che dopo un po' andò a gironzolare in giardino e si mise a giocare sotto un albero, vicino alla veranda. Mentre costruiva una piccola aiuola con i petali scarlatti dell’ibiscus, andava ripetendo a sé stessa, sempre più arrabbiata, le parole che avrebbe urlato a Saied (questo era il nome della sua bambinaia): Maiale! Maiale! Figlia di maiali! perché per un indiano, è un insulto terribile essere chiamato maiale. Digrignava i denti e continuava a ripetersi questi insulti quando vide la madre uscire in veranda insieme a qualcuno. Era in compagnia di un raffinato gentiluomo e insieme parlavano a bassa voce. Mary aveva già visto quel giovane. Aveva sentito dire che era un giovanissimo ufficiale appena arrivato dall’Inghilterra. La bambina lo guardò, ma guardò ancor più fissamente la madre. La guardava sempre intensamente quelle poche volte che riusciva a vederla, perché la Mem Sahib – Mary si era abituata a chiamarla così, invece di mamma – era una bellissima donna, così alta, magra, ed era sempre elegante. I suoi capelli sembravano seta ondulata, il suo naso sottile e delicato pareva disdegnare le cose, e i suoi grandi occhi erano sempre sorridenti. I suoi abiti erano fini, svolazzanti e Mary diceva che erano pieni di trine. Quella mattina la madre pareva ancor più elegante, ma i suoi occhi, non ridevano affatto: erano grandi, spaventati, fissavano imploranti il volto del giovane ufficiale.

    «È davvero così grave? Davvero?» la sentì chiedere Mary «Terribile, signora, terribile! Avreste dovuto partire due settimane fa.»

    La Mem Sahib si torceva le mani.

    «Oh, so che avrei dovuto … sono rimasta solo per andare a quello stupido ricevimento. Che stupida sono stata!»

    In quell’istante un urlo proveniente dalle stanze della servitù lacerò l’aria e lei si aggrappò al braccio del giovane, mentre Mary cominciò a tremare dalla testa ai piedi. I lamenti si facevano sempre più strazianti. «Cosa è stato? che cos’è?» ansimò la signora Lennox.

    «Dev’essere morto qualcuno. Non mi avevate detto che anche i domestici erano contagiati.»

    «Ma … non lo sapevo! venite con me! seguitemi!» si girò e corse dentro casa.

    In seguito, accaddero altre cose spaventose e Mary scoprì finalmente il mistero. Era esploso il colera e nella forma più aggressiva, tanto che le persone morivano come mosche. La bambinaia si era ammalata nella notte e l’urlo che avevano sentito dalla veranda era lo strazio dei domestici per la sua morte. Il giorno dopo morirono altri tre domestici e chi poteva scappava lontano. Il panico dilagava dappertutto e in ogni casa c’erano dei moribondi.

    Nella confusione e nello smarrimento del secondo giorno, Mary si nascose in camera sua e fu dimenticata da tutti. Nessuno pensava a lei, nessuno venne a cercarla e intorno accadevano strane cose che non riusciva a capire. Passò così molte ore tra il pianto e il sonno. Sapeva solo che la casa era piena di ammalati e ogni tanto udiva suoni strani, spaventosi. In preda alla fame, una volta sgusciò nella sala da pranzo dove trovò il tavolo ancora imbandito con gli avanzi di una cena interrotta all’improvviso. Mangiò dei biscotti e un po' di frutta, poi, siccome era assetata, prese un bicchiere quasi colmo di vino e lo bevve. Era dolce, era molto forte e le mise un gran sonno addosso. Tornò nella sua camera e si richiuse dentro mentre udiva delle urla provenire dalle capanne e il rumore di passi frettolosi. Il vino l’aveva talmente stordita che cadde sul letto e dormì profondamente per molto tempo. Il suo sonno era così pesante da non accorgersi delle urla e del tramestio che avveniva nelle capanne intorno.

    Quando si svegliò, rimase immobile a fissare il soffitto. In casa non si udiva il benché minimo rumore. Non aveva mai sentito tanto silenzio: non una voce, non un passo. Si chiese se nel frattempo fossero tutti guariti dal colera e il pericolo fosse terminato. Si chiese chi si sarebbe preso cura di lei ora che la bambinaia era morta. Forse un’altra bambinaia? E magari le avrebbe raccontato delle nuove storie perché Mary era stufa di quelle vecchie. Di certo non piangeva perché la sua bambinaia era morta. Non era una bambina affettuosa e non le era mai importato niente di nessuno. Il terrore, la confusione e i pianti per il colera l’avevano spaventata, ma era molto indispettita che nessuno si accorgesse che lei era ancora viva. Erano tutti troppo spaventati per prendersi cura di una bambina che nessuno amava. Quando ci sono le epidemie, le persone pensano solo a sé stesse. Ma se qualcuno fosse guarito, forse si sarebbe ricordato di lei e l’avrebbe cercata…

    Ma non venne nessuno, e mentre Mary aspettava, la casa diventava sempre più silenziosa. Sentì un fruscio sotto la stuoia e quando guardò in basso vide un serpentello che la fissava con i suoi occhi lucenti. Mary non ebbe paura perché quella piccola creatura senza braccia non le avrebbe fatto del male e anzi pareva aver fretta di uscire dalla stanza. E infatti scivolò sotto la porta mentre lei lo guardava.

    «È tutto così strano e tranquillo… sembra che qui non sia rimasto nessuno tranne me e il serpente.»

    Poco dopo sentì dei passi nel cortile e poi sulla veranda. Erano uomini che entravano in casa e parlavano a bassa voce. Nessuno andava loro incontro e pareva che aprissero le porte e guardassero nelle stanze parlando sempre piano. «Che desolazione!» sentì dire. «Quella bellissima donna! E forse anche la bambina, perché ho sentito dire che aveva una figlia, anche se nessuno l’ha mai vista.»

    Pochi minuti dopo aprirono anche la sua porta e Mary era in piedi in mezzo alla stanza: era un esserino brutto, arrabbiato e truce perché cominciava ad avere fame e a sentirsi maledettamente trascurata. Il primo che entrò era un grosso ufficiale che lei aveva già visto parlare con il padre. Sembrava stanco, turbato ma fu talmente sorpreso di vederla che fece un grande balzo indietro.

    «Barney! c’è una bambina qui! Una bambina sola, in un posto come questo! Misericordia! Ma chi sarà?»

    «Sono Mary Lennox» disse la bambina tutta impettita, pensando che quell’uomo era davvero maleducato se definiva la casa di suo padre un posto come quello. «Mi sono addormentata quando si sono ammalati tutti di colera e mi sono appena svegliata. Perché nessuno è venuto a prendermi?»

    «Questa è la bambina che nessuno aveva mai visto! Se la sono dimenticata qui!»

    «Come se la sono dimenticata? perché non è venuto nessuno?» E Mary cominciò a pestare i piedi in terra.

    Il giovane Barney la guardò con aria afflitta. Mary vide addirittura che si asciugava una lacrima.

    «Povera piccola! Non c’è più nessuno che possa venirti a prendere»

    Fu in questo modo tragico e improvviso che Mary scoprì di non aver più un padre né una madre; che entrambi erano morti e che li avevano portati via nel cuore della notte, che i pochi domestici sopravvissuti erano scappati dalla casa più velocemente possibile e che nessuno si era minimamente ricordato dell’esistenza della signorina Sahib. Ecco perché era tutto così tranquillo. Era proprio vero, non c’era più nessuno lì, tranne lei e il piccolo serpentello.

    II.

    Mary la scontrosa

    Mary aveva sempre osservato la madre da lontano con enorme piacere e ne aveva sempre apprezzato e riconosciuto la bellezza; ma poiché le era completamente estranea, non ci si poteva certo aspettare che la amasse o che ne sentisse la mancanza dopo la sua morte! E infatti non la rimpianse per niente ed essendo una ragazzina molto egoista continuò a pensare a sé stessa, come aveva sempre fatto. Se fosse stata più grande si sarebbe forse preoccupata di rimanere sola al mondo; ma essendo molto piccola, e siccome qualcuno si era sempre preso cura di lei, pensò che tutto sarebbe continuato come prima. L’unica cosa che le interessava sapere, era se sarebbe andata a vivere con persone gentili e obbedienti al suo volere, come finora erano stati i suoi domestici e la bambinaia.

    Subito dopo la disgrazia, Mary fu portata nella casa di un prete inglese, il signor Crawford, ma lei sapeva che non vi sarebbe rimasta molto tempo e neanche avrebbe voluto rimanerci. La famiglia del prete era molto povera, con cinque bambini trasandati, malvestiti, più o meno dell’età di Mary, che si litigavano continuamente i giochi. Mary detestava quella loro casa disordinata e si comportò in modo talmente scontroso che, dopo un giorno o due nessuno voleva più giocare con lei. Anzi, il secondo giorno le affibbiarono un soprannome che la fece infuriare. Fu Basil a inventarlo. Basil era un ragazzino con degli impertinenti occhi azzurri e un insolente naso all’insù, e Mary lo detestava. Lei stava giocando sola sotto un albero, proprio come il giorno in cui era esplosa l’epidemia di colera. Stava costruendo delle collinette e dei sentierini nella sabbia per un giardino immaginario. Basil si fermò a guardarla e, interessato al suo lavoro, le diede qualche consiglio.

    «Perché non ci metti dei sassi come se fossero delle rocce?» disse «lì in mezzo» e si chinò su di lei ad indicarle il punto.

    «Vattene!» gli urlò Mary «non voglio maschi qua vicino, vattene via!»

    Per un attimo Basil la guardò furioso, ma poi iniziò a prenderla in giro, come faceva sempre con le sorelle. Cominciò a ballarle intorno facendo mille smorfie e ridendo, poi si mise a cantare:

    «Mary Mary la scontrosa

    nel tuo giardino cosa c’è?

    ci son campane, boccioli di rosa

    e margherite intorno a me»

    Continuò a cantare finché anche i fratelli lo sentirono e scoppiarono a ridere. E più Mary si arrabbiava più loro cantavano "Mary Mary la scontrosa"; e da quel giorno la chiamarono sempre così, sia che parlassero tra di loro o che si rivolgessero a lei.

    «Tra un po' te ne andrai a casa tua» le disse Basil «E noi saremo tanto felici».

    «E io non vedo l’ora di andarmene» rispose Mary «Ma casa mia dov’è?»

    «Ah! Non sai dov’è casa tua!» esclamò Basil con il disprezzo dei suoi sette anni «È in Inghilterra ovviamente. Mia nonna abita là e mia sorella Mabel è andata da lei l’anno scorso. Ma tu non vai dalla nonna perché non ce l’hai. Tu andrai da tuo zio, il signor Archibald Craven»

    «Ma io non lo conosco» replicò brusca Mary.

    «Già!» rispose Basil «Tu non sai niente. Le bambine non sanno mai niente. Ho sentito che mamma e papà parlavano di lui. Vive in una vecchia casa, enorme, cadente in mezzo alla campagna e al nulla. Non vuol vedere nessuno e comunque nessuno andrebbe a trovarlo. È brutto e gobbo.»

    «Non ti credo!» disse Mary che si girò e si tappò le orecchie per non ascoltare oltre.

    Ma poi ripensò molto a quelle parole; e quando la signora Crawford, quella sera, le disse che presto si sarebbe imbarcata per l’Inghilterra per raggiungere lo zio, il signor Archibald Craven che viveva nel castello di Misselthwaite, l’espressione di Mary era talmente fredda e indifferente che tutti ne furono meravigliati. Provarono ad essere gentili con lei, ma quando la signora Crawford si avvicinò per baciarla Mary si girò dall’altra parte e si irrigidì tutta quando il reverendo Crawford le posò una mano sulla spalla.

    «Sembra una bambina così insignificante» disse in tono compassionevole la signora Crawford. «E pensare che la madre era così bella e gentile! Mary ha i modi più sgarbati che io abbia mai visto in una bambina. Pensa che i bambini la chiamano Mary la scontrosa, certo non è educato da parte loro, ma non si può che capirli. Forse se la madre le fosse stata un po' più vicina e si fosse occupata un po' più di lei, Mary avrebbe potuto imparare i suoi modi gentili. È davvero triste, ora che la bella signora è morta, pensare che quasi nessuno sapeva che avesse una figlia. Credo che non la vedesse mai» sospirò la signora Crawford «Quando la bambinaia morì di colera, nessuno pensò alla bambina. Tutti i domestici scapparono lasciandola completamente sola nella casa deserta. Il colonnello McGrew disse che per poco non gli veniva un colpo quando, aprendo la porta della stanza, la vide là in piedi, tutta sola.»

    Mary fece un lungo viaggio verso l’Inghilterra, affidata alla moglie di un ufficiale che accompagnava i suoi bambini a studiare in un college. La signora era occupatissima dai suoi due figli e fu davvero contenta quando consegnò Mary alla persona che il signor Craven le aveva mandato incontro a Londra. Si trattava della signora Medlock, la governante del castello di Misselthwaite. Era una donna robusta col viso rubicondo e gli occhi neri. Indossava un abito lilla con un mantello di seta nera a frange ed un cappellino nero con dei fiorellini lilla che si agitavano ogni volta muoveva la testa. A Mary non piaceva affatto, ma poiché non le piaceva mai nessuno, la cosa era abbastanza normale; d’altronde, era evidente che anche alla signora Medlock la bambina non piaceva per niente.

    «Mio Dio quant’è bruttina» disse «e dicono che sua madre fosse così bella! Non le somiglia per niente!»

    «Forse migliorerà crescendo» rispose bonariamente la moglie dell’ufficiale «se non fosse così giallina e se avesse dei modi più garbati, non sarebbe brutta; i bambini cambiano così tanto!»

    «Beh, dovrà cambiare parecchio!» rispose la signora Medlock «E ad essere onesti, al castello non c’è proprio nulla che possa aiutare un bambino a crescere.»

    Le due donne credevano che Mary non le ascoltasse, perché era un po' distante da loro, affacciata alla finestra dell’albergo dove avrebbero alloggiato quella notte. La bambina si divertiva a guardare il traffico e la gente che passava, ma, nello stesso tempo riusciva a sentire i discorsi delle due donne ed era sempre più curiosa di conoscere lo zio e lo strano posto in cui viveva. Che razza di posto era, e lo zio le sarebbe piaciuto? E che cos’era una gobba? Lei non ne aveva mai vista una. Forse in India non esistevano.

    Da quando era partita da casa sua e non aveva più una bambinaia, Mary cominciò a sentirsi sola e ad avere strani pensieri, del tutto nuovi per lei. Si chiedeva perché avesse quella strana sensazione di non appartenere a nessuno, anche quando i suoi genitori erano vivi. Gli altri bambini sembravano appartenere al padre e alla madre mentre lei si era sempre sentita figlia di nessuno. Aveva sempre avuto domestici, cibo e tanti bei vestiti, ma nessuno si era mai affezionato a lei. Mary non immaginava che questo era dovuto al suo comportamento scontroso e sgradevole e, in effetti, lei non sapeva di essere scontrosa e sgradevole. Spesso anzi, pensava che lo fossero gli altri, ma non immaginava certo di esserlo lei.

    Considerava la signora Medlock come la creatura più antipatica che avesse mai visto, con quella faccia rubiconda e il suo brutto cappello. Quando il giorno seguente, partirono per lo Yorkshire, lei arrivò al treno, attraversando la stazione impettita e a testa alta, camminando il più lontano possibile per non dare l’idea di appartenere alla signora Medlock. Si sarebbe arrabbiata se qualcuno avesse pensato che quella era sua madre.

    Ma la signora Medlock non era affatto toccata dalla bambina né dai suoi pensieri. Era il tipo di donna che non avrebbe sopportato le sciocchezze dei ragazzini. O almeno questo avrebbe risposto se interpellata. Le era seccato molto dover andare a Londra proprio il giorno del matrimonio di sua nipote, ma aveva un posto comodo e ben pagato come governante al castello di Misselthwaite e se voleva tenerselo stretto, doveva obbedire sempre ai voleri del signor Archibald Craven. E non avrebbe mai osato mettere in discussione un ordine.

    «Il capitano Lennox e la moglie sono morti di colera» aveva detto il signor Craven coi suoi modi freddi e sbrigativi «Il capitano era il fratello di mia moglie quindi sono io il tutore di sua figlia, mia nipote. La bambina verrà a vivere qui al castello e voi andrete a prenderla a Londra»

    Così la signora Medlock preparò la valigia e partì.

    Mary, pallida e imbronciata, si era seduta in un cantuccio dello scompartimento. Non aveva niente da leggere né da guardare e teneva le piccole mani infilate nel manicotto. Il vestito nero la faceva sembrare ancora più pallida e i pochi capelli biondi e sottili uscivano a ciocche da sotto il cappello.

    «Mai vista in vita mia una ragazzina più viziata e scontrosa di questa» pensò la signora Medlock. Non aveva mai visto una bambina di quell’età stare così ferma senza far niente e dopo un po' si stancò di guardarla e cominciò a parlarle con la sua voce ruvida e forte.

    «Credo sia meglio che vi racconti qualcosa riguardo il posto dove andrete a vivere. Sapete nulla di vostro zio?»

    «No»

    «I vostri genitori non vi hanno mai parlato di lui?»

    «No» disse Mary e aggrottò la fronte pensando che i genitori non le avevano mai parlato di nulla in particolare.

    «Bah!» mormorò la signora Medlock osservando la strana espressione della bambina e per qualche minuto non aggiunse altro.

    «Credo sia meglio dirvi qualcosa…per prepararvi. Andrete a vivere in un posto alquanto strano»

    Mary non fiatava e la signora Medlock rimase sconcertata dall’apparente indifferenza della bambina ma dopo un sospiro seguitò:

    «Non si può dire che il posto non sia grande e un po' deprimente… il signor Craven ne è molto orgoglioso e anche questo è abbastanza deprimente. Il castello è stato costruito seicento anni fa al confine con la brughiera e ci sono quasi cento stanze, alcune delle quali però rimangono sempre chiuse. Ci sono quadri, arazzi e soprammobili che sono lì da secoli e c’è un grande parco tutt’intorno con giardini e alberi i cui rami a volte scendono fino a terra… e poi non c’è nient’altro.»

    Mary, suo malgrado, aveva cominciato ad ascoltare. Sembrava tutto così diverso dalla sua vita in India e la novità cominciava ad interessarla. Ma non voleva che la signora Medlock se ne accorgesse (e questo era uno dei suoi comportamenti da ragazzina viziata). Così rimase immobile.

    «Beh?» disse la signora Medlock «che ne pensate?»

    «Niente! Non so niente di quel posto»

    Questo fece ridere la signora Medlock.

    «Eh! Sembrate proprio una vecchietta! Non vi importa di niente?»

    «Tanto cosa cambia se mi importa o no?»

    «In effetti avete ragione» disse la signora Medlock «non cambia proprio niente. Perché

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