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Il senso della vita di un uomo qualunque
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Il senso della vita di un uomo qualunque
E-book153 pagine2 ore

Il senso della vita di un uomo qualunque

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Info su questo ebook

Lasciandoci trasportare dalla corrente della vita, possiamo inconsapevolmente abbandonarci a essa oppure chiederci cos’è questa cosa che ci trasporta via.
Lenio Morganti indaga sul senso dell’esistenza di un uomo qualunque, quale egli si considera, di per sé destinata a essere dimenticata da tutti nel rapido svolgersi del tempo. Nel far ciò, esamina temi che solitamente rimangono nascosti dentro l’animo umano, poco adatti per abituali conversazioni, sfocati anche alla chiara consapevolezza di ognuno. Tra questi: la religione, la libertà, la felicità, il libero arbitrio, la sofferenza, il tempo, la bellezza, l’economia, la giustizia, l’amore.
Con linguaggio semplice e tono colloquiale, senza alcuna pretesa di essere depositario di un’unica verità, rivolge le proprie osservazioni a un pubblico di lettori anch’essi uomini qualunque, sollecitandoli alla riflessione, nel tentativo di fare emergere in essi una loro personale considerazione sul senso dell’esistenza. Dalle sue parole, emerge l’opinione secondo cui sotto l’essenza di ciò che si discute, si celi un fine recondito che la Natura ci istiga inconsapevolmente a perseguire. È puntando l’attenzione verso quest’ultimo che diventa possibile scorgere il senso della vita. Tuttavia, non è sufficiente alzare il primo velo, perché ciò che affiora nasconde a sua volta un fine ancora più recondito, e questo un altro ancora.
Un saggio divulgativo elegante, aperto alla dialettica, una sorta di testamento spirituale.
LinguaItaliano
Data di uscita1 ago 2017
ISBN9788832920383
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    Anteprima del libro

    Il senso della vita di un uomo qualunque - Lenio Morganti

    speciale.

    Introduzione

    Meco io porto (la Dea madre mel dice)

    doppio fato di morte. Se qui resto

    a pugnar sotto Troia, al patrio lido

    m’è tolto il ritornar, ma d’immortale

    gloria l’acquisto mi farò. Se riedo

    al dolce suol natìo, perdo la bella

    gloria, ma il fiore de’ miei dì non fia

    tronco da morte innanzi tempo, ed io

    lieta godrommi e dïuturna vita. [1]

    Narra l’ Iliade che Achille fu chiamato a decidere il suo destino: morire giovane combattendo a Troia ed essere ricordato in eterno o vivere serenamente e a lungo, ma nell’oblio.

    Achille scelse l’eterna gloria.

    Io ti racconto dell’altro, destinato all’oblio.

    Lenio Morganti

    [1] b Omero, Iliade (Libro IX, versi 527-535).

    L’uomo qualunque

    Chi sei tu,

    milite ignoto di una vita passata nell’ombra,

    trascurabile comparsa di scene governate da altri,

    autore di gesta di insignificante importanza ?

    Non una impresa resterà di te,

    ad affermare che di qui sei passato.

    Rimarrai confuso tra tanti,

    poiché solo ai Grandi

    la Storia dà un nome ed un volto.

    Eppure anche tu, come loro,

    hai riso, hai pianto, hai lottato,

    sei caduto e ti sei rialzato,

    hai amato e tradito;

    insomma: hai vissuto.

    Ma la tua è solo la vita di un uomo qualunque!

    E, dimmi:

    che senso ha la vita di un uomo qualunque?

    Il senso della vita

    Già, che senso ha la vita di un uomo qualunque? Per rispondere occorre aver chiarito, più in generale, qual è il senso della vita .

    Teologi e religiosi ci offrono le loro risposte.

    Ma per chi, come me, interroga se stesso affidandosi alla ragione più che alla Fede, queste non appaiono convincenti.

    Quando lessi il libro Io, Robot di Asimov, [1] rimasi profondamente interessato dalla storia di Cutie: un robot di nuova generazione che mostrava un’insolita curiosità nei confronti della propria esistenza. Si rifiutava di credere che lui, così sofisticato, superiore a qualsiasi altro robot mai costruito, potesse essere stato creato dall’Uomo e con il solo scopo di eseguire i lavori più disagiati. Trovò più convincente teorizzare l’esistenza di un Padrone di cui lui era il profeta e ne attuava il volere. Tuttavia, continuò a eseguire il lavoro per il quale gli uomini lo avevano costruito, visto che i suoi circuiti erano per ciò programmati, ma svolgendolo nella convinzione che il senso da dare a esso fosse unicamente servire il Padrone.

    Se osservo il mondo, Uomo compreso, mi convinco che lo scopo per cui ogni essere viene dato alla vita è uno: la procreazione. Intendiamoci, non che procreare sia il compito che ogni individuo consapevolmente si pone. Sembra, piuttosto, essere il fine che Colui che ha organizzato il mondo ha richiesto ai viventi. Mi sembra che, nella maggior parte dei casi, le forme viventi siano spinte alla riproduzione più dalla necessità di soddisfare istinti tesi al raggiungimento del piacere o al sollievo da fastidiose smanie, piuttosto che da una consapevole ricerca della procreazione.

    Crescete e moltiplicatevi sembra davvero essere lo scopo assegnato ai viventi. La Natura vuole che gli esseri si moltiplichino, e procreare è il senso che essa dà alla loro vita.

    Ma per moltiplicarsi occorre innanzi tutto esistere. Si può vivere senza procreare, ma non il contrario. Il traguardo di ogni essere diventa allora vivere; che, in un mondo in perenne competizione quale la Natura è, significa sopravvivere. La sopravvivenza, ovvero il cercare di esistere più a lungo possibile, è la meta che ogni individuo vuole raggiungere. L’Organizzatore del mondo sembra aver infuso a tutti gli esseri un istintivo desiderio di vivere, affinché, anche senza una consapevole loro volontà, si realizzi quello che a lui sta più a cuore: la procreazione.

    È tale l’importanza di ciò che a difesa della propria sopravvivenza è ritenuto lecito compiere anche l’azione altrimenti più scellerata: l’omicidio. La legittima difesa trasforma il crimine in un diritto. Un diritto non solo sancito dagli uomini, ma addirittura infuso in essi dal loro creatore attraverso un impulso naturale: l’istinto di sopravvivenza.

    Un istinto, dicevo: quindi svincolato dalla volontà e dal raziocinio del singolo essere, tanta è la sua importanza.

    In ciascuno di noi, il senso della vita – mi par di poter dire – è tutto qui: vivere. Vivere per vivere, ovvero: non ci è chiesta nessuna impresa straordinaria, solo vivere. Ti pare che la vita diventi priva di senso? Oppure, l’esatto contrario? A me sembra che anche in questa incertezza stia la prova della sua rilevanza: il significato della vita viene sottratto a una chiara cognizione, affinché, nascosto, rimanga preservato.

    Si racconta che due nazioni si dichiararono guerra per il controllo di alcuni giacimenti petroliferi dal cui sfruttamento sarebbe dipeso il futuro economico delle rispettive classi dominanti. I soldati di entrambe le parti si fronteggiarono duramente per molti anni. Nessuno di loro sapeva le vere ragioni per cui stava combattendo. I governanti di ciascun paese pensarono che i loro soldati avrebbero combattuto più volentieri se avessero ritenuto di farlo per una causa nobile, anziché per gli interessi di pochi potenti. Così, da una parte venne diffusa la convinzione che il fine della guerra era combattere al servizio del loro dio, contro un popolo di infedeli; dall’altra, che occorreva difendere l’onore della patria contro spietati nemici pronti ad annientare il paese, sottomettere la popolazione, stuprare le donne e mangiare i bambini. Entrambi gli eserciti si persuasero che ciò che erano stati chiamati a fare aveva un fine nobile e continuarono a scannarsi finché l’uno non annientò l’altro.

    Un essere immortale non avrebbe problemi di sopravvivenza: la sua aspirazione a vivere il più a lungo possibile troverebbe già soddisfazione nella sua naturale immortalità. In questa condizione, l’istinto di sopravvivenza non avrebbe ragione di esistere. È comune convinzione che solo l’Uomo, tra tutti i viventi, sappia che dovrà morire. Tutti gli altri esseri vivono senza rendersi conto che prima o poi moriranno. Il loro comportamento quotidiano è quindi identico a quello di un essere immortale, ma in loro trova senso la presenza dell’istinto di sopravvivenza, perché, anche se non se ne rendono conto, esiste la necessità che sottraggano la loro vita a situazioni di rischio. La Natura vuole che non si pensi a morire, ma a vivere il più a lungo possibile.

    Se rifletti bene, anche gli uomini, per la maggior parte, pur consapevoli della ineluttabilità della morte, si comportano quotidianamente come se questa fosse un avvenimento che non li riguarda nell’immediato. Sanno che sicuramente verrà, ma pensano che appartenga a un tempo lontano, per cui è possibile vivere come se non li riguardasse. Questo atteggiamento è istintivo, perfettamente naturale. La Natura, anche per gli uomini, vuole che non si pensi a morire, ma a vivere il più a lungo possibile. Un uomo che non vede la morte come imminente non sente la necessità di lasciare segni di sé che vadano oltre la propria vita. Semplicemente, vive: e le gesta che compie sono quelle necessarie a trascorrere la propria quotidianità. In questa situazione, quindi, non c’è differenza tra il comportamento dell’uomo qualunque e quello del Grande: vivono entrambi la vita indifferenti all’idea di una loro fine. Tuttavia, nel loro fare, i segni lasciati dai Grandi (Eccelsi o Ignobili) sono righi profondi, che incidono la pietra e che segnano anche la vita di generazioni future; segni destinati di per sé, volenti o nolenti, a passare i confini della vita di chi li ha generati. I segni che lascia l’uomo qualunque sono, invece, lievi scalfitture, labili tracce impresse su sabbia, ricordi destinati a scomparire assieme alla vita dei diretti spettatori.

    Adesso è possibile azzardare una risposta alla tua domanda. Che significato ha la vita per un uomo qualunque? Vivere! Giacché la differenza coi Grandi non sta nel senso delle rispettive esistenze, ma nel segno delle loro gesta.

    Un essere che ha presentimento della morte si trova a uno scontro col proprio istinto di sopravvivenza, ma sa, anche, che la sua fine è ineluttabile.

    Come sopravvivere alla propria morte?

    I credenti rispondono: con l’anima. Chi, come me, non ha la necessaria Fede pensa, piuttosto: nella memoria, nel ricordo di sé tramandato di generazione in generazione. Ricordo affidato ai segni da lui lasciati durante il passaggio in questa vita.

    Achille, nell’ Iliade, è ben conscio di ciò, e sceglie di compiere memorabili gesta, piuttosto che semplicemente vivere, consapevole che la sola vita non premia il valoroso sul vile.

    Qual prezzo,

    qual ricompensa delle assidue pugne?

    Di chi poltrisce e di chi suda in guerra

    qui s’uguaglia la sorte: il vile usurpa

    l’onor del prode, e una medesma tomba

    l’infingardo riceve e l’operoso. [2]

    Tuttavia, nella logica della sopravvivenza oltre la propria esistenza, il Grande ha un privilegio che all’uomo qualunque non è concesso: vivere dimenticandosi di dover morire. L’attore di una vita anonima, consapevole della finitezza della propria esistenza, per sopravvivere a se stesso non può contare sulla scia lasciata dal suo passaggio. Non potendosi permettere di affidarsi a quelli della quotidianità, deve trovare altri segni da tramandare ai posteri. Non pensare che l’inseguire ciò rappresenti un’innaturale esasperazione del desiderio di esistere. La Natura vuole che si pensi a vivere ed è l’istinto di sopravvivenza che ci spinge a questo, se solo ci rendiamo consapevoli dell’imminente fine della nostra esistenza.

    [1] Isaac Asimov, Io, Robot, R. Rambelli. Bombiani, Milano, 1984.

    [2] b Omero, Iliade (Libro IX, versi 404-409).

    La nascita di un libro

    Avevo appena diciassette anni quando mio nonno Eugenio ci lasciò. Era sempre vissuto in famiglia: era della famiglia. Qualche volta raccontava a noi nipotini della sua esperienza nella Grande Guerra, ma, presi dai nostri giochi, lo ascoltavamo con distratto interesse. Quando se ne andò, portò con sé tutti quei ricordi, mai compiutamente svelati.

    Crescendo, poi, più volte ho rimpianto le occasioni perdute per conoscerlo meglio e di lui mi sono chiesto chi fosse stato.

    Leggendo dal mio albero genealogico, appeso alla parete, i nomi di coloro dai quali mi discende la vita, vengo preso da un muto sgomento. Sentire che sono geneticamente legato a loro da una forte intimità e riconoscerli perfetti sconosciuti provoca in me una profonda angoscia. Di ognuno mi sforzo di immaginare il volto, una vita, dei sentimenti; ma dal buio che li avvolge, mi giunge solo il suono vuoto del loro nome. Uomini qualunque, figli di padri e padri di figli altrettanto qualunque. Nessuno di loro ha lasciato segni che siano andati oltre al ricordo di chi li ha conosciuti. Passioni, gioie e tormenti, dolori e affetti, bruciati per sempre nella memoria di poche generazioni. Niente adesso rimane, neppure la cenere! Ho pensato a me, come loro uomo qualunque destinato all’oblio, e ho provato paura. Domani il nipote di un mio nipote leggerà il mio nome su quella stessa lista e non riuscirà a vedere in me nulla di più di un estraneo.

    Ecco come nasce un libro! Nessun gesto importante da raccontare, non verità da consegnare, né idee da svelare. Solo il tentativo di sfuggire all’oblio che inevitabilmente mi travolgerà. Desiderio di lasciare,

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