Angustie di un pesce volante
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Il più patetico tra gli animali, l’Uomo-pesce volante, in questo salto di un secondo di coscienza transitoria colleziona tutto quanto può racimolare, piume di penna al vento, granelli di polvere, foglie che, casualmente, galleggiasse sulla superficie. Si lancia sul pesce che salta al suo fianco, prendendo l’iniziativa. E dopo scompare in mare, creando schizzi che rapidamente si dissolvono. Se, nel micro momento prima che la testa impatti con l’oceano del Nulla, gli domandassimo il colore del meraviglioso cielo che ha appena terminato di percorrere, non conoscerebbe la risposta…Transitorietà è la parola che ben definiva Arthur, perché si sentiva così: un essere che passava da una forma all’altra. Si vedeva come un pesce volante che nacque quando cominciò ad uscire dall’acqua per il suo salto e che, dopo alcuni istanti, sarebbe ricaduto nuovamente nell’incoscienza, allorché tornava a toccare la superficie limpida, tranquilla, indifferente di un mare infinito chiamato Universo. Sapeva che in questo rientro, per quanto si agitasse, avrebbe creato degli schizzi, che si sarebbero dissolti subito dopo. Sapeva di essere tutto e nulla allo stesso tempo, giacché era fatto di Arthur, di pietre, d’alberi, d’acqua e di tutto il resto di cui era composto il Tutto, pezzi intercambiabili che costruivano il caso. E il caso dotò Arthur di una qualità dubbiosa, quella di far uso di una coscienza transitoria, di vedersi e sentirsi, di osservare, in questo salto millimetrico ed effimero. Era un povero essere umano, il più inutile delle creature in una realtà ugualmente inutile.
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Anteprima del libro
Angustie di un pesce volante - pedro marangoni
ANGUSTIE DI UN PESCE VOLANTE
p.a.marangoni
Il più patetico tra gli animali, l’Uomo-pesce volante, in questo salto di un secondo di coscienza transitoria colleziona tutto quanto può racimolare, piume di penna al vento, granelli di polvere, foglie che, casualmente, galleggiasse sulla superficie. Si lancia sul pesce che salta al suo fianco, prendendo l’iniziativa. E dopo scompare in mare, creando schizzi che rapidamente si dissolvono. Se, nel micro momento prima che la testa impatti con l’oceano del Nulla, gli domandassimo il colore del meraviglioso cielo che ha appena terminato di percorrere, non conoscerebbe la risposta...
Transitorietà è la parola che ben definiva Arthur, perché si sentiva così: un essere che passava da una forma all’altra. Si vedeva come un pesce volante che nacque quando cominciò ad uscire dall’acqua per il suo salto e che, dopo alcuni istanti, sarebbe ricaduto nuovamente nell’incoscienza, allorché tornava a toccare la superficie limpida, tranquilla, indifferente di un mare infinito chiamato Universo. Sapeva che in questo rientro, per quanto si agitasse, avrebbe creato degli schizzi, che si sarebbero dissolti subito dopo. Sapeva di essere tutto e nulla allo stesso tempo, giacché era fatto di Arthur, di pietre, d’alberi, d’acqua e di tutto il resto di cui era composto il Tutto, pezzi intercambiabili che costruivano il caso. E il caso dotò Arthur di una qualità dubbiosa, quella di far uso di una coscienza transitoria, di vedersi e sentirsi, di osservare, in questo salto millimetrico ed effimero. Era un povero essere umano, il più inutile delle creature in una realtà ugualmente inutile.
Più di tutto utilizzava la capacità di scrutare, nelle sue lunghe camminate senza meta. Oramai si era scoperto: era un pesce volante. Si vedeva anche riflesso nelle vetrine, come un agglomerato che cammina, formato da scarpe, pantaloni e camicia; cercava di sentirsi e, molte volte, di proposito, non evitava i viandanti che venivano in senso opposto, per assicurarsi che egli esistesse e che fosse visto. Il risultato aumentava i suoi dubbi, poiché terminava sempre in collisioni, come se fosse invisibile ai più. Sarebbe esistito solamente durante gli incontri? O il viandante avrebbe fatto parte di altri mondi e non lo avrebbe visto? Di tutti i dubbi, come provocazione del cervello inopportuno, appeso all’agglomerato di pantalone e camicia, quello più importante è se egli sia uguale agli altri esseri, presumibilmente umani. Si comportavano come esseri immortali, ma non come la specie del pesce volante momentaneo che erano, ma come una specie del delfino o della balena che balza e respira, la cui reimmersione in mare non sembra, però, essere definitiva, avendo la pretesa di poter apparire di nuovo e di nuovo ancora. Forse per questo racimolavano tutto quello che potevano, si scontravano, cercavano di superarsi l’un l’altro, durante una piccola apparizione nell’Universo indifferente. Arthur aveva sinora solamente una certezza: di coloro che si sono immersi nel corso della sua vita, nessuno tornò in superficie...Avrebbero saputo che erano pesci volanti, che esistevano solamente durante il salto, o non erano di fatto come Arthur, che qualora gli fosse stato chiesto, conosceva il colore del cielo, il profumo dei fiori, il procedere delle formiche. Poiché egli era un osservatore di tutto quello che poteva essere visto, di tutto ciò che si trovava al suo fianco e che il premio - o il castigo - della coscienza transitoria avrebbe permesso di vedere e sentire. Non cercava di cambiare nulla, sia per la sua inutilità, sia per la perdita di tempo, già così scarso. Avrebbe provato solamente a guardare da tutte le parti in cui poteva farlo, bramoso di conoscere, ma senza il desiderio di alterare la realtà. Un passeggero non deve aspirare a cambiare il colore, o la prestazione della nave in cui viaggia. Perché sapeva di essere solamente un altro passante tra i molti, che avrebbe