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Camelia
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E-book301 pagine4 ore

Camelia

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“Dove il nuovo muore e il vecchio rinasce, lì ci rivedremo” è la frase incisa sul carillon lasciato nelle mani di una bambina alle porte di un orfanotrofio. Così Camelia si affaccia alla vita, con il peso di un’appartenenza ignota e di sensazioni surreali che con il passare degli anni alimentano il suo bisogno di scoprire cos’è ciò che le manca e che sente di dover conoscere. Scoprirà gli intrecci che compongono la tela di una storia che va ben oltre la sua e che lei possiede solo in minima parte, capirà che la ricerca di se stessi porta a scontrarsi con verità spesso difficili da affrontare e la sua brama di conoscenza la condurrà a scoprire qual è il suo posto nel mondo.

Simona Varallo, 1995, vive a Milano. Ha scelto fin da piccola che avrebbe studiato arte e si sarebbe specializzata nel mondo della moda, poi, dopo il suo percorso universitario e all’inizio di quello professionale, realizza che è la scrittura, più di tutto, ad assecondare la sua sensibilità e la sua personalità curiosa e malinconica. Scrive da sempre per dar sfogo alla sua mente senza far leggere mai a nessuno e, dopo qualche anno, trova il coraggio di provare a rendere più concreta anche questa grande passione. Oggi sogna di poter parlare alle persone attraverso le sue pagine, per condividere con il mondo storie, reali e immaginarie, che possano connetterci agli altri e farci sentire tutti meno soli e più compresi. La scrittura non ha soltanto il potere di insegnare ma anche di farci entrare in contatto con le parti più nascoste di noi stessi, di farci riflettere, viaggiare e migliorare la nostra vita cominciando dall’interno.
LinguaItaliano
Data di uscita31 lug 2021
ISBN9788830647374
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    Camelia - Simona Varallo

    LQvarallo.jpg

    Simona Varallo

    Camelia

    © 2021 Gruppo Albatros Il Filo S.r.l., Roma

    www.gruppoalbatros.com - info@gruppoalbatros.com

    ISBN 978-88-306-4182-2

    I edizione luglio 2021

    Finito di stampare nel mese di luglio 2021

    presso Rotomail Italia S.p.A. - Vignate (MI)

    Distribuzione per le librerie Messaggerie Libri Spa

    Camelia

    A chi è alla ricerca, che possa fermarsi,

    perché ciò che ci attende e che ora si cela

    agli occhi, troverà il modo di arrivare a noi.

    Sempre.

    Prefazione di Barbara Alberti

    Il prof. Robin Ian Dunbar, antropologo inglese, si è scomodato a fare una ricerca su quanti amici possa davvero contare un essere umano. Il numero è risultato molto molto limitato. Ma il professore ha dimenticato i libri, limitati solo dalla durata della vita umana.

    È lui l’unico amante, il libro. L’unico confidente che non tradisce, né abbandona. Mi disse un amico, lettore instancabile: Avrò tutte le vite che riuscirò a leggere. Sarò tutti i personaggi che vorrò essere.

    Il libro offre due beni contrastanti, che in esso si fondono: ci trovi te stesso e insieme una tregua dall’identità. Meglio di tutti l’ha detto Emily Dickinson nei suoi versi più famosi

    Non esiste un vascello come un libro

    per portarci in terre lontane

    né corsieri come una pagina

    di poesia che s’impenna.

    Questa traversata la può fare anche un povero,

    tanto è frugale il carro dell’anima

    (Trad. Ginevra Bompiani).

    A volte, in preda a sentimenti non condivisi ti chiedi se sei pazzo, trovi futili e colpevoli le tue visioni che non assurgono alla dignità di fatto, e non osi confessarle a nessuno, tanto ti sembrano assurde.

    Ma un giorno puoi ritrovarle in un romanzo. Qualcun altro si è confessato per te, magari in un tempo lontano. Solo, a tu per tu con la pagina, hai il diritto di essere totale. Il libro è il più soave grimaldello per entrare nella realtà. È la traduzione di un sogno.

    Ai miei tempi, da adolescenti eravamo costretti a leggere di nascosto, per la maggior parte i libri di casa erano severamente vietati ai ragazzi. Shakespeare per primo, perfino Fogazzaro era sospetto, Ovidio poi da punizione corporale. Erano permessi solo Collodi, Lo Struwwelpeter, il London canino e le vite dei santi.

    Una vigilia di Natale mio cugino fu beccato in soffitta, rintanato a leggere in segreto il più proibito fra i proibiti, L’amante di lady Chatterly. Con ignominia fu escluso dai regali e dal cenone. Lo incontrai in corridoio per nulla mortificato, anzi tutto spavaldo, e un po’ più grosso del solito. Aprì la giacca, dentro aveva nascosto i 4 volumi di Guerra e pace, e mi disse: Che me ne frega, a me del cenone. Io, quest’anno, faccio il Natale dai Rostov.

    Sono amici pazienti, i libri, ci aspettano in piedi, di schiena negli scaffali tutta la vita, sono capaci di aspettare all’infinito che tu li prenda in mano. Ognuno di noi ama i suoi scrittori come parenti, ma anche alcuni traduttori, o autori di prefazioni che ci iniziano al mistero di un’altra lingua, di un altro mondo.

    Certe voci ci definiscono quanto quelle con cui parliamo ogni giorno, se non di più. E non ci bastano mai. Quando se ne aggiungono altre è un dono inatteso da non lasciarsi sfuggire.

    Questo è l’animo col quale Albatros ci offre la sua collana Nuove voci, una selezione di nuovi autori italiani, punto di riferimento per il lettore navigante, un braccio legato all’albero maestro per via delle sirene, l’altro sopra gli occhi a godersi la vastità dell’orizzonte. L’editore, che è l’artefice del viaggio, vi propone la collana di scrittori emergenti più premiata dell’editoria italiana. E se non credete ai premi potete credere ai lettori, grazie ai quali la collana è fra le più vendute. Nel mare delle parole scritte per esser lette, ci incontreremo di nuovo con altri ricordi, altre rotte. Altre voci, altre stanze.

    Introduzione

    C’era una terra vasta e ricca di vita che si estendeva sulla superficie di quello che ancora oggi è il pianeta Terra. Era preziosa e abitata da creature straordinarie, animali dalle forme e i colori più disparati, vegetazione a perdita d’occhio e un’attenta suddivisione di ecosistemi per accogliere la vita in ogni sua condizione. Tutto era creato per combaciare alla perfezione in questo enorme meccanismo, tutto si evolveva, finiva e tornava in vita. C’era una specie abitante che si era evoluta più delle altre: l’uomo. Questi esemplari di uomo erano i nostri antenati, così forti, curiosi e rispettosi della vita, ogni giorno contribuivano al suo naturale ciclo preservando quanto più potevano la meraviglia in cui erano nati. Ogni essere vivente era prezioso per la Natura, ma gli uomini avevano un posto speciale nel suo cuore, così offrì loro dei doni: straordinarie capacità per elevarsi al di sopra di tutti con l’unico scopo di osservare, agire e preservare la vita sul pianeta rispettandola, perché ogni cosa è mutabile, tutto si trasforma e anche l’evoluzione ha bisogno di un piccolo aiuto. La Natura insegna che ogni passo in avanti è un passo indietro sulla linea del tempo pertanto ogni decisione necessita di un’altra contraria, nel bene e nel male, questo è sempre stato chiaro a chi abitava quelle terre, eppure con il passare degli anni qualcuno si dimostrò disposto a sacrificare molto più del necessario in nome di ideologie che diventavano sempre più brutali. Alcuni uomini utilizzarono il loro potere per soddisfare desideri costantemente influenzati da ignoranza, cecità e distruzione che utilizzate insieme divennero le armi più pericolose al mondo. Si sarebbero presto ribellati gli uni contro gli altri, avrebbero creato gruppi con il solo scopo di sconfiggere chiunque si fosse messo sulla loro strada verso il potere: era questo che volevano adesso, più potere, tanto da avere la presunzione di poter sottomettere a Natura stessa.

    Una volta, miliardi di anni fa, un gruppo di uomini mise a repentaglio un sistema perfetto ponendo le basi per quella che è oggi la Terra come la conosciamo noi: la Natura ferita e delusa smosse il terreno, le sue vibrazioni crearono squarci dalla superfice fino nelle profondità degli oceani che spaccarono la terra in tanti pezzi, distruggendo e modificando tutti gli ecosistemi, sconvolgendo ogni vita in tutto il globo e quella che un tempo era una terra unita si disperse per sempre. La Natura amava i suoi figli, amava le tradizioni che avevano cominciato a creare in ogni luogo, ogni diversità diventava fonte di ricchezza. L’insegnamento che da sempre quei popoli hanno il compito di trasmettere è di istruire gli uomini del futuro a rispettare la vita, ad apprezzare ciò che ci circonda e sfruttarlo al meglio nella propria esistenza senza affrettare il corso del Tempo, senza sfidarlo né ostacolarlo; senza perdere la Ragione e il Sentimento nelle loro forme più pure e senza smettere di osservare non solo con gli occhi ma con il cuore.

    Tra gli uomini di oggi ancora si celano rari esemplari di quelle discendenze che vivono in mezzo alla gente seppur nascosti agli occhi di tutti, che agiscono per tramandare questo insegnamento e per preservarlo nel tempo.

    I. Camelia

    C’è una sorta di sensazione quasi magica tra il finire dell’inverno e l’inizio della primavera, nell’aria si percepisce un senso di risveglio e allo stesso tempo di abbandono. Tra la malinconia di alcuni e la gioia di altri, c’è un piccolo vuoto che da sempre inghiotte gli animi più sensibili e dispersi; questo vuoto Camelia lo conosceva bene, ci aveva trovato una dimora stabile che, con il passare del tempo, somigliava sempre di più a una prigione. Le giornate per lei erano predominate da dubbi esistenziali e le notti da domande asfissianti, così fin da quando ne aveva memoria, senza riuscire a spiegarsi il perché di tali frequenti sbalzi d’umore e cali di autostima in quel periodo di cambiamento e rivoluzione. Lo sapevano bene le persone che la conoscevano, i colleghi della biblioteca, i compagni di università, erano pochi da poter contare sulle dita delle mani così come piaceva a lei, per qualche motivo non amava la gente in generale e, a volte, aveva la sensazione di essere lei a non piacere agli altri. La biblioteca del Museo Centrale non era esattamente il posto più ambito in cui lavorare, non per una venticinquenne almeno, ma amava tutti quei posticini dimenticati e così poco apprezzati in cui poter stare lontana dai continui flussi intrecciati di tutte quelle anime che vivono freneticamente la città e l’intero pianeta. E così, pochi mesi prima, aveva chiesto di lavorare tra gli scaffali interminabili di libri antichi, mappe e artefatti storici per pura passione verso la ricerca e per soddisfare la sua instancabile curiosità. A dispetto di tanti hobby diffusi tra i giovani, per lei l’importante era sfamare la mente e cercare di rispondere a tutte quelle domande che giorno dopo giorno la circondavano.

    Erano giorni frenetici al museo in quel periodo, erano tutti indaffarati e piuttosto eccitati, cambiavano molte installazioni con l’arrivo della primavera e tutta la città era in fermento per l’apertura di una mostra di oggetti rari e antichissimi ritrovati dagli ultimi scavi a qualche centinaio di chilometri. La direttrice della biblioteca, la signora Olga, era una donna autoritaria di quelle che pensano di dover camminare su petali di rose ovunque soltanto per la quantità di zeri presenti sui suoi conti in banca.

    «Quelli portateli da questa parte, signori.

    Ah, Camelia! Domani è il suo giorno libero, non si dimentichi di chiudere bene gli archivi questa volta».

    «Sì, signora».

    «Ha visto Pia?».

    «Sarà nel cortile interno».

    «Sia gentile, la vada a cercare, ho bisogno di parlarle».

    «Vado».

    Una delle cose più belle del museo era il cortile interno, un luogo magico situato al centro della struttura e circondato dai corridoi che portavano a ogni sezione dell’edificio, tutta la storia dell’umanità la potevi sentire da lì, bastava solo scegliere una porta ed esplorare un momento diverso della storia del mondo.

    Pia lavorava lì anche lei, da molti anni, una signora dolce che un tempo selezionava il personale di tutto il museo; aveva un amore quasi materno per i fiori tanto che le avevano permesso di coltivare alcuni boccioli in quel cortile. Qualcuno diceva che raccontava storie bizzarre sulle anime dei fiori e che lei aveva il compito di custodirle ed educarle, ma per Camelia probabilmente era solo molto appassionata di botanica. La verità era che poche persone vivevano la vita come la signora Pia, gentile e apparentemente sempre un passo indietro ma costantemente davanti a tutti quanti, una vedova di guerra che non si era mai lasciata abbattere da niente e aveva sempre affrontato le sue giornate con una genuinità e una bontà straordinaria. Raccontava persino di avere un superpotere, lei si diceva capace di distinguere le anime buone tra le persone, anche se sembravano più le fantasie deliranti di una vecchia signora; per questo era poco considerata tra lo staff eppure Camelia le era molto affezionata, amava sentire le sue storie e Pia d’altro canto amava raccontargliele.

    «Signora Pia! Sapevo di trovarla qui».

    «Sono diventata così prevedibile?».

    «La direttrice, la sta...».

    «Oh sì, la direttrice. Quella donna dovrebbe proprio trovarsi un uomo, non tutti sono in grado di completarsi anche da soli, sai. E lei non sa farlo di certo».

    «Amen, signora. Cosa sta facendo?».

    «Aspetto che sboccino le mie bambine. Temo sia arrivato il tempo per loro di cominciare il cammino».

    «Il cammino? Devono soltanto fiorire».

    «Sì, fiorire. Non è forse un cammino arduo il fiorire? Ogni giorno per queste piccole anime è una sfida, con se stesse e il mondo intero».

    «Come per tutti del resto. Che fiori sono?».

    «Camelie, mia cara. Camelie bianche. Come te».

    «Giusto, in effetti potrei prendermi una bella vacanza e magari abbronzarmi un po’».

    «Ma no. Le camelie bianche sono originarie di una terra lontana, sono state portate qui e hanno attraversato tutto il mondo per finire nel giardino di una povera vecchia. La sfida sta nel saperle preservare fino alla fioritura, dopodiché dovranno lottare per mantenere la loro bellezza e conquistare il loro posto nel mondo».

    «Non somigliano molto a me».

    «Ah no?».

    «Amo le sue storie, signora Pia, ma io non sono di certo venuta da lontano né sono così preziosa come queste sue camelie».

    «E da dove sei venuta, dunque?».

    Ci fu una pausa, un breve momento in cui si poteva sentire nell’aria sprigionarsi un leggero malessere, come quello di chi viaggia senza meta e senza casa. Poi la signora Pia continuò.

    «La nostra anima ci dice cosa siamo, Lia, dovremmo ascoltarla specialmente nelle notti più oscure, è in quella oscurità che si cela la luce».

    Camelia abbozzò un sorriso.

    «Buona serata, signora Pia, magari domani vengo a vedere la mostra così le faccio compagnia. Non dimentichi di passare dalla direttrice».

    E andò via, lasciando quelle ultime frasi appese a svolazzare nel cortile.

    «Oh, fiore delicato, credo proprio che sia cominciato il tuo cammino».

    Nessuno si faceva più tante domande su ciò che diceva la signora Pia e con il tempo anche Camelia aveva imparato a non farlo, eppure quel pomeriggio mentre tornava a casa le sue parole continuava a sentirle nella testa. Sarà perché proprio in quei giorni e in quelle notti faceva fatica a dormire o a concentrarsi per fare qualsiasi altra cosa; era vittima di quel vuoto solito in questo periodo, era sempre stato così e ogni anno diventava sempre più insopportabile ormai. C’era una voce in particolare che continuava a sentire da sempre, era come una compagna che la aiutava a prendere le decisioni o cercava di definire quelle che aveva già preso, altre volte le raccontava delle storie strambe, come se fossero uscite dalla bocca della signora Pia, e parlava continuamente sia di giorno che di notte. Camelia ormai aveva imparato a gestirla, al massimo pensava si trattasse di una forma leggera di schizofrenia, forse congenita, del resto non aveva mai conosciuto la sua famiglia, magari poteva essere davvero qualcosa di genetico. La sua unica famiglia erano le sue idee e la sua migliore amica, neanche le brave persone con cui era cresciuta all’orfanotrofio e talvolta quella voce nella testa le faceva persino da madre o da sorella. Si era sempre trovata dei rifugi in cui avere qualcosa di suo, proprio come la biblioteca in cui aveva organizzato ogni minimo dettaglio a suo piacimento, e non era stato affatto facile chiedere il permesso alla direttrice, o come casa sua, un appartamento in affitto modesto e ricco di oggetti antichi e di seconda mano. Dai mobili alle poltrone, tutti presi in diversi mercatini dell’usato, i quadri, i vasi, gli oggetti di uso quotidiano, ogni cosa in quella casa profumava di seconda opportunità e tutto era armonicamente disposto come se gli oggetti stessi volessero contribuire alla bellezza delle stanze come ringraziamento per la seconda vita offerta loro. Era ormai diventato il Suo posto eppure c’era un unico oggetto a essere davvero suo: un antico carillon.

    Era stato portato con lei davanti la porta di quel vecchio orfanotrofio venticinque anni fa e da allora aveva rappresentato sempre la sua piccola casa tascabile. Ancora oggi nei momenti di bisogno lo faceva suonare, la melodia riusciva a placare ogni dolore o insicurezza e al suo interno su un piccolo foglio c’era una poesia:

    C’è una valle in cui

    il tempo sembra dormir,

    cullato da una voce che

    se fai attenzione puoi sentir.

    È il canto di tutti

    oppure quello del solo,

    risponde a ciò che chiedi

    prima di prendere il volo.

    E lì sospesa nel vuoto

    con la sua mano conduce,

    sostiene il passante curioso

    che ha smarrito la sua luce.

    Sa leggere dentro al cuore

    il buio sa far sparire,

    ma attento viaggiatore

    quel dono ti potrà ferire.

    Non ne aveva mai compreso il significato, ma ogni volta che la leggeva sembrava che tutto andasse al posto giusto. Eppure quella valle in cui il tempo si ferma e una voce poteva darti le risposte che cercavi l’aveva sempre incuriosita, chissà magari esisteva davvero un luogo così, o forse erano solo parole uscite dalla fantasia di qualche scrittore; comunque sia era il suo pezzetto di paradiso e a incuriosirla ancora di più era una particolare incisione sul fondo:

    "Dove il nuovo muore e il vecchio rinasce, lì ci rivedremo".

    «Ma tu chi sei?».

    Era la domanda più frequente che si poneva, alla quale non aveva ancora dato una risposta. Negli anni aveva fatto numerose ricerche sull’origine di quell’oggetto così misterioso, ma sempre senza successo, non riusciva a identificarne la provenienza, la corrente artistica, un dettaglio di manifattura. Sembrava che fosse spuntato dal nulla proprio come lei, che come lei adesso avesse la necessità di costruirsi una storia e Camelia intanto non smetteva mai di cercare. Anche quella sera si era addormentata con la sua dolce melodia, sperando quantomeno di trovare sollievo.

    II. Apparenza

    Al sorgere del sole la mattina seguente aveva già gli occhi spalancati, aveva assistito all’alba dopo l’ennesima notte turbolenta e ripensava ancora alle parole della signora Pia, c’era sempre qualcosa di molto malinconico in quello che diceva. Intanto la giornata doveva proseguire, più tardi sarebbe andata al museo per vedere la mostra, ma prima aveva un corso mattutino in università. La sede non era molto distante e a Camelia era sempre piaciuto camminare, anche perché fare sport era fuori discussione; ormai conosceva tutte le stradine interne per evitare il casino dei negozi e del traffico mattutino e in pochi minuti era arrivata. L’università era circondata da un enorme parco con panchine, chioschi e alberi imponenti con le loro radici centenarie così grandi ed esposte da potercisi sedere e, proprio sotto uno di quei signori, stava aspettando la sua migliore amica, Beatrice. Si erano iscritte a quei corsi in università fuori dalle tradizionali tempistiche, entrambe leggermente in ritardo e, dal primo anno di studi, Camelia e Beatrice erano inseparabili, condividevano le stesse follie e quando erano insieme era come vedere il giorno e la notte, due facce della stessa medaglia, se ne andavano in giro o urlando come matte oppure senza emettere un fiato. Era una delle pochissime persone che Camelia amava proprio per tutte le piccole diversità che avevano, a volte simili e altre volte tanto distanti. Dopo il terzo anno, Beatrice aveva deciso di cambiare corso e dedicarsi alle Lettere Moderne mentre Camelia proseguiva nello studio delle Lettere Classiche, erano sempre sugli stessi binari ma costantemente l’una parallela all’altra.

    «Ma che belle occhiaie abbiamo stamattina».

    «Quanto rompi la mattina».

    «Tieni, ho un correttore fenomenale per quelle lì».

    «No grazie, l’ultima volta ho praticamente pianto dal bruciore».

    «Ma smettila, questo è diverso, provalo altrimenti farai allontanare tutti».

    «Beh, non che la cosa mi dispiaccia lo sai».

    «In vista in un esame di gruppo dovrebbe, invece. Ahh ma cosa te lo dico a fare, sei irrecuperabile ormai».

    Mentre percorrevano un lungo e ampio corridoio per arrivare alle diverse sale dell’edificio, la solita voce alla radio annunciava le attività che si sarebbero svolte nel pomeriggio. Ai lati i muri erano ricoperti di bacheche piene di fogli colorati e studenti che ogni giorno si impegnavano nel riempirne ogni angolo possibile.

    «Ci vediamo più tardi?».

    «Oggi non posso, Bea, vado alla mostra».

    «Nel tuo giorno libero potresti evitare di chiuderti lì, però. Va bene, se vuoi raggiungermi al pub il mio turno comincia alle 19:30».

    «Magari sì, ci vediamo stasera».

    «Perfetto, ciao fiorellino».

    «Ti odio dal profondo del cuore, lo sai?».

    «Lo so, e io ti odio di più».

    Era un nomignolo che odiava davvero tanto, da quando dei bulli all’orfanotrofio l’avevano ricoperta di terra urlandole che per colpa del suo nome doveva essere interrata come un fiore, ma in fondo a Beatrice era concesso tutto, era l’unica persona a potersi permettere tali privilegi. Spesso le chiedeva addirittura di dormire insieme perché alcune notti erano troppo insopportabili, era lei il suo contatto per le emergenze e, quando spariva per un paio di giorni, era sempre lei a coprirla e aiutarla con chiunque facesse troppe domande. Quelle volte in cui spariva aveva bisogno di chiudersi in casa o di partire senza lasciare traccia tipo viaggi spirituali, e Beatrice come una sorella premurosa la aiutava come poteva. Lei ce l’aveva una madre, ma non si parlavano molto, era una donna severa e molto chiusa, aveva già organizzato la vita della figlia prima ancora che nascesse senza considerare che quando cerchi di tenere un uccellino troppo in gabbia prima o poi la sua natura esce fuori e sente il bisogno di volare via. Il padre era morto quando era piccola e la mamma sembrava calpestare la sua memoria tutte le volte che poteva, per tutto questo e tanti altri motivi da molti anni le loro comunicazioni erano limitate agli auguri di Natale e del compleanno.

    Camelia e Beatrice appena si erano conosciute nel parco dell’università avevano deciso di farsi compagnia in questa vita mentre si impegnavano a scriversela da sole, mano nella mano contro il mondo.

    Camelia si era già seduta al suo solito posto in aula, terza fila vicino la finestra, pronta per la lezione di archeologia. In quei giorni anche i professori erano entusiasti per l’imminente mostra al museo su quegli oggetti antichissimi appena ritrovati, i catalogatori non avevano neanche fatto in tempo ad archiviarli tutti, c’era stata una richiesta maniacale da parte di curiosi e storici dell’arte. Nessuno aveva idea di cosa aspettarsi, ma si vociferava che fossero risalenti a molti secoli prima, quasi agli albori delle prime civiltà esistenti sulla Terra, questo aveva generato numerose teorie tra gli appassionati e, a tal proposito, il professore di archeologia, il dottor Pietro Corelli, stava assegnando un lavoro di gruppo da presentare al prossimo

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