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L’omicidio perfetto
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E-book209 pagine3 ore

L’omicidio perfetto

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Info su questo ebook

Nessun elemento significativo porta a pensare che Jack Apricot sia una persona che si contraddistingue dalle altre: fa un lavoro come tantissimi altri ce ne sono su questo pianeta, vive in una metropoli come molti di noi, abita in una casa da solo e non ha avuto la fortuna di conoscere i suoi genitori. Più curioso è il fatto che egli rifugga le amicizie e cerchi sempre di evitare le sofferenze non necessarie, caratteristica questa che gli permette sorprendentemente di analizzare in maniera quasi sociologica la vita delle persone e trovare un’altra angolazione nelle cose della quotidianità. La sua vera bizzarria si manifesta un giorno all’apparenza come tanti nel quale, solleticato da un pensiero che gli frulla nella mente in maniera quasi goliardica, decide di provare a compiere un omicidio perfetto del quale non lasciare traccia…
LinguaItaliano
Data di uscita15 ago 2023
ISBN9788830688377
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    Anteprima del libro

    L’omicidio perfetto - Jack Apricot

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    Jack Apricot

    L’omicidio perfetto

    © 2023 Gruppo Albatros Il Filo S.r.l., Roma

    www.gruppoalbatros.com - info@gruppoalbatros.com

    ISBN 978-88-306-8396-9

    I edizione settembre 2023

    Finito di stampare nel mese di settembre 2023

    presso Rotomail Italia S.p.A. - Vignate (MI)

    Distribuzione per le librerie Messaggerie Libri Spa

    L’omicidio perfetto

    Nuove Voci

    Prefazione di Barbara Alberti

    Il prof. Robin Ian Dunbar, antropologo inglese, si è scomodato a fare una ricerca su quanti amici possa davvero contare un essere umano. Il numero è risultato molto molto limitato. Ma il professore ha dimenticato i libri, limitati solo dalla durata della vita umana.

    È lui l’unico amante, il libro. L’unico confidente che non tradisce, né abbandona. Mi disse un amico, lettore instancabile: Avrò tutte le vite che riuscirò a leggere. Sarò tutti i personaggi che vorrò essere.

    Il libro offre due beni contrastanti, che in esso si fondono: ci trovi te stesso e insieme una tregua dall’identità. Meglio di tutti l’ha detto Emily Dickinson nei suoi versi più famosi

    Non esiste un vascello come un libro

    per portarci in terre lontane

    né corsieri come una pagina

    di poesia che s’impenna.

    Questa traversata la può fare anche un povero,

    tanto è frugale il carro dell’anima

    (Trad. Ginevra Bompiani).

    A volte, in preda a sentimenti non condivisi ti chiedi se sei pazzo, trovi futili e colpevoli le tue visioni che non assurgono alla dignità di fatto, e non osi confessarle a nessuno, tanto ti sembrano assurde.

    Ma un giorno puoi ritrovarle in un romanzo. Qualcun altro si è confessato per te, magari in un tempo lontano. Solo, a tu per tu con la pagina, hai il diritto di essere totale. Il libro è il più soave grimaldello per entrare nella realtà. È la traduzione di un sogno.

    Ai miei tempi, da adolescenti eravamo costretti a leggere di nascosto, per la maggior parte i libri di casa erano severamente vietati ai ragazzi. Shakespeare per primo, perfino Fogazzaro era sospetto, Ovidio poi da punizione corporale. Erano permessi solo Collodi, Lo Struwwelpeter, il London canino e le vite dei santi.

    Una vigilia di Natale mio cugino fu beccato in soffitta, rintanato a leggere in segreto il più proibito fra i proibiti, L’amante di lady Chatterley. Con ignominia fu escluso dai regali e dal cenone. Lo incontrai in corridoio per nulla mortificato, anzi tutto spavaldo, e un po’ più grosso del solito. Aprì la giacca, dentro aveva nascosto i 4 volumi di Guerra e pace, e mi disse: Che me ne frega, a me del cenone. Io, quest’anno, faccio il Natale dai Rostov.

    Sono amici pazienti, i libri, ci aspettano in piedi, di schiena negli scaffali tutta la vita, sono capaci di aspettare all’infinito che tu li prenda in mano. Ognuno di noi ama i suoi scrittori come parenti, ma anche alcuni traduttori, o autori di prefazioni che ci iniziano al mistero di un’altra lingua, di un altro mondo.

    Certe voci ci definiscono quanto quelle con cui parliamo ogni giorno, se non di più. E non ci bastano mai. Quando se ne aggiungono altre è un dono inatteso da non lasciarsi sfuggire.

    Questo è l’animo col quale Albatros ci offre la sua collana Nuove voci, una selezione di nuovi autori italiani, punto di riferimento per il lettore navigante, un braccio legato all’albero maestro per via delle sirene, l’altro sopra gli occhi a godersi la vastità dell’orizzonte. L’editore, che è l’artefice del viaggio, vi propone la collana di scrittori emergenti più premiata dell’editoria italiana. E se non credete ai premi potete credere ai lettori, grazie ai quali la collana è fra le più vendute. Nel mare delle parole scritte per esser lette, ci incontreremo di nuovo con altri ricordi, altre rotte. Altre voci, altre stanze.

    Capitolo 1 - Mi presento

    Mi chiamo Jack Apricot e sono uno come tanti. La verità è che non comprendo il significato del mio essere, l’insieme di molecole che mi compone e allo stesso tempo costituisce le altre forme di vita e l’universo stesso.

    Faccio un lavoro come ce ne sono altri milioni su questo pianeta. Una sedia, una scrivania, delle penne di vario colore e aspetto, un computer con annessi vari strumenti comunicativi, un capo e dei sottoposti. Volete dirmi che fate un lavoro differente? Certo c’è chi lavora in campagna a stretto contatto con natura e animali o chi si occupa di consegne e vive in automezzi tutta la vita o chi ancora riesce a viaggiare per lavoro, ma di questi tempi per noi normali formiche laboriose in cerca di rispettabilità, un lavoro da reclusi tra tre o quattro mura prefabbricate è proprio quello che ci meritiamo. Piccoli ingranaggi, talvolta non indispensabili di un mondo che da almeno dieci anni ci è sfuggito di mano. Tutto questo comunicare, parlare e stra-parlare, non fa altro che rinchiuderci nella nostra tana della comunicazione globale. Cento, o meglio duecento anni fa, una lettera portata a cavallo da un uomo con un lungo peregrinare attraverso vallate, fiumi, montagne e pianure creava aspettativa sia nel mittente che nel ricevente, quello era il vero gusto della comunicazione, gustare con avidità ogni singola lettera di ogni parola di ogni singolo rigo; per poi leggere e rileggere per non perdere la memoria del trasporto sentimentale del manoscritto.

    Vivo in una metropoli come molti di voi. La vita è più semplice, c’è tutto, ti sposti velocemente. Il concetto di metropoli lo danno quei treni su rotaia nel sottosuolo. Grande invenzione. Soprattutto poi non rischi di sentirti solo, rinchiuso nella massa fluida di persone che trascinano il proprio corpo verso chissà quale obiettivo. La massa fluida è composta da due macro insiemi: dalle persone abitudinarie, che prendono lo stesso mezzo tutti i santi giorni che dio, o chi per lui, manda su questa terra, giusto per essere corretti e non arrivare in ritardo ed esser puntuali; e poi dai turisti, che frugano le peculiarità della tua metropoli con allegria e curiosità, ci si accorge poi che, in fondo, le facce dei questi esseri umani si assomigliano. Tutti poi salgono in superficie e ritornano pedestri per brevi tratti che li separano dalle loro mete. Fiumane, non marciapiedi, fiumi in piena colmi di detriti organici. Ogni tanto mi fermo su qualche punto, dal quale posso osservare da una modesta altezza questo scorrere vorticoso di teste colorate. Un marciapiede zeppo è proprio un grande spettacolo da un punto un po’ più alto di visuale. Ogni tanto, credo sia capitato anche voi, fissando una persona, mi domando… dove andrà? Qual è il suo stato d’animo? Se si sente sola, se è triste o è felice e soprattutto come mai, per quale misterioso motivo passa accanto a me, quale strana forza ha voluto che i nostri corpi si incontrassero proprio su quella mattonella del marciapiede. Spero che almeno una volta l’abbiate pensato anche voi.

    Vivo in una casa da solo. Come molti di voi. Non ho la fortuna di svegliarmi e trovare pronto qualcosa da mettere sotto i denti, nessuno mi prepara la colazione. Poco male. La casa non è molto grande, essendo l’unico abitante i miei bisogni si racchiudono in pochi metri quadrati. Ciò nonostante possiedo quasi tutto, comprato qui e lì, proprio come avete fatto voi per le vostre abitazioni. Ovviamente vivo in un alveare con altri esseri umani. Piccole celle da dove usciamo ogni giorno per poi tornarci quando si ha intenzione di dormire. Ogni tanto penso che le mie funzioni vitali sono ridotte al minimo: svegliarsi, lavarsi, lavorare, mangiare, riposare, meno male che sono in buona compagnia (non credo di essere l’unico in effetti). Una volta non era così, intendo dire nel mattino della vita quando tutto è un gioco, tutto è una scoperta e alle tue funzioni primarie pensa qualcun altro. Poi cresci e te la devi cavare da solo e arrivi a circa metà della tua vita.

    Non ho avuto la fortuna di conoscere i miei genitori e anche questo non è un club esclusivo per pochi ed eletti membri purtroppo. Quando dicevo che qualcun altro pensa alle tue funzioni vitali nella gioventù, mi riferivo a quella congrega che mi ha fatto crescere, mi ha fatto giocare e dato un’istruzione buona. Credo abbiate intuito molte delle mie solitudini.

    Non ho amici. Forse ho un’idea dell’amicizia un po’ troppo complicata o forse non ho mai trovato quello che cercavo. Mi stanno vicine persone che mi utilizzano e che a mia volta utilizzo per scopi semplici e più complicati. Dai collaboratori d’ufficio ai rivenditori di merci, che conoscono la mia faccia e le mie preferenze, ma non conoscono la mia anima. Le persone frequentate sin dall’infanzia, sfortunate come me, le rivedo una volta all’anno e con i soliti falsi «Rimaniamo in contatto…» oppure «Ci sentiamo per una cena…», poi ritornano alle loro vite dimenticandosi delle vane parole proferite. A volte è capitato che qualcuno di caritatevole mi chiamasse, ma ho rifiutato per non entrare in quel complesso di relazioni ovvie e scontate che è una cena o un drink con un vecchio conoscente. Se per qualche motivo ho un bisogno di relazioni sociali esco e ne trovo come al solito, ma di questo parleremo più avanti.

    La superficialità delle mie relazioni la devo alla paura di non espormi, di non prestare il fianco ad inutili sofferenze come perdere un amico o un amore. Cerco sempre di evitare le sofferenze non necessarie. Il dolore mi spaventa come ad ogni altro essere sensibile, lo fuggiamo in ogni momento, anche se esistono taluni che lo rincorrono a braccia spalancate. Questa critica mi è stata fatta centinaia di migliaia di volte, sia dagli istruttori di cultura sia dai miei datori di lavoro. È più forte di me. Desidero continuare così per giunta.

    Impegnarmi il necessario per garantirmi una agiata e dignitosa sopravvivenza, senza pensare a ciò che sarebbe potuto o che potrebbe succedere… se…? … ma…?

    «Ognuno è fautore del proprio destino». Grande frase. Il libero arbitrio è un gran affare. Anche se nessuno ha mai composto il manuale delle istruzioni e nemmeno brevettato il marchio.

    Grazie alla possibilità di scelta, per l’appunto, mi sono comprato un nuovo divano. Come ogni casa che si rispetti su questa terra un giaciglio di co-primaria funzionalità rispetto al letto è necessario, qui come altrove. È grande e spazioso, da sdraiato avanza ancora spazio sotto i piedi, ha un ottimo assemblaggio di cuscini e tessuto, non lo risparmio dall’usura: meglio godere degli oggetti. Rosso fuoco. Inserito all’interno del mobile un cassettone, che si trova proprio sotto la seduta, quasi al livello del pavimento. Lo trovo utile per riporci tutte quegli oggetti necessari per la pigrizia. Ne sono molto orgoglioso.

    Ordino quasi tutto per corrispondenza e tutto ciò che mi serve arriva a casa imballato pronto per esser montato, assemblato o collegato. Sono come un eremita, con la sottile differenza che possiedo molti agi e comodità che un povero cristo in una grotta non possiede. Esco poco e solo se ne ho bisogno.

    Compiango quelli che non vivono in una metropoli, sia per il fatto che si perdono gran parte dello spettacolo umano comprensivo di tutte le razze ed etnie, sia perché devono muoversi per procacciarsi il cibo, proprio come i raccoglitori dell’età della pietra.

    Ho una dieta molto varia. Non disgusto alcun cibo. Grazie ad un oculato bilancio mensile riesco ad avere del mangiare pronto quasi tutte le sere. Non disdegno nemmeno un buon ristorante. Ovviamente in solitaria. Anche la spesa me la faccio portare. Frutta, verdura, carboidrati come pane, pasta e riso, tutto portato dal solito tizio che prende i soldi, talvolta sorride talvolta meno, poche parole e via di corsa. Un gran vantaggio della vicinanza telematica è il fatto che, tramite la rete, servizio da me adorato, un tizio suona il campanello e ti porta il tuo prezioso desiderio, è ormai alla portata di tutti, basta procurarsi uno di quegli affari grigi da collegare ad un monitor e starsene in panciolle.

    So cucinare molto bene. Mi è stato insegnato in gioventù. Ognuno, una volta tanto, faceva la sua parte e preparava da mangiare agli altri. Altruismo di un tempo. Ora mi godo ricette anche molto complicate da solo. Rigorosamente. Di notevole aiuto sono stati una serie di libri di cucina. Sapienti contenitori di almeno due millenni di saper mangiare. Poca cucina geograficamente specifica, molta cucina internazionale con quell’insieme di sapori che racchiudono l’esistenza stessa del mondo. Questo acquisto, come molti altri all’interno della mia abitazione, derivano da quel famoso portale che comincia per vocale, dal quale si possono acquistare sia una macchina di lusso che delle semplici babbucce di cotone nero (con le quali gironzolo per casa). Grazie a quei libri e ad una buona oretta di lena culinaria, che produce un’insaziabile fame, mi diletto come una brava donna di casa che prepara la cena per la famiglia.

    Che tristezza, non vi sembra?

    Quasi tutti i mobili di casa provengono da quel portale. Il mobile del bagno ad esempio con quel suo tocco esotico, almeno così c’era scritto, la mia libreria colma di libri (più o meno impegnati) e di inutili soprammobili di varie parti di questo pianeta tanto per sembrare che io abbia girato il mondo. Alcuni falsi, altri veri ricordi.

    Nella mia vita ho cambiato il punto cardinale di quest’immensa città. È talmente grande e popolata che per girarla e viverla tutta ci vorrebbero almeno due vite. Da nord a sud. Come un uccello migratore, anche se il clima non è mica cambiato. Talvolta preso dallo sconforto torno al mio luogo d’origine, la matrice della mia sofferenza.

    Inoltre, posseggo quadri di notevole valore, sia estetico che monetario. Una passione come un’altra. Mi aiutano, anche se li conosco a memoria, a trascorrere momenti estatici tra me e me. Ho pure una collezione di francobolli, ma chi non ne possiede una alzi la mano.

    Ah che gran vantaggi porta la civiltà! Tutto arriva nel giro di giorni e riempie i vuoti della mia casa e della mia anima. Non ricordo nemmeno da quanto ho smesso di fare dello shopping, forse da quando questa parola è sulla bocca di tutti. Nauseante. La possibilità di scegliere a distanza senza dover parlare con una commessa o garzone è strabiliante, arrivare subito allo scambio merce-denaro, sempre senza ripensamenti lungo la strada delle casse, nessuna distrazione dovuta ad altre persone che ti calpestano per arrivare a quella dannata maglietta.

    Sì, credo sia per questo. Basta premere e non pensarci più. Le misure del mio corpo le conosco. L’anatomia umana è un ricordo indelebile della scuola, materia nella quale eccellevo e nella quale mi difendo tuttora. La mia struttura la tengo sotto controllo. Da anni ho lo stesso peso che difendo con moto ed esercizi di vario genere.

    Anche in questo caso la sapienza deriva dai libri, acquistati nel modo consueto, con un clic. Prima mi istruisco poi applico. Sono molto rigoroso. Il metodo scientifico è da sempre il mio preferito. Così dopo i libri, chiaramente sono arrivati gli attrezzi. Per gli arti superiori e inferiori del corpo e anche per le zone più dimenticate.

    Non sono un maniaco della forma, che una volta visto crescere il proprio corpo non riesce più a fermarsi e si ingrossa sino a diventare uno squallido omone con tanta carne da sfamare intere famiglie di senzatetto. Faccio lo stretto necessario, giusto per tenermi in forma e mantenere il mio fisico asciutto e della stessa taglia di pantaloni. Provo tanta pena per i montati della palestra e le loro frustrazioni di diventare enormi e così invulnerabili.

    Bisogna aver spirito! È

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