Scopri milioni di eBook, audiolibri e tanto altro ancora con una prova gratuita

Solo $11.99/mese al termine del periodo di prova. Cancella quando vuoi.

Automatismi
Automatismi
Automatismi
E-book351 pagine4 ore

Automatismi

Valutazione: 0 su 5 stelle

()

Leggi anteprima

Info su questo ebook

Erasmo è un single quarantenne, laureato in filosofia e neo-disoccupato. Deciso a lasciare la città, si stabilisce presso una cittadina sul mar Tirreno. Assunto come operaio ad una pompa carburanti, nelle ore di lavoro si esercita in speculazioni socio-economiche con cui incalza gli avventori, sperimentando al contempo formule compositive per un pamphlet. Intanto, alleggerisce le tensioni creando per sé neologismi surreali. L’amore giungerà nella sua vita a ridosso di un insperato riconoscimento editoriale, ma poi colpito da un evento drammatico imprevisto.Economia, ambiente, politica, lavoro; il tema della decrescita, la conoscenza, la riflessione critica: l’attualità dunque, con le incertezze e le necessità quotidiane, inscritta nel perimetro di due vite, di un luogo, di una suggestione ineludibile.
LinguaItaliano
Data di uscita5 gen 2016
ISBN9788863582901
Automatismi

Correlato a Automatismi

Ebook correlati

Articoli correlati

Recensioni su Automatismi

Valutazione: 0 su 5 stelle
0 valutazioni

0 valutazioni0 recensioni

Cosa ne pensi?

Tocca per valutare

La recensione deve contenere almeno 10 parole

    Anteprima del libro

    Automatismi - Francesco Siciliano

    Francesco Siciliano

    AUTOMATISMI

    Phasar Edizioni

    Francesco Siciliano

    Automatismi

    Proprietà letteraria riservata

    © 2015 Francesco Siciliano

    Francesco Siciliano – Google+

    francescosiciliano@me.com

    © 2015 Phasar Edizioni, Firenze

    Prima edizione ebook: 2015 – Phasar Edizioni

    www.phasar.net

    I diritti di riproduzione e traduzione sono riservati.

    Nessuna parte di questo libro può essere usata, riprodotta o diffusa con un mezzo qualsiasi senza autorizzazione scritta dell’autore.

    In copertina: "Ancient paving upside down" di Francesco Siciliano

    ISBN: 978-88-6358-290-1

    "Lo spazio agisce sulla materia,

    dicendole come muoversi;

    la materia reagisce sullo spazio,

    dicendogli come incurvarsi".

    John Archibald Wheeler

    A Large Hadron Collider

    PREFAZIONE

    Da quando ho letto Automatismi le aree di servizio, possibilmente ampie e vicine al mare, mi appaiono dei posti perfetti per un’esistenza appagante. Strano? Non così tanto, se ci pensate bene.

    Incontri costanti, facilità di dialogo ma allo stesso tempo possibilità di restare lontani da un coinvolgimento eccessivo senza alcuno sforzo. Sarà un fatto di predisposizione personale, ma non mi dispiacerebbe affatto.

    In tanti (troppi?) aspetti mi riconosco in Erasmo, il protagonista di Automatismi. A suo modo è un eroe dei nostri tempi… o meglio, dalla massa non verrebbe mai considerato tale, ma visto il tipo di servizio che offre, avrebbe il diritto di esserlo.

    Erasmo ha in mano la verità. Non in senso astratto, metaforico, simbolico. Ma la verità, dico, sulla reale situazione che sta vivendo il globo terracqueo sul quale stiamo arrancando, soccombendo, scommettendo, lavorando, soffrendo, amando… vivendo, in un solo gerundio.

    E allora, chi non si fermerebbe cinque minuti in più accanto a quella pompa di benzina, per sentirsi rivelare un po’ di futuro? Chi non vorrebbe farsi illuminare?

    Dalla filosofia all’antropologia, dalla politica alla sociologia, dalle nuove tecnologie all’ecologia, Erasmo tira in ballo spunti originali su tutte le branche dell’attualità che incidono pesantemente sul nostro vissuto quotidiano, tracciando una mappa che potrebbe rivelarsi preziosa per ogni essere umano in grado di decifrarla. Tutti dati che il nostro benzinaio-filosofo sta raccogliendo in un libro importante, che spera possa incontrare il giusto consenso letterario, scuotendo – perché no – anche qualche coscienza.

    L’abile, affilata dialettica di Francesco Siciliano, dimostra che i nostri cammini sono in parte già scritti, ma non è da tutti saperli decrittare. Il suo Erasmo ha la grande capacità di tradurre e guardare avanti fino al passo successivo della nostra Penisola, riuscendo a farci orientare, a farci capire dove diavolo stiamo andando a sbattere.

    Il primo passo per ogni crescita è sempre la consapevolezza, meglio non scordarlo mai.

    E se tutti noi avremmo bisogno di un benzinaio del genere, figuriamoci quanto un uomo come Erasmo possa affascinare l’universo femminile. Il bisogno costante di sicurezza che il gentil sesso istintivamente reca con sé, si manifesta nelle figure di Gina, la vicina di casa, e nell’affascinante Velia.

    Attraverso il triangolo l’autore riesce a esemplificare in maniera impeccabile le classiche dinamiche uomo-donna. In maniera acuta e divertente, riuscendo a rifuggire la macchietta sempre in agguato, Francesco Siciliano ci mette di fronte ai complessi equilibri che ognuno di noi si ritrova a gestire in ogni rapporto sentimentale. L’intellettuale solitario grazie a Gina, donna pratica, diretta, simpatica, tradizionalista, si apre ad un nuovo livello di condivisione. Col tempo però si rivelerà un sentimento incompleto, poiché il loro modo di vedere e affrontare la vita è profondamente diverso. Ma non siamo, in fin dei conti, sempre troppo diversi, per definizione? E allora cosa fa la differenza?

    La risposta sembra proprio risiedere nella figura di Velia, donna sofisticata e indipendente; quasi pericolosa, potremmo azzardare.

    Mentre il rapporto con Gina, pur avendo in teoria tutte le carte in regola, non riesce a prendere reale consistenza, mentre la carriera editoriale del protagonista sembra in stallo, mentre la crisi minaccia anche il suo nuovo posto di lavoro, Erasmo incontra Velia e se ne innamora all’istante. Magia? No, animalità e istinto.

    Questo in fondo fa la differenza, perché è tutto lì – perdonatemi cari lettori – il famoso arcano che da secoli affligge le menti più nobili. Tutto è compreso nell’amore, dunque, ancora una volta… ma non quello platonico, quello pratico. L’uomo resta un animale, aldilà delle elucubrazioni filosofiche che riesce ad imbastire; e allora, in certi casi basta uno sguardo e mezza parola. Punto. Il resto è costituito da linee di fuga: quelle delle forme sinuose di Velia; quelle delle scale musicali di Bill Evans che risuonano nell’appartamento di Erasmo; quelle dei pensieri, generati dal suo saggio-romanzo che finalmente riesce a vedere la luce. Quelle delle auto che sfrecciano accanto all’area di servizio e che Erasmo segue, mentre il loro rumore si allunga verso il mare.

    Simone Ignagni

    Indice

    Prefazione

    Lavoro

    Valutazioni

    Passioni

    Incontro

    Cena

    A casa

    Evento

    Memoria

    Testo

    Riflessioni

    Il Peso dell’assenza

    "Lo sforzo di capire l’universo

    è tra le pochissime cose che innalzano la vita umana

    al di sopra del livello di una farsa,

    conferendole un po’ della dignità di una tragedia".

    Steven Weinberg

    Pensare è essere in lotta con il linguaggio.

    Ludwig Wittgenstein

    Lavoro

    Senz’altri mutamenti rimarchevoli di clima, da quel braccio di costa che vedo dal pianoro attendo l’ultimo fuggevole serbatoio assetato.

    Intanto, ridiviene sera, come ormai da tempo accade.

    – Avrei potuto forse replicare l’esperienza del filosofo Marc Sautet: organizzare presso un Café des Phares di turno, in una qualsiasi Place de la Bastille, pubbliche discussioni filosofiche, ogni domenica mattina. Forse avrei dovuto organizzarle qui, sul piazzale del distributore, caro mio signore, anche durante la mescita del carburante… Avrei potuto impiegare una ragionevole frazione del mio tempo d’ozio a celebrare una divinità decaduta ma pur sempre fascinosa quale la filosofia… e invece! Sono riuscito solo a perdere l’occasione di fare domanda di reddito sociale garantito! Avrei potuto rientrare nei parametri di età previsti… ma ho poi sforato le date prefissate! Sfruttando i benefici di una recente legge regionale, avrei potuto farlo ma…

    In casa, a notte certa, trovo svago, seppure temporaneo, nel navigare sulle mappe del tropico della World Digital Library. Inizio quasi sempre con quella di Joan Vinckeboons, cartografo olandese, impiegato nella Dutch West India Company e morto nel 1670: Map of a Part of the Island of Cuba and of Bahamas. Nel mentre, ascolto propiziatoriamente – in looping di sottofondo – quattro brani di Bill Evans: Blue in green, How deep is ocean, Spring is here, Alone, intervallati dalla delicata Suite n°2 in Fa maggiore di Busoni. Quando posso, sorseggio vino rosso da un ampio e spesso calice di vetro.

    Sulla scrivania, nello studiolo, accanto al notebook conservo una foto dell’Earth Day dell’ONU. Una didascalia di Rampini, giornalista, chiarisce: "Per i fautori della de-crescita è un trionfo della loro tesi: la migliore cura per l’ambiente è fermare lo sviluppo".

    Qualora molecole d’ebbrezza attivino sinapsi, mi esercito in un Denkenexperiment, di me, con la mia presenza, su una di quelle mappe, in tour geo-storico. Come sempre, termino che rido, fermo la storia e scendo. Dunque, formulo la riflessione serotina. Il tema corrente recita: in Europa, si rinuncerebbe mai alla piena occupazione? Però, ho dalla mia parte il mare. È là, oltre la strada, subordinato al mio piccolo balcone; scuro, indifferente e come in attesa, qui sotto il bilocale con bagno e vasca/doccia. È là, appena oltre la stretta fascia d’arenile, che s’inarca senza infrangere la gravità che lo trattiene nel suo invaso, nel buio del primo freddo umido d’inverno. È là, come in posizione di un agguato non espresso; forse in un suo memento pre-aggressivo. Così, nella mia contemplativa stasi, genero argomenti a supporto di obiezioni alle politiche di crescita economica, talvolta provocate da effluvi tannici esiziali. Allora, sorseggio modulatamente il rosso che mi sembra rallentare, roteando nel bicchiere, come se acquisisse più viscosità sulle pareti vitree.

    Abitualmente, sincronizzo la degustazione con sequenze audio. Di recente, sto provando Piano Man, She’s always a woman e New York State of Mind di Billy Joel. E nelle more di un intervallo onirico, a occhi semi-aperti mi addormento.

    Se l’obiettivo di una telecamera esplorasse i due locali dove vivo, rileverebbe nella penombra silenziosa il led pallido del mio laptop lampeggiare in sleeping – quasi un omaggio al caro estinto Steve –, la laurea in filosofia affissa alla parete e un estratto camerale con partita Iva. Intorno, pochi oggetti testimonianti l’era del consumo e dell’obsolescenza programmata. Nel breve corridoio, si scorgerebbero alcune foto di Henry Cartier-Bresson e di Gianni Berengo Gardin in cornici nere e quella della mano di Miles Davis, eseguita da Irving Penn. In giro, post-it diffusi con fraseggi improvvisati e composizioni surreali, frutti di una passione diversiva mutuata dai prodromi del Manifesto del surrealismo di Breton. Automatismi psico-linguistici che mi fanno compagnia, illuminando al buio il percorso di un single tra il water e il comodino… Al di fuori d’ogni preoccupazione estetica o morale, come sintetizza un noto dizionario. Il surrealismo si fonda sull’idea di un grado di realtà superiore connesso a certe forme di associazione finora trascurate, sull’onnipotenza del sogno, sul gioco disinteressato del pensiero… Scrivete rapidamente senza un soggetto prestabilito, tanto in fretta da non trattenervi, da non avere la tentazione di rileggere. La prima frase verrà da sola. Ecco la vera cifra di Breton.

    Quindi, nei miei intervalli di riduzione metabolica mi dispongo all’invenzione pura di linguaggio, contrastando il dolore, sedando le tensioni e raggirando il tempo. E si sa che il tempo spesso è… Quello che accade quando non succede niente altro, come sosteneva il fisico Richard Feynman. Invenzioni scientifiche, capolavori artistici, utopie politiche spillano da menti capaci di estraniarsi dal reale. Resto però spesso interdetto se predispormi alla distrazione, espormi al sogno o cristallizzare un desiderio d’evasione. Freud, sul tema, fu molto rigoroso: per lui il sognatore diurno è affetto da personalità infantile, in taluni casi da nevrosi; un profilo addirittura associabile a sintomi psicotici. Io mi rafforzo invece nella credenza che sognare a occhi aperti, divagare, lasciare la mente assentarsi dal reale possa causare dei vantaggi: anche divenire tecnica astuta di sopravvivenza. Quando si è svegli, in media il 30% del tempo lo si passa a pensare ad altro, e il pensiero prodotto vaga di oggetto in argomento, trascurando spesso l’immanente. La distrazione lascia produrre incursioni nella conoscenza, nei ricordi: la liberazione si concreta allora come fuga dall’attenzione. Sognare vigilando forse ha contribuito molto all’evoluzione della nostra specie. Un uso flessibile dell’attenzione ci fa meglio cogliere il mondo nei particolari. Esperti del settore sostengono che ai comandi dei nostri emisferi cerebrali si alternino il cervello esecutivo, disciplinato, ed un cervello di scorta più disinibito. L’uno, stabile e oggettivo; l’altro, creativo-divergente, proteso a soluzioni alternative. Per la creatività è essenziale che la mente vaghi libera da intrattenimenti costrittivi. Di fatto, se Archimede avesse scelto soltanto di rimuginare nella sua tozza vasca da abluzioni, il principio dei corpi immersi in liquidi schiumosi oggi non porterebbe il suo cognome. Per quanto mi concerne, neologismi e metalinguaggi sottraggono energia al silenzio e alla fatica; per di più, riducendo stimoli alla precarietà.

    Per essere creativo, io sono divenuto benzinaio ma empatico, presso un distributore a conduzione familiare, allocato in una felice postazione paesaggistica. Da lì esprimo una personale originalità pragmatica, ovviamente non commissionata dalla proprietà aziendale: come disincentivare ogni consumo di risorse fossili, persuadere alle conversioni a gas metano e sospingere a prenotarsi alla funzionalità dei modelli zero emission. Elettrico sarà il futuro dell’auto-trazione…

    Nel mio gabbiotto di lavoro, spesso commento con gli automobilisti, prevalentemente all’imbrunire, il landscape della litoranea in basso, col mare scuro e i fari lumeggianti. E insieme ci si attarda su lirismi estetici, come fossero brani di Astor Piazzolla espressi a voce. Karl Polanyi sosteneva che la capacità lavorativa viene venduta e comperata, purtroppo come fosse merce simile alle altre. Ma l’impressione che il lavoro costituisca mera merce può costituire solo una parodia del vero stato delle cose: la capacità lavorativa difatti non può essere comprata o rivenduta, separatamente dai suoi sani portatori. Chi l’acquista non può portarla a casa, a differenza di altre cose, e ciò che acquista non sarà mai di proprietà esclusiva. L’acquirente non è libero di utere et abutere, di usarne a piacimento. Ecco: questo cerco di tener fermo in me, quando rifondo un serbatoio al mattino. La connotazione teoretica dei miei gesti con gli avventori quotidiani credo stia segnando una svolta storica, nelle pratiche ordinarie di rifornimento ai camionisti – come pure agli automobilisti del week-end – e conformando uno scenario nuovo, presso le stazioni di servizio tipo. Io considero la sosta carburante una pausa riflessiva, entro il cui ambito proporre un metodo per formulare quesiti a presa maieutica diretta. Io non so e per questo chiedo, oscillando dunque tra solitudine e agorà, come sosteneva il compianto Marc Sautet. Tra le argomentazioni più reiterate, presenziano:

    * La sparizione del lavoro nel mondo post-moderno

    * Il cambiamento climatico del globo e il nuovo buco nell’ozono (ma sull’Artico)

    * Quale Europa?

    * L’autovettura elettrica

    * La natura umana è innata?

    * Morti bianche: è lavoro o guerra(?)

    * Universo e infinito

    * La morte è uno stato quantico della materia

    In genere, ingrano il tema riflessivo con voce ondulatoria, mentre introduco plasticamente la pistola carburante nel condotto altrui. Al momento, sto elaborando un filone antropologico: "La persistenza di un cervello primitivo nell’era post moderna. L’uomo suppone di essere ancora un cacciatore/raccoglitore, con risorse alimentari precarie e imprevedibili"…

    Se l’impulso filosofico stimola l’attenzione dell’automobilista, vado oltre con:

    – Sa che un miliardo e trecento milioni di euro costituiscono l’ammontare sparito, nei primi sette mesi dell’anno in corso, dalle buste paga dei lavoratori italiani in cassa integrazione? La cifra, per quanto immane, non risulta sufficiente però a dare il senso reale della crisi in corso, della latente recessione, perché non considera quelle situazioni in cui le dimensioni ridotte dell’azienda, o la sua natura di impresa familiare, escludono il ricorso agli ammortizzatori… Le cifre costituiscono il ritratto di un paese in difficoltà estrema, dove il dramma del lavoro assente ha reso tragico il presente e impraticabile il futuro…

    – Come?!

    – Invece, le ore di cassa integrazione autorizzate nell’anno in corso sono state oltre un miliardo; la straordinaria è aumentata del 60%! Disoccupazione, capisce, al massimo dal dopoguerra, con milioni di senza lavoro in più! Questo dice l’Employment Outlook dell’Ocse, che invita i governi a riportare il mondo del lavoro nelle proprie agende. È un’onda che travolge le generazioni nuove…

    – Sì ma questo ora che c’entra?! Io ho da fare!

    – Gli europei, scriveva Daniel Cohen, hanno scoperto la disoccupazione brutalmente: quella di massa! E qui il fenomeno è allarmante: un giovane su tre è senza lavoro; uno su due è precario. Moltissimi non lavorano né risultano precari! Un fenomeno, mi creda, che parte dall’abbandono della scuola, poi dal fenomeno dello skill mismatch, la differenza tra competenze acquisite e quelle ricercate dal mercato… e infine dai salari, qui da noi tra i peggiori in area Ocse…

    In genere, nell’interlocutore trovo acquiescenza. Spesso, egli si sente infastidito dalle argomentazioni; non di rado, anche stordito dalla sequenza dati.

    – Il fenomeno investe la penisola: coinvolge la metalmeccanica come le agenzie di viaggi; il termalismo quanto la siderurgia… Una sofferenza indicibile e diffusa, cui si aggiungono i dispacci tetri del mondo finanziario e il terrorismo delle agenzie di rating…

    – Mi scusi, ma ora dovrei proprio andare…

    – Eh sì, lo so, ma non potrei tacerle che in fondo le aziende, sì le aziende, lei sa… cosa desidererebbero di più? Lavoratori a zero drag, ovvero a resistenza zero! È proprio Zygmunt Bauman a evidenziare che le aziende gradirebbero che i propri dipendenti siano capaci di nuotare per aria e camminare svelti sulle acque! Il lavoratore ideale non dovrebbe avere vincoli o legami ed evitare di crearsene in futuro…

    – Mi darebbe il resto?

    – Certo! Quindi, il lavoratore dovrebbe tenersi pronto ad assolvere qualsiasi nuovo compito ed essere preparato a riadattarsi e a rifocalizzare le proprie inclinazioni, accettando nuove priorità e… e abbandonando in fretta quelle fino ad allora valide… sa… insomma… non legato a specifiche mansioni cui fare l’abitudine… a una capacità o a un modo di far cose… potrebbe incoglierne di essere malvisto o ritenuto imprudente di per sé!

    – Sì, sì ma…

    – E cosa di non poco conto, nel momento in cui non serve più, dovrebbe uscire dall’azienda… e senza lamentarsi né aprire contenziosi…

    – Ecco, veda…

    – E infine, dovrebbe considerare prospettive a lungo termine, percorsi predeterminati di carriera e qualsiasi forma di stabilità… come qualcosa di sgradevole… di più temibile direi che non la loro assenza!

    – Io vado via…

    – E giungere anche ad una lacerante conclusione: il mercato del lavoro è soltanto uno dei tanti beni di consumo in cui è inscritta la vita individuale… e il prezzo del lavoro… soltanto uno tra i prezzi di mercato da seguire, osservare e calcolare, nell’ambito delle numerose attività dell’esistenza. Ma aspetti! Il suo resto!…

    ***

    Il tratto che collega la piazzola del distributore, sulla falesia in alto, alla riva sabbiosa della litoranea in basso è lungo circa tre chilometri: illuminato, sinuoso, pittoresco. Esso possiede un particolare appeal geografico perchè fornisce lo stesso paesaggio registrabile, osservato da ogni dove: come una dima entro cui si articoli un frattale. Quindi, ogni frame, se rammemorato, compendia esaustivamente le forme dell’intero promontorio. In fondo, si eleva un edificio, vecchio albergo a ore riattato con perizia. Una romanticheria un po’ sghemba ma ottimale per la lettura, l’elaborazione e il sogno. Ecco: qui è la mia dimora, in caro affitto. Ai bordi, il solito paesaggio emozionale, contornato dalle acque azzurre, arginato dalle sabbie chiare, confezionato in un golfo tondo che termina con un promontorio conico. Un’urbanizzazione senza eccessi, antica, familiare. Come accessori in alto, due castelli e un’antica struttura sepolcrale, confusa in un verde intenso di conifere. A ogni mio rientro domestico, arrivo al pianerottolo del primo piano, apro la porta ed entro al buio. Con movenze sequenziate, mi libero degli indumenti da lavoro, disseminandoli sul tratto che mi separa dalla doccia. L’abluzione bollente più che rinfrancarmi spesso mi stranisce, a causa della temperatura. Poi raccolgo gli indumenti e ripercorro a ritroso il sentiero dello streap per insaccarli in una cofana fibrosa riposta all’ingresso, come per mettere distanza tra me e ogni agente d’infezione. In genere, inforco con le braccia tese una t-shirt bianca e a gambe disunite infilo un boxer ampio, entrambi posti accuratamente ad asciugare fin dal mattino, sull’angolo della specchiera in corridoio. Ricoperto così vado in cucina, recupero una bottiglia, poi un bicchiere e verso giù riempiendolo, camminando al buio in direzione del piccolo balcone. Nel percorso, appoggio la bottiglia sulla scrivania, tra il tendaggio e le ante semichiuse che fronteggiano la costa. Apro le imposte, lascio la tenda volteggiare, poi respiro. Un’apnea aero-concettuale di mezzora vede dunque fine.

    Inalo a fondo ciò che il mare mi riporta dalle onde, e alzo il calice che filtra i bagliori irraggiati dal porticciolo in basso, dal promontorio in alto, dalla strada di sotto. In mutande, pure rinfrancato dagli effluvi tannici che ossigenano l’emoglobina circuitante, e con la pelle ancora calda del lavacro, mi arrendo allo zefiro, o ad altri venti di costiera, in questo luogo uteroavvolgente, unico rifugio e forse tomba. Ecco, tomba e sperabilmente in spiaggia, tra i granchi, le conchiglie, radici di palmette e mirti; tra le tamerici e il vento. Dopo il rito, rientro in stanza ritemprato. A rifletterci, dovrei ritenermi fortunato… Poi mi accosto allo scaffale in rattan, sul lato scrivania, e sfilo giù al buio un paio di testi, di cui riconosco il dorso. Rivado al balconcino, mi riaffaccio e scorgo delle ombre in movimento in spiaggia: lunghe sul mare, ingombranti sul golfo, inquietanti in cima al promontorio. Chissà! Ma il desiderio di osservare subisce interferenze, causate da un tremore: ecco sopraggiungere il panico immanente, sotto palesi spoglie di retoriche emozioni come la nostalgia del tutto, di ciò che non è stato, di quanto poi non fu. Talvolta, avverto involontariamente originarsi e scorrere due gonfie lacrime lungo l’arco delle gote e scivolare fino al naso e poi più in giù, alle labbra. Una s’arresta, mentre spesso l’altra esegue un tonfo nel bicchiere, annacquando il fluido rosso. Incredulo, accenno ad un sorriso, di comprensione, di riconciliazione. Con me stesso, com’è ovvio.

    Sono consapevole che nel mentre i ghiacciai himalayani fondono verso le grandi valli asiatiche, milioni di persone sdrucciolino in direzione delle grandi Pianure del Disoccupato; sapendo in quale modo i due fenomeni – all’unisono – perdano irreversibilmente la propria originaria identità, come un bio-dramma apparentemente privo di rimedio. E comprendo che il declino anticipato della specie bambocciona, oggi perduta, sia accelerato dalla massa di un enorme debito contratto all’epoca dei padri, mai utilizzato per incrementi produttivi ma finalizzato solo al saldo d’impiego pubblico crescente o di pensioni germoglianti. Un gravame che per feroce nemesi si abbatterà sui figli e sui nipoti di quei gloriosi stessi avi. Naturalmente, anche su di me. Me lo attesta il Cnel, me ne parla Confindustria, se ne discute al Ministero, lo sottolinea il Sindacato, se ne commenta alla TV, lo stigmatizza il Quotidiano, lo si soppesa in Web, lo si decodifica alla Radio, lo si esorcizza sui Social Network, lo si patisce a casa…

    Impresa, microimpresa, macroimpresa: il mondo, vibrato dalla crisi, preda dei pirati del capitalismo finanziario cinico e vigliacco, ha già mutato pelle. E welfare, formazione e orientamento paiono giovani scout senza licenza… Le società di executive search cercano ancora i superlaureati? E l’etica nel pubblico è pari a quella del privato? Vagule e blandule, emergono risposte.

    In questa mite sera di novembre, torno a casa, dopo un ligio servizio prestato ai carburanti. Ho già raccolto il blu denso della costa, le immagini delle strade di collina, le sfumature della bianca scia dell’elica di motonavi azzurre che rientrano da isole pelagiche. La mia collocazione di erogatore di energia da postazione paesaggistica m’inebria e pare suggerirmi che nulla sia perduto ancora. Forse solo il tempo. E solo il tempo mi dirà se sia valsa la pena di lottare a bordo campo per esprimere qualcosa.

    Dovrei abbozzare una riflessione d’indagine economica per un blog locale ma non riesco a provvedere. Gravità, velocità, masse, forze, campi… Così è per gli altri pianeti credo; così è per le altre vite. E quindi, dall’infinito pluriverso faccio inversione e mi riposiziono in fretta al balconcino, più comodo e a gravità dimessa. Ma se una sostanza intelligente extra-temporale avesse voluto creare l’universo allo scopo di creare l’uomo, non avrebbe dovuto aggiungere dell’altro? In fondo, non sarebbe male un giorno poter lavorare per la Better Place di Agassi… o per postazioni simili e sfilare e infilare batterie agli ioni di litio dal vano carico delle autovetture elettriche!…

    Logistica, information technology, marketing & communication, administration & finance: ovunque si respira Caporetto, anche se anglofona. Dovunque, l’impellente desiderio è quello: riducete il personale! In ogni luogo, la sindrome da Pil impera con tutti gli svarioni di un paradigma innaturale; dappertutto, la prestazione d’opera pare non occorra più al sistema. Tutti gli attori economici toccati dalla monocommittenza – come a me è accaduto – conservano speranze scarse di preservarsi a lungo tra i viventi. In effetti, è semplice aggiungersi alla schiera di chi teme solo a far la spesa, a uscire di casa o a respirare. Ma la fine del lavoro non è un’intrigante speculazione sociologica, bensì una solida caratteristica della post-modernità. Chi ha conservato il suo da fare, oggi vive un privilegio più che un diritto. E chi ha promosso e osservato salvataggi eroici di banche e gruppi finanziari, dopo mondiali azzardi criminosi, ha ben compreso dove stia andando il mondo. Ma l’alchimia tra i due fenomeni sta producendo un soqquadro rovinoso, non solo occidentale, che non si arresterà di colpo. Lavoro irreperibile, volatile denaro, impalpabile salario, arcaiche misure di rimedio. Il paradosso è sempre più sospinto dall’accresciuta competenza tecnologica dell’uomo, che causerà un decrescente bisogno di apporti operativi. Muteranno l’organizzazione quanto le dinamiche di performance, e l’uomo sarà costretto ad orientarsi verso altro; imparerà dell’altro: forse a riflettere.

    Anche il denaro si farà un giorno valore desueto. Nel frattempo per gli umani i tagli al personale costituiranno l’Armageddon del quotidiano. Pure la Chiesa, dal piglio gesuitico post-dimissionario, nota il disagio e non a caso precisa che: I punti fermi per i giovani risiedono nella fede e nell’insieme dei valori che sono alla base della società. Così è tutto più chiaro! Per dirla con la voce salda di Richard Dawkins: "L’illusione di Dio, le ragioni per non credere".

    Lo scenario marittimo stimola il bisogno dell’ascolto. Così, metto su un looping composto dal solo brano Peace Piece di Bill Evans. Nei meandri oscuri del mio frigo, solo una scarsa riserva di prosecco occhieggia abbandonata ma pronta alla scena. Il liquido, privo già di brio, percorre l’esofago senza alcun attrito. La compilazione delle schede tecniche destinata al blog stenta ad emergere dal monitor del notebook. Peraltro, argomentare di continuo sulle difficoltà dell’impiego giovanile mi fa sentire in autoanalisi. Dunque, non scrivo.

    La mia cucina dà sul retro dell’immobile. È un angolo attrezzato con l’indispensabile, come miniaturizzato.

    Ti è piaciuta l'anteprima?
    Pagina 1 di 1