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Un cuore in fuorigioco
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Un cuore in fuorigioco
E-book198 pagine2 ore

Un cuore in fuorigioco

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Info su questo ebook

Muratori presenta ai lettori la sua terza fatica letteraria, se nei precedenti lavori raccontava storie molto originali in un’altalena di azione e introspezione in questo libro scrive di un uomo diviso tra gli affetti e lo sport. La narrazione in chiave molto ironica rende la lettura divertente e il lettore si trova spesso immedesimato nelle circostanze vissute dal protagonista. Uno spumeggiante susseguirsi di situazioni, spesso esilaranti, nelle quali il tifo sportivo gioca un ruolo primario. Un cuore in fuorigioco è un libro da non perdere.
LinguaItaliano
Data di uscita16 dic 2017
ISBN9788870007664
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    Anteprima del libro

    Un cuore in fuorigioco - Simone Muratori

    Dello stesso autore:

    Segui la tua stella (2014)

    Una nuova alba (2015)

    La copertina è opera del pittore Alessandro Giusti

    ISBN 978-88-7000-766-4

    © STEM MUCCHI EDITORE S.R.L.

    VIA EMILIA EST, 1741 - 41122 MODENA

    www.mucchieditore.it

    info@mucchieditore.it

    facebook.com/mucchieditore

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    EDIZIONE DIGITALE: DICEMBRE 2017

    Produzione digitale: Mucchi Editore

    Indice

    Frontespizio

    colophon

    Prefazione di Giorgio Carrera

    Nota dell'Autore

    Spilamberto, 26 settembre 2006

    L’esame

    Betty

    Lavorare stanca

    La sconfitta

    La gita scolastica

    Nicole

    L’America

    Benny

    Patrizia

    Gengis Khan

    Patrizia l’epilogo

    Sabrina

    Roma

    Assalto a Nicole

    Barcellona

    Madrid-Verona-Spilamberto

    La decisione

    Il matrimonio

    Assestamento

    Oggi

    immagini

    A mia moglie Lucia

    Ai miei figli Chiara e Gabriele

    Un sentito ringraziamento alla Panini per avere messo a disposizione dell’Autore numerose figurine di calciatori.

    Prefazione

    Non avrei mai immaginato di scrivere alcune righe di prefazione a un libro.

    Infatti non sono un intellettuale: la mia principale attività è stata quella di calciatore, e posso ritenermi fortunato di avere calcato per molti anni i campi della Serie A.

    Per questo, quando Simone me lo ha chiesto sono rimasto molto sorpreso e, dopo avere riflettuto, ho accettato perché sono stato contagiato dalla sua vitalità, dalla sua voglia di fare, dal suo ottimismo.

    Ci siamo conosciuti casualmente durante un viaggio a Medjugorie e, dopo poche ore, sembravamo amici da sempre, tanta era la naturale socievolezza di Simone.

    Così, in quel luogo di dolore e di speranza, fra una Messa e un prosecco, abbiamo avuto modo di conoscerci meglio.

    Ho saputo del lavoro che svolge, della sua bella famiglia e, infine, mi ha confidato la sua grande, recentissima, passione per la scrittura che lo aveva portato a scrivere due libri che, ovviamente, mi regalò.

    Rientrato a casa, li lessi e mi piacquero molto, cosa che gli dissi quando ci rivedemmo.

    Non mi aveva tuttavia informato dell’intenzione di scrivere anche il terzo, e può darsi che abbia pensato a me dal momento che il presente libro parla anche di calcio, come si capisce dal titolo: Un cuore in fuorigioco.

    Comunque, come dicevo, ho accettato e, appena ricevuta la bozza, l’ho letto tutto d’un fiato e l’ho trovato bellissimo, scorrevole, divertente e… nuovo.

    I libri precedenti, infatti, raccontavano storie serie con i drammi grandi e piccoli del vivere quotidiano, mestiere non facile, e molte pagine, soprattutto nel secondo libro Una nuova alba, cercavano di sondare l’interiorità dell’animo umano e delle diverse sensibilità in esso contenute.

    Dicevo che questo libro è nuovo perché si stacca nettamente dai precedenti, e l’introspezione cede il passo alla leggerezza dell’ironia che non risparmia, talvolta, nemmeno l’autore stesso.

    Non saprei cos’altro aggiungere se non consigliarvi di leggerlo, perché sono sicuro che non vi pentirete di avermi dato retta.

    Giorgio Carrera

    Nota dell’Autore

    Questo terzo lavoro credo che rappresenti, per me, sia una evoluzione personale sia una nuova sfida.

    Ho scelto di raccontare con tono umoristico alcune situazioni che il sottoscritto ha in qualche modo vissuto, ovviamente a volte volutamente estremizzate, con il proposito di provare a strappare un sorriso al lettore, soprattutto in un’epoca in cui ritengo sarebbe necessario sdrammatizzare le nostre vicissitudini e di prendersi un po’ meno sul serio.

    Sperando di riuscire nel mio intento, colgo l’occasione per ringraziare tutti coloro che mi hanno sostenuto durante questa avventura, e in particolare l’amico e curatore Luigi Barozzi.

    Dedico questo libro alla mia famiglia e a tutti i ragazzi di una volta che, in un modo o nell’altro, si rivedranno nelle peripezie del protagonista e ai quali auguro di mantenere sempre uno spirito giovane e autoironico.

    Come già accennato, le vicende narrate in questo libro sono, in parte, accadute realmente, mentre i nomi dei protagonisti, a eccezione del mio, sono di fantasia.

    Simone Muratori

    simone.muratori@aitec.it

    www.simonemuratori.com

    Quando una donna ti fa cambiare vita è roba da ridere, ma quando ti fa cambiare la squadra di calcio del cuore, la situazione è seria.

    (Stefano Benni)

    Spilamberto, 26 settembre 2006

    «Simo… sono qui… è l’ora!»

    Puntuale come tutti i sabati mattina da un anno a questa parte, la voce inconfondibile di Benny mi ricordava del nostro immancabile appuntamento con la sfida del fine settimana.

    Io, un trentaduenne atleticamente ormai sul viale del tramonto, già perfettamente equipaggiato della maglietta n. 20 di Recoba, dei calzettoni di lana nerazzurri che mi arrivavano al ginocchio e pallone di cuoio leggero sotto il braccio, lanciavo il mio grido di battaglia intonando allegramente un motivetto di sfottò nei confronti del mio acerrimo nemico juventino. Con lui davo vita a epiche battaglie calcistiche nel campetto che avevo ricavato delimitando una parte del cortile di casa mia, e dove avevo posizionato a debita distanza una dall’altra due piccole porte.

    Benny e io eravamo grandi amici, nonostante le nostre fedi calcistiche fossero diametralmente opposte, e tra di noi c’era sempre enorme rispetto e profonda stima, anche se durante l’ora della partita in cui ci sfidavamo uno contro uno volava qualche calcione e pure qualche colpo proibito, perché il mio rivale sgusciava via come un’anguilla. Succedeva soprattutto quando le nostre partite stavano volgendo al termine e la mia precaria resistenza fisica mi suggeriva di ricorrere a qualche scorrettezza, che tanto non veniva mai sanzionata… oltre a giocare, arbitravo anche la contesa.

    La nostra era una splendida amicizia condita da una sana rivalità sportiva, e tutto sarebbe stato perfetto se non fosse che Benny era un bambino di otto anni…

    Ebbene sì: ero un malato di pallone! Avevo strappato un eroico pareggio grazie a un ingiustificato prolungamento della partita e, dopo essermi avvicinato al mio avversario palesemente contrariato per la vittoria sfumata all’ultimo istante, lo esortai con fierezza a raggiungere lo spogliatoio, rappresentato in questo caso da un piccolo ripostiglio nel quale mia madre teneva alcuni attrezzi per il giardino dove avevo messo un paio di sedie sotto al poster gigante del mancino di Montevideo… ovvero sempre lui il Chino Recoba. Mio indiscusso pupillo, rappresentava un po’ il genio e sregolatezza della mia squadra del cuore e forse anche della mia vita, nella quale si susseguivano metaforicamente successi eclatanti con giocate sublimi e cadute incredibili e inaspettate.

    Una volta bevuto un sorso d’acqua e cambiate le scarpette, accompagnai Benny al cancellino che dà sulla strada, dove con palese impazienza lo attendeva suo padre Sandro, un mio ex compagno di classe delle superiori con il quale non avevo mai particolarmente legato per via dei nostri caratteri diametralmente opposti.

    Io ero, infatti, sempre pronto a scherzare su ogni argomento ci si trovasse a discutere in classe o in compagnia, e il mio modo di essere riscuoteva decisamente successo tra la maggioranza di persone con cui avevo a che fare e pure, incredibilmente, con un paio di ragazze che non potevano esimersi dal ridere a quelle da me ritenute esilaranti battute.

    Il rovescio della medaglia era rappresentato proprio da Sandro, un secchione inarrivabile la cui ambizione era quella di diplomarsi Ragioniere col massimo dei voti. Per questo era considerato un esempio di persona matura e assolutamente rispettabile soprattutto dai professori e, ahimè, anche da Betty, la ragazza di cui mi ero pazzamente invaghito e dalla quale ero però reputato uno sciocco bulletto di periferia che aveva in testa solo il pallone.

    Abitando in campagna ero poi solito, quando il tempo lo permetteva, arrivare a scuola sulla mia bicicletta verde oliva con addosso una giacca di jeans rattoppata alla bell’e meglio che rappresentava il mio modo di vivere e che strideva un po’ con lo stile adottato dai ragazzi che all’epoca erano definiti paninari, ossia personaggi che vestivano rigorosamente firmato e ti guardavano dall’alto in basso come se fossi l’ultimo dei Nerds.

    Purtroppo la mia innegabile bellezza nulla poteva contro il jeans della Timberland o il Monclerino ultimo grido… ero spacciato… fuori concorso… Betty non si sarebbe mai messa con uno che leggeva la «Gazzetta dello Sport» durante l’ora di matematica, si vestiva da tamarro e la cui filosofia era, come diceva il saggio Trapattoni dell’Inter dei record, massimo risultato col minimo sforzo ovvero la teoria per cui il raggiungimento di una stentata sufficienza in un’interrogazione, senza avere studiato, valeva senza dubbio come un alto voto conseguito da uno che passava giornate sui libri.

    L’esame

    Il mio andamento scolastico in quell’ultimo anno, che sarebbe culminato con l’Esame di Maturità, non fu particolarmente brillante e sembrava ripercorrere la stagione 1993/94 dell’Inter che stentava tremendamente in campionato ma avanzava sorprendentemente in coppa Uefa.

    La salvezza conseguita dai nerazzurri con una giornata di anticipo in campionato e il trionfo europeo sul Salisburgo, grazie anche ai prodigi del mitico Walter Zenga detto uomo ragno, mi diedero quello slancio e quella carica per trovare il guizzo finale e convincere i professori ad ammettermi agli esami di maturità, dove riuscii a compiere un capolavoro di tecnica, tattica e strategia.

    Avevo deciso di giocarmi la maggior parte delle mie chances sul tema d’italiano e infatti, dopo avere pensato che doveva pur essere servito a qualcosa leggere tutti gli articoli scritti in perfetto italiano dai vari Brera, Cannavò e Maurizio Mosca sfoderai, con una concentrazione degna del Mennea agli Europei del ’74, una prestazione sublime che venne premiata con un’alta valutazione dalla commissione di professori, i quali si complimentarono pure col sottoscritto.

    Lo scoglio grosso era lo scritto di Ragioneria, materia praticamente a me sconosciuta in quanto, come ho già accennato, durante le ore di lezione leggevo il giornale o mi dilettavo con Gerry, il mio compagno di banco, a fare pronostici o compilare la schedina del totocalcio.

    Qui era necessario veramente un intervento divino che si materializzò allorché vidi, casualmente, un uomo uscire da un negozio per caccia e pesca con in mano una cartuccera e, nonostante io sia assolutamente contrario alla caccia, in quel momento non potei fare a meno di ringraziare sentitamente quel baffuto signore che mi fece toccare con mano il suo acquisto e restò sbalordito quando gli dissi cosa avevo intenzione di fare.

    Mancavano due giorni all’esame e fu una vera e propria corsa contro il tempo.

    Quella sera istruii a dovere mia madre che, dopo avere scelto una canottiera bella larga, vi cucì sopra un tascone gigante, al cui interno aveva ricavato con maestria tante piccole taschine a mo’, appunto, di… cartuccera…

    Trascorsi la mattina successiva nell’ufficio di mio padre a fotocopiare e rimpicciolire tutto il libro di ragioneria, ma ciò ovviamente non bastava perché, essendo totalmente all’oscuro della materia, dovevo anche trovare un metodo per rintracciare i vari argomenti e quindi creai un biglietto apposito, da tenere sotto il cinturino dell’orologio, dove a determinati numeri corrispondevano i rispettivi esercizi contenuti nelle tasche della canottiera, anch’esse, ovviamente, numerate. La notte della vigilia non riuscivo a prendere sonno, e iniziai a fantasticare e immaginare come sarebbe potuta andare, e realizzai che, in ogni caso, avrei dovuto avere la possibilità di uscire alcune volte dal salone e recarmi al bagno per potere avere l’opportunità di estrarre indisturbato i biglietti. Quella mattina bevvi circa tre litri d’acqua e giocai d’anticipo con il commissario di giuria… un’affascinate signora che viaggiava sulla quarantina e alla quale riservai una delle mie fulminanti battute che, fortunatamente, la fece sorridere e mi permise di entrare nelle sue grazie.

    Credo di avere battuto ogni record mondiale di incontinenza in quella calda mattina di inizio luglio.

    Ricordo di avere mandato, addirittura, a quel paese il bidello della scuola che, esortato dal commissario di giuria, alla settima volta che mi vedeva andare con sguardo sofferente in bagno si era avvicinato per chiedere lumi circa il mio stato di salute.

    «Ricordati, Simone, che il fine giustifica i mezzi» mi ripeteva sempre mio zio juventino dopo ogni vittoria non proprio limpida della sua squadra del cuore.

    Il mio spirito etico e leale mi imponeva

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