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Il fuoco e la tempesta - Parte prima
Il fuoco e la tempesta - Parte prima
Il fuoco e la tempesta - Parte prima
E-book296 pagine4 ore

Il fuoco e la tempesta - Parte prima

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Info su questo ebook

Otto marzo 2005. Manfredi Dall’Orso, musicologo e studioso di linguaggi criptati, festeggia i cinquant’anni in un club privato, circondato da intellettuali e professionisti, ma nota la strana assenza di Davide Salimbeni, il suo migliore amico. La festa è funestata dalla morte di una giovane sconosciuta, che si rivelerà assassinata con un’iniezione di potassio al cuore: un omicidio presentato come morte per cause naturali. Inizia così la rocambolesca avventura del professor Manfredi Dall’Orso che si troverà, suo malgrado, ad indagare su una serie di omicidi che nascondono un segreto impenetrabile e custodito dalle security agency occidentali. Su di esso incombe una oscura profezia: «Tutto avrà inizio ad ottanta chilometri a Nord di Gerusalemme, nella parte occidentale della Piana di Esdraèlon, in quella che è conosciuta come la Valle di Meghiddo. Numerose furono le battaglie combattute in quel luogo ai tempi dell’Antico Testamento e là, ai piedi del monte che sovrasta la Valle, sarà combattuta l’ultima. In ebraico il Monte Meghiddo è detto Har Megiddon, ma noi lo conosciamo con un altro nome, terribile e profetico: Harmaghedon!»

Massimo Carpegna – Docente di Formazione Corale, Direzione di Coro, Musica e Cinema presso il Conservatorio Vecchi Tonelli di Modena e Carpi. Ha composto numerose colonne sonore e inni sinfonici tra i quali si ricorda: The five Rings (sigla RAI per le Olimpiadi invernali Torino 2006), It's time to celebrate (Inno ufficiale Campionati del Mondo di sci nordico Bormio 2005), Honour and Glory (Inno ufficiale Federazione Italiana Sport Invernali), Vinci per noi (Inno ufficiale Modena Volley). In seguito al successo del concerto diretto al Teatro Luciano Pavarotti di Modena con l'Orchestra Sinfonica G. Verdi di Parma e la Corale Rossini di Modena eseguendo musiche del baronetto Karl Jenkins, nel 2015 è stato invitato alla Carnegie Hall di New York quale Maestro del Coro per la prima americana della cantata The healer, sempre di Karl Jenkins. L’anno successivo il direttore americano Jonathan Griffith lo ha invitato a comporre una cantata (Speculum Magiae) per il Lincoln Center di New York. Con sue composizioni e direzioni sono stati pubblicati 11 cd musicali, oltre a 6 libri. Attivo nella veste di conferenziere sull'opera lirica, collabora con varie istituzioni.
LinguaItaliano
Data di uscita10 gen 2018
ISBN9788867827114
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    Il fuoco e la tempesta - Parte prima - Massimo Carpegna

    Massimo Carpegna

    Il fuoco e la tempesta Parte prima

    Editrice GDS

    Via Pozzo 34

    20069 Vaprio D’Adda-MI

    Tel 0290970439

    ww.gdsedizioni.it

    Copertina a cura di Massimo Carpegna.

    Ogni riferimento descritto in questo romanzo a cose, luoghi o persone e da ritenersi del tutto casuale.

    Massimo Carpegna

    Il fuoco

    e la tempesta

    Parte Prima

    Avete ucciso centomila iracheni

    per risparmiare un nichelino

    sulla benzina»

    dalla sceneggiatura di Air Force One Andrew. A. Marlowe

    PERSONAGGI

    Capitolo primo

    Il compleanno mi era piombato addosso violento e improvviso come un temporale estivo.

    «Ehilà Freddy! Anche tu sei arrivato al mezzo secolo!»

    Quella battuta, pronunciata con ironia dall’amico Amedeo, mi aveva sprofondato in pensieri tanto nefasti quanto tortuosi. Era l’otto marzo del 2005 e avevo compiuto cinquant’anni: improvvisamente mi sentii vecchio. Ricordai che mio padre era mancato a settantatré anni per un improvviso infarto, mentre insegnavo al Conservatorio. Considerai che mio nonno era deceduto alla stessa età e forse anch’io avrei potuto seguire questa tradizione, per aver ereditato lo stesso orologio biologico. Tornai con la mente a ventitrè anni prima e mi resi conto di ricordare tutto fin nei più piccoli dettagli. Ne dedussi che, dopo lo stesso numero di anni, avrei saputo descrivere la festa alla quale stavo assistendo, come se quell’arco temporale potesse trascorrere in un attimo e così ciò che mi restava da vivere.

    Amedeo mi guardava sorridendo, nell’attesa di un commento alla sua battuta. Quando capì che vagavo con la mente altrove, decise d’interrompere le mie considerazioni con un’altra delle sue arguzie.

    «Non ti ho mai visto così serio. Coraggio, secondo l’Istat hai ancora ventitré anni da vivere!»

    Ventitré anni da vivere, appunto. E ne avrei avuti come mio padre e mio nonno. Tornai in me stesso e l’abitudine a rispondere prontamente alle provocazioni mi venne in soccorso. Scoccai la freccia.

    «Speriamo che a te non ne restino meno!»

    «Spero anch’io… E con le donne? Come andiamo?»

    Amedeo invidiava da sempre i miei successi amorosi, non avendo mai avuto fortuna con il gentil sesso, ma nel contempo era il biografo delle mie conquiste, che voleva sfacciatamente conoscere fin nei particolari più intimi.

    «Con le donne dimostro qualche anno di meno…»

    «Senza pillola azzurra?» mi domandò sfacciatamente l’amico che con ogni probabilità ne faceva uso.

    «Senza pillola azzurra!» replicai con il tono più convincente che potessi offrire.

    Una signora nostra coetanea, piuttosto in carne e vestita in modo stravagante, ci raggiunse mostrandoci un sorriso macchiato dal carminio del rossetto: era Clara Mattei, amica di mia moglie e poetessa in quel tempo libero che avrebbe potuto impiegare meglio.

    «Ecco il mio anfitrione!» esordì stringendomi la mano con la sua: fredda, sudata e molliccia. A stento nascosi una smorfia di disgusto.

    «Scommetto che stavate parlando di donne!» proseguì con la stessa plateale esuberanza.

    Amedeo non si lasciò sfuggire l’occasione per onorarci con un’altra delle sue freddure.

    «In effetti, il nostro amico mi stava confidando che ultimamente ha qualche piccolo problema e mi chiedeva un rimedio…»

    La donna mi rivolse uno sguardo curioso, come se quelle parole avessero potuto nascondere qualcosa di vero. Ancora sicuro della mia intatta forza virile, stetti allo scherzo.

    «...Ed io ho deciso di provare il suo che prende ormai da anni! Te lo fai arrivare dalla Svizzera, vero?»

    Amedeo accettò la burla.

    «Sì, scatole da dieci confezioni: è più conveniente!»

    Ridemmo tutti e in silenzio ringraziai l’amico per avermi salvato dalla palude di tristezza nella quale stavo sprofondando. La donna, rassicurata, tornò a mostrarci il sorriso a chiazze.

    «Voi due non cambierete mai! Da quanto vi conoscete?»

    Proseguii nel tono sarcastico della conversazione.

    «Purtroppo dalle elementari…»

    «Da quando dovevo aiutarlo a studiare per evitargli la bocciatura!» chiosò Amedeo che, a dire il vero, aveva sempre beneficiato dei miei compiti, ordinati e soprattutto corretti, per proseguire negli studi.

    La donna roteò lo sguardo nella sala alla ricerca di altri ospiti da intrattenere. Un gruppo di signore, che nell’acconciatura e scelta dell’abbigliamento apparivano quali personaggi usciti dalla penna di Emily Brönte, la gratificò con un sorriso invitante.

    «Ora vi devo lasciare. Ci sarete alla presentazione del mio libro?»

    Ancora una volta sopportai la stretta umidiccia della sua mano.

    «Tullia me l’ha detto da tempo e mi sono tenuto libero per l’occasione.»

    «Io, invece, sono ad un convegno di medici e parto oggi! Mi dispiace tanto. Scusa...» s’inventò Amedeo all’istante, dimostrandosi più scaltro di me e tempestivo nel raggiungere un altro crocchio di persone. Finalmente la donna mi restituì la mano, che strofinai con un gesto distratto sui pantaloni nel tentativo di asciugarla, e piroettò sorridente verso le amiche.

    Rimasto solo, mi diressi verso il buffet, afferrai un calice colmo di un indecifrabile liquido rosso e mi guardai intorno. Nell’ampia sala del Circolo Tennistico Mammut, sede della mia festa di compleanno, Tullia parlava con la sua amica arrivata da Genova e le raccontava gli ultimi pettegolezzi. Amedeo intratteneva altri amici e rideva fragorosamente, come il solito, mentre mia sorella metteva uno scialle sulle spalle di mia madre, perennemente infreddolita. Gli altri gozzovigliavano accanto a me, approfittando del cibo gratuito. Tutti ridevano o dimostravano un’allegria eccessiva, esibita con un sorriso stampato sulla faccia quasi fossero stati colti da una paresi. Qualche conoscente aveva deciso di non partecipare ai festeggiamenti, forse perché impegnato in qualcosa d’altro. Qualcuno suscitava l’invidia dei vicini commensali, per essere riuscito ad andare in pensione prima del tempo. Qualche altro sapeva con precisione quanti minuti, ore, giorni, mesi ed anni avrebbe dovuto ancora lavorare, prima che la comunità gli dicesse: Non servi più. Mi stupii per l’assenza del mio migliore amico, Davide Salimbeni, che mai aveva perso un mio compleanno. Lo immaginai a registrare danze tribali negli angoli più sperduti del mondo o in una romantica vacanza con la giovane e avvenente compagna della quale mi aveva accennato nella sua ultima telefonata.

    Io, il festeggiato, ero solo, immerso nei miei pensieri, quando dal piano di sotto sentimmo provenire un urlo agghiacciante. La sala si zittì d’improvviso e gli occhi di tutti s’incrociarono, disegnando con le loro direttrici una complessa figura geometrica. Il rumore di molti passi affrettati, provenienti dall’atrio, interruppe il silenzio e tutti noi, come ubbidienti ad un tacito comando, ci precipitammo verso l’uscita e scendemmo le scale che dal primo piano conducevano al piano terra.

    Anch’io seguii il drappello di curiosi, nonostante non abbia mai avuto un morboso interesse verso una vita che soffre o si spegne e non mi sia mai fermato ad osservare le lamiere contorte di un’auto, tendando di capire se nell’incidente ci fosse scappato il morto. Abbandonai la sala guardando mia madre che, sostenuta da mia sorella, si dirigeva ansimante verso un vicino divano. Quel grido, il rumore di tanti passi affrettati e le successive urla soffocate, mi avevano fatto supporre che qualche vecchio socio fosse stato probabilmente stroncato dall’ultima partita a tennis.

    Appena arrivato al fondo delle scale, osservai che le persone s’accalcavano intorno ad uno dei divanetti blu china della sala con lo schermo televisivo al plasma, sul quale impertinenti continuavano a scorrere le immagini di bellissime e aggraziate atlete del nuoto sincronizzato. Le stesse persone, conquistata la meta, s’allontanavano spaventate, piangenti e inorridite. Sembrava di essere a Messa, in una di quelle chiese dove i fedeli si comunicano seguendo ordinate manovre d’avvicinamento al sacerdote quasi fossero truppe impegnate nelle grandi manovre.

    Arrivò anche il mio turno e con stupore constatai che il corpo immobile, riverso su un fianco, non era di un anziano giocatore, ma apparteneva ad una giovane e bellissima donna mai vista al circolo. Conoscendo la mia attenzione per il gentil sesso, conclusi che si trattava sicuramente di un’ospite, forse una di quelle attraenti segretarie che alcuni soci, con le tasche piene di soldi e in cerca d’avventure, a volte si portavano appresso durante la stagione estiva, quando la piscina e i lettini favorivano gli approcci e le rapide conclusioni in albergo.

    La donna, con i capelli color del grano maturo e un elegante completo viola acceso, sembrava si fosse addormentata. Il pallore del volto e un braccio rilasciato in un modo innaturale testimoniavano, però, la sua condizione certa di cadavere. Notai anche che alcuni soci mi rivolgevano un’occhiata severa, quasi di rimprovero e altri, riuniti in piccoli gruppi, confabulavano tra loro guardandomi di soppiatto. Non capivo che cosa stesse succedendo, ma la ragione di quegli strani comportamenti mi fu subita chiara appena Gianni, l’anziano custode del circolo, mi si avvicinò.

    «Bella donna, che non meritava di morire così giovane! Una sua parente? Un’amica?»

    Lo guardai sorpreso e lievemente irritato. Il custode non era mai stato nelle mie simpatie con quella sua pignoleria asfissiante e una curiosità eccessiva.

    «Perché mai dovrebbe essere una mia parente o amica? Non l’ho mai vista prima!»

    Gianni non si scompose e con la flemma di un maggiordomo inglese mi spiegò la ragione della domanda.

    «Strano, perché è entrata chiedendomi dov’era la festa di compleanno del Maestro, ed io le ho indicato il salone al primo piano. Mi ha detto che non voleva farsi vedere e avrebbe preferito aspettarla in un luogo meno affollato. L’ho accompagnata nella sala TV, dove non c’era nessuno, e stavo salendo le scale per chiamarla, quando ho sentito quell’urlo e sono sceso di corsa.»

    Questa volta la sua indiscrezione aveva un motivo ragionevole e accettabile. Addolcii l’espressione del viso.

    «Chi è stato il primo a vederla e ha gridato?»

    Gianni spalancò gli occhi ad anticiparmi quale sarebbe stata la sua risposta.

    «Non lo so, quando sono arrivato io, la stanza era deserta!»

    Il caso si faceva interessante: una donna misteriosa che entra nel circolo chiedendo di me e altrettanto misteriosamente muore su un divano, a prima vista per cause naturali.

    Il brusio dei soci e degli ospiti fu interrotto bruscamente dal suono lacerante di due volanti della polizia. Tornai nel corridoio per osservare l’ingresso principale del circolo, scommettendo con me stesso che avrei visto entrare un drappello di giovani in divisa e un ispettore con la parlata del Sud, i baffi scuri e i modi di un Montalbano.

    Entrò il drappello di giovani in divisa, che subito ci fece allontanare dal cadavere, e una donna in borghese con una massa di capelli ricci e lo sguardo vivace. L’ispettrice diede un paio d’ordini secchi ai suoi e in un attimo la scena del crimine fu chiusa da un nastro a strisce bianche e rosse. Tutti noi fummo pigiati nella sala ristorante come sardine in scatola. Un poliziotto iniziò a raccogliere le prime testimonianze e i dati di tutti i presenti, mentre la donna osservava la posizione del cadavere e parlava tranquillamente con due subalterni, come se la vicinanza di quel corpo senza vita non la disturbasse affatto. Arrivò anche il mio turno d’interrogatorio iniziale ma, come prevedevo, la notizia che quella sconosciuta aveva chiesto di me, cambiò la procedura.

    «Capone, il signore lo interrogo io» ordinò l’ispettrice rivolgendosi all’appuntato, ma indirizzando verso me uno sguardo intenso, pronto a cogliere e decifrare il minimo mutamento della mia espressione. Mi sentii frugare dentro e, non so per quali ragioni, al disagio si accompagnò una sensazione di colpevolezza. Mentre la poliziotta mi raggiungeva ad ampie falcate, iniziai a riflettere se non conoscessi quella donna. Forse l’avevo incontrata in qualche conferenza, o concerto o chissà dove. Nulla, quel viso non mi ricordava nulla. Assolutamente.

    «Buongiorno, sono l’ispettrice Ferrari» si presentò la poliziotta, porgendomi la mano che mi strinse con energia.

    «Piacere, Dall’Orso.»

    «Devo chiamarla Professore o Maestro?»

    «È sufficiente signor Dall’Orso» risposi impegnandomi a dimostrare una tranquillità lontana da me anni luce.

    In quell’attimo d’attesa, prima che la poliziotta iniziasse a pormi le sue domande, valutai quanto il custode fosse stato pignolo, come il solito, nell’indicare i miei ruoli professionali di docente universitario e del Conservatorio. L’ispettrice interruppe bruscamente le mie considerazioni.

    «Allora, signor Dall’Orso, il nome della donna?»

    «Non so chi sia. Non l’ho mai vista prima.»

    «Davvero? – mi domandò abbozzando un sorriso incredulo –Mi pareva d’aver capito che era qui per incontrare lei. Nella borsetta non ha alcun documento e speravo potesse aiutarci a riconoscerla.»

    Ribadii la mia testimonianza.

    «Mi spiace, ma non ho la minima idea di chi possa essere, né cosa volesse da me.»

    La poliziotta mi fissò alcuni istanti con un’espressione volutamente incredula, per farmi capire che aveva registrato la mia risposta come una bugia, e poi proseguì nel suo interrogatorio.

    «Immagino che lei non si sia mosso dal salone, dove tutti gli ospiti avranno voluto complimentarsi con il festeggiato…»

    Non potei nascondere il mio imbarazzo.

    «Ehm… La festa era appena iniziata e, a dire il vero, ho scambiato qualche parola solo con un paio d’amici.»

    «Gli altri l’hanno ignorata?» mi chiese sgranando gli occhi grandi e marroni. «Nessuno è venuto a portarle il regalo con tanto di pacca sulla spalla e tirate d’orecchio?»

    Avevo visto gli amici più intimi a casa mia, la sera prima e l’unico che di solito accompagnava la consegna del regalo con le canoniche tirate d’orecchio era Davide, inspiegabilmente assente.

    Risposi con un’alzata di spalle e considerando che, in effetti, a ben pochi degli ospiti interessava il mio compleanno, ma partecipare ad una festa in uno dei circoli più esclusivi della città. La maggioranza, poi, era costituita da conoscenti di Tullia.

    «Sembrerebbe una morte per cause naturali – proseguì l’ispettrice – per arresto cardiaco. L’appuntato Capone prenderà i suoi dati e lei non si allontani dalla città» concluse con un tono che non lasciava spazio a trattative.

    Assunsi un’espressione offesa e sbalordita. Non accettavo quel trattamento da presunto delinquente e formulai la domanda soppesando le parole.

    «Si spieghi meglio: se la donna è stata uccisa, sono sospettato?»

    Le rassicurazioni non arrivarono, così come le scuse.

    «Lo sareste tutti, in quel caso, e lei più degli altri. Buongiorno signor Dall’Orso.»

    L’ispettrice si voltò senza neppure stringermi la mano, come aveva fatto all’inizio del nostro colloquio, e si diresse verso l’appuntato Capone che mi guardò ostile. Dopo pochi istanti il poliziotto mi raggiunse.

    «Allora, lei è il professor Manfredi Dall’Orso. Nato a…»

    Osservai l’appuntato Capone: baffi neri, parlata del Sud, ma non era affatto un Montalbano.

    Terminate le procedure d’identificazione, uscii dal circolo e salii in auto piuttosto scosso, perché quando la morte ti passa accanto hai sempre la sensazione d’averla scampata per inspiegabili ragioni. La vittima, poi, era una donna giovane e affascinante e ciò accresceva ancor più quel disagio per un decesso non prevedibile e ingiusto, testimoniando la precarietà della vita.

    Mentre l’auto procedeva verso la statale, mia madre s’informava sulla vittima e ad ogni parola di mia sorella commentava con tono affranto: Povera bambina!, come se l’avesse conosciuta da tempo. Per lei, ottantaquattrenne, tutte le donne sotto i quaranta erano bambine al principio del loro cammino.

    Tullia restava in silenzio, ma immaginavo i suoi pensieri: chi era quella sconosciuta e perché voleva parlarmi in privato?

    Io guidavo sperando che la ragione di quella morte fosse una causa naturale, un arresto cardiaco, come aveva ipotizzato la poliziotta. Non avevo alcuna fiducia nella giustizia italiana, così farraginosa, con mezzi modesti e, soprattutto, troppo impegnata a perseguire, per motivi ideologici o di notorietà, politici e veline. Se si fosse trattato di un omicidio, probabilmente sarebbe rimasto insoluto.

    Arrivammo a casa e mi sdraiai su uno dei divani del salotto. Tullia non resistette alla tentazione di raccontare subito a sua madre l’imprevista avventura e si diresse verso il telefono appoggiato su un piano del mobile.

    «C’è un messaggio in segreteria. Sarà per te» mi disse sorpresa e scrutando il led del telefono che lampeggiava ad intermittenza il numero uno.

    «Ascoltalo tu» replicai svogliatamente, mentre accendevo il televisore e il decoder.

    Non feci a tempo a selezionare il sottomenù Cinema dalla schermata iniziale, che Tullia richiamò la mia attenzione con uno schiocco di dita:

    «È lei, la donna di oggi!»

    Presi la cornetta del telefono, riuscendo a sentire solo la voce registrata di servizio che mi chiedeva se volevo riascoltare, memorizzare o cancellare il messaggio. Naturalmente scelsi la prima indicazione.

    Salve, sono Emma Bruni, la compagna di Davide che tanto mi ha parlato di lei, professore, e della sua trentennale amicizia. Davide è scomparso e ho bisogno di parlarle di quel libro sui misteri della musica... Sarò al Circolo per la festa di compleanno. Avverta la polizia, se non dovesse vedermi.

    La voce registrata di servizio mi propose nuovamente le tre possibilità di scelta e questa volta diedi la preferenza alla seconda. Terminai il collegamento con la procedura indicata e chiamai subito la Questura che distava poche centinaia di metri da casa mia. Mi rispose il centralinista al quale chiesi di poter parlare con l’ispettrice Ferrari.

    «Ora non è in servizio – mi disse una voce maschile con uno spiccato accento calabrese – ma mi lasci il suo numero. Nel caso, sarà la dottoressa Ferrari a contattarla.»

    Nei film americani si vede sempre l’ufficiale di polizia o l’ispettore di turno che ti rifila il biglietto da visita dicendoti: Se dovesse ricordare qualche altro particolare, mi chiami a questo numero e a qualsiasi ora. La rappresentante delle forze dell’ordine non l’aveva fatto, se l’era tenuto in tasca o, con ogni probabilità, la polizia non gliene aveva mai fornito uno!

    Ero a conoscenza del nome della donna, che probabilmente era stata uccisa e voleva parlarmi di qualcosa legata alla scomparsa di Davide e al mio ultimo testo, ma dovevo sperare che l’ispettrice Ferrari, con la sua cascata di riccioli scuri, non fosse andata a ballare con il fidanzato o il marito. In fondo, era sabato sera. Non ebbi il tempo di formulare il pensiero successivo, che il telefono squillò cogliendomi di sorpresa.

    «Sono l’ispettrice Ferrari. Di cosa voleva parlarmi?»

    «Ho un messaggio nella segreteria telefonica: è della vittima. Si chiama Emma Bruni.»

    «Perché la definisce una vittima? Non abbiamo ancora il referto medico e nessun sospetto che si tratti di un omicidio»

    «Penso che sia stata uccisa. Mi aveva chiesto, con una chiamata telefonica alla quale purtroppo non ho risposto, di avvertire la polizia se non fosse riuscita a parlarmi.»

    Attesi impaziente il commento dell’ispettrice per sapere cosa fare. Dopo qualche istante mi arrivò la risposta.

    «Vediamoci in Questura.»

    «Ma la registrazione è nella segreteria telefonica di casa mia…»

    «Sua personale su cassetta o del gestore?»

    «Del gestore.»

    «Allora non si preoccupi. Fra mezz’ora in Questura. A dopo, signor Dall’Orso.»

    Clic.

    Questa donna incominciava a innervosirmi con i suoi modi sbrigativi e autoritari. Dovevo correre in Questura e senza cena per restarvi chissà quanto. Nei film americani si vede sempre l’ufficiale di polizia o l’ispettore di turno che arriva a casa tua con i modi garbati di un ospite o fintamente confusionari, ma sempre gentili ed educati, di un tenente Colombo.

    Me la presi con comodo, poiché potevo raggiungere la Questura in dieci minuti. Mentre Tullia mi preparava un caffé, ripensavo al mio libro e cosa avesse a che fare con la scomparsa del mio migliore amico e la morte della sua ragazza. Ne presi una copia e, dopo aver bevuto il caffé, uscii di casa e salii in auto.

    La nuova sede della Questura rientrava in quel gusto architettonico che sarebbe piaciuto a Mussolini, con i mattoni faccia a vista e la struttura essenziale, austera, romana. Attraversato l’imponente ingresso, mi ritrovai nell’atrio. Sulla sinistra, e protetta da vetri antiproiettile, la guardiola introduceva ad un lungo corridoio e al suo interno vi era un poliziotto addetto alle informazioni. Mi bastò dire il cognome, che immediatamente mi fu indicato un ufficio poco distante. Entrai e vidi Miss Riccioliscuri in una concitata discussione con il solito Capone. S’interruppero bruscamente e l’ispettrice mi fece accomodare davanti alla scrivania. L’appuntato uscì senza proferire una parola.

    «Ho già ascoltato il messaggio nella segreteria e la cosa evidente è che la Bruni la considerava un aiuto per ritrovare il suo compagno misteriosamente scomparso. Di che parla questo libro?»

    «Ne ho portato una copia – risposi porgendola verso la mia interlocutrice che iniziò subito a sfogliarla – e sostanzialmente tratta della notazione musicale usata nei secoli, soprattutto dai Massoni, quale codice segreto. Di qui il titolo: Oltre la musica

    L’ispettrice attese qualche attimo prima di condividere con me le sue riflessioni.

    «Quindi potrebbe essere che il suo amico…»

    «…Davide Salimbeni.»

    «…Che il suo amico Davide Salimbeni abbia incidentalmente ficcato il naso dove non doveva. La compagna era a conoscenza di qualche particolare e ha cercato aiuto da lei. Se questa tesi fosse esatta, lei potrebbe essere in pericolo di vita!»

    «Mi faccia capire» sollecitai non poco allarmato.

    L’ispettrice mi rispose ponendomi un’altra domanda.

    «Se qualcuno avesse usato la notazione musicale per comunicare informazioni riservate, lei potrebbe decifrare il documento. Il suo amico stava lavorando su qualche spartito in particolare?»

    Cercai di ricordare se, nell’ultima telefonata, Davide mi avesse menzionato qualche nuova ricerca. Avevamo parlato solo della sua nuova fiamma e niente di più.

    «Non saprei… Non mi ha accennato a nulla

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