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American dream
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E-book149 pagine2 ore

American dream

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Info su questo ebook

La storia di un sogno chiamato NBA Finals.
Tutta la serie finale 2012 tra Miami Heat e Oklahoma City Thunder riportata da un privilegiato insider.
Il racconto dove il basket e la passione si fondono.
LinguaItaliano
Data di uscita15 dic 2013
ISBN9788868851750
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    Anteprima del libro

    American dream - Simone Mazzola

    Copyright © 2013 Simone Mazzola

    Proprietà letteraria riservata

    Realizzazione eBook: CreaLibro

    Simone Mazzola

    AMERICAN DREAM

    Un infiltrato alle NBA Finals

    Prefazione di Alessandro Mamoli

    Se come il sottoscritto siete nati ad inizio degli anni ’70 è probabile che il primo colpo di fulmine con la pallacanestro NBA sia arrivato attraverso le mitiche partite della domenica mattina in programma su Italia 1. 

    Tra aneddoti esilaranti e Mamma butta la pasta, l’allora coach Dan Peterson impazzava al commento raccontando le gesta dei fenomeni d’oltreoceano.

    Ricordo ancora lo stupore quando per la prima volta vidi Larry Bird : Ma come? Il mitico numero 33 dei Celtics di cui tutti parlano è quel signore bianco con baffetti e fisico da ragioniere? Dai su non scherziamo

    A non scherzare in realtà era lui, che con la palla ci sapeva fare alla grande. 

    Con Magic, Jabbar, Erving, Isiah, Michael e tutti gli altri, mi catapultò in un mondo nel quale tutt’oggi sono intrappolato.

    Mai potevo immaginare che un giorno dietro a quel microfono ci sarei stato anche io. 

    Se avete in mano questo libro, l’afflato nei confronti del basket è quasi certamente superiore all’italiano medio.

    È probabile che siate degli addicted, ovvero quelli che - nonostante in mezzo ci si infili un discreto periodo di vacanza - l’estate è semplicemente quella lunga e noiosa pausa che separa la fine di una stagione dall’inizio di quella successiva. 

    Per voi James Naismith non era un semplice professore di ginnastica, ma un Dio sceso sulla terra nel lontano 1891 col compito di tramandare una religione capace oggi di raccogliere migliaia di fedeli in ogni angolo del mondo.

    In poche parole siete dei malati. Esattamente come il sottoscritto. 

    Nell’estate del 1989 il Milano-Parigi-San Francisco mi portò un mese in California per la prima trasferta negli Stati Uniti, quella che non si scorda mai.

    Sfiga però era agosto: La prossima volta in America, si torna quando gioca la NBA!.

    Mantenni quella promessa solo 12 anni più tardi nel 2001, quando in un mezzo tentativo di fuga dal viaggio di nozze rischiai, oltre al divorzio, un principio di infarto per eccessive emozioni causate da una straordinaria gara 1 di finale NBA. 

    La pallacanestro per me è sempre stata qualcosa di speciale. Ho cominciato a giocarla all’età di sei anni e da allora non ho più smesso.

    Quando nel 2002 assistetti alla mia prima finale NCAA da accreditato, finalmente vidi il basket da dentro. Ne sentii il respiro.

    Da quel giorno non potei farne più a meno. 

    Tra vacanze e viaggi di aggiornamento professionale, ogni scusa era buona per volare dallo zio Sam. 

    Arrivarono la prima volta al Cameron, l’immensità della Rupp Arena, il Dean Smith Center, più svariate arene NBA.

    Ancora oggi tutte le volte che entro in un palazzetto per seguire una partita dal vivo, mi accorgo di ciò che rende questo gioco diverso dagli altri. 

    Guardo le persone che mi circondano e penso: Noi siamo diversi. Il basket è diverso.

    Uno sport nobile. Una volta che lo hai incontrato, non puoi più farne a meno. 

    Il basket è passione.

    La stessa con cui Simone, in questo libro divertente e leggero, ci racconta come valga la pena fare sacrifici per... amore. 

    Perché come scritto a The Palestra: To play the game is great to win the game is greater but to love the game is the greatest of all.

    In una notte d’inizio estate milanese, quando il caldo e l’umidità non ti permettono neanche di starnutire senza sudare, l’unico mio interesse non è la scuola, bensì le NBA Finals del 2000 tra Los Angeles Lakers e Indiana Pacers. La sveglia è sempre puntata alle ore 3.00 della notte italiana per raggiungere, almeno televisivamente, la coppia Tranquillo-Buffa sul campo.

    La serie è quantomai bella e interessante, ci sono personalità e giocatori del calibro di Shaquille O’Neal al suo massimo splendore, il sempre più immanente Kobe Bryant, ancora alle prese con la coesistenza tra il suo smisurato ego e il più smisurato dei centri NBA ogni epoca, Reggie Miller in grado di uscire dai blocchi e segnare da ogni posizione e Jalen Rose, la mano mancina più educata della lega, che è stato in grado durante quei playoff di combinare un doppio quarantello proprio con il suo compagno di squadra tanto amico di Spike Lee.

    Dopo le partite, però, è sempre difficile tornare a letto e prendere subito sonno, infatti l’adrenalina di un episodio di finale, con due squadre a darsi battaglia su ogni possesso, è percepibile anche da chilometri di distanza e, io, la soffrivo tutta, impiegandoci delle ore per riaddormentarmi. La fortuna era che in quel periodo la scuola fosse terminata e quindi, nonostante bisognasse ancora appurare quale fosse la classe di appartenenza per l’anno successivo, ero libero di far tardi la mattina seguente.

    In quel periodo nacque quello che amo definire ancora adesso prurito da scrittura, dove per qualche strano motivo, vedendo o sentendo determinate notizie, avvenimenti, partite ecc. ti viene voglia di scriverci sopra, di dare una tua visione delle cose, condividere quelli che sono i tuoi ragionamenti e i tuoi sentimenti. Sentire il dynamic duo di Sky raccontare le gesta dei campioni dagli Stati Uniti, provando a intuire che diavolo di stupenda vita facessero e raccontare i contenuti dello sport più bello del mondo, mi ha fatto scattare quella molla di voler provare a fare un percorso dal basso e dire: Anche io un giorno proverò quelle emozioni dal vivo.

    Quella notte di mercoledì 14 giugno le emozioni erano irrefrenabili solamente per il supplementare leggendario di Kobe in gara 4, che aveva cominciato a scrivere la prima pagina della sua inebriante carriera con tiri in fade away di jordanesca memoria, canestri impossibili nel pitturato e una clutchitudine (passatemi il termine) da leggenda in the making.

    Ritornando a letto, nel solito tourbillon di pensieri e adrenalina, è scattata quella molla che mi ha fatto realizzare che un sito di basket sarebbe stata la perfetta coronazione del mio sogno di scrittore cestistico d’assalto. Da quel momento, le ore d’insonnia post partita sono diventate un’intera epoca, trascorse nel pensare come avrei potuto strutturarlo, di cosa parlare, con chi, di quanta gente avrei avuto bisogno e di quanto, qualche anno dopo, avrei potuto goderne, andando a vivere il basket accanto ai protagonisti.

    Pensavo già a bellissimi siti dalla grafica accattivante, interviste con i migliori giocatori del mondo e approfondimenti fatti in modo non esemplare dal punto di vista lessicale, ma col cuore. Ero convinto che i professori non capissero il mio modo di scrivere e che nessuno credesse in questa mia crociata solitaria. La realtà è che io scrivevo in modo scadente solamente perché spesso gli argomenti erano di scarsissimo interesse. Non è un caso che abbia avuto i miei picchi di notorietà linguistica proprio su temi di attualità o tematiche interessanti da sviscerare. Nonostante ciò, ho fatto poi capire a tutti che quel pazzo di 15 anni, che si credeva perseguitato dalle feroci professoresse d’ italiano- quello di cui dicevano l’alunno è intelligente ma non si applica-, non aveva proprio tutti i torti.

    La mattina dopo quella gara 4, decisi che era il momento di mettersi all’opera: prima di tutto mi serviva una pagella positiva che mi permettesse di farmi i porci comodi per i tre mesi estivi, dopodiché avrei dovuto mettermi a lavorare alacremente al mio progetto, dandogli precedenza addirittura sugli amori estivi dell’età puberale.

    La realtà della costruzione di un sito internet fu subito uno choc perché le vie percorribili erano due: l’autodidattismo o la commissione a qualcuno di competente.

    Ovviamente la scelta per uno squattrinato ragazzo del liceo era l’autodidattismo. La spensieratezza e la supposta forza che credi di avere a quell’età, ti fanno pensare che nessuno ti possa fermare nelle tue idee e, consultando internet con le prime connessioni a 56k, mi avventurai per la prima volta tra sottoscrizioni di abbonamenti per domini web, programmazione html, php ecc. che mi sbatterono davanti in malo modo tutte le difficoltà di questa idea.

    I facili entusiasmi erano smontati in poco più di mezz’ora di ricerche. Il più classico dei ritorni sulla terra con botta nelle terga. A quel punto l’unica soluzione era ridimensionare leggermente l’idea di portale e farlo partire come un piccolo sitarello unipersonale.

    Le Louis Vuitton sotto gli occhi cominciarono a farsi pronunciate, sino a quando non trovai una guida per i dummies che mi avrebbe aiutato nella creazione di un sito molto semplice. Un secondo dopo ero vestito con maglietta e pantaloncini alla volta della libreria.

    Scusate, avete questa guida per creare siti internet?

    Si, guarda, è là in quello scaffale sulla destra.

    Grazie signora. Vado subito a vedere.

    Volando verso lo scaffale ho trovato la mia guida: copertina rossa e blu come l’avevo vista in rete, il titolo combaciava perfettamente, le pagine e l’editore pure, quindi era il momento di andare alla cassa.

    Una volta pagato e ritirato il sacchetto, facevo veramente fatica ad attendere l’arrivo alla fermata del tram. Era un libro che prendeva vita crepitando all’interno del sacchetto e cercando di saltarne fuori.

    Dovete capire che l’attesa dei mezzi pubblici a Milano è una delle scienze meno esatte d’Italia. Ero in piazza Cadorna ad attendere il tram corto della linea 1, che mi avrebbe riportato a casa, davanti al computer, pronto a sguinzagliare tutte le idee che finora erano rimaste solo nella mia testa.

    Leggo la copertina, il retro, l’edizione e sto benedetto 1 nemmeno si degna di arrivare. L’orizzonte è vuoto e sotto i 30° milanesi, con un’ umidità pari a quella di una sauna; non vi sto neanche a spiegare qual era la situazione della mia maglietta. Dopo i dieci minuti d’ordinanza, arriva il tram e finalmente posso sedermi ad aprire il mio libro. Aspettavo talmente tanto il momento che quasi mi dimentico l’obliterazione del biglietto (vero è che, visto il personale presente sul tram, ero l’unico ad averci pensato).

    La lettura parte dai credits dell’autore, della casa editrice e del titolo. Come creare un sito web in poche e facili mosse, il classico slogan che, all’epoca, era tipico delle televendite, ma ora era la chiave per il mondo del giornalismo.

    Il viaggio sul tram è stato, come sempre, relativamente confortevole, ma la mia fermata era arrivata e il sacchetto era di nuovo crepitante. A ogni semaforo guardavo dentro se ci fosse ancora, come quando si ha

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