Il pallone che cammina
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Giovanni Toia in radiocronaca, imbattibile. Nessuno come lui, inutile abbozzare timide iniziative manuali. Per informazioni più dettagliate chiedere al Buddah di Piazza Cacciatori della Alpi a Varese. Chi non sa si informi, e nell’attesa, cortesemente, legga il libro del Giuan. L’amore per una squadra, di calcio nel nostro caso (la Pro Patria), è anche questo: saper raccontare con il giusto trasporto, saper tradurre su carta una passione.
(dalla prefazione di Roberto Pacchetti, direttore di Rai Tre Lombardia)
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Anteprima del libro
Il pallone che cammina - Giovanni Toia
Giovanni Toia
Il pallone che cammina
ISBN: 9788899165383
Questo libro è stato realizzato con StreetLib Write
http://write.streetlib.com
Indice dei contenuti
PREFAZIONE di Roberto Pacchetti
I PRIMI PASSI
BATTESIMO NERAZZURRO
LA PRO STELLARE
SACCONAGO E’ AMICO DELLO SPORT
CHE BELLA FATICA
LA PREALPINA
FUSIONE A…CALDO
UNA PROVINCIA FANTASTICA
ALLENATORI? SI, MA UOMINI
EMOZIONI DA STADIO
L’ITALIA IN BIANCOBLU’
IL GUARITORE
IL DERBY
GIACCHETTE MOLTO NERE
GRIFONE SENZA ALI
LA PARTITA STORICA
I QUATTRO MOSCHETTIERI
IL PIANTONE
Studio Marinoni
S MOwnPublishing
© Copyright 2019
StudioMarinoni OwnPublishing
Corso Sempione 36
20154 Milano
www.smownpublishing.com
www.studiomarinoni.com
studio@studiomarinoni.com
Copertina e grafica Vilma Cernikyte
ISBN 9788899165383
PREFAZIONE di Roberto Pacchetti
Direttore di Rai Tre Lombardia
Alzi la mano chi può pronunciare un nome particolarmente ostico come Romairone con la dovuta enfasi sportiva. Giovanni Toia in radiocronaca, imbattibile. Nessuno come lui, inutile abbozzare timide iniziative manuali. Per informazioni più dettagliate chiedere al Buddah di Piazza Cacciatori della Alpi a Varese. Chi non sa si informi, e nell’attesa, cortesemente, legga il libro del Giuan. L’amore per una squadra, di calcio nel nostro caso, è anche questo: saper raccontare con il giusto trasporto, saper tradurre su carta una passione. Certo, condivisa, non sempre con favore: mamma Lisetta prima, la moglie Mariangela dopo, hanno sopportato in silenzio (ma sarà davvero così?) a differenza dei tanti, chiassosi e spesso polemici, compagni allo stadio, il piantone che tutto osserva e… quel pallone che cammina. Insomma, io ho follemente amato, nel più assoluto riserbo, gli articoli che trasudavano affetto autentico e orgogliosamente sincero ma soprattutto quelle tele/radiocronache meravigliosamente di parte (non faziose, sia chiaro, ma si capiva dai…). Ebbene si, se devo associare un nome alla Pro Patria degli amati
bustocchi (non vi sto qui a dire della accesa rivalità con i varesini, autentica e mai sopita, chi lo nega mente) penso solo ed esclusivamente al baffo di Giovanni Toia, un bravo collega che saltuariamente lavorava in banca (non è vero dai, ma al suo interno non riceveva solo telefonate di lavoro, oggi si può dire, è tutto prescritto), capace di raccontare derby, aneddoti, suggestioni, senza mai violare un segreto, un racconto da spogliatoio, una confidenza. In passato ho amato tanto il Varese Calcio e soprattutto la Pallacanestro Varese. Anni meravigliosi, indimenticabili, ma davvero, senza retorica! La vita poi cambia, c’è meno tempo per tutto, ma la passione no, quella rimane per sempre. Mi sono piacevolmente stupito quando mi ha chiesto di scrivere una breve prefazione al suo libro, ma ho accettato in virtù della comune militanza sui quotidiani di Varese che ci ha legato profondamente in un periodo in cui avevamo i capelli neri, o semplicemente i capelli in qualche caso. Certo, lui bustocco e interista, io varesino e juventino, vedete un po’ voi…
Comunque leggetelo, mi raccomando, con leggerezza e più sorrisi possibili. E fatemi sapere.
Un abbraccio a tutti e… Forever Pro!
I PRIMI PASSI
Era, probabilmente, un sabato di novembre. Da quattro mesi mi ero sposato e ci ero cascato, si fa per dire, a 42 anni, dopo dieci anni, sei mesi e undici giorni di fidanzamento. Nel primo pomeriggio accompagnavo la mamma Lisetta al cimitero. Una breve visita al suo Cesarino, lì accanto anche la tomba dei miei nonni materni Maria e Ambrogio (in dialetto Mietta e Busò) oltre a quella dello zio don Silvio.
Mentre usciamo dal camposanto incontro un amico, Sandro Pellegatta, ex giocatore di calcio, ma anche ex allenatore di Cas Sacconago e Sanmacarese (per citarne alcune), ma soprattutto grande e raffinato intenditore di pallone. Per la cronaca suo padre aveva giocato ed aveva allenato la Pro Patria in serie A. Insomma uno col pedigree col quale poter parlare di pallone ad un livello qualitativo alto, lontano dai consueti clichè da bar, con tutto il rispetto per quelle discussioni alle quali eccome se ho partecipato. Beh, siamo nel pieno di un’interessante discussione e poco distante da noi due sento la Lisetta che commenta "…macchè, ha ancora la testa nel pallone il mio Giovanni nonostante si sia sposato. Pensavo che una volta messo su famiglia avrebbe piantato lì. Inveci l’è pegiù da prima…". Stava parlando proprio con la moglie del Sandro che, appunto, le chiedeva se non avessi ancora chiuso con quei 450 grammi di cuoio.
Ma come avrei potuto. Persino il giorno del mio matrimonio non è sfuggito al richiamo del pallone. Mariangela voleva a tutti i costi sposarsi di giovedì. Era il 1996. Diedi uno sguardo al calendario e zac mi balza l’occhio su una data: 11 luglio, un giovedì. Gliela propongo. Mi chiede il perché di quel giorno e, simulando un leggero fastidio, le rispondo che si tratta appunto di un giovedì, come desiderava, e di piena estate, che ci avrebbe permesso poi un bel periodo di ferie. Le confessai l’inganno un bel po’ dopo che fummo sposati. Avevo scelto quella data perché la domenica 11 luglio 1982 l’Italia aveva vinto i mondiali in Spagna. Erano quarantaquattro anni che non accadeva! Una vita. Come potevo lasciarmi sfuggire l’occasione di incastonare la data del matrimonio con un avvenimento straordinario per un amante del calcio!? Volevo che anche il pallone fosse invitato quel giorno. Ancora mi viene la pelle d’oca quando rivedo le immagini di quell’irripetibile e magico Mundial. Quel crescendo dall’Argentina, al Brasile, passando per la Polonia per finire all’apoteosi con la Germania. Pensava scherzassi, quando glielo confessai, ma mai ero stato tanto sincero. E vogliamo parlare del luogo dell’unione? Nientemeno che Appiano Gentile, al santuario della Madonna del Carmelo, che dista neppure un chilometro in linea d’aria dalla Pinetina dove si allena l’Inter. Il destino.
Quando attorno ai ventidue/ventitrè anni la Lisetta mi chiedeva se non era il caso di " fare la morosa", le rispondevo che l’avrei trovata in soli due posti: o allo stadio San Siro o ad Appiano Gentile. Quando conobbi Mariangela non le dissi subito che era di Lurago Marinone, ma appunto di Appiano Gentile (il paese confinante), la Lisetta pensò che la stessi prendendo in giro. Le dissi che era tutto vero. Pensò subito che Mariangela fosse un ultrà. Una scalmanata della Nord. Una di quelle che non fanno le pulizie o non fanno da mangiare al marito per andare allo stadio. Invece era ed è l’opposto. E’più vicino Marte alla Terra che Mariangela al calcio!
Abiurare il pallone era come se mi avessi amputato un arto. Un’operazione da masochista. Che vita sarebbe senza una gamba o un braccio? Certo esistono le protesi, ma avrebbe senso farsi del male da soli? E poi, per quale motivo avrei dovuto " bucare" il pallone? Non era e non è mai stato, non lo è ancora, un vezzo, un capriccio, un qualcosa che mi abbia proiettato fuori dalla realtà. Ha fatto parte ed è ancora partecipe della mia vita; è una parte importante e non mi ha mai fatto deragliare. E’ nel mio dna. Avete presente il grafico del dna con quella specie di torre tutta attorcigliata contornata da pallini di vario colore? Beh, se mi facessero l’esame, al posto dei pallini troverebbero dei piccoli palloni. Tanti minuscoli Telestar, quelli a esagoni bianchi e neri. Inimitabili.
Ma da chi avevo ereditato questa passione per il calcio? Un interrogativo che mi sono portato appresso per anni senza trovare una risposta che poi ho scoperto era lì a portata di mano. Quella domanda quasi ciclicamente mi passava per la testa, ma durava lo spazio di qualche secondo. Forse le mie sorelle Annamaria e Vittorina qualcosa mi avevano trasmesso, ma roba molto blanda, pensavo. Che non è proprio vero del tutto. Devo ammettere con onestà che mi hanno tolto dalle grinfie del Diavolo per farmi abbracciare da quelle del Biscione. Nel cortile dei Mangiti(ogni cortile aveva una sua identificazione), in via San Carlo 4 a Sacconago dove sono nato, c’erano un paio di tifosi milanisti che subito avevano messo l’occhio sull’ultimo maschio della corte. Nei primi anni tentarono subito di farmi entrare nel club dei Casciavit. Ci fu però il pronto intervento delle due dame della carità, che mi iscrissero di forza o di diritto a quello dei Bauscia. Sono sicuro, però, che già nel grembo della Lisetta ero interista, nonostante il là all’opera di modellamento l’avesse dato il Cesarino, di fede juventina, anche se lui ci diceva sempre che era, prima di tutto, uno sportivo. Ma ve lo immaginate un gobbo che dice di essere sportivo? Sarebbe come dire che al Polo Nord puoi stare con costume ed infradito. Il suo credo veniva prontamente smentito e si divertiva a sbugiardarlo proprio la Lisetta che gli rimproverava il broncio quando la Juve perdeva. Il Cesarino negava con rabbia, confermando proprio di essere un gobbo fatto e finito.