CHI SEI: Renato Zero, luci ed ombre di un carisma
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Come si passa da reietto, sconfitto, corpo estraneo in un Paese bigotto, vaticano, a re d'Italia, ben oltre la sfera musicale? Quanto rimane del giovanotto incerto e convinto, che doveva guardarsi le spalle ad ogni uscita, che accumulava ferite e cicatrici che ancora bruciano, a protagonista, figura ieratica che fa scattare l'appaluso, la standing ovation a qualsiasi epifania? Pochi ci sono riusciti, Renato Zero più e meglio di tutti. Oggi è patrimonio nazionale, nessuno più lo contesta, lo discute, lo giudica. I prezzi da pagare, però, ci sono stati, e sono stati cari. Una lotta estrema, eterna, col proprio doppio, fra istrione e uomo; la simbiosi col pubblico, maer di facce senza volto che risucchia nei suoi gorghi di pretese e alienazione; la ricerca, quasi, di una crisi definitiva, risolutiva; il ritorno al successo e a un se stesso nel frattempo mutato. Fino al trionfo definitivo dell'artista che ancora non smette di cercarsi, e che oggi deve temere, di se stesso, solo le certezze acquisite, il rispetto esagerato, la sudditanza perfino patologica nei suoi confronti. Una Favola appassionante e inquietante, che non finisce mai, e che andava raccontata nei suoi riferimenti artistici, letterari, filosofici, metafisici, esoterici...
Massimo Del Papa
Faccio il giornalista dal 1990. Ho scritto alcuni libri, di preferenza in formato ebook.
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Anteprima del libro
CHI SEI - Massimo Del Papa
Chi Sei
Renato Zero, luci ed ombre di un carisma
Massimo Del Papa
Copyright Massimo Del Papa 2013
Published at Smashwords
Chi sei? Dai non bussare, ho capito chi sei...
(Chi sei)
La sincerità. Prima mia virtù, Forse adesso è falsità. Chi sei?
(Io uguale io)
A stento mi sopporto da anni oramai, La domanda è la stessa: chi sei?
(Calendario)
Nessun artista tollera il reale
(F. Nietzsche)
INDICE
L'uomo qualunque (intro)
Il delta della vita
Ti vivrò accanto
Il coraggio di essere Zero
Ho fatto il viaggio insieme a te
Un insano presente
Via dai Martiri
Vivo dal vivo
Sorridere quando?
Solo con Zero
Da Zero a infinito
Lasciami qui, lasciami qui, magari è giusto così
Silenzio... Sto nascendo!
Sono nato per questa vita
Prenditi quello che rimane
Sarai tu la tua canzone?
L'attesa
Finale – Un circo lontano
Appendice - ZEROPEDIA - pillole di Zero disco dopo disco
L'album ideale
AVVERTENZA
"Quando una minchia diventa troppo grande, non esiste perché nessun culo la può più contenere". Così Carmelo Bene, parafrasando Frank Zappa. I riferimenti anatomici, ovviamente, vanno letti in chiave allegorica e l'aforisma vale per tutti: solo Dio è talmente espanso da permettersi di non esistere. Essere ovunque è come non essere in alcun luogo. Si satura ogni assenza, si colma ogni improbabilità. A quel punto, Dio può anche limitarsi all'autocontemplazione, ma l'uomo, carne umana, ne viene, invece, punito irrimediabilmente: la Nemesi che Dio gli spedisce, è semplicemente se stesso. A quel punto, non resta che sparire o trasfigurarsi nella santità anodina. Che è il rischio del quale si racconta qui.
Nella primavera del 2009, in concomitanza con l'ultimo album di Renato Zero, Presente, uscivo in libreria con un lavoro dedicato all'opera omnia di questo autore così anomalo, interessante e, tutto sommato, sottovalutato: l'ingombrante carisma del personaggio aveva offuscato a lungo il valore dell'artista, del musicista, ed io mi proponevo di rimettere Zero al posto che gli competeva come autore. Sia pure da ammiratore scoperto, non lesinavo le critiche: eppure il libro venne accolto con favore nella comunità dei sorcini o zerofolli che dir si voglia (esistono, al riguardo, distinzioni degne di un sofista, che a me tuttavia continuano a sfuggire). Forse a convincere i lettori, al di là dei giudizi di merito sui singoli dischi, sui brani in quelli contenuti, fu il ritratto che dal libro usciva: quello di un ribelle, camusianamente uomo in rivolta, uomo che dice no
, capace di mantenere una sua integrità a dispetto del successo, della crisi e poi del definitivo trionfo, nel segno di un ritorno sul quale solo Zero stesso aveva saputo scommettere. Mi pareva d'aver detto proprio tutto con quel libro nel quale scorrevano più o meno trecento canzoni, ciascuna contestualizzata sia nel tempo in cui nasceva che nella vicenda esistenziale di Zero. Ma non ci ho messo molto a capire che mi sbagliavo. Non solo per il naturale dinamismo del soggetto, tutt'altro che smarrito nell'affrontare il problema della sua onnipresenza all'alba dei suoi 60 anni: Zero non è mai stato così sovraesposto, così presente, in particolare sul palco, dove si è concesso senza risparmio nei suoi tour quanto in frequentissime partecipazioni ad eventi di beneficenza o altrimenti televisivi.
Nel frattempo, la sua consistenza d'artista sembrava ancora mutare. Certe attitudini, affacciatesi nell'ultimo decennio, prendevano ormai il sopravvento su un passato glorioso, continuamente evocato ma allo stesso tempo sempre più staccato. Non lontano: proprio distante dall'interessato, ormai trasfigurato, risolutamente stabilito su un tutt'altro che impervio sentiero di buoni sentimenti, di valori assoluti, di omelie nel difenderli (con qualche incoerenza). Non che questa attitudine fosse mai mancata; ma veniva riscattata da un'abbondante dose di sana follia, di imprevedibilità. Mentre dalla riconquista del successo in poi, ogni orpello nel segno della trasgressione, del peccato
, veniva via via a cadere lasciando il protagonista nudo con le sue virtù. Processo che sembrava sconcertare sempre più fans, e con sempre maggiore intensità. A questo punto della carriera, quella rivoluzione pare definitivamente compiuta, anche in senso artistico. Di pari passo, la tensione ieratica sembra non conoscere più freni, nel segno di una normalità
quotidiana all'insegna di un ostentato basso profilo che stride non poco con la proiezione pubblica, viceversa sempre più totemica.
A questo punto ho sentito l'impulso non di correggere qualcosa del primo libro, che riscriverei grossomodo identico (le canzoni sono lì: nessun giudizio può venirne inficiato); ma di aggiungere spunti di riflessione su una attualità che si riverbera nell'immediato futuro: se il presente è questo, il domani minaccia di suonare sempre più pacificato, parificato, livellato e, in definitiva, banale. Il che, mi pare, non è da Renato Zero, anzi sarebbe proprio annullare se stessi. L'unica risposta resta l'ascolto: perché, al netto di ogni speculazione, quello che conta è la musica, e quello che resta è la canzone. La sua canzone, specchio dell'anima, testimonianza di un peccato e una virtù.
Così muovendosi le cose, mi pareva doveroso testimoniare, da ascoltatore e non da critico
, dimensione di cui diffido e che non mi appartiene, di una controversa mutazione – da lieve peccatore a santo un po' ingombrante - a costo di deludere o, peggio, scandalizzare qualche sorcino militante. Pazienza: chi scrive, spesso, ha il dono della diplomazia, ma non quello di sapere vedere quello che c'è. Io, potendo scegliere, preferisco quest'ultimo.
MDP
L'uomo qualunque (intro)
Può accadere, girando per Roma, d'imbattersi in un signore più anziano della sua età, più giovane della sua età. Quel signore, di nero vestito, neri i capelli (tinti), per mano alle nipotine o con una sporta della spesa, un po' appesantito, di Roma è il re. Lo è dell'Italia intera. Prima l'ha scudisciata, poi l'ha accarezzata, ma sempre con immutato amore. Ne ha combinate in vita sua, Renato Fiacchini in arte Zero, classe 1950, ma la sua impresa definitiva ha davvero dell'impossibile: rinunciare al successo potenziando il successo, mettere nel cassetto il divismo andando oltre il divismo. Dopo 40 anni e passa di carriera avventurosa, assistendo allo sfrecciare di meteore annunciate, all'inabissarsi di campioni a fine corsa, resistendo anche a se stesso, al boicottaggio, all'affermazione, al declino e al trionfo. Come lui nessuno mai, davvero. Fin da subito. E adesso può permettersi di vivere in una nicchia di normalità più o meno alienante, da cui fugge se vuole, quando vuole: ormai si produce da solo, si distribuisce da solo, si gestisce da solo, si pubblicizza perfino da solo, caso rarissimo, forse unico in Italia, di prodotto (di se stesso) cercato dai media anziché il contrario. Renato Zero è la sua comunicazione, delegata, per i dettagli, a un nucleo ristretto di collaboratori perlopiù familiari, con esiti a volte discutibili. Ma basta lui, la sua faccia, il suo carisma che non conosce età. Zero si porta dietro una caratteristica rara, tipica dei grandi: la freschezza di un'adolescenza sbocciata in una frattura del tempo, coincidente con la ricostruzione industriale del dopoguerra, quando tutto era possibile, e tutto succedeva. Lui ha saputo cavalcare quella spregiudicatezza senza mai rinunciare al sorriso, all'incoscienza fertile, ad una sana follia che ha sempre innervato i suoi dischi, le sue copertine, i travestimenti, gli atteggiamenti. E le sortite pubbliche. Questo è forse il principale segreto di un personaggio che sarebbe riduttivo definire cantante, cantautore, o anche genericamente artista. Zero è una summa di esperienze artistiche ed esistenziali, e il suo talento è averne fatto propellente per la musica, per quelle canzoni che si sono sempre ribellate al loro recinto distendendosi come un ponte per la gente.
La gente! Quante volte l'ha cantata Renato. Ci potrebbe fare una compilation apposta (come non scritto: capace che ci prende in parola). Egli gronda gente, anche con spreco di retorica, come è tipico di lui, ma una retorica che non rinuncia ad una convinzione di fondo: Zero sa che il suo durare consiste in quel rapporto ora amoroso, ora insofferente, con un pubblico che da anni non è più pubblico, è parte integrante della Favola, con tutti gli scompensi che una simile dimensione comporta. È astuto il ragazzo, non sai mai quanto sia lui a dipendere dai sorcini, gli zerofolli, gli zeromatti, o il contrario, in una morbosità reciproca che lui ha sempre coltivato, sia pure riscattandola con scelte coraggiose e con una sostanziale onestà di fondo. Quando canta Io non ti ho mai tradito
, ha ragione: il suo quarantennale canzoniere è un Ecce Homo di inusitato egocentrismo ma di altrettanta lealtà verso un pubblico che difficilmente ha capito quei tormenti, quei ripensamenti, quelle confusioni tra l'Io e il suo doppio che fin dall'inizio agitano l'animo del giovane Fiacchini; gli esempi, le richieste d'aiuto, non si contano, già nello spettacolo di Zerofobia, che si conclude con un tragico dialogo tra il sé e l'altro da sé, tra ambizione e coscienza; e poi, ancora, in Io uguale io, in EroZero, in quel chiedere Tregua, nella sequela di dischi successivi, di urgenza sempre più scoperta, drammatica, quell'ammettere di essersi inventato tutto quel po' po' di carnevale "Per non essere così". Sdoppiamento non tanto sessuale, proprio esistenziale, che deriva dal sovraccumulo di esperienze, vissute anche per conto terzi, oppure direttamente assorbite dal dolore altrui. E tu, dov'eri, pubblico, massa di volti senza faccia, ora tenerissimo, ora crudele?
Quando Zero perde il successo, a metà dei maledetti anni Ottanta, per cause mai del tutto chiarite (né l'interessato si è degnato di analizzarle a fondo, almeno pubblicamente, preferendo l'allusione reiterata, scegliendo di concentrarsi su non meglio precisate manovre di un non meglio precisato sistema contro di lui), Zero fa i conti con un successo amaro. Dove siete, adesso, amici miei? E non si rivolge più ai compagni di un tempo, rimasti indietro, naufragati in una corsa delirante verso la gloria che al Piper sbocciò per subito sfiorire. È agli zeri del mondo, ai nessuno che