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Malistatopia: Per una nuova soggettività individuale e sociale
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E-book218 pagine3 ore

Malistatopia: Per una nuova soggettività individuale e sociale

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Malista, in greco antico "certo, possibile". L'autore traccia un sentiero, una visione frutto delle sue esperienze di vita. Propone un'alternativa possibile, e necessaria, per ricostruire una nuova collettività in un nuovo mondo.
LinguaItaliano
Data di uscita9 mar 2018
ISBN9788827502402
Malistatopia: Per una nuova soggettività individuale e sociale

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    Anteprima del libro

    Malistatopia - Edoardo Gallovics

    possibile.

    PRESENTAZIONE

    di Emiliano Zotti

    Non avrei osato scrivere queste righe se non mi fossero state sollecitate direttamente dall’autore di Malistatopia. Non lo avrei fatto perché ritengo questo scritto non un semplice saggio ma una profonda confidenza che l’autore regala a chi lo legge. Come tutte le confidenze, come tutte le vite, il commento è spesso ingiusto e sbagliato.

    Volendo tradire quella che io personalmente ritengo essere l’essenza di questo libro forzandola in uno statuto di tipo saggistico, Malistatopia mi sembra sia più simile ad una traccia piuttosto che ad una strada. Come ogni traccia presenta un andamento riconoscibile che però si (con)-fonde col terreno che solca: il territorio da esplorare è l’esperienza umana del mondo nella dimensione storica (in questo libro si fa antropologia culturale), la traccia che ci conduce è la proposta malistatopica. Tuttavia la dimensione non svelata che il testo suggerisce non impedisce all’autore di formulare in modo chiaro una sua teoria della storia, una sua personale visione del mondo. Gallovics coinvolge il lettore in un gioco dialettico ed al tempo stesso maieutico di domanda e risposte e lo fa col suo modo schietto, mai ampolloso, a volte brutale nelle sue affermazioni. Da un lato ci si interroga su quali esperienze e quali prove la vita abbia riservato all’autore ed in che modo lo abbiano spinto a elaborare in maniera spesso originale molti dei temi di fondo che, permettendomi di utilizzare una categorizzazione ottocentesca, definirei radicale. Dall’altro lato ci si ritrova fra le mani un testo che urla la sua identità, pretende, per i rimandi alle autorità di pensiero che contiene, di essere ricondotto ad una tradizione culturale ben definita: materialista, liberalsocialista e autenticamente pacifista.

    Porto come unico esempio la questione di genere così come viene trattata. Pochi non si riconosceranno nelle sincere parole dell’autore che, ribaltando i punti di vista e adattando al vissuto quotidiano traccia un rapporto tra i generi originale, ispirato dall’assoluta parità pur essendo contestualizzato nei ruoli sociali, ma sempre inserito in una prospetti-va antropologica olistica ed organicistica.

    Malistatopia è, a mio avviso, uno scritto autentico reso tale dal frutto dell’esperienza di una vita. Credo sia un libro che vada letto come una continua proposta di contenuti che spaziano nei più ampi campi dell’esistenza.

    INTRODUZIONE

    La pace, l’uguaglianza, la libertà, il lavoro, la condivisione, lo scambio di doni, la compartecipazione, la comunanza e la convivialità, la solidarietà e la proprietà collettiva socializzata sono alcuni valori che costituiscono i gradini di una scala possibile e significativa dei rapporti e delle relazioni sociali. Questa scala ha un luogo certo e unico, straordinario e privilegiato di riferimento, il pianeta Terra, e perciò non è utopia , cioè senza luogo. Allora quando si fa riferimento a un luogo certo, la possibili-tà diviene topia anzi malista*-topia. Malistatopia è un progetto, un per-corso, un quadro d’insieme che può e vuole rappresentare un cambia-mento radicale della realtà contro cui intende muoversi; una alternativa allo stato attuale dei rapporti e delle relazioni, una diversa soggettività individuale e sociale in grado di trascendere alcune forme preesistenti e offrire, quindi, una prospettiva migliore di futuro alle nuove generazioni: una Evoluzione.

    Pubblicando Utopia nel 1516, Thomas More non immaginava la distorsione e la cattiva interpretazione testuale e contestuale che sarebbero avvenute del messaggio implicito in quel meditato libro. Il radicato umanesimo e la purezza del suo sentire le ragioni umane, attraverso la metafora del luogo che non è , non difettavano sicuramente di realismo e di razionalità. Nella lettera all’amico Pietro Gilles, egli si confida con larghezza di vedute e la sua, a un certo momento, sembra quasi una esternazione: Sebbene […], a dir vero, nemmeno io ho fissato meco stesso se fare davvero questa pubblicazione. Così vario infatti è il gusto dei mortali, così bisbetica l’indole di alcuni, così sconoscente l’animo e così inetto il giudizio, che verso costoro si trova non poco meglio, pare, chi si lascia andar al proprio genio allegro e gioviale, anziché chi si cruccia di pensieri per pubblicar qualcosa che riesca di utile o di diletto a uomini; che invece mostrano nausea e non provano riconoscenza. ; continuando la confidenza:

    " Vi sono poi alcuni così sconoscenti che, pur dilettandosi straordinariamente dell’opera, non per questo ne vogliono più bene all’autore, non dissimili da ospiti sgarbati che, pur accolti signorilmente a un son-uoso banchetto, se ne tornano alfine sazi a casa, senza sentir riconoscenza per chi li ha invitati. Va’ ora a dare un banchetto a gente di pa-lato si fine, di gusti così diversi, di animo così memore e grato!" (1) Sicuro! Vai a dare un banchetto (il progetto Utopia) a gente di palato sì fi-ne, di gusti così diversi, di animo così memore e grato come e quanto, oggi, si ritrova ad essere la gerarchia ecclesiastica cattolica che, dopo ben 484 anni, ancora si diletta dell’autore, ma biasima e diminuisce la sua opera! Nel 1935, infatti, Pio XI lo proclamò santo, beatificando così una morte in nome di una religione. Ma il messaggio di fratellanza, di uguaglianza, di comunanza, di giustizia e di libertà che Thomas More diede a tutti noi, viene tuttora bellamente ignorato o distorto.

    La stessa gerarchia ecclesiastica trascura di fatto quei valori arrogandosi, invece, la presunzione di definire la natura umana come peccatrice ed egoista, caricando moralmente questi significati e lasciando in-tendere che sarebbe puro sogno la possibilità concreta di una realizza-zione terrena dei rapporti materiali e non materiali atti a costituire una nuova Etica, una nuova, diversa e migliore soggettività collettiva e sociale. Ma di tutto ciò non ci si deve meravigliare tanto; infatti, solamente nel 1835 e, più tardi, ai tempi di Giovanni XXIII [ investitura papale davvero straordinaria del XX sec. - n.d.a. ], la Chiesa si degnò di annunciare al mondo che Galileo era nel vero e che i pianeti orbitavano, ovviamente, attorno al Sole. Quanta disattenzione voluta, e quanta testardaggine dogmatica rispetto a verità così semplici e svelate!

    Autentico umanista dei suoi tempi, accanto a Erasmo da Rotterdam e al Colet, acceso sostenitore della religione universale di Marsilio Ficino, Thomas More rivolgeva pure le sue ammirazioni al Savonarola e al Pico (Giovanni conte di Concordia). Come Erasmo nell’ Elogio della pazzia, egli si scaglia contro il farisaismo ecclesiastico, contro dialettici e teologi, contro il princìpio di autorità negli studi e invia una lunga lettera polemica al teologo tedesco Dorp, attaccandolo con parole invero micidiali: il teologo è come un gallo che canta nel suo immondezzaio e fuor di lì non è buono a nulla! (2) Né per Erasmo o per il Colet, né per Thomas More si trattava di sovvertire la Chiesa, bensì di riordinarla nei modi tradizionali del concilio attraverso una religione fondata sulla tolleranza e costituita da poche verità essenziali, quindi spoglia di elaborazione ritualistica e dogmatica: un autentico e originale cristianesimo umanistico.

    Sulla religione degli utopiani ormai si è detto di tutto, ma a me pare molto buona e corretta l’interpretazione che ne dà Tommaso Fiore nell’edizione del 1942: A parte la rivelazione cristiana, che è fuor di discussione, qui è già religione far bene al proprio simile, anzi è questa la più alta forma d’umanità; qui lo studio del vero è di per se stesso come una forma di culto accetta a Dio, e insomma anche i princìpi religiosi si trova-no sottoposti alla ragione. Tocca infatti alla religione unificare le varie credenze e risultato ne è la religione della natura, assai vicina al cristianesimo. Dunque, nel più profondo spirito del Ficino, di Pico e del Colet, si celebra l’uomo, contemplatore pieno di curiosità e di zelo, solo essere capace di sì gran cosa qual è il pensiero; …omissis; per poi riprendere: Questa in Utopia è la creazione più alta della ragione, e dà luogo a un culto unificato, senza per questo si vietino altre credenze.omissis; infine: costringere con la forza o con le minacce ad una fede piuttosto che all’altra è una cosa mai vista, insolens, e sciocca, ineptum. Ne sua cuiquam religio fraudi sit, nessuno sia molestato per le sue idee religiose! (3) Che a me, però, dopo il Giubileo 2000 e i mea culpa papali, viene ora la voglia di aggiungere: o per il suo ateismo! E che Thomas More non me ne voglia.

    Con l’ascesa al trono d’Inghilterra di Enrico VIII (1509), il gruppo degli umanisti acquisiva incoraggiamento e sostegno, tant’è che per Thomas More si aprono possibilità di carriera e di professione: nel 1518 entra nel Consiglio privato del re e due anni dopo nella segreteria dello Scacchiere come speaker. Nel frattempo divampa l’incendio luterano che, attraverso le 95 tesi del 1517, porta a Lutero la bolla di condanna Exurge Domine e la messa al bando del 1521. Martin Lutero polemizza pure con Enrico VIII e riesce ad estendere la sua Riforma in tutta la Germania. Thomas More rimane però fedele a se stesso e ai suoi princìpi; la testimonianza, davvero esemplare di Tommaso Fiore, ritorna ancora ad essere significativa: A parte il trascendentismo, che è il segno del tempo, non so chi più del Moro sia stato più parlamentare, antibellicista, egualitario e antiformalista, per osservazioni e indirizzo suo personale, oltre che per ragioni storiche. Questa fedeltà del politico alla ragione, al diritto e alla moralità, segna il contributo da lui dato in seno all’umane-simo alla civiltà moderna. (4)

    Gli eventi precipitano e Thomas More, suo malgrado, si trova ad es-sere invischiato negli intrighi politici e religiosi: l’Inghilterra si getta in guerra contro la Spagna di Carlo V e, nello stesso tempo, Enrico VIII chiede il divorzio dalla regina spagnola Caterina d’Aragona, coinvolgendo Thomas More affinché perori la sua causa presso il papa Clemente VII. La questione del divorzio, portata dinanzi al papa, suscita, inevitabilmente, una lotta d’influenze politiche, poiché Clemente VII si trova ora ad essere alleato di Carlo V (1529) per sopprimere la Repubblica di Firenze e insediare, nuovamente, il casato dei Medici. Nello stesso anno, Enrico VIII nomina Thomas More Cancelliere, insistendo fermamente per ottenere il divorzio. Da egregio statista moderato e parlamentarista convinto, Thomas More scrive una lettera al re: Poiché Sua Altezza si è appellata dal papa al concilio, si guardi bene da ogni misura che rovinerebbe non solo l’autorità della sede apostolica, ma anche quella della Chiesa Universale. Nel prossimo concilio generale può accadere che il papa presente sia deposto e un altro messo al suo posto, con cui il re possa intendersi meglio. Giacché, sebbene io, per me, ammetta la preminenza del papa, pure non ho mai creduto che questi fosse superiore al concilio generale. (5) La saggezza del Cancelliere Thomas More non poteva esprimersi meglio!

    Ma ciò non bastava a soddisfare le ambizioni di Enrico VIII che, pur di ottenere il divorzio, non esita nella pretesa di mettersi a capo della Chiesa inglese, trovando un insperato sostegno nell’arcivescovo Warham. Nel 1531, il parlamento, su proposta dello stesso Warham, accetta che il re sia il capo della Chiesa nazionale: a Thomas More, nell’anno successivo, non resta che dimettersi da Cancelliere e ritirarsi a vita privata. Nel maggio del 1535, la monarchia inglese si sostituisce al papato e chiede a Thomas More di sottoscrivere l’adesione allo scisma anglicano. Egli ri-fiuta di firmare, ma pagherà con la vita (6 luglio 1535) la coerenza di uomo libero; ora, di lui, rimane la sua opera: RELAZIONE DELL’ECCELLENTISSIMO RAFFAELE ITLODEO SULLA MIGLIOR FORMA DI REPUBBLICA PER OPE-RA DELL’ ILLUSTRE TOMMASO MORO CITTADINO E VISCONTE DI LONDRA FAMOSA CITTA’ D’INGHILTERRA, o brevemente intitolata: Utopia.

    Dopo Thomas More, i critici e i potenti non vollero mai comprendere il suo vero messaggio e tacciarono ogni cosa a loro non conveniente, con disprezzo, di utopia. Da quell’epoca, ogni persona di potere tacciò di utopia chiunque osasse proporre valori e culture diverse e possibili. Basti ricordare con quale cultura e con quali valori il regno di Spagna sottomise il continente americano dopo il viaggio di Cristoforo Colombo! Dal 1516 fino ai giorni nostri sono tante le persone, le filosofie, gli ideali e gli itinerari culturali che vengono sistematicamente accusati, derisi e compatiti con un solo termine: utopia.

    Saggio e umano Thomas More! Com’è ingrata e addormentata que-sta nostra specie! E come risulta vero ed attuale il fatto che i tempi sto-rici abbiano ormai superato, e di molto, quelli biologici (6), comportando per tutti noi Umani la perdita di spazi-tempi genuini e significativi di una evoluzione diversa e possibile. Dopo Thomas More furono tacciati di utopia (traduzione moralistica attuale: ogni cosa impossibile) gli astro-nomi, gli sperimentatori e gli studiosi di Scienze naturali, vari filosofi e le loro filosofie, i democratici, i socialisti e i comunisti. Nell’Etica si cambiò il segno a molti valori positivi per cui fratellanza, sorellanza, uguaglianza, comunanza ed altri ancora, trovarono collocazioni forzate nell’astrattezza del vivere e, quindi: utopie. Valori evolutivi pratici e fortemente etici come l’empatia, la solidarietà, la pace, la condivisione, l’uguaglianza, la libertà e la convivialità, risultarono astratti e depositati su quel terreno Dove gli angeli esitano (7)… a mettere i piedi.

    Ora, dopo secoli di Civiltà, ci siamo storicamente introdotti in un modello di vita dove dovrebbero riscontrarsi requisiti talmente positivi, per i quali il paradiso sognato dovrebbe concretizzarsi in Terra e non più in cielo. Questo modello idolatrato di vita, questo nettare degli dei altro non è che il capitalismo. In meno di un secolo questo sistema si è pro-pagato, velocemente, in ogni Continente, invadendo territori, Popoli, culture. Se presso alcune etnie vigevano, nonostante tutto, alcune forme e regole tribali, pure a questi Popoli si portò la buona novella e si riconvertirono alla legge del capitale centinaia e centinaia di milioni di Esseri umani. Là dove, invece, le resistenze si dimostrarono più forti, si introdussero la politica del ricatto e quella della sudditanza benevola. Intere popolazioni africane furono private delle loro fonti di sostentamento, del-le loro culture e delle millenarie leggi tribali che regolavano la loro quotidianità. In quel continente si instaurò il colonialismo per importare, poi, in loco, l’agevole e dinamico sistema basato sulla ideologia del capitale. Oggi, innanzi ai grattacieli, alle metropoli, alle produzioni industrializzate, ai mille modi capitalistici del vivere, in questo Continente milioni e milioni di Esseri umani muoiono a causa della mancanza di cibo, di salute, di libertà e di proprie risorse.

    Il Continente africano non è che un esempio, perché in ogni angolo del Pianeta il capitalismo è stato instaurato o con la forza delle armi o con la forza del ricatto. Il capitalismo mondiale e, quindi, le multinazionali e le transnazionali, padroneggiano ormai le economie di tutti i Popoli, di tutti gli Stati.

    Ogni aspetto del vivere è integrato e mercificato da questa vacca sacra che altro non è se non l’ideologia praticata dal più alienante dei modelli di vita. Ogni attività umana è controllata, snaturata e resa merce per la gloria dei potenti, detentori del potere e del denaro. A questo punto è legittimo ipotizzare in un tempo non tanto lontano, la piena riuscita futura dell’alienazione e della mercificazione dell’ultimo baluardo umano: gli affetti e la predisposizione sentimentale. L’aver irresponsabilmente separato l’oggetto dal soggetto, la mente dal corpo, l’assoluto dal relativo, la Cultura dalla Natura è, inequivocabilmente, la prova di verità di tanto snaturamento; alienando altresì il gioco creativo ed etico del lavoro, ed esaltando, invece, il valore di scambio e la tecnologia, al paradosso di nominare benessere ciò che dovrebbe essere chiamato semplicemente, benavere.

    Il non aver affrontato il nodo contradditorio delle polarità contrapposte e quindi: Oriente-Occidente, Nord-Sud, centro-periferia, povertà-ricchezza, spiritualismo-materialismo, maschile-femminile, ha portato l’Umanità ad una storica, paradossale e continua contraddizione, incrementando, orgogliosamente, l’arroganza del dominio e lo sfruttamento dell’Uomo sull’Uomo.

    Arrivati al culmine di tanto degrado, è però iniziato, da più parti, un lavoro di ricerca teso a unire alcune polarità contrapposte. In questo senso, la mole di lavoro compiuta da Gregory Bateson (8) apre nuove e interessanti prospettive, proponendo una nuova teoria della conoscenza ed una teoria della complessità che si richiama alla necessaria e doverosa unità della mente, del corpo e della Natura, significando le relazioni e le qualità umane della vita. Il modello capitalistico di sviluppo e l’arroganza del dominio di specie, hanno però rivelato alcune dominanti e violente contraddizioni tra Natura e Cultura, dimostrando tutta l’arretratezza involutiva e degradante dei tempi storici. Esse sono, dunque, così identifica-bili:

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