In nome del figlio
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Recensioni su In nome del figlio
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Anteprima del libro
In nome del figlio - Emanuel Berni
tempesta
Prefazione
Una delle discussioni più articolate e più inutili di questi ultimi decenni è stata quella che ha visto affrontarsi due agguerritissime schiere sul tema dell’inserire, o meno, nella futura Costituzione europea la preminenza delle radici cristiane nel continente. Inutile perché la risposta non poteva che essere negativa davanti a entrambe le istanze.
Questa preminenza non può essere accettata perché l’anima europea sarebbe del tutto incomprensibile se non si facesse riferimento al cristianesimo, ma la sua complessità e la sua ricchezza sarebbero ben difficilmente concepibili anche senza la filosofia dei greci e il diritto dei romani, senza l’arte del rinascimento, il pensiero dell’illuminismo, l’innovazione sociale della rivoluzione francese, l’utopia marxista, o quella anarchica; purtroppo anche senza la piaga dei nazionalismi e dei razzismi che ancora oggi tornano pericolosamente a galla cogliendo completamente impreparati coloro che si erano illusi che ormai fossero soltanto scorie gettate nell’immenso immondezzaio della storia.
Ma questa preminenza non può essere nemmeno sottaciuta perché le radici cristiane hanno ovvio e pieno diritto di cittadinanza nell’anima europea perché è dalla nascita del cristianesimo che alcuni antichi punti fermi, etici e morali, sono cambiati avvicinandosi alla vera natura dell’uomo piuttosto che a quella presunta di Dio e che altri concetti del tutto inediti sono venuti alla luce, sogni il cui raggiungimento è stato l’obbiettivo che ha contraddistinto quello che chiamiamo progresso sociale nel vero senso della parola.
Potrebbe sembrare che queste considerazioni portino a uno stallo insuperabile, ma non è così perché si può arrivare facilmente a una soluzione , se si supera lo spocchioso formalismo di chi vuole avere il riconoscimento di una specie di primogenitura e, soprattutto, se si capisce che la presenza di qualunque di queste anime non può essere ad escludendum, rispetto a chi ha valori, convinzioni, fedi e religioni diversi; anzi, per tutti, lo scopo deve essere quello di portare la propria grande ricchezza ad accumularsi con le grandi ricchezze che portano anche gli altri a creare un patrimonio che può essere preziosissimo, per profondità e moderazione, che può essere la chiave di volta per un progresso che coinvolga davvero tutto il mondo.
È su questa difficile e ambiziosissima traccia che si muove il racconto di Emanuele Berni che riprende in mano fatti e personaggi dei Vangeli, ma non solo, per riesaminarli con gli occhi disincantati di coloro che non hanno in sé nessuna credenza alla quale piegare obbligatoriamente il pensiero, né elevano tanto il pensiero da permettergli di fagocitare ogni sentimento e, soprattutto, ogni dubbio. È un viaggio di sfrontata delicatezza, in cui nulla viene intenzionalmente nascosto, ma neppure forzatamente esibito, in cui ci si muove in un delicato equilibrio che, se perduto, in altri tempi avrebbe condotto a severe condanne per quella mancata aderenza alle imposizioni dottrinali, una mancata aderenza che in molti casi era chiamata eresia, ma che eresia non è, sia perché i tempi sono fortunatamente evoluti, sia in quanto nessuna fede può nutrirsi di certezze, ma, anzi, può sopravvivere soltanto se pungolata da dubbi.
L’autore va a cercare la vera anima del cristianesimo, ben conscio che ogni anima è contemporaneamente nutrimento e sommatoria di valori. E i valori veri – non quelli fittizi – sono anche la cosa di cui la nostra società odierna ha disperato bisogno. Non soltanto dal punto di vista spirituale, ma anche da quello sociale perché una democrazia senza valori finisce ineluttabilmente per non essere più democrazia e diventare soltanto gestione del potere; finisce per perdere quella caratteristica di casa comune
che, per il suo stesso significato non può pretendere uniformità, o addirittura unicità, ma, anzi, proprio nel significato della parola comune
, sottintende la convivenza di entità diverse e, con questa, la capacità di rapportarsi, di comprendersi, di avvicinarsi e di crescere aiutandosi vicendevolmente.
Emanuele Berni in questa sua opera riscopre anche la necessità dell’uso cosciente e onesto di un vocabolario comune e non contraffatto per gli usi truffaldini che con le parole si possono fare. A leggere le sue pagine spicca nettamente, per esempio, la differenza tra il concetto di secolarizzazione e quello di laicità. Se la secolarizzazione, infatti – almeno nella connotazione indicata da Max Weber – vuole riferirsi a una deliberata espulsione di riferimenti religiosi dalla vita sociale, molto diverso è il concetto di laicità, perché in diverse questioni aperte nella concezione della vita e della storia, delle istituzioni e della politica, laicità e fede non si oppongono pregiudizialmente. Anzi, laico può essere sia il credente, sia il non credente, mentre entrambi, invece, possono esprimere il più vuoto dogmatismo. Laico, insomma, è il credente non superstizioso, aperto alla ricerca, agli interrogativi, desideroso di confrontarsi con Dio e con gli altri uomini, anche con coloro che si ritengono non credenti. E così è laico ogni non credente che sviluppa senza assolutizzazioni il proprio relativo punto di vista, la propria ricerca e il proprio dialogo anche con il credente. E sono evidentemente laici coloro che non sono non credenti, per i quali questa doppia negazione non corrisponde a un’affermazione di fede, ma semplicemente alla dichiarazione di un dubbio irrisolvibile
Non credo sia estraneo alla spinta che ha indotto a scrivere questo libro il cambiamento del papato e del suo magistero con l’avvento di Papa Francesco perché è stato questo cambiamento, annunciato già con la scelta del nome, a riportare in primo piano molte contraddizioni tra i Vangeli e la sua applicazione nei secoli, le interessate distorsioni di un messaggio che ha predicato soltanto amore, comprensione, solidarietà, capacità di perdono e che ha prodotto, invece, crociate e inquisizioni, che ha rinnegato la povertà e ha seguito la ricchezza. E non può essere estraneo alla crisi mondiale che stiamo vivendo il fatto che, proprio nel nome di un Cristo che Emanuele Berni ci racconta con partecipe attenzione, certe sue parole non soltanto siano state travisate, ma che il loro significato sia stato addirittura rovesciato. È da sempre, per esempio, che, tenendo conto che il progresso si basa sulla dignità dell’uomo, tra i peccati di straordinaria malizia che gridano vendetta al cospetto di Dio
il cristianesimo pone anche l’oppressione dei poveri
e il defraudare della mercede gli operai
. E finalmente si comincia a indicare con il dito dell’accusa chi lascia morire – e quindi uccide – altri uomini alzando e mostrando a vergognosa propaganda per se stesso Vangelo e rosario, in una vera e propria forma di blasfemia anche visuale.
E l’autore ci porta anche a ragionare su quanto il mondo sia cambiato nell’esteriorità, ma molto meno nella sostanza. Perché sempre più spesso immense ricchezze personali sono costruite su macerie umane di persone che non hanno più lavoro, di famiglie che sono lacerate dalle tensioni innescate da una povertà che non è più quella dei tempi di Cristo, quando era evidentissima: la si poteva toccare, vedere, annusare. Oggi la miseria è quasi sempre dissimulata, ma è ancor meno accetta in una società che emargina sempre di più chi è povero, perché ha perduto la cognizione del significato di solidarietà
.
Ci troviamo, insomma, davanti a un panorama che non è soltanto diverso da quello che abbiamo davanti quando guardiamo a questi argomenti, ma è anche mutevole perché si muove non soltanto con i pensieri di Emanuele Berni, ma anche con i nostri che vengono sollecitati dalla sua narrazione che è capace di rimettere in discussione praticamente tutto, di far guardare le stesse cose da punti di vista diversi e del tutto inconsueti, dai quali risultano illuminati in maniera diversa tanti personaggi e avvenimenti. Di ieri, ma anche di oggi, in una specie di viaggio nel tempo e nella coscienza che continuerà anche al di là della fine del libro.
Gianpaolo Carbonetto
Per le mie lettrici e i miei lettori
Questa non è una prefazione perché è già stata fatta, ma è parte integrante del mio lavoro.
Spiegare il perché di questo libro è come scendere una scala a pioli al buio, cercando di penetrare nell’abisso della memoria, tentando di evitare di ferirsi con gli spigoli delle esperienze vissute fino a raggiungere l’aperta valle ridente dell’infanzia, dove personaggi della letteratura infantile, come Sandokan, Tex Willer e la Banda Bassotti, convivevano serenamente con le mirabolanti parabole del Vangelo e la bonomia agreste di Don Bosco.
A questo ricordo ingenuo mi ricollego per ricercare il mio fantasticare di allora sulle storie di Maria, Giuseppe, Ponzio Pilato eccetera dove però Gesù svettava su tutti per la sua invincibilità. Forse il fascino sottile emanato dall'eroe sfortunato incarnava il mito eterno dell'invincibilità del vinto.
Durante gli anni della prima giovinezza, e in seguito della maturità, la passione fanciulla per la figura del Cristo si è lentamente sopita finendo per sfumare come un effetto flou insieme agli album delle figurine, di Tex e Mandrake. Riemergevano però ogni tanto, bucando la spessa coltre della quotidianità, domande che allora non avevano avuto risposta e che adesso si riproponevano rinvigorite dall’immeritato oblio. Ho tentato in tutta umiltà di capire qualcosa in quel guazzabuglio di scismi, sofismi, scomuniche, roghi e conversioni ottenute usando la croce come arma che hanno alterato il Messaggio di Cristo piegandolo a interessi e calcoli che con il Vangelo non hanno niente da spartire.
È stato istruttivo ancorché deprimente sfogliare le pagine della storia del cristianesimo e trovarci dentro tutti i sette vizi capitali più qualcun altro per il buon peso.
Questo libro si soffermerà solo sul percorso umano di Gesù e dei suoi contemporanei; per quanto riguarda l’essere Divino, non essendo credente ma solo simpatizzante, non ho titoli per farlo.
Crescendo, l’inclinazione per un rigore morale che tentavo di far convivere con qualche sporadico successo con le alterne vicende della consuetudine, mi ha indotto a riconsiderare questa mia posizione e, pur rimanendo sostanzialmente fedele al giudizio di allora, devo fare ammenda per non aver capito, o meglio non aver voluto capire, che esistono due Chiese affatto difformi tra di loro che servono lo stesso Padrone in maniera antitetica: la Chiesa militante e quella giudicante ed è alla prima che porgo le mie scuse più sentite, a quella che accoglie tutto e tutti, senza distinzione, che perdona il dubbio perché essa stessa ne è affetta, che predica la Buona Novella come un tredicesimo apostolo: è la Chiesa di don Milani, di padre Turoldo, di don Zeno, di padre Balducci eccetera, ma anche e soprattutto, mi perdonino questi tedofori del Vangelo, quella di migliaia di preti e suore che in umiltà spartiscono pane e fratellanza con gli ultimi e i reietti. L’altra Chiesa, quella dei palazzi arcivescovili, della pompa, dei baldacchini, delle scomuniche e dei roghi non mi interessa; essa si giudica da sola, così come aborrisco quella dei preti che sotto la tonaca non hanno, come credevo io da bambino, un filo diretto col Padreterno, ma un’appendice che in troppi casi viene usata per violare l’innocenza indifesa.
Non ho mai amato i professionisti della fede, così come non mi piacciono i politici, la pubblicità ingannevole o chiunque faccia un uso surrettizio della parola per buggerarti. Montanelli affermava, cito a memoria, «chi dice in cento parole quello che potrebbe dire in dieci, lo ritengo capace di tutto».
Amo il Cristo fatto uomo non quello dei miracoli, che forse non piacevano neanche a lui perché li riteneva solo la parte spettacolare del Messaggio: Giovanni l’evangelista notava sconsolato che benché Gesù avesse compiuto tanti segni davanti a loro, essi non credevano a Lui. È necessario immedesimarsi nella realtà dei tempi e dei luoghi per capire sia la diffidenza prima, sia la repulsa poi dei suoi conterranei al suo Messaggio. A Nazareth tutti conoscevano Giuseppe il falegname e la sua giovane sposa Maria, avevano visto crescere il Bambino, giocare con i loro figli, aiutare ormai grandicello il padre a bottega, ma nei loro cuori giudei albergava l’ortodossia semitica, erano gli epigoni di Mosè, fedeli a un