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Pillole di Antropologia
Pillole di Antropologia
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E-book246 pagine2 ore

Pillole di Antropologia

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Pillole di antropologia affronta le più svariate tematiche dal punto di vista di un antropologo. Dodici capitoli per dodici argomenti diversi che spaziano dalle pietre taumaturgiche all’effetto placebo, alla pratica antica dell’esorcismo, ai sorprendenti significati della risata, fino agli insoliti tentativi di soggiogare la morte o ai viaggi cibernetici.
Dei vari soggetti sono descritti origini, storia, simboli, curiosità e stranezze che svelano le sfaccettature spesso bizzarre nascoste dietro fatti e azioni dati normalmente per scontati.

Gabriella Marucci, professore associato dal 1985 al 2008 presso il Dipartimento di Culture Comparate della Facoltà di Lettere dell’Università di L’Aquila dopo anni di formazione e attività didattica presso la Facoltà di Lettere dell’Università di Roma “La Sapienza”. È autrice di numerose pubblicazioni, tra le quali I popoli artici, (Novara, De Agostini 1979), L’Arcangelo (Roma, Bulzoni, 2003), premiato nel 2004 con il “Premio Scanno”, Il viaggio sacro (L’Aquila, Andromeda 2000); Il giubileo in Abruzzo, in La Critica Sociologica (2001), Le dodici notti (Roma, Universitalia, 2022).
Dal 2002 al 2012 ha diretto la Collana Antropologia e Storia (Roma, Bulzoni) e la Sezione di Antropologia Storica dell’AISEA (Associazione Italiana di Scienze Etno-Antropologiche). Ha collaborato e partecipato a numerose trasmissioni della RAI TV Italiana, di TV2000 e tuttora prende parte a servizi radiofonici della Radio Vaticana. I suoi interessi spaziano dall’antropologia storica all’antropologia delle religioni, all’antropologia sociale.
LinguaItaliano
Data di uscita11 nov 2023
ISBN9788830691131
Pillole di Antropologia

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    Anteprima del libro

    Pillole di Antropologia - Gabriella Marucci

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    Gabriella Marucci

    Pillole di Antropologia

    © 2023 Gruppo Albatros Il Filo S.r.l., Roma

    www.gruppoalbatros.com - info@gruppoalbatros.com

    ISBN 978-88-306-8661-8

    I edizione novembre 2023

    Finito di stampare nel mese di novembre 2023

    presso Rotomail Italia S.p.A. - Vignate (MI)

    Distribuzione per le librerie Messaggerie Libri Spa

    Pillole di Antropologia

    A Mario

    Prefazione di Barbara Alberti

    Il prof. Robin IanDunbar, antropologo inglese, si è scomodato a fare una ricerca su quanti amici possa davvero contare un essere umano. Il numero è risultato molto molto limitato. Ma il professore ha dimenticato i libri, limitati solo dalla durata della vita umana.

    È lui l’unico amante, il libro. L’unico confidente che non tradisce, né abbandona. Mi disse un amico, lettore instancabile: Avrò tutte le vite che riuscirò a leggere. Sarò tutti i personaggi che vorrò essere.

    Il libro offre due beni contrastanti, che in esso si fondono: ci trovi te stesso e insieme una tregua dall’identità. Meglio di tutti l’ha detto Emily Dickinson nei suoi versi più famosi

    Non esiste un vascello come un libro

    per portarci in terre lontane

    né corsieri come una pagina

    di poesia che s’impenna.

    Questa traversata la può fare anche un povero,

    tanto è frugale il carro dell’anima

    (Trad. Ginevra Bompiani).

    A volte, in preda a sentimenti non condivisi ti chiedi se sei pazzo, trovi futili e colpevoli le tue visioni che non assurgono alla dignità di fatto, e non osi confessarle a nessuno, tanto ti sembrano assurde.

    Ma un giorno puoi ritrovarle in un romanzo. Qualcun altro si è confessato per te, magari in un tempo lontano. Solo, a tu per tu con la pagina, hai il diritto di essere totale. Il libro è il più soave grimaldello per entrare nella realtà. È la traduzione di un sogno.

    Ai miei tempi, da adolescenti eravamo costretti a leggere di nascosto, per la maggior parte i libri di casa erano severamente vietati ai ragazzi. Shakespeare per primo, perfino Fogazzaro era sospetto, Ovidio poi da punizione corporale. Erano permessi solo Collodi, Lo Struwwelpeter, il London canino e le vite dei santi.

    Una vigilia di Natale mio cugino fu beccato in soffitta, rintanato a leggere in segreto il più proibito fra i proibiti, L’amante di lady Chatterley. Con ignominia fu escluso dai regali e dal cenone. Lo incontrai in corridoio per nulla mortificato, anzi tutto spavaldo, e un po’ più grosso del solito. Aprì la giacca, dentro aveva nascosto i 4 volumi di Guerra e pace, e mi disse: Che me ne frega, a me del cenone. Io, quest’anno, faccio il Natale dai Rostov.

    Sono amici pazienti, i libri, ci aspettano in piedi, di schiena negli scaffali tutta la vita, sono capaci di aspettare all’infinito che tu li prenda in mano. Ognuno di noi ama i suoi scrittori come parenti, ma anche alcuni traduttori, o autori di prefazioni che ci iniziano al mistero di un’altra lingua, di un altro mondo.

    Certe voci ci definiscono quanto quelle con cui parliamo ogni giorno, se non di più. E non ci bastano mai. Quando se ne aggiungono altre è un dono inatteso da non lasciarsi sfuggire.

    Questo è l’animo col quale Albatros ci offre la sua collana Nuove voci, una selezione di nuovi autori italiani, punto di riferimento per il lettore navigante, un braccio legato all’albero maestro per via delle sirene, l’altro sopra gli occhi a godersi la vastità dell’orizzonte. L’editore, che è l’artefice del viaggio, vi propone la collana di scrittori emergenti più premiata dell’editoria italiana. E se non credete ai premi potete credere ai lettori, grazie ai quali la collana è fra le più vendute. Nel mare delle parole scritte per esser lette, ci incontreremo di nuovo con altri ricordi, altre rotte. Altre voci, altre stanze.

    Il concetto di bellezza

    Il corpo è il nostro indiscutibile referente identitario, è ciò che noi vediamo e che gli altri vedono, giudicano, apprezzano o respingono.

    Il corpo è al centro degli interessi, dei pensieri e delle cure dell’umanità, da sempre: costituisce un impegno quotidiano e continuo; va lavato, nutrito, dissetato, tenuto alla giusta temperatura, curato.

    Intorno a esso ruotano interessi economici giganteschi per fornirgli quanto gli serve o si ritiene o si vuole gli serva. E poiché il corpo, indipendentemente dalla nostra volontà, invecchia, si trasforma o si ammala, è oggetto di numerose discipline e scienze, dalla medicina alla chirurgia, alla farmacologia, alla cosmetologia e alle tecniche fisioterapeutiche. E ancora, è il protagonista di regole di comportamento e di buona creanza: come muoversi, come gesticolare, come guardare, ridere, mangiare; come, quando e se coprirlo o scoprirlo. È all’origine di regole, credenze, miti, favole. Insomma, è una fonte inesauribile e inesausta di stimoli, valori, interessi, impegno, valutazioni, preoccupazioni, ansie e dolori, felicità e gioie¹.

    Eppure, almeno in Occidente, per secoli la storia del corpo, di questo nostro imprescindibile compagno di cammino, è stata trascurata. I diversi modi di vivere la fisicità, di percepirla, considerarla, di assecondarla o altro, non sono stati quasi mai un oggetto giudicato degno dell’interesse degli storici.

    Lo storico Le Goff fa iniziare dal Medioevo la percezione del corpo così come la conosciamo oggi². Perché è nel Medioevo che si radica veramente il cristianesimo, che nei suoi primi secoli si era diffuso a macchia d’olio, senza mettere però radici veramente profonde. È nel Medioevo che inizia per la cultura occidentale il tormentone del corpo, di volta in volta esaltato, glorificato, represso, respinto. Ed è nel Medioevo che sono stati concepiti molti dei nostri attuali modi di pensare e molti dei nostri comportamenti. Eppure, la storia ci ha tramandato centinaia di figure di eroi, guerrieri, santi, re e imperatori, dei quali conosciamo date e imprese, ma, se ci riflettiamo, tutti ci appaiono fisicamente astratti, quasi spossessati della loro carne, come disincarnati, con corpi simbolici, identificabili, se rappresentati, solo dagli abiti e dai loro parafernalia.

    Forse per reagire alla cultura estetizzante greco-romana, che aveva prestato grande attenzione al corpo, fino a coniare la celebre regola della mens sana in corpore sano³, il Tardo Antico e il Medioevo tolsero spazio alle pratiche corporee, sminuendole, sprezzandole ma, paradossalmente, facendone un problema o, come dice Le Goff, un tormentone.

    In quei secoli, segnati dall’enorme sconvolgimento economico, politico e sociale provocato dalla caduta dell’Impero Romano, e nella nostra storia immediatamente successiva, il corpo è stato declassato a puro e semplice rivestimento dell’anima, da coprire, controllare, punire, sottoporre a rigida regolamentazione. O, all’opposto, è stato portato a esempio dell’eccellenza della nostra specie rispetto agli animali, in quanto specchio e immagine del suo Creatore. La storia occidentale è infatti caratterizzata da questo continuo oscillare tra l’esaltazione, il rispetto e il disprezzo, o il timore, della nostra fisicità. Tanto è vero che proprio quel corpo, nascosto, trascurato, ignaro di norme igienico-sanitarie, era al centro di un ampio settore della religione cristiana: i pellegrinaggi terapeutici, e quasi tutti i santuari lo sono, che muovevano, e ancora muovono, verso i loca sanctorum migliaia di pellegrini speranzosi in guarigioni miracolose.

    Dal XV secolo in poi andò verificandosi un singolare fenomeno, frutto delle grandi esplorazioni geografiche dell’epoca: l’Europa scoprì un’Umanità Altra, inaspettata e strana, di aspetto diverso, con caratteristiche somatiche che non corrispondevano a quelle occidentali, le sole ritenute umane. Quelle differenze somatiche praticamente da sole bastarono per marchiare intere popolazioni di insufficiente umanità e le loro culture come povere o inesistenti. La letteratura di viaggiatori e di narratori si è riempita per decenni di descrizioni dirette o indirette di uomini e donne mostruosi, evidentemente sub-umani e quindi mancanti di qualsivoglia valore culturale⁴: uomini-lupo, nani, giganti, esseri privi di collo o portatori di incredibili stranezze genetiche che automaticamente li escludevano dall’opera creativa di Dio e li immergevano nella semi-ferinità e, di conseguenza, li escludevano dal disegno salvifico di Dio, emarginandoli nella non-Cultura. Quella fisicità percepita come diversa e rifiutata come alternativa a quella europea, era assurta a indicatore di non-valore.

    C’è da chiedersi cosa vedessero o volessero vedere quei viaggiatori, c’è persino da dubitare della salute mentale loro e dei loro creduli lettori, ma la diffidenza, il pregiudizio, i modelli estetici occidentali e mille altri motivi sui quali gli antropologi si sono esercitati a lungo, fungevano da occhiali deformanti la realtà. È però interessante che sia stato soprattutto l’aspetto fisico a influenzare in gran parte il giudizio valutativo espresso nei confronti di quelle genti o almeno a fornire alibi ineccepibili al loro sfruttamento, alla loro distruzione.

    Quindi, corpo come vessillo, come emblema, come fardello, come elemento in base a cui giudicare o essere giudicati, accettati o rifiutati.

    Il primo studioso ad accorgersi di questo polo d’attrazione delle esistenze umane, non solo come oggetto biologico, ma come fonte di interesse antropologico, fu Marcel Mauss che si occupò seriamente del corpo, e cioè dei modi in cui gli individui: …nelle diverse società e secondo le tradizioni, si sanno servire del proprio corpo. Perché il corpo …è il primo e più naturale degli strumenti dell’uomo⁵. Mauss dimostrò come le tecniche che regolano il corpo varino in funzione della società in cui si vive e quindi dell’epoca. E come ogni società selezioni alcune potenzialità fisiche dei suoi componenti in funzione dei propri modelli di vita, abbandonandone altri⁶. Dalla nascita alla morte, tutte le tecniche del corpo dimostrano infatti che gesti e azioni che noi consideriamo naturali sono il prodotto della storia e quindi ne seguono le trasformazioni.

    Altri studiosi hanno poi seguito le orme di Marcel Mauss, eliminando definitivamente l’idea che le funzioni corporali non fossero un argomento degno di studio. Storici come Norbert Elias posarono la loro attenzioni su attività da sempre giudicate trascurabili, come lavarsi, soffiarsi il naso, stare a tavola e altri comportamenti, mettendone in rilievo la codificazione sociale⁷.

    Saltando alcuni decenni e approdando direttamente alla storia attuale, la vera differenza in questo che evidentemente è un settore delicato della nostra esistenza, è stato compiuto da alcuni antropologi: Paolo Sorcinelli⁸, Franco La Cecla⁹ e Lynne Rudder Baker¹⁰, che trattano aspetti assolutamente fisici della vita umana, come, per fare un esempio curioso, il tormentato percorso delle abluzioni e dell’igiene personale.

    Cosa ci insegnano questi studiosi? Una lezione che ora a noi può appare ovvia: nulla di quanto riguarda il corpo è completamente naturale, neppure le funzioni che sembrano più scontatamente fisiche, come dormire, mangiare, sedersi e altre. È ovvio che l’impulso al mangiare, bere, dormire, ridere siano naturali, ma i modi con i quali essi vengono assecondati e soddisfatti non lo sono, mai. Come si nasce o si muore, come si ride o si piange, come o cosa o con chi si mangia, come ci si ammala o si guarisce, come ci si muove o ci si lava…, e potremmo continuare all’infinito, sono tutte azioni che di naturale hanno poco, in quanto sottostanno a norme e regole sociali, a permessi, a proibizioni, a controlli. Quindi, in ogni individuo si intrecciano strettamente la natura biologica – con tutte le sue esigenze, problemi, possibilità – e il condizionamento culturale.

    Il concetto di bellezza

    Un esempio di questa culturalità del pianeta corpo è il concetto di bellezza, che è quanto di più relativo, poliedrico e variabile esista, connesso come è al contesto storico, sociale, religioso, persino politico¹¹. Il caso della principessa Qajar di Persia è emblematico¹². Paradossalmente, si potrebbe dire che è un concetto universale e allo stesso tempo relativo, perché in ogni epoca si esprime in un modo suo proprio e variabile. Ma sempre, e in questo consiste il suo potere, in ogni tessuto culturale la maggior parte degli individui compie ogni sforzo per adeguarsi al modello estetico vigente. Ma, pur non esistendo un modello assoluto di bellezza universale, esistono delle caratteristiche fisiche che attraggono un osservatore: l’armonia del fisico, le movenze del corpo, una bella carnagione, insieme ad altri parametri come la salute e la giovinezza, i capelli, gli occhi. Questo è il motivo per il quale le donne, ancora in maggior numero rispetto agli uomini, desiderano sottolineare con i più diversi metodi quegli elementi.

    La principessa Zahra Khanom Tadj es-Saltaneh

    Si pensi all’epidermide, alla pelle: è il nostro organo più esteso ed è la nostra carta di identità, perché parla agli altri della nostra età, dello stato sociale, della nostra salute, delle nostre origini etniche. La pelle culturale, la chiamerei, considerato che siamo gli unici animali esistenti che possono modificare il loro aspetto naturale, soggetto com’è a modifiche e trasformazioni, grazie a cosmetici, colori, tatuaggi e altre decorazioni, trasmettendo agli altri molte informazioni su ognuno di noi.

    La società occidentale attuale è caratterizzata dalla grande attenzione prestata a questo aspetto dell’esistenza e dalla spasmodica ricerca della salute e della bellezza, dove bellezza è intesa come sinonimo di giovinezza. Lo scorrere del tempo è considerato non un evento naturale ma una condizione da contrastare con ogni mezzo. I media martellano implacabili, proponendo terapie, diete, tecnologie cosmetiche e farmaci che dovrebbero aiutarci in questa lotta. Insomma, il corpo come manifesto esterno che nega il passare del tempo. Ma anche corpo, più semplicemente, da modificare, abbellire con disegni, tatuaggi, piercing, tinture, trucco, espedienti culturali con i quali si desidera inviare all’esterno messaggi, inviti.

    L’idea di bellezza è quindi soggetta a numerose variabili: in una determinata epoca o in un determinato contesto culturale, la bellezza, soprattutto femminile, coincide con l’abbondanza delle forme, mentre in altre è privilegiata la snellezza, così come il colore dei capelli o una parte del corpo rispetto a un’altra. Ad esempio, una donna giudicata splendida nel 1500 o nel 1600, così come le vediamo raffigurate nei dipinti d’epoca, per il gusto di noi occidentali di oggi è eccessivamente formosa. Nello stesso modo, una ragazza reputata oggi seducente, nell’ultimo dopoguerra sarebbe stata giudicata troppo magra, a paragone delle famose maggiorate tanto apprezzate in un periodo che usciva da stenti e fame. Un simile discorso può riguardare anche gli uomini: un dandy della fine ’800 appare ridicolo agli attuali palestrati, tatuati, rasati ragazzi di oggi. E, aggiungo, viceversa.

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