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La rottura dell'anima
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E-book295 pagine4 ore

La rottura dell'anima

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Info su questo ebook

Se, per ipotesi, dopo la morte, adempiendo il comandamento divino che vuole la crescita e la moltiplicazione di tutto ciò che vive, la nostra anima si potesse scindere in più parti per originare le anime dei nascituri, pur continuando a conservare nello stesso tempo la propria identità, in un processo simile a quello eucaristico del pane spezzato, sarebbe possibile immaginare che essa percorra contemporaneamente, al di là della vita, diversi cammini, secondo le proprie responsabilità ed esigenze evolutive: una parte di essa potrebbe posizionarsi in un contesto di beatitudine, un’altra in uno di sofferenze, un’altra ancora, come suggeriscono le religioni orientali, potrebbe fare nuove esperienze nella nostra dimensione.
È, questo, uno solo dei nove scenari possibili, conseguenziali all’ipotesi della Rottura dell’anima, dipinti fantasiosamente dal protagonista, nella sua passeggiata nella fantareligione. Uno scenario in cui la visione escatologica occidentale, rivista secondo la sua personale interpretazione della giustizia divina, s’incontra con quella orientale, alla quale si è sempre contrapposta.
Ma il protagonista non è uno studioso di religioni, o un teologo, per cui la sua passeggiata in questo campo è leggera e rilassata, perché egli indugia, ogni tanto, a guardare il panorama del paesaggio circostante, facendo proprie riflessioni soprattutto sul cristianesimo, cogliendone sia l’originaria bellezza, sia il disordine in esso introdotto dall’uomo; e anche perché ogni tanto si ferma: ora volge indietro lo sguardo a considerare il cammino percorso, ora in avanti, per immaginare quello che deve ancora percorrere.
Non ha certezze, né sul punto di partenza, né su quello d’arrivo, e la fede non è proprio il suo forte. Non gli rimane, pertanto, che formulare ipotesi…
LinguaItaliano
Data di uscita13 mar 2018
ISBN9788867933716
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    Anteprima del libro

    La rottura dell'anima - Vito Galfano

    EDIZIONI SENSOINVERSO

    OroArgento

    © Edizioni SENSOINVERSO

    Collana OroArgento

    info@edizionisensoinverso.it

    Via Vulcano, 31 – 48124 – Ravenna (RA)

    © 2018 – Copyright | Tutti i diritti riservati

    Sensoinverso – P.I. 02360700393

    ISBN 9788867933617

    Immagini di copertina a cura dell'autore

    1° edizione – Gennaio 2018

    Questa è un’opera di fantasia. Nomi, personaggi, luoghi e avvenimenti sono fittizi o usati in modo fittizio. Tutti gli episodi, le vicende, i dialoghi di questo libro, sono partoriti dall’immaginazione dell’autore e non vanno riferiti a situazioni reali se non per pura coincidenza.

    VITTORIO GALFANO

    LA ROTTURA DELL'ANIMA

    Quattro passi nella fantareligione

    INTRODUZIONE

    Nella storia del pensiero umano, l’anima è stata sempre considerata come la parte indivisibile di ciascun individuo, a volte composta anche da più parti, che sopravvive alla morte del corpo ed è quindi immortale.

    Le diverse religioni e correnti di pensiero hanno ipotizzato molteplici situazioni di vita ultraterrena, mettendole in stretta correlazione con quella terrena.

    Le mie esperienze di vita mi hanno portato, invece, a chiedermi se possano esistere, oltre a quelli da sempre considerati, altri punti di vista dai quali potere osservare questa misteriosa parte dell’uomo. Tale speculazione mi ha condotto prima a immaginare un tipo diverso di anima che fosse divisibile, pur continuando a poter essere considerata, a secondo la prospettiva, mortale o immortale, individuale o collettiva; e poi a disegnare le possibili quinte sceniche di quel teatro in cui l’anima recita la propria parte e si muove dopo la morte se, invece di essere un’essenza indivisibile che sopravvive alla morte fisica, avesse, appunto, la peculiarità di potersi scindere in più anime.

    Da qui il titolo del presente testo, che non deve essere compreso come locuzione utilizzata in senso figurato nell’accezione che tutti conosciamo, ma in senso strettamente letterale: il tema della mia riflessione verte su ciò che potrebbe succedere all’anima individuale che ciascuno di noi possiede se, alla morte del corpo fisico, essa si potesse rompere.

    Ammettendo per assurdo (e, forse, non tanto per assurdo!) la frattura dell’anima, è possibile ipotizzare per la vita dopo la morte diversi scenari, alcuni dei quali hanno delle affinità con l’escatologia cristiana, altri con quella induista, altri ancora con la visione di chi non crede in un’entità creatrice e che, nello stesso tempo (il lettore voglia perdonarmi l’ulteriore gioco di parole che sto per fare sempre sullo stesso motivo di quello del titolo), rompono con l’ e-scatolo-gia tradizionale, fornendo in maniera innovativa una visione che contempera tutte le altre.

    Sono il primo a convenire che, in questa convergenza di pensieri religiosi e filosofici che da sempre sono stati contrastanti ed a volte antitetici tra di loro, si può concretizzare un discorso che rasenta la demenzialità. Sono perfettamente consapevole di ciò, ma nonostante tutto, ci sono due buoni motivi che mi spingono a esternare le mie riflessioni e a iniziare a fare questi quattro passi in quella che definisco fantareligione.

    Il primo è la consapevolezza di non essere né uno studioso, né un filosofo, né un teologo, e che le mie riflessioni, in definitiva, non sono altro che parole, un susseguirsi d’idee non dimostrabili, d’ipotesi e non di fatti certi ed oggettivi, che non hanno niente a che fare con il metodo scientifico e che spero abbiano un grado di logicità interna accettabile. Come tali, da questo punto di vista, e soltanto da questo, hanno lo stesso valore delle argomentazioni formulate dai vari filosofi e teologi che spesso, invece, hanno etichettato le loro come verità. Esse, pertanto, potranno pur rasentare la demenzialità, ma non la stoltezza.

    Il secondo è la novità dell’ipotesi: da sempre si è discusso sull’anima ma credo che a nessuno sia mai venuto in testa di congetturare che essa potesse essere divisibile. E se qualcuno già l’avesse fatto prima di me, poco importa: queste mie riflessioni, prima di tutto, sono importanti per me stesso, e solo in secondo luogo spero lo siano anche per il lettore, qualora volesse prendere qualche spunto per le proprie.

    Gli scenari che ho immaginato, evidentemente, sono in stretta relazione con il mio vissuto personale e la mia precedente vita interiore, con i vari movimenti, cioè, che la banderuola del mio animo ha fatto, sospinta dai venti che via via l’hanno agitata, e mi sembra corretto che il lettore li conosca per farsi una chiara idea di come io, piano piano, sia potuto arrivare oggi alla loro formulazione. È solo per questo motivo che il lettore, se lo vorrà, dovrà accompagnarmi, di conseguenza, un poco nelle rimembranze.

    CAPITOLO PRIMO - Sulle orme dei miei passi

    Tra certezza e incertezza

    Che cosa succede quando si muore?

    È mia opinione che questa sia una domanda a cui non sia possibile rispondere fino a quando si è in vita. Forse, e sottolineo forse, lo potremo sapere solo dopo la morte, ma credo che non sia una cosa scontata.

    Durante la mia esistenza, tuttavia, mi sono posto e mi pongo tuttora il quesito, come la maggior parte delle persone. In età giovanile, però, il mio atteggiamento nei confronti della metafisica era tutt’altro.

    Fino all’adolescenza (beata innocenza e semplicità dei bambini!), avevo la certezza su ciò che mi sarebbe capitato dopo la morte.

    Riassumendo le mie convinzioni di bambino, che probabilmente erano simili a quelle di tanti altri italiani educati in ambiente cattolico, ero certo che, se mi fossi comportato bene, la mia anima sarebbe andata in paradiso, per l’eternità, ma, poiché è difficile comportarsi bene (ricordo i Padre Nostro e le Ave Maria che dovevo recitare dopo le confessioni!), molto più probabilmente la mia anima sarebbe finita in Purgatorio, per un certo tempo, e poi finalmente, in Paradiso. L’importante era non comportarsi male, altrimenti, per la mia anima si sarebbero aperte le porte dell’inferno e lì avrebbe bruciato in eterno.

    Questa mia convinzione era rafforzata dal fatto che, a credere in ciò, non ero solo io. Tutta la gente che mi circondava, la mia famiglia, i miei parenti, i miei concittadini, gli altri italiani, gli europei, gli americani, la pensavano in questa maniera o in modo similare. Anche il mondo islamico, in definitiva, credeva nel paradiso, anche se lo chiamava con un altro nome, e che ci fosse un legame tra la vita nel mondo fisico e quella della sfera metafisica. Molte civiltà del passato avevano creduto nei loro inferni e nei loro paradisi, come confermavano i miei studi di storia alla scuola elementare e media: mi venivano in mente gli antichi Greci, o gli antichi Romani, anche se non erano monoteisti, o ancora i Vichinghi, con il loro Walhalla. Con tale fallace argomentazione, che nella logica è nota come argumentum ad judicium, concludevo, dunque, che in quella visione qualcosa di vero ci doveva pur essere. Pensavo puerilmente che i cinesi, gli indiani, gli altri popoli che non erano cristiani, ma specialmente i russi, per i quali la religione era l'oppio dei popoli, fossero in errore, dei ciechi, poiché non riuscivano a vedere la verità e a prenderne coscienza.

    Così, operavo quella divisione culturale tra fedeli e infedeli, tra buoni e cattivi, che nel passato, ma anche nell’attualità, è stata ed è all’origine di numerosi conflitti, e naturalmente mi schieravo, indossando la mia bella divisa, tra i buoni credenti.

    Crescendo, però, si arriva a quell’età in cui ribellarsi è quasi un obbligo, in cui la trasgressione viene prima di tutto. Si trasgredisce alle leggi, agli usi, ai costumi, alle norme anche non scritte, alla cultura della società a cui si è appartenuti fino a quel momento, alla società conformista degli adulti, e ci si aggrega a una nuova società che si giudica anticonformista e che generalmente coincide con una piccola cerchia di amici che ha determinati interessi comuni (la musica, lo sport, la politica, la religione, eccetera).

    Giunto nell’età della ribellione, anch’io mi sono ritrovato a far parte, negli anni settanta, di uno di quei gruppi new age di amici, per lo più ragazzi, i cui interessi erano la ricerca spirituale, una sana alimentazione, l’esistenza di altri mondi abitati, il mistero, o anche semplicemente lo stare insieme andando al mare, a mangiare una pizza, facendo campeggio o incontrandosi nella sede del gruppo.

    Certamente, l’Associazione Fratelli Dell’Universo (A.F.U.) della mia città, che, come si direbbe oggi, era un gruppo dischista, aveva molti degli aspetti di una setta. La cronaca ci ha abituato, purtroppo, a sentire notizie di gruppi simili i cui adepti subiscono un lavaggio del cervello tale che finiscono per cambiare totalmente vita, abbandonando la famiglia, perdendo il posto di lavoro, trasferendo i propri beni economici al leader del gruppo.

    Quel gruppo, o quella setta che dir si voglia, non apparteneva a questa categoria. Personalmente posso affermare, così come anche gli altri appartenenti a quella cerchia di persone, che ho continuato a fare la stessa vita di prima: ho continuato gli studi all’università e mi sono laureato, non ho abbandonato la mia famiglia e non ho mai dato contributi economici a quell’associazione. Per quanto riguarda il lavaggio del cervello, poi, posso dire che questo dipendeva, come in tutti i gruppi, dall’equilibrio mentale di ciascuno, nel senso che c’erano alcuni ragazzi che accettavano le idee del gruppo in maniera totale, altri che si differenziavano in determinati aspetti, e, personalmente, non accettavo alcune teorie, che per me rasentavano il fanatismo. A tal proposito, ad esempio, condividevo i principi morali della dieta vegetariana, idea questa portata avanti dall’Associazione, tant’è che sono diventato vegetariano prima ancora di cominciare a frequentare assiduamente quella compagnia di amici, ma non mi sono mai preoccupato di approfondire più del necessario altri aspetti collegabili a tale dieta.

    Il lavaggio del cervello, d’altra parte, può avvenire anche all’interno della religione cattolica, o di quella islamica, o di qualsiasi altra religione, e conduce talvolta al bigottismo, talvolta all’integralismo.

    È naturale che sia così, perché l’uomo, pur essendo dotato di una propria individualità, è un animale sociale, che per vivere ha bisogno di stabilire rapporti con i propri simili e di formare dei gruppi di qualsiasi tipo: familiari, politici, religiosi, sportivi, culturali. Al loro interno egli crea delle relazioni, che stanno alla base di tutto, si muove, agisce, dà il proprio contributo per la crescita e la diffusione del gruppo stesso, ma nello stesso tempo ne riceve gratificazione e quindi forza interiore.

    Ritengo che l’uomo non possa sfuggire a questa sua duplice natura, di essere, nello stesso tempo, sia essere individuale, sia essere in grado di stabilire relazioni sociali (forse proprio in ciò consiste la somiglianza con Dio). È importante, però, che ci sia un equilibrio tra queste due anime che lo porti a chiudere in parità il bilancio tra quanto egli dà al gruppo e quanto egli riceve da esso, in modo che egli non rinunci mai a nessuna delle due prerogative. Se si dà al gruppo più di quanto si riceve, si finisce per rinunciare alla propria specificità a favore della socialità, e si diventa pecore matte, ci si abitua a camminare con la testa bassa dietro chi ci precede, si finisce per non avere più chiara la direzione che si sta seguendo, e bisogna sperare, soltanto, che chi cammina davanti a tutti sia un buon pastore e che non porti, invece, tutte le pecore al macello. Se, al contrario, si dà al gruppo meno di quanto si riceve, si finisce per rinun-ciare alla socialità a favore dell’individualità: si rimane da soli e si diventa degli esclusi, dei lupi solitari, dei cani sciolti. In questo caso, si ha il vantaggio di vedere meglio la strada che si sta percorrendo, di poterla fiutare meglio, ma lo svantaggio di potere essere attaccati più facilmente.

    La mia esperienza di vita mi ha insegnato che realizzare un perfetto equilibrio stabile tra socialità e individualità è molto difficile, se non impossibile. Qualunque azione l’uomo compia, essa o va nella direzione di incrementare le relazioni sociali, o in quella opposta di aumentare le potenzialità individuali. L’uomo non può non agire, e pertanto è costretto, con ogni sua azione, a mettere dei pesi sui piatti della bilancia che misura le due anime dell’uomo: quella sociale, da una parte, quella individuale, dall’altra. Bisogna fare attenzione a non mettere i pesi sempre sullo stesso piatto, perché inevitabilmente la bilancia penderà tutta da una parte, e capire quando viene il momento di cominciare a mettere il peso nel piatto della parte opposta, in maniera da fare oscillare la bilancia alternativamente attorno alla posizione d’equilibrio. Questo non si può raggiungere, ma è possibile oscillare attorno ad esso!

    Una delle cose che mi ha fatto avvicinare al gruppo era la presenza, al suo interno, di alcuni vegetariani. Tuttavia, non m’importava di sostenere, come facevano fanaticamente alcuni, che la dieta vegetariana, da un punto di vista nutrizionale, fosse migliore di quella onnivora. Quest’aspetto, secondo me, se mai avesse avuto una base di verità, era di secondaria importanza.

    Condividevo, invece, la ricerca spirituale che era effettuata nel gruppo. Dapprima, ho cominciato a mettere in discussione le idee che dogmaticamente mi erano state inculcate dalla scuola, dalla società, dal catechismo, e delle quali, fino allora, ero stato profondamente convinto. Raggiunta una certa maturità, però, non potevo continuare a sostenerle e a pensare in maniera puerile che milioni di persone, solo per il fatto che avessero altre culture e altre religioni, fossero in errore. Nel campo della metafisica, ad esempio, il mondo orientale ammetteva la reincarnazione, teoria alquanto diversa da quella in cui credevo.

    Molto sinteticamente, la teoria della reincarnazione sostiene che, dopo la morte, l’anima lascia il corpo e si reincarna in un’altra persona. Ci sono diverse varianti di teorie sulla reincarnazione, ma tutte concordano nel vedere, in questa trasmigrazione di anime, un percorso di purificazione per arrivare al ricongiungimento a Dio. Questo cammino può essere più veloce o più lento secondo se si è buoni o cattivi.

    V’é, dunque, anche nella teoria della reincarnazione, che cominciavo a conoscere, un legame morale di causalità tra la vita fisica e quella metafisica.

    A mio avviso, la differenza sostanziale tra le idee religiose di matrice cristiana occidentale e quelle di matrice induista orientale consiste nel fatto che le prime ammettono l’esistenza dell’inferno, stato dell’anima di eterna sofferenza e dolore, mentre le seconde non la ammettono, giacché è possibile, con un certo numero più o meno grande di esperienze di vite, liberarsi dalla sofferenza e godere successivamente di uno stato di beatitudine nel Nirvana.

    Quest’ultima idea, allora, ha cominciato a piacermi e a convincermi. Ho cominciato a pensare che sia ingiusto che un’anima, poiché non impara ad amare e mantiene comportamenti peccaminosi e scorretti durante il brevissimo periodo di una vita, sia condannata per l’eternità alla sofferenza, al rimorso, a qualcosa di brutto. Ho cominciato a pensare, invece, che sia più logica la teoria secondo la quale un ciclo di reincarnazioni può condurre alla serenità dell’anima.

    Allora mi capitava di leggere qualche libro in materia che riportava testimonianze di persone che ricordavano di essere state la reincarnazione di tizio o di caio. Tali testimonianze sembrano avvalorare le teorie sulla reincarnazione.

    Il mondo orientale è pieno, pure, di uomini carismatici che hanno avuto un comportamento e una vita esemplare, a volte anche prodigiosa, per cui si può ritenere che siano stati più vicini a Dio, dei santi. E questi sostengono la teoria della reincarnazione. Ritenevo, comunque, che questo fatto non possa essere addotto a sostegno di tale dottrina poiché anche il mondo occidentale è pieno di uomini, di santi, che hanno le stesse caratteristiche, ma che sostengono, al contrario, l’esistenza dell’inferno e del paradiso.

    In conclusione, i convincimenti che avevano caratterizzato la prima parte della mia vita si erano tramutate in incertezze, e queste non mi hanno più abbandonato, creando in me uno stato di disorientamento che perdura ormai nel tempo ed è diventato caratteristico della mia personalità.

    Se vogliamo, il mio è stato un cammino opposto a quello di tante altre persone che, diventando più vecchie, meno distratte dai problemi della vita quotidiana, raggiungono uno stadio di tranquillità, riescono a mettere ordine nella loro vita e percorrono l’ultimo tratto della loro esistenza acquisendo delle certezze.

    Queste, però, non fanno per me, purtroppo! Io sono il dubbio personificato, l’apoteosi delle antinomie, o per una questione di educazione, di cultura, o perché non ho un carattere forte… Comunque, a prescindere dalla motivazione, il risultato è sempre lo stesso: l’insicurezza. In tutti i campi. Ad esempio, mi capita di seguire un dibattito politico in TV, di ascoltare le argomentazioni addotte dai politici intervenuti che, evidentemente, spesso sono diametralmente opposte, e di non sapermi schierare né con l’uno né con l’altro. E ciò non perché nessuno stia producendo delle argomentazioni valide, coerenti, o perché, secondo me, esista una terza possibile posizione per affrontare l’argomento del dibattito, ma al contrario, non riesco a prendere posizione perché mi sembra che entrambi stiano dicendo delle cose giuste. E la stessa cosa succede per la metafisica. Molte valide argomentazioni porterebbero a sostenere una visione basata sull’esistenza dell’inferno e del paradiso; altrettanto valide argomentazioni, parimenti, porterebbero verso una metafisica basata sull’esistenza della reincarnazione. E io, ancora oggi, non riesco a schierarmi in maniera definitiva o con le une o con le altre.

    Immaturità? Incapacità decisionale? Può darsi.

    È questa, comunque, una mia caratteristica per cui, ad esempio, nella vita non avrei mai potuto fare il dirigente, che deve saper valutare velocemente e prendere dei provvedimenti. Non si deve pensare, però, che io non sia proprio capace di prendere delle iniziative e che abbia bisogno sempre di qualcuno che decida per me. Qualche scelta di vita fatta in passato mi ha portato talvolta a camminare da solo, controcorrente, a essere un po’ anticonformista, quel poco che basta, un anticonformista D.O.C., però, per convinzione, e non per atteggiamento, solo per il gusto di essere diverso dagli altri. E sì! Perché quando si è convinti che una cosa sia giusta, e si vive in un ambiente in cui c’è un minimo di tolleranza e di rispetto per le idee altrui, come quello in cui ho la fortuna di vivere e che indubbiamente è stato creato nel mondo occidentale dalla diffusione della cultura di matrice cristiana (questo bisogna riconoscerlo!), allora non importa se tutti gli altri non sono d’accordo e si è soli a pensarla in una data maniera. Bisogna avere un minimo di coraggio e sostenere le proprie idee, anche quando queste non sono tanto popolari e rischiano di farci apparire visionari agli occhi degli altri. Mi riferisco non solo alle idee fantastiche che esporrò più avanti, ma anche, ad esempio, al fatto di essere diventato vegetariano. Ciò ha provocato, e provoca, nella mia vita, qualche disagio di tipo sociale che avverto nei momenti di convivialità con gli amici e parenti. Tale scelta l’ho fatta all’età di diciotto/diciannove anni, quando cominciavo ad avere i primi contatti con i membri dell’Associazione del quale in segui-to sarei entrato a far parte.

    Poi, negli anni Ottanta, quel gruppo, si è disgregato.

    Le cause vanno ricercate nei normali cambiamenti che sono intervenuti nella vita di ciascuno. Alcuni ragazzi, i più grandi, quelli che già lavoravano, si sono sposati, e gli impegni familiari li hanno costretti a dedicare meno tempo e risorse economiche a quella compagnia di amici. Altri sono emigrati per lavoro, e si sono creati una famiglia. Alcuni si sono laureati e hanno cominciato a svolgere la loro professione: io l’insegnante, altri hanno intrapreso la carriera di commercialista, avvocato… Inoltre, sono sorti fra alcuni di loro degli screzi, che dopo tanto tempo nemmeno ricordo più, che tuttavia hanno contribuito alla rottura dell’anima di quel gruppo.

    In seguito, ho perso i contatti con gli altri, e non so cosa sia loro capitato. Il leader, Ettore, ha fermamente continuato con altre persone l’esperienza della ricerca spirituale, ma non ho notizie precise, anche se, navigando recentemente in Internet, ho trovato dei video che testimoniano come ancora oggi continui l’esperienza dell’Associazione, in forme diverse, con idee nuove e molto più radicali che spesso non condivido, e con atteggiamenti che lo rendono molto diverso da quello che mi appariva in passato. Altri si sono riavvicinati alla chiesa cattolica, alcuni, addirittura, hanno iniziato (almeno credo) il cammino neocatecumenale. Un altro ancora si è avvicinato di più alla cultura orientale e al mondo yoga…

    Io, per quel che mi riguarda, ho cominciato a lavorare, mi sono sposato, ho avuto un figlio. E preso dalla vita fisica, per un certo periodo, durato circa una quindicina d’anni, fino a quando mio figlio, crescendo in questa società cristiana occidentale, non è arrivato all’età della prima comunione, ho dimenticato le speculazioni sulla metafisica: avevo raggiunto una forma di sazietà interiore, che proveniva da mia moglie e da mio figlio, per cui tutto il resto non era di fondamentale importanza e passava in secondo piano.

    In quel periodo, approssimativamente tra il 1985 e il 2000, non m’importava più di sapere se c’era la reincarnazione o il paradiso e l’inferno. Era una cosa secondaria. Avevo raggiunto quel paradiso personale e tanto mi bastava. In fin dei conti, a che giovano le riflessioni metafisiche quando, nel corso del tempo, santi orientali e occidentali, filosofi e pensatori di ogni parte del mondo, non sono ancora riusciti a raggiungere un punto d’incontro e ognuno continua a predicare la propria verità?

    Un proverbio siciliano recita: Le chiacchiere sono chiacchiere e i maccheroni riempiono la pancia. Questo era diventato, in sintesi, in quegli anni, il mio pragmatico modo di vedere la vita. Il mondo reale tangibile, il concreto, mi appagava in maniera completa, e nemmeno valeva la pena di leggere libri di santi e di pensatori. Non ero caduto nell’ateismo, ma nell’agnosticismo, e ancora oggi penso di essere agnostico.

    Mia moglie era, e fortunatamente è tuttora, ringraziando Iddio, dopo ventotto anni di matrimonio, una donna di educazione occidentale, di religione cattolica, credente ma non praticante, in cui le credenze religiose si mescolano, come in tante altre persone, a qualche forma di superstizione. Penso che forse non l’avrei mai potuta amare se lei non fosse stata così, com’è, se fosse stata, ad esempio, una bigotta praticante, oppure atea. Ho sempre rispettato e accettato quello che pensa e il suo modo di vivere, e lei ha sempre rispettato e accettato quello che penso io e il mio modo di vivere. Tra di noi non ci sono stati mai dei discorsi di tipo metafisico, e ognuno è rimasto sempre nelle proprie convinzioni, o nelle proprie incertezze. La nostra unione si è basata non sulle chiacchiere, ma sui maccheroni. Nonostante il nostro silenzio in materia, però, ritengo di conoscere esattamente quale sia il mondo religioso di mia moglie. E, reciprocamente, sono sicuro che lei, silenziosa compagna di vita, in fondo in fondo, intuisca il mio mondo interiore, e penso che non si stupirà più di tanto quando leggerà le mie fantasticherie e infine lo conoscerà.

    Una religione vale l’altra

    Dal 1985 al 2000, quindi, la mia vita è rimasta lontana dai ragionamenti metafisici e religiosi, e ho dato scarsa importanza a tutto ciò che aveva a che fare con la spiritualità. Il fatto che mia moglie fosse

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