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L’incrinatura nell’uovo cosmico: Espansione dela coscienza e creatività
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L’incrinatura nell’uovo cosmico: Espansione dela coscienza e creatività
E-book303 pagine4 ore

L’incrinatura nell’uovo cosmico: Espansione dela coscienza e creatività

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Info su questo ebook

In questo suo libro provocatorio e stimolante, Joseph Pierce ci presenta in modo estremamente vivido le idee di pensatori come Blake, Bruner, Gesù, Laing, Polanyi, Teilhard, Tillich e Castaneda. Esaminando le loro opere, egli ci mostra in che modo possiamo uscire dalla prigione autocostruita della nostra mente, che ci impedisce di sviluppare le nostre potenzialità innate e di diventare chi veramente siamo.
LinguaItaliano
Data di uscita1 feb 2016
ISBN9788871834658
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    Anteprima del libro

    L’incrinatura nell’uovo cosmico - Joseph C. Pierce

    INTRODUZIONE

    Sono passati circa dieci anni dal giorno in cui mi accorsi che le prime incrinature si stavano aprendo nel mio uovo cosmico e, da allora, ho sempre cercato il modo di comunicare quest’esperienza in una forma che fosse comprensibile. Questo mio sforzo è stato accompagnato da un senso di disagio, sia per le difficoltà intrinseche a questo tipo di comunicazione, sia perché l’ho vissuto come inadeguato rispetto alla progressiva involuzione della nostra società.

    Nonostante quest’esperienza avesse avuto un effetto radicale e disorganizzante sulla mia personalità, mi riusciva semplicemente difficile tradurla in termini comuni. Il mio interesse era di carattere sociale, e speravo di scoprire una formula carismatica che in qualche modo modificasse quella che mi appariva un’inarrestabile deriva verso lo sfacelo. Ma l’esperienza dell’incrinatura rimaneva, e rimane ancora, un fragile e solitario evento statisticamente insignificante in un mondo governato dalle fredde leggi della statistica.

    Cercavo quella formulazione esplosiva che avrebbe fermato magicamente le schiaccianti forze della guerra, sciolto gli asti ideologici, e ridotto il desiderio di ingozzarsi su vasta scala del sangue dei propri fratelli. Desideravo ardentemente trovare un segno cosmico, che indicasse la via per un esodo di massa dalla nostra disperazione di Scimmie Nude, e ci conducesse all’estasi dell’essere pienamente umani. Quella che ora mi resta è la speranza di poter essere ascoltato da due o tre persone, preoccupate anch’esse per la morte della logica, e desiderose di esplorare insieme l’incrinatura come via d’uscita e di autoconoscenza.

    Quando la logica fa bancarotta, i forzieri delle possibilità si svuotano. Ed ora, come Orwell spiega così bene nel suo libro 1984, il nostro bisogno di alternative è forte, ma le alternative sono assenti dalla scena.

    Nell’esperienza dell’incrinatura invece, le alternative abbondano, ma soltanto per quel solitario lettore, portato, forse, ad odiare un mondo di morte strisciante, in cui il nemico cambia continuamente, e la paura e l’odio, la servitù economica, la schiavitù psicologica e la generale assenza di gioia prevalgono; un mondo in cui le alternative si polarizzano in altre realtà egualmente ripugnanti; un mondo la cui logica riesce al massimo a concepire un equilibrio basato sul terrore dei missili balistici; un mondo in cui i leader tendono a divenire proprio ciò che più criticano e dichiarano di detestare; in cui sono gli stessi uomini del Pentagono e della CIA a generare quei problemi e quegli eventi che giustificano e rendono necessari i metodi del Pentagono e della Cia; in cui gli unici percorsi sotterranei sono gestiti da un’opposizione che non sa come uscire dalla disperazione.

    La mia generazione si vanta delle sue realizzazioni, e si chiede come mai i giovani disprezzino le splendide cose che sono state loro offerte. Eppure ci sono coloro che leggono il cartellino del prezzo e trovano che il costo della psiche, della vita e della speranza è troppo alto. Perciò scrivo per quel lettore che non riesce a rimanere dov’è e non sa dove andare. Scrivo di un’alternativa che è una via di mezzo, esclusa a priori, per venir fuori da quest’impasse logico.

    C’è una terza possibilità in questo mondo di alternative inconciliabili, ma questa via d’uscita richiede che si vada al di là, non che si continuino a rimescolare vecchi ingredienti andati a male. L’illusione di risolvere i problemi con la mente razionale è la prima falsa speranza da abbandonare, in quanto il pensiero della mente razionale tende ad essere circolare. Le tecniche usate per risolvere i problemi determinano la natura delle soluzioni con cui siamo poi costretti a convivere. Risolvere i problemi è come tappare i buchi di una barca di legno marcio; per ogni toppa che mettiamo, si aprono altre due falle. Vi sono volte in cui la via di uscita non la si può trovare con la tecnica di tappare i buchi logici. A volte abbiamo bisogno di una via che vada al di là delle navi in disarmo, una via che non serva a riassemblare un nuovo battello, e forse, neanche a trovare un pur utile giubbotto di salvataggio, ma piuttosto una via sottomarina che attraversi il mare della confusione e ci permetta di approdare verso nuove terre.

    Ci si può avvicinare all’incrinatura soltanto in modo obliquo, usando un linguaggio che includa quelle parole-detonatore, sconosciute ma altamente cariche, che tutti portiamo dentro, parole che bloccano l’udito, ma il cui significato sottinteso esprime con precisione ciò che intendiamo dire. Di più, anche la mia alternativa nasconde l’antico dilemma: Non gettarti nell’acqua finché non sai nuotare. Mi trovo, infatti, costretto a mettere in questione assunti arcaici che non solo sono alla base della scienza e della religione, ma anche della nostra cultura in generale, ed ai quali tutti inconsciamente aderiamo. Mettere in dubbio tali concetti significa mettere in dubbio la stesso terreno su cui poggiamo. Devo, perciò, fare in modo che il lettore vi si immerga in un solo colpo. Gli chiedo di avere un minimo di fede e di di nuotare attraverso queste prime pagine, dopo le quali, spero, troverà un terreno più solido su cui fondare la sua comprensione.

    Che la mente abbia potere sulla materia è un concetto fuorviante, e non è il tema di questo libro. Considero, invece, la mente e la realtà, come i poli complementari di un continuum, ed ho scoperto, per esempio, che la guarigione spontanea di un paziente terminale avviene nello stesso modo in cui uno scienziato fa le sue scoperte, un mistico viene illuminato, oppure lo studente di fisica si trasforma ad un certo punto in un fisico maturo.

    Sia gli indù che camminano sui carboni ardenti, che lo scienziato che, dopo aver gridato Eureka esperisce un nuovo livello di realtà, si avvalgono di una funzione della mente che è in grado di plasmare la realtà. Questo libro traccia gli schemi di sviluppo che sono alla base di questa funzione, dedicando particolare attenzione tanto al processo grazie al quale una domanda posta con passione evoca necessariamente una risposta, quanto a quello attraverso cui vengono riempite le categorie vuote proposte dall’immaginazione creativa. La categoria vuota elaborata da uno scienziato, per esempio, si autorealizza nello stesso modo, e per le stesse ragioni per cui una malattia popolare, pubblicizzata, temuta e considerata alla stessa stregua sia dal medico-sacerdote che dal paziente-fedele, finisce con l’auto-realizzarsi e diffondersi in maniera statisticamente prevedibile.

    Anche se nel mio libro esploro questo processo attraverso cui la mente e la realtà si rispecchiano reciprocamente, evito argomenti filosofici, quali la natura del mondo. In questa mia ricerca personale, ho esplorato in che modo facciamo esperienza del mondo e, cosa ancora più importante, in che modo questa nostra esperienza influenza il mondo che esperiamo.

    La nostra realtà è influenzata dalle idee che abbiamo su di essa, indipendentemente da quale possa essere la natura di queste. Nessun concetto può emergere o svilupparsi isolatamente, al di fuori del tessuto generale di tutti gli altri concetti. Questo mio libro si è formato all’interno del contesto delle idee in cui mi riconosco. Devo, perciò, considerare alcune di queste influenze, anche se queste sono talvolta in conflitto fra di loro e se il mio obbiettivo è di andare al di là di esse.

    Peter McKellar scrive: La contrapposizione fra due scuole di pensiero può impedire, completamente o parzialmente, la comunicazione fra due pensatori, finché un terzo pensatore non nota che dicono entrambi cose degne di attenzione imparziale.

    Ben difficilmente la mia attenzione potrebbe considerarsi imparziale, ma, penso di poter svolgere il ruolo di terzo uomo, evidenziando le similarità che esistono tra campi apparentemente non correlati. Spero di mostrare che molti sviluppi recenti, sebbene distinti fra loro, sono linee che puntano verso la stessa, funzionale, Incrinatura nell’uovo cosmico.

    Il nostro uovo cosmico è la somma totale delle nostre idee sul mondo, idee che definiscono quel che la realtà può essere per noi. L’incrinatura, quindi, è una modalità di pensiero attraverso cui l’immaginazione può sfuggire dall’involucro mondano e creare un nuovo uovo cosmico. L’incrinatura è quel crepuscolo tra i mondi scoperto dal giovane antropologo Carlos Castaneda, durante il suo studio dello stregone indiano Yaqui don Juan, e della sua Via della Conoscenza. L’incrinatura la si trova pure nella porta angusta della Via della Verità di Gesù. L’incrinatura ci permette di andare al di là del freddo mondo della statistica.

    I lettori penseranno ai molti altri studi ed alle molte altre ricerche di cui avrei dovuto tener conto, ma, per mantenere quest’opera entro limiti accettabili, ho scelto selettivamente il materiale da presentare, ed ho ignorato selettivamente quegli argomenti che non rientravano nei miei obiettivi. Le implicazioni dell’incrinatura sono cresciute in modo esponenziale, ed ho dovuto limitare i miei riferimenti a quei concetti passati e a quegli studi attuali che mettono in rilievo la crescente consapevolezza di un continuum ininterrotto tra mente e realtà. Ho usato queste fonti con la speranza di chiarire e di verificare il mio lavoro, ma non posso affermare che esse ratificherebbero le mie conclusioni, sebbene non penso di averne tradito il senso o di averle utilizzate troppo riduttivamente.

    L’ultima parte di questo libro ha uno scopo teologico, ma non è stata scritta con l’intento di ricevere un applauso dal pulpito. I lettori alla ricerca di assoluti divini, di sicuri sistemi chiusi, o di chiare formule e direttive, potrebbero trovare questi ultimi capitoli inconcludenti. Tuttavia, l’incrinatura contiene un enorme, invero romantico, ottimismo, che spero possa funzionare da utile antidoto contro l’imperante tendenza al nichilismo.

    Dopo una gestazione di circa due millenni, la consapevolezza del potere creativo della mente si sta rafforzando sempre più. Se le forze oscure del Pentagono o della tecnocrazia non ci distruggeranno con il loro mortifero realismo primitivo, nella nostra epoca l’umanità potrà finalmente uscire dalla sua infanzia, e potrà mettersi al timone del mondo, come sognava Teilhard de Chardin. Ciò potrà avvenire soltanto grazie all’incrinatura nell’uovo, indipendentemente dalla forma che questo avrà assunto in quel momento. Il processo attraverso cui la la realtà viene plasmata opera automaticamente a nostra insaputa, ma questo respiro della vita che struttura ogni cosa è anche il livello più profondo della nostra stessa mente, ed è alla portata di ognuno di noi, anche adesso. La tecnica per accedere coscientemente a questo processo sarà chiarita, spero, nelle pagine seguenti, purché il lettore sappia perseverare e conservi una mente aperta.

    J.C.P.

    Williamstown, Massachussetts

    Giugno 1970

    1

    CERCHI E LINEE

    Esiste una relazione fra ciò che riteniamo sia la realtà esterna, e ciò che esperiamo come tale. L’energia del pensiero e l’energia della materia interagiscono, modificandosi reciprocamente; la mente e la realtà, dunque si rispecchiano continuamente anche se in modo imperfetto.

    Noi, tuttavia, non possiamo restare al di fuori di tale processo ed esaminarlo, perché siamo quel processo, e lo siamo in misura non quantificabile. Tutte le tecniche a cui possiamo ricorrere per osservare obbiettivamente la nostra realtà diventano parte dell’evento osservato. Facciamo parte in misura non quantificabile della funzione che plasma la stessa realtà da cui proviene il nostro sguardo, poiché questo è uno dei fattori che determinano la realtà osservata.

    Possiamo analizzare e dirigere in modo più attivo questo gioco degli specchi fra mente e realtà se riusciamo a sospendere alcuni degli assunti da cui ci facciamo in genere guidare. Il processo di rispecchiamento, per esempio, va pensato come il solo elemento fisso, mentre i prodotti di tale processo devono essere considerati relativi. William Blake dichiarò che la percezione è l’universale, l’oggetto percepito il particolare. Non sono mai le scoperte ad assumere un valore universale, quanto piuttosto il processo attraverso cui a tali scoperte si perviene.

    Jerome Bruner(1) del Center for Cognitive Studies dell’Università di Harward, dubita che il mondo sia direttamente percepibile. D’altra parte, non si può neanche dire che ci troviamo in una trappola soggettiva costruita dal nostro stesso operato; piuttosto, ci rappresentiamo il mondo e rispondiamo alle nostre rappresentazioni. Ed esiste, aggiungerei, un modo sottile e casuale con cui il mondo risponde a tali rappresentazioni. Tanto il realismo che l’idealismo ingenui devono essere ugualmente abbandonati se vogliamo comprendere la funzione di quel gioco di specchi fra mente e realtà indicato da Bruner.

    Eravamo convinti che le nostre percezioni fossero l’effetto della stimolazione dei nostri organi percettivi da parte del mondo esterno. Pensavamo che tali stimoli giungessero al cervello, e che questo mettesse insieme un facsimile ragionevole di ciò che in effetti si trovava all’esterno. Sappiamo ora che concetti, nozioni o assunti di base dirigono attivamente i nostri percetti, secondo quello che Bruner definisce programma selettivo della mente. La mente dirige ogni minima parte dell’apparato sensoriale, così come quest’ultimo informa i processi di pensiero.

    Eravamo abituati a pensare al mondo fisico come ad un’entità fissa esterna in nessun modo influenzata dai nostri pensieri casuali e transitori. Ancora aggrappati a quest’idea sono oggi i rappresentanti del cosiddetto pensiero forte, la cui arrogante esibizione di obbiettività logica e realistica dissimula una pedante e selettiva cecità, un realismo che vede soltanto ciò che viene decretato visibile. Eppure esiste un modo in cui gli eventi fisici e mentali si fondono e si influenzano reciprocamente. Un mutamento nella visione del mondo è in grado di modificare il mondo osservato; e non mi riferisco a giochi di società come cercare di influenzare il lancio dei dadi: qui la posta è più alta, i legami più sottili e di più vasta portata.

    In un episodio giovanile, per esempio, mi ritrovai in uno stato mentale simile alla trance, una specie di sonnambulismo, che più avanti in quest’opera definirò autistico. In questa condizione molto particolare scoprii di colpo che ero insensibile al dolore e invulnerabile al fuoco. Davanti ad oltre una dozzina di testimoni, premetti le punte incandescenti di alcune sigarette contro i palmi, le guance e le palpebre, spegnendole su queste aree sensibili. Conclusi stringendo fra le labbra le punte di diverse sigarette accese, e soffiando le scintille contro i miei compagni stupefatti. Essi in seguito constatarono, con loro autentica costernazione, l’assoluta mancanza di bruciature o di altri effetti del mio comportamento dissennato. Ciò spinse i miei amici studenti di fisica a misurare la temperatura della punta incandescente di una sigaretta, che si rivelò essere di circa 750° C. Un calore così intenso, applicato in modo costante e prolungato, non aveva prodotto alcun danno ai tessuti del mio corpo.

    In seguito, quando svolsi una ricerca sulla pirobazia(2) indù, capii perfettamente in quale stato mentale mi ero venuto a trovare, sebbene poi non vi sia mai più entrato. Mi risultò evidente, che il mio pensiero ordinario aveva subito una sospensione, ed era entrato in una modalità che mi ricordava alcune esperienze della mia prima infanzia. Ero consapevole di me stesso pur sperimentando un certo grado di dissociazione interna, un po’ come se fossi seduto a guardare me stesso.

    Quell’impresa azzardata fece sorgere in me molte domande. In primo luogo, naturalmente, per quale motivo le normali reazioni della carne viva al calore estremo non si erano attivate in quello strano stato mentale? Di che stato mentale si trattava? Poteva la sua realtà essere diversa dalla realtà del pensiero ordinario, e in tal caso, queste varie realtà possedevano ciascuna qualcosa di arbitrario? Quali erano le potenzialità di questo tipo di pensiero, in particolare se a controllarlo era una persona cosciente, nel pieno esercizio delle sue facoltà? (Certamente io non ero nel pieno esercizio delle mie facoltà, e l’unica cosa che mi venne in mente per dimostrare la mia invulnerabilità fu lo scherzo della sigaretta.)

    Infine, ma cosa non meno importante, alcuni dei miei colleghi degli anni successivi si dimostrarono assurdamente ostili ai miei resoconti di questa e di altre mie simili esperienze personali. Perché si rifiutavano di credere alla realtà di queste esperienze? Perché insistevano a dire che si era trattato di semplici allucinazioni, che avevo interpretato male i dati o, peggio ancora, che avevo semplicemente mentito? Ciò mi imponeva di estendere la mia ricerca, includendo in essa non solo lo studio del ruolo che l’interazione concetto-percetto svolge nella nostra realtà, ma anche quello dei motivi per cui il pensiero logico ordinario è così ostile nei confronti di qualunque strappo nel suo tessuto.

    La realtà non è un’entità fissa, bensì una concatenazione arbitraria di eventi che non si limitano semplicemente ad accaderci. Siamo parte integrante di ogni evento, partecipiamo alla sua formazione anche quando non desideriamo altro che un assoluto sul quale riposare. Forse è proprio questo desiderio ardente di un assoluto che liberi i nostri concetti dalla responsabilità dei nostri percetti, e dunque indirettamente della nostra realtà, a spiegare l’ostilità dell’intelletto ordinario nei confronti di tali misteriose modalità della mente.

    Più avanti proverò a descrivere in breve il modo in cui la cultura plasma la mente infantile, imponendole di, adattarsi alla realtà, e indicherò anche il modo in cui la rappresentazione che ne deriva contribuisce a determinare la realtà in cui l’adulto successivamente si muoverà. Analizzando le modalità con cui la nostra rappresentazione del mondo si sviluppa, potremo afferrare la natura arbitraria, e quindi flessibile, della nostra realtà. Il modo in cui ci rappresentiamo il mondo è determinato dalla globalità del tessuto sociale, come ha detto Bruner. Non c’è alcuna possibilità di sfuggire alla ricca rete del linguaggio, del mito, della storia, dei comportamenti, delle attitudini inconsciamente acquisite, delle nozioni, ecc., perché di queste cose è fatta la nostra realtà. Se il tessuto sociale diventa un sudario, il solo modo per uscirne passa per il medesimo procedimento attraverso cui esso è stato tessuto, perché non ne esiste alcun altro. Pertanto, dobbiamo scoprire tutto quello che possiamo sul relativo telaio, e tessere la nuova tela con l’immaginazione e la visione, invece di permettere che il processo si dispieghi seguendo un destino casuale.

    La rappresentazione che ereditiamo, la nostra visione del mondo, è una faccenda basata sul linguaggio: varia da cultura a cultura. Edward Sapir, il linguista, definì un’illusione l’idea di poterci adattare alla realtà senza l’uso del linguaggio. Egli dichiarò che il mondo reale è in gran parte costruito sulle abitudini linguistiche del gruppo.

    In nessuno di noi il pensiero logico-sociale è una tabula rasa, o una lastra fotografica in grado di cogliere ciò che si trova realmente all’esterno. Di fatto, guardiamo il mondo attraverso un prisma estetico dal quale non possiamo liberarci se non cambiando prisma. Il nostro sguardo non è mai puro, né i nostri occhi possono essere del tutto innocenti. Quando mi ritrovai in quel peculiare mondo crepuscolare in cui il fuoco non mi bruciava, non ero in contatto con la vera realtà o con la verità; avevo semplicemente bypassato alcuni sillogismi del mondo logico ordinario, e ristrutturato quell’evento in modo indipendente dai criteri comuni. Anche le nostre osservazioni più critiche, analitiche, scientifiche o distaccate non sono altro che dei processi di verifica, che fra i vari dati selezionano quelli che confermano le ipotesi di partenza.

    La nostra visione del mondo è un modello culturale che plasma la nostra mente sin dalla nascita. Sembra far parte del nostro destino. Il bambino viene considerato ben integrato, quando reagisce alla rete sociale e ne diventa un filo cooperante. Siamo plasmati da questa rete, essa determina il modo in cui pensiamo e quello in cui vediamo ciò che vediamo. È il nostro modello di rappresentazione, che viene rafforzato dal modo in cui reagiamo ad esso.

    Eppure, ogni visione del mondo è arbitraria in misura non quantificabile, e questa arbitrarietà è difficile da riconoscere perché il mondo che vediamo è determinato dalla nostra visione del mondo. Considerare arbitraria e flessibile la nostra visione del mondo pone automaticamente il nostro mondo nella stessa discutibile posizione. Eppure noi la cambiamo di continuo, ma ci rappresentiamo tali cambiamenti come scoperte di assoluti, perché vogliamo proteggerci dalla nostra condizione di arbitrarietà, e vogliamo evitare di vedere che il pensiero umano è un processo creativo. Neghiamo il fatto che le discipline mentali creano attraverso una sintesi; insistiamo ad affermare che non facciamo altro che scoprire le leggi della natura. Contrariamente a quanto affermano i nichilismi contemporanei, noi possediamo illimitate potenzialità, tuttavia dobbiamo riconoscere e accettare l’interazione fra rappresentazione e risposta, se vogliamo essere soggetti pienamente attivi, e non oggetti passivi.

    Per esempio, molti anni dopo la mia piccola esperienza con le sigarette, il mio mondo andò in frantumi quando due interventi chirurgici radicali ed altre macabre manipolazioni operate su mia moglie non riuscirono a fermare un tumore maligno, la cui proliferazione era stata probabilmente stimolata dagli ormoni prodotti dalla sua gravidanza. Alla fine, una volta che le fu tolto tutto ciò che c’era da tagliare ed asportare, le rimase ben poco da offrire per ulteriori esperimenti. I sacerdoti del bisturi emisero la loro sentenza e non le diedero che poche settimane di vita. I fatti sembravano dar loro ragione.

    Nonostante ciò, mi ricordai di quello strano mondo in cui il fuoco non riusciva a bruciare, ed avviai un programma intensivo al fine di trovare quell’incrinatura nell’uovo che ci avrebbe consentito di ristrutturare gli eventi nel modo per noi più vantaggioso. Nel corso di diversi digiuni della durata di cinque-sei giorni, sottoposi mia moglie ad un completo e ininterrotto lavaggio del cervello, non lasciando mai sola la sua mente. In tutte le sue ore di veglia le lessi libri e articoli sulla guarigione, e mentre dormiva le inviavo di continuo suggestioni di speranza e di forza. Non avevo alcuna idea di come avrebbe operato la ristrutturazione, ma circa tre settimane dopo, in poche ore, mia moglie guarì all’improvviso e si riprese totalmente.

    Ritornammo con apprensione al tempio, perché i sacerdoti certificassero la scomparsa del tumore, cosa che puntualmente fecero. I numerosi specialisti del centro di ricerca presero atto della guarigione, ma non senza forti reazioni emotive. A quelli che parlarono senza mezzi termini di miracolo, si contrapposero gli iper-realisti, che ci avvertirono dei terribili rischi a cui andavamo incontro e invitarono mia moglie a sottoporsi a dei controlli periodici perché una ricaduta sarebbe stata inevitabile; proprio il tipo di categoria-dubbio che avevo cercato di evitare in tutti i modi.

    Vero è che, circa un anno dopo, il delicato equilibrio su cui si reggeva il nostro mondo privato andò di nuovo in frantumi allorché divenne ovvio che il nostro ultimo figlio, nato nel mezzo di quella carneficina, aveva seri problemi. Quando gli fu diagnosticata una grave paralisi cerebrale, la nostra bolla di sapone scoppiò, il drago ruggì nuovamente, e nel giro di poche settimane il nostro mondo andò in rovina.

    Tuttavia, modificando le nostre idee su cosa era possibile, riuscimmo a battere le aspettative del mondo statistico, anche se solo per breve tempo. Il tessuto sociale è tenuto insieme dal fatto che vi è accordo su quali fenomeni ritenere accettabili. Susanne Langer considera la natura un prodotto del linguaggio, che può sprofondare nel caos ogni qual volta l’ideazione viene meno. La minaccia di tale caos si dimostra uno stimolo sufficiente a garantire l’immediata accettazione delle idee correnti. Paradossalmente, anche quando quest’ideazione decreta che un particolare

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