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Il labirinto di Meride
Il labirinto di Meride
Il labirinto di Meride
E-book1.117 pagine19 ore

Il labirinto di Meride

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Info su questo ebook

Dai vecchi appunti di suo nonno, un archeologo italo croato scopre un segreto spaventoso che fin dalla tenerà età lo ha sempre affascinato: trovare il labirinto di Meride del faraone Amenemhat III. Per puro caso, a Venezia, il giovane incontrò un docente inglese che lo portò con se nell'archivio del vaticano dove videro i documenti riguardanti quel labirinto che secoli prima erano giunti nelle mani di papa Pasquale II a Roma da Gerusalemme da due cavalieri templari. I documenti erano quattro: Due rimasero a Roma e gli altri, con uno stratagemma di un templare, furono sparsi per l'europa. Entrambi saranno presi da questa ricerca ripercorrendo le orme di Simet, una guida egiziana vissuta duemila anni prima che lo visitò con altre tre persone tra le quali il geografo Strabone lasciando un segno per i posteri. Il tempo che aveva cancellato ogni cosa da millenni però non permise a suo nonno, prima della morte, di metterci piede...
LinguaItaliano
Data di uscita26 dic 2016
ISBN9788892643475
Il labirinto di Meride

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    Anteprima del libro

    Il labirinto di Meride - Francesco Testa

    scoprire.

    CAPITOLO PRIMO

    UNA GIORNATA COME TANTE, QUASI

    Fine settembre dell’anno 21 a.C.

    Nelle vicinanze di Al Qahira, nei villaggi fino alle sabbie di El Sinbet, i pastori e gli animali dormono; le porte della città stanno per chiudersi mentre l’ultima pattuglia rientrerà dalla carraia. Tre uomini incappucciati sono a mezz’ora di cammino dalla piramide di Micerino; il buio e gli ululati dello sciacallo sono la cornice di quel luogo. Un acquitrino, reso vivo dal gracidare di un rospo, rispecchiava la luna, l’unica nota lieta dando alle ombre una parvenza di vita. Per cinque volte si sentì il suono del corno quando le porte di Al Qahira si chiusero. Pali di tre metri erano infilati dietro le sei porte, e una grata dietro le rendeva impenetrabili a qualsiasi mezzo di sfondamento. A sud c’era la carraia ancora aperta, tre sentinelle pronte a chiuderla all’ultimo suono del corno. Dalla città, fino ai margini del deserto di El Simbet, un sentiero affiancato da rovi accarezzava con una rara erba le radici morenti di un sicomoro. I tre s’incamminarono su un brecciolino consunto dal passare degli zoccoli di chissà quanti animali, proseguendo su sassi più grandi fino a diventare una scia di un wadi ricoperto da pietre e sterco di cammello il cui fetore faceva lacrimare gli occhi. Che schifezza! esclamò il più giovane, e un altro: Mai quanto le latrine dei legionari; a proposito, ho saputo che una legione proveniente dalla Siria si è accampata da queste parti, e se si alza il vento, sai il fetore!. Sempre il giovane: Quelli lì se non crocifiggono qualcuno non sono contenti. Spero di non incontrarli mai. Il più anziano affiancandolo: Non credo, Fatimider, il re di Al Qahira sa il fatto suo. Alla locanda ho sentito da due soldati che i pozzi d’acqua a un giorno da qui sono stati avvelenati; quindi, se tanto mi dà tanto, non ne saranno rimasti molti di quei bastardi, anche se qualche patrizio si è fatto portare persino l’acqua dalla Siria.

    Alternati nel wadi, si notavano una ventina di sfiatatoi in marmo d’Aleppo, che uscivano per quindici centimetri dalla sabbia, come se il demonio facesse uscire da lì il lezzo dei suoi escrementi. Ricoperti da erba ingiallita era difficile vederli. Il più anziano vomitò mentre la temperatura calava a vista d’occhio. A sinistra, sotto il pietrisco illuminato dalla luna, viveva una colonia di serpenti in una perenne attesa del sole per mordere ogni cosa. Andarono avanti fino a una radura di una cinquantina di metri quadrati. Una nuvola di un nero brillante costituita da migliaia di uccelli ricoprì la luna andando a svernare chissà dove; ad un tratto, calò una seconda tenebra. Li avvolse dall’alto come un sudario semita; li osservava. Non ci vedo! Ho paura! esclamò Atset al guerriero di fianco, ma lui naso all’insù stava fissando le stelle: Niente che possa impensierirci a parte il fetore, c’è solo l’erba, qualche lucciola e nient’altro. Sì, siamo nelle vicinanze. L’ombra della più piccola si vede già!. Preso dall’eccitazione, il guerriero esclamò: Per Zoroastro, che meraviglia! Mi chiedo come avranno fatto a costruirla!. Uno vestito di nero fino ai piedi chiese sbuffando: Strabone, tu vedi niente?. L’altro a fatica rispose: Non credo che siamo sul punto giusto, e inoltre quella nuvola non ci facilita il compito, però se ricordo bene l’egiziano mi ha detto che ci dovrebbe essere una colonna affiorante e due palme piegate ad est tra un paio di muri in rovina: il posto è quello. Spero che la luna non sia alta prima che arrivi. La terra, il sole e la luna a breve saranno allineati e abbiamo al massimo un’ora, per cui non credo che riusciremmo a trovare l’ubicazione da soli. Per il momento possiamo guardarci in faccia e aspettare di vederlo arrivare, spero!. La nuvola vivente si spostò e tornarono a vedere. Si risentì il suono del corno, le porte della carraia erano chiuse: Se succede qualcosa non possiamo rientrare brontolò Strabone, e Atset avanzando il passo: Non fare il menagramo! Cosa vuoi che ci accada? Rilassati, troveremo l’ubicazione e domani torneremo in città!. Nugoli di zanzare si alzarono da un acquitrino tormentandogli collo e faccia; si sentì gracidare. Perlomeno c’è qualcuno che parla! sentenziò Strabone, e Atset prendendolo in giro: Credevi che ti accogliessero con le trombe? Muoviamoci, lascia perdere rospo e zanzare e anziché smanacciare l’aria mettiti un po’ di quest’olio, così la smetterai di grattarti. Non voglio neanche toccarlo, mi farebbe puzzare come una capra rispose disgustato dall’odore. Il più giovane scuotendo la testa: Come vuoi, ricordati che non te lo darò quando me lo chiederai. Il geografo smanacciò i più insistenti sgranando gli occhi a qualsiasi ombra dietro le dune; Atset se ne accorse: Non ci siamo persi e non ci sono fantasmi! Pazienza, presto quel disgraziato arriverà; sappi che i denari guadagnati senza sudore sono un ottimo richiamo per i furfanti, vedrai che ho ragione! Quel Simet che abbiamo assoldato arriverà se non si è scolato tutto il vino della locanda ‘Tre Galline’. Se così fosse torneremo indietro e domani si vedrà, ma appena lo vedo gli tirerò il collo fece seguito una voce ferma. Vedrai che verrà, Strabone, stai tranquillo! concluse il giovane mentre si godeva, per la prima volta, le piramidi. I cavalli nitrirono agitando la testa senza motivo e questo modo di fare non piacque ad Artaban. Anche lui guardò in alto, ma a parte la luna e le stelle non c’era altro. Aveva sentito uno strano vento sul capo, che un attimo dopo era sparito. Uno dei tre si voltò per vedere la distanza dalla città; si vedevano le lanterne sulle sei torri e le ombre delle sentinelle che andavano su e giù sui ballatoi di legno. I cavalli orinavano appena si fermavano scuotendo la testa. Verrà, ma che non mi chieda altri soldi! borbottò Atset, mentre il guerriero si era insospettito. Qualcosa gli diceva di fare attenzione, ma a che cosa? Intanto Atset si accorse che era preso da quei colossi: Sono belle, vero? Sai, Artaban, mi sto accorgendo che le guardi estasiato. L’altro, attratto come una calamita sebbene fissasse un paio di dune davanti: Sì maestro, lo sono. Il vecchio Magio, dopo aver tirato un paio di volte le redini del cavallo perché più nervoso: Lì c’è tanta scienza che se tu vivessi diecimila anni non riusciresti mai a capirla!. Continuando a guardare le dune, assecondandolo: Sono convinto che il futuro è lì davanti a noi. E quanta potrebbe essercene? gli chiese, e il maestro: Nessuno potrebbe quantificarla, sai bene chi erano gli Egizi e chi venne prima di loro smanacciando insetti come un mignolo. A destra, c’era Micerino la tenebrosa, come la chiamavano i cammellieri scansandola peggio della peste, perché il suo colore in certe notti era rosso come il sangue. Si sentì un nitrito. Un muso spuntò da una duna, che nel gioco delle ombre lo allungò fino a farlo sembrare quello di un drago, quando apparve un uomo; una tunica rattoppata all’altezza delle ginocchia e un copricapo rosso a strisce bianche: sì, era Simet, la guida. Alzarono la torcia quando lo videro, ma dovevano attendere per avvicinarlo come avevano convenuto. I denti brillarono alla luna. Sì, ora lo vedo fece deciso Atset e si avvicinò. L’egiziano smontò da cavallo rivelando inaspettate doti elastiche per la sua età, e quando fu vicino accese un’altra torcia. A pochi metri a denti stretti: Eccoli lì i ricconi! Beati loro che possono mangiare ogni giorno. Un inchino e si rivolse a Strabone, il grande geografo: Che gli astri ti siano propizi, ho sentito l’ultimo corno, nessuno verrà a disturbarci. Poi, rivolgendosi agli altri: Salute a voi. Ti vedo bene Atset, sono voglioso di farti vedere quello che ho promesso ieri ma s’accorse che qualcosa non andava: Ma stai bene?. L’altro, storcendo la bocca: Ho vomitato, qui c’è troppo tanfo, spero che più avanti ci sia un po’ d’aria pulita! 

    Beh, se lo hai dimenticato, siamo in Egitto e non alle terme di Ercolano. Ci vuole pazienza ma ci si abitua. Il geografo non rispose, anche perché sciami di zanzare continuavano a tormentarlo. Ora aveva bisogno dell’olio ma non aveva il coraggio di chiederlo, mentre il più giovane faceva finta di non guardarlo. Simet consegnò due torce e, come pregasse nel tempio di Al Qahira: Che gli antichi dei ci siano propizi, e che Iside e Bes ci proteggano. Che questa notte sia l’inizio di un giorno radioso, e che la luna e le stelle ci illuminino fino alla colonna spezzata! Strabone, spero che hai fatto buon viaggio dopo le rocce nere, comunque non è da qui che dobbiamo entrare!. Strabone, grattandosi l’orecchio già zeppo di punture fino a farselo gonfiare: Falla poco lunga! Lascia perdere Bes, che porta male. Ho la sensazione che con quelle torce troveremo poco o niente, e poi nell’ombra di queste piramidi c’è più buio di dove siamo adesso, ne convieni? Ora datti da fare!

    Pazienza. Non vi preoccupate, conosco la strada. Tra poco la luna illuminerà il punto esatto e l’ombra di Micerino farà il resto. Seguitemi!

    Strabone vomitò di nuovo mentre il giovane gli sorreggeva la fronte. Un centinaio di metri e Simet guardò la luna mentre una seconda nuvola nera si avvicinava; la prima si era dileguata una decina di minuti prima, passando sulla testa di Artaban prima che lui arrivasse. Contiamo i passi, la congiunzione dovrebbe avvenire tra poco! e osservando la luna: Sì! Ora manca poco. Avvicinandosi al cavallo, aprì la bisaccia mettendo in bocca un pezzettino di pane inumidendolo con la saliva. Si avvicinò il magio anziano col mantello nero fino ai calcagni, con strani ricami viola e rosso che mettevano paura solo a guardarli: Aspetta! Meno male che ti sei deciso; ho creduto che le cinquanta monete che ti ho dato fossero poche per farti scomodare. Non si aspettava quella domanda. L’egiziano si portò la mano sul cuore: Ti avevo dato la mia parola, la sabbia mi ha rallentato prima della gola dell’Hicrek, ma siamo in tempo. La mia parola è sacra, e come ti avevo promesso sono venuto prima che la luna fosse alta; era l’accordo o sbaglio?. L’altro, guardandolo dall’alto verso il basso, storse la bocca: La sabbia! Va bene, comunque non era un rimprovero, visto che dicono che sei un ubriacone! Ora cerca di stare tranquillo e di parlare il giusto! So che farnetichi quando ti ci metti, come so che quando parli di soldi non ti fermi più. Spero che non hai bevuto. Dimmi la verità, altrimenti ti prendo a calci!. Si portò la mano sul cuore, pensando a cosa rispondergli, quando gli occhi si strinsero sul guerriero vicino ad un grosso cavallo. Non ho bevuto vino! Giuro su Iside, nello stomaco ho acqua e erba cotta come avevi chiesto. Mi avevi detto che eravate in due, mentre siete in tre. Chi è quel gigante? Capisce la mia lingua? Non ricordo di averlo mai visto. Atset non rispose. Simet si raschiò la voce per darsi importanza, perché l’idea di altri soldi stava prendendo il sopravvento: Perdonami se insisto, ma il patto che abbiamo fatto era che non ci fossero stati intrusi! Dovrai darmi altre venticinque monete prima di muoverci. L’anziano guardò il guerriero temendo una reazione. Tieni a freno la lingua, è il mio allievo; ieri alla locanda era seduto da un’altra parte. Comunque, che tu lo abbia visto o meno fa poca differenza; è un magio e visto che ti ho ben pagato non devo renderti conto di chi porto con me, ma ti do un consiglio. Attento a quello che dici, perché l’uomo che hai definito un intruso parla e scrive la tua lingua meglio di come lo fai tu. È stato un grande guerriero e ti potrebbe staccare la testa con una sola mano. E le venticinque monete te le puoi scordare, perché è già tanto quello che ti ho dato!. Simet s’accorse che aveva tirato troppo la corda: Un grande guerriero… mah! Non sembra e se anche fosse sai che paura mi farebbe!. Ad Atset l’arroganza non piacque: Tu stai scherzando col fuoco!. Guardò Artaban, che fece finta di non aver sentito, mentre gli occhi si erano accesi minacciosi stringendo il pugnale. Simet notò la spada dritta dei cavalieri armeni legata al cavallo, già sguainata. In ambedue le facce un solco correva dall’elsa fino alla punta, e questo gli fece venire in mente i fatti sanguinosi accaduti una decina d’anni addietro da Babilonia fino alle tombe di Setma-At dove erano sepolti i re d’Egitto. Sapeva che solo due uomini avevano una spada simile: uno era chiamato l’invitto Armeno e l’altro era Bu-Nergal, il re di Babilonia, forgiate da Abir l’ittita. Curioso, rivolgendosi ad Atset ma indirettamente al guerriero, lo afferrò per un braccio e gli bisbigliò qualcosa di cui dopo si sarebbe pentito. Simet aveva capito chi era. Alzò la torcia ed ebbe la conferma quando vide il pugnale col manico d’avorio: Vedo che ha due spade, e di questi tempi possedere un pugnale con quella fattura è tanto per chi come me a stento può mettere qualcosa in tavola, figurarsi una spada come quella a lama dritta e quell’altra ricurva legata alla sella. Ha l’elsa tempestata di pietre preziose, vale una fortuna! Monta un cavallo con finimenti argentati, petto muscoloso, garretti asciutti! Credo che sia arabo-persiano! Un cavallo da guerra, è così?. Il vecchio magio per il momento non rispose, ma guardando Artaban si accorse che lo sguardo non era di quelli benevoli. Simet proseguì: Mi hai detto che è stato un grande guerriero? all’improvviso dilatando le pupille: Per Osiride, ci sono! Ho riconosciuto il cavallo! Per gli dei, è mai possibile che sia lui? Se fosse, devi sapere che le donne del villaggio cantano le sue storie. Dalle terre del deserto nero fino all’ultimo tempio di Bes le conoscono perfino i cammellieri di Shafhir. Per Osiride, è il re di Tradat e di Ectabana! Il comandante degli Immortali?. Atset non si mosse di un millimetro, ma lui incalzandolo: Ti prego, non farmi stare con questo dubbio! È lui, sì o no?. Strabone iniziò a sorridere perché la mascella del guerriero stava diventando gonfia come un otre. Il vecchio, cambiando timbro: Vedi più in là di quello che dovresti vedere. Sì! È lui, ma ti consiglio di non farti sentire parlare a bassa voce. Smettila di fare il petulante!. Ma lui rosicchiandosi le unghie: Scusami, volevo chiederti quando sul monte Vaus lui e quei tre uno sguardo e Atset, sbuffando: Ora mi hai seccato!. Ma lui, duro come un sasso, cercò di rivolgersi direttamente al guerriero: Sei tu?. Non rispose. Nel frattempo, in alto, la luna si era schiarita in attesa degli altri astri per allinearsi. Artaban, che aveva udito, non sopportò il parlare dell’egiziano; lo fissava negli occhi mentre il suo cavallo indietreggiò per fargli spazio. Quattro passi in un attimo: Simet! Se devi guardarmi fallo a viso aperto ma tieni a freno la lingua! Volevi sentire la paura? Ti accontento, ti incomincerà a salire dai piedi fin nella testa e i tuoi occhi rimarranno sbarrati fino a quando non ti sarà passata! Io non ti ho mai dato il permesso di rivolgermi la parola, e non chiedere di me ad altri in mia presenza, idiota! Zittisciti! Hai capito o te lo devo ripetere? sfiorando il pugnale. Simet sbiancò. Impaurito per essersi accorto che stava scherzando con il fuoco, s’inchinò alla voce. Congiunse le mani colmando l’ultimo metro che li separava, mentre Atset e Strabone temettero il peggio: Perdonami se ho osato, ma vedi, stasera tu e gli altri avete bisogno di me, o volete che me ne vada via? stringendo la criniera del cavallo per montarci. Artaban si frappose tra lui e l’animale; lo sollevò portandolo con la testa alla luce della luna. Gli occhi erano carboni accesi, all’egiziano cadde il copricapo e la baldanza. Mi hai preso per uno stupido? Eh? La senti la paura ora? Vedi come ti sta entrando nel cervello? E allora ascoltami, l’erba qui è fresca e la sabbia è soffice, è facile scavarla, sai? Ricattaci un’altra volta e ti strappo la lingua, intesi? Le tue domande non le sopporto!

    Si sentì un ordine: Lascia stare questo disgraziato!. Era Atset, mentre Strabone iniziò a preoccuparsi ma il re guerriero, nell’ira, non sentì; Simet aveva la gola secca quando iniziò a farfugliare: Come desideri, perdonami, ma l’ho fatto per vedere se i vostri caratteri erano uguali al mio; ti stavo solo omaggiando, potentissimo re, non volevo offenderti, nobile signore, e poi se ci pensi non ti converrebbe uccidermi. Strabone è venuto dalla Cappadocia per conoscermi e sa che solo io conosco la strada, e se non mi credi riprendetevi i vostri denari! Non voglio più niente, per Iside! Non lo faccio per il vostro oro ma perché sono uno studioso, nonostante ti possa apparire un disgraziato. Conosco la tua lingua, ma ho bisogno di voi perché non so decifrare alcune cose che vi mostrerò, ecco perché ho accettato di portarvi nel labirinto. Perdonami se ti sei sentito offeso e comunque, se deve essere, uccidimi dopo, ma non ora. Se ho detto quelle cose è perché sei un valoroso e non capita tutti i giorni d’incontrare chi tiene lontano le legioni da queste terre fino all’Eufrate e il deserto nero. Questo è quello che raccontano di te dall’Egitto fino ai monti dell’Armenia, e dalla Grecia fino ai confini della Gallia! Per noi disgraziati, sei stato una leggenda come lo fu Horembeb il faraone; non c’era ingiuria nelle mie parole, ma rispetto. Ho accettato perché studio le stelle, e le monete che mi avete dato mi servono per i miei studi. Non volevo urtare la tua suscettibilità! Mi credi?. Non ricevendo risposta continuò: Mettimi giù e non farmi male. Sappi che ho necessità di sapere anch’io del labirinto come voi, ma quando saremo lì dentro dovremo fare in fretta, perché l’unico nemico è il tempo, se usciremo vivi! Per i miei figli, rimettimi giù! Considerami non una guida ma un amico. A seguire un ululato spezzò in gola la supplica. Il guerriero allentò la mascella: Ti credo, ma sappi che sono venuto per capire chi sono e da dove provengo. Strabone fissò Atset allibito. Il guerriero, fingendo: Vuoi essermi amico? Allora non farmi domande e smettila di adularmi.

    Come vuoi tu, e Zoroastro mi sia testimone; non lo farò, lo giuro!. I lineamenti del guerriero e della guida ritornarono normali mentre Atset si asciugò il sudore; aveva temuto, come il geografo, che il guerriero l’avrebbe ucciso. Quando Artaban lo rimise giù, le monete che gli aveva dato Atset la sera precedente caddero per terra: Basta. Riprenditele, e visto che sei magrolino e hai i sandali scompagnati non credo che te la passi bene, vero? Goditele!. Ora la voce era cambiata e l’uomo di fronte: Non me la passo bene! Vi pregherei di non perderci in altri malintesi; seguitemi, ma attenti a dove mettete i piedi, perché se c’è un serpente non so come va a finire. Prendete qualcosa di lungo e sbattetelo per terra, perché non ho nessuna intenzione di scendere lì sotto da solo!. Simet si chinò a raccogliere le monete quando Artaban: Scusami! Non chiamarmi più gran signore, visto che io sono un uomo come te, intesi? Simet non rispose, preferì cambiare discorso guardando il cielo: Se alzi la testa li puoi già vedere, li vedi? Guarda lì a destra di Orione, la vedi? È quella stella un po’ distante dalla luna; le vedi quelle altre due? Ecco, sono i due astri che si stanno avvicinando. Tra un po’ si saranno allineati e vedrai che splendore!. L’egiziano s’abbassò per raccogliere le ultime monete e si sentì afferrare per un braccio: Aspetta! Tieni questo! Vale mille volte più delle venticinque monete che hai chiesto per me!. Un anello d’oro e rubini a forma di un falco; il simbolo dei Magi dell’Armenia. Il becco era un diamante e gli occhi due pietre di tanzanite della Nubia. Portandolo alla luce della torcia, sgranò gli occhi: Ma non posso accettarlo, io per te non ho fatto niente, è troppo!. Artaban si voltò di scatto: Sei sicuro? Senza saperlo hai fatto molto; mi hai tolto di dosso una tensione che mi stava stroncando e con qualcuno mi dovevo sfogare, tienilo in mio ricordo o vendilo, se ti fa piacere, così mangerai tu, i tuoi figli e i figli dei loro figli. L’egiziano lo soppesò, mentre Strabone con invidia storse il naso, sebbene anche lui fosse ricco sfondato. Simet, dopo vari tentativi, si accorse che le dita erano troppo esili per poterlo infilare e se ne vergognò. Devi mangiare di più, con quello lo potrai fare da domani fino a scoppiare. Nel frattempo tieni un po’ di carne che ho con me. Non si dica che un magio veda un affamato senza saziarlo. Simet mise gli occhi a terra appena vide che dalla sella aveva preso un pezzo di lardo affumicato: Mi offendi se mi dai quello che è tuo. Atset capì che non poteva mangiare carne e dopo un gesto d’intesa col guerriero tirò fuori dal mantello un paio di melograni, che l’uomo divorò in un attimo. Prese dal collo una strisciolina di cuoio, nella quale c’era infilato uno scarabeo d’argento e l’immagine di Bes. Grazie, e semmai volessero rubarmelo dovranno mozzarmi la testa. Gli altri si misero a ridere. Finisci di raccoglierle aggiunse il guerriero. Atset guardando il geografo bisbigliò: È un grande re. Quando si calma viene fuori la dolcezza della madre, ma se s’impunta è più testardo di due muli!. Strabone si grattò un orecchio: Hai ragione! Ma digli di non entrare più a Meride!. L’altro tentennando il capo: Conosce il suo destino, ma lo conosco anch’io, e forse meglio di lui. Un giorno combatterà su queste terre e morirà. Avverrà quando noi saremo diventati due mucchi di polvere sballottati dal vento. Il suo nome non sarà dimenticato. Strabone alzò un sopracciglio: Hai ragione, ma quando l’inizierai alle sacre leggi dell’universo ricordaglielo quando entrerà nella camera dei segreti di Cheope. Atset, conoscendo fino all’ultimo giorno la vita del guerriero: So quello che vuoi dirmi ma non è uno stupido; sa che da Meride non uscirebbe vivo se entrasse da solo. È l’ultimo di noi e con lui perderemmo l’antica sapienza, come è scritto sulle tavole di Beroso. Mah! È un peccato, sebbene ogni cosa ha una fine! Ora andiamo, vedo che il cielo si sta illuminando; lo vedi? La luna si sta per allineare con gli altri.

    Simet contò una quarantina di passi stringendo il bastone per infilarlo nella sabbia in direzione della piramide più piccola: Eccoci! Ora vediamo quello che sai fare borbottò al bastone. In cima aveva un anello di rame grande come un melograno, e dentro ce n’era un secondo un po’ più piccolo. Guardò dentro l’anello e la punta di Micerino allineando la traiettoria della visuale, farfugliando qualcosa che nessuno dei tre capì. Un fischio e il cavallo si avvicinò; prese dalla bisaccia un papiro scarabocchiato in due colori per ognuno dei quattro angoli, e incominciò a guardarci dentro come in una sfera di cristallo. In quel mentre Strabone, Atset e Artaban andarono in cerca di rami per farne bastoni. Si allontanarono nella direzione del sicomoro. E meno male che la sceneggiata è finita, ho temuto una catastrofe borbottò Atset avvicinandosi all’albero; Simet riprese il bastone e nel foro mise tre pietre per non perdere il riferimento, e scarabocchiò sul terreno; accese un’altra torcia e l’alzò guardando il cielo, calcolando di quanti gradi la luna si fosse spostata. Ci siamo, mezzo grado in più e basta! Manca poco. Riprese il papiro scarabocchiandoci linee su linee, collegandole con altre già tracciate. Ecco!

    Camminò in linea retta, contando i passi ad alta voce, ponendo anche lì altre tre pietre. Vide i due astri che si stavano avvicinando formando accanto alla luna un’enorme moneta lucente; ritornò al punto dove aveva infilato l’asta a una ventina di passi dal secondo foro, guardando soddisfatto quello che aveva tracciato sulla sabbia. Sì! I calcoli sono giusti!. Tra i segni e i sassi tracciò una linea immaginaria tra l’asta, il cumulo dei sassi e il termine dell’ombra di Micerino. Un teorema che aveva risolto. Infilò un vetro rosso nel secondo anello, convesso, che s’incastrò perfettamente: Mio fratello fece bene a tracciare i segni, a quest’ora senza il suo aiuto non avrei mai trovato le coordinate giuste! Buon amico, fai il lavoro per cui fosti costruito. Riavvolse il papiro rimettendolo nella bisaccia, poi osservando le stelle: Quando i tre astri si saranno allineati la luce sarà così intensa che passando sulla punta della piramide attraverserà il vetro del secondo cerchio, e la luce rossa proietterà sulla sabbia una scia che ci porterà diritti al labirinto; novantadue passi e troverò l’uscita, e che Bes e Osiride non vengano a romperci i coglioni. Ma quel vento non lasciava presagire nulla di buono. Un’ombra malefica gli passò sopra spaventando i cavalli. Si sentì urlare Artaban: Ma che diavolo…?. Simet alzò la testa percependo il vento seguito da una strana puzza, ma non vedendo niente proseguì guardando l’angolazione della luna. Strizzò gli occhi nel buio: Finalmente si sono decisi a fare come gli ho detto, i ricconi! rimettendosi a fare cerchi e a scarabocchiare sulla sabbia. Ma il male li aveva già percepiti; arrivò un’altra folata e fischi mentre questa volta Simet, con gli occhi sbarrati, vide una gigantesca creatura sorvolargli il capo. Si voltò per seguirla ma era sparita dietro la piramide più piccola. Era una sensazione orribile fino a che non sentì una voce di donna nella mente. Non dire niente o dovrò ucciderti!. Temendo di essere preso per pazzo non disse nulla. Li vide avvicinarsi con rami dalle forme più disparate. Mentre lui continuava a guardarsi intorno, Artaban li prese e con il coltello tolse le protuberanze; facendo leva sulla coscia li raddrizzò al fuoco delle torce; dopo mezz’ora erano come quello di Simet. Nel frattempo, un rumore e il guerriero si rigirò fissando un sentiero di capre che tagliava il wadi alla sua sinistra tra canne secche e il suo margine, ma non si vedeva niente. Sollevò la torcia: Laggiù c’è qualcosa che non mi convince, da quando siamo entrati nel wadi ho avuto la stessa sensazione!. Si avvicinò al cavallo, sguainò la spada fissando il davanti e si fermò di scatto scrutando il wadi. Buttò dietro il cappuccio trattenendo il fiato. Fissava un punto davanti, mentre intorno agli altri e indietro c’era un silenzio di morte. Si allontanò una ventina di minuti sparendo nel buio ma senza passare tra le canne. I tre, indietro, a stento fiatavano. Ritornò passando da un’altra parte sbucandogli alle spalle; li sorpassò e si mise davanti a loro nel punto dove li aveva lasciati; spada stretta fissando davanti come un lupo. Aveva il respiro affannato: Cosa c’è? chiese Strabone tenendosi a debita distanza dalla spada. L’altro continuando a fissare il buio: Non saprei ma c’è qualcosa che non mi quadra… per ora stai lì e non muoverti, e voi non parlate; e se dovete farlo bisbigliate! Qualcuno ci potrebbe sentire e sarebbero guai seri. Simet e gli altri si guardarono impauriti. Laggiù, ma dove? incalzò Strabone e lui indicandoglielo: A un centinaio di metri dalle canne, prima che il wadi svolti verso la collina! Lì c’è di sicuro qualcosa di malefico. Atset si avvicinò al geografo mentre Simet rimase indietro, impaurito come mai in vita sua, trattenendo i cavalli per farli rimanere fermi. Non tenermi sulle spine, cosa hai visto? gli chiese Atset, appiattito al terreno. Zitto maestro, un attimo gli rispose andando una decina di metri più avanti. Il guerriero si voltò e Atset gli rifece la domanda; in risposta vide che aveva portato il dito al naso. Respirava a malapena, per sentire anche il minimo fruscio. Rinfoderò la spada tornando indietro: Avevo un dubbio e me lo sono tolto! Sulle canne non c’è nulla, brutta faccenda! Stranamente non ho visto ragnatele, eppure…. Simet lo interruppe: Volevi che ci fosse la frutta candita?. Lui dandogli un’occhiataccia: Fai poco lo spiritoso, tra quelle canne ci potrebbe essere passata la morte in persona. Osserva e fa’ funzionare il cervello. Con questo sterco, mosche e zanzare che ronzano da ogni parte, è impossibile che i ragni non vivano in questo posto, qui ci sono più mosche che fili d’erba. Dal sicomoro fino a qui non ho visto ragnatele e guardando tra le canne non ce ne vedo nessuna. Strano! Qualcuno è passato prima di noi per perlustrare la zona, o è entrato per attaccarci!. Un colpetto di tosse: Nascosto nel labirinto? farfugliò Strabone e lui avvicinandosi: Non so con certezza, ma ho la sensazione che ci abbiano seguiti e poi qui lo sterco è ovunque, lo vedi? Se guardi meglio è secco da un paio di giorni. E non è stato spiaccicato. Di sicuro nessun animale può essere passato perché intorno non ci sono orme, a parte quelle dei nostri cavalli. Se qualcuno è passato deve essere transitato dalla parte opposta del wadi in pieno giorno camminando solo sulle pietre; però, visto che in quel punto è profondo tre metri, tra le canne ci deve essere passato in tutti i modi per arrivare qui, ed ecco perché non ci sono impronte nelle vicinanze del sicomoro e nemmeno in questa radura, come nemmeno le ragnatele. Ho notato orme vicino allo stagno e nient’altro! Sono nitide e di stamattina. Ha bevuto e si è rinfrescato, chi è passato di qui si è nascosto per farci del male, altrimenti ci sarebbero tracce del suo passaggio ovunque. È furbo, ma mai quanto me! Ma dobbiamo stare attenti lo stesso!. Strabone, che a tutto pensava tranne che qualcuno venisse per ucciderli: Non è che vedi nemici da qualsiasi parte? Dimmi, quale farabutto verrebbe a farci del male in questo posto sperduto?. Seguirono attimi d’incredulità quando gli sguardi s’incrociarono, il giovane: Tu sei un geografo e come tale, io sono un guerriero e mi devo regolare di conseguenza, ne convieni? A cose fatte vedremo chi ha ragione. Atset sorrise, mentre Simet incominciò a pensare che quella sera sarebbe stato meglio rimanersene alla locanda ad ubriacarsi. La cosa stava prendendo una brutta piega e, sebbene il desiderio fosse di scendere sotto Meride, in cuor suo non vedeva l’ora che spuntasse il sole. Prese dalla sella la seconda spada e la mise a tracolla, mentre per la terza volta un’ombra passò sulle teste, ma nessuno la vide.

    Spero per lui che non sia ad attenderci lì sotto, non lo racconterà a nessuno fece il guerriero. Sei troppo sospettoso, mio signore gli rispose Simet, quando intervenne Artaban: Volevi vedere l’invitto? Lo vedrai in persona! mentre la guida tentava di rassicurare gli animi: Credo che sotto non troveremo nessuno. Gli altri stettero zitti e Simet per darsi coraggio si mise a pregare, poi: Beh! La luna è alta, e questa notte ci rivelerà l’entrata. A cinquantasette passi dalla punta dell’ombra della piramide più piccola verso sud-est e a novantanove passi ad est, così mi disse mio fratello! La mappa è precisa come i calcoli che ho fatto. Gli arrivò una pacca sulla spalla: Lo sapevo che eri in gamba! Le informazioni erano esatte anche se qualcuno ha aggiunto che ti ubriachi tre volte alla settimana replicò Strabone, mentre Artaban si fermò guardando il buio. Davanti c’era una duna di due metri con sopra una decina di lucciole che svanirono all’avvicinarsi dei quattro; ma quella non era una duna. Un intenso scalpiccio sui sassi, un crescente ansimare a pochi metri e dal buio apparve un lampo; uno scintillio seguito da un clangore di ferri. Un agguato per gli altri, ma non per l’invitto che aveva visto giusto. Fu solo un attimo. Un bagliore ai raggi della luna e poi, veloce come un serpente, la sua lama sferrò un attacco fulmineo. La spada ricurva nel buio brillò per uccidere il primo che gli capitasse davanti. Artaban lo vide appena in tempo per fermare la spada assassina a pochi centimetri della testa di Strabone; un attimo seguito da un lamento di dolore e da una nuvola di calore. Una bestemmia e un secondo clangore: il nulla. Solo un tonfo. Il fendente vibrato a due mani dal guerriero, dall’alto verso il basso, era stata la risposta. Il sicario fu spaccato dalla spalla al bacino mentre le budella, schizzategli fuori, sporcarono i calzari del geografo. L’uomo aveva bocca e occhi spalancati. Non un rantolo, solo il rumore delle ossa sbriciolate. Non avevo mai visto una cosa simile urlò Simet come se si fosse tolto un fardello dal petto. Grazie Artaban, per avermi salvato la vita, ti sono debitore chinò la testa Strabone. Atset era il più tranquillo, poi il guerriero: Ce n’era solo uno, forse un altro o gli altri sono lì sotto, ma farò prima io. Se me li trovo davanti li ammazzerò come cani, parola mia! Ora zittitevi, così penseranno che ci abbia ucciso tutti e quattro. Intanto Atset avvicinò la torcia allo sventrato. Poteva avere circa venticinque anni, le fattezze non erano sardinee sebbene tutto lasciava presuppore dai tatuaggi la provenienza, il corpo era quello di un guerriero ma il particolare degli alluci deformati all’infuori per far presa sul terreno era il biglietto da visita inconfutabile che l’uomo era nato da quelle parti. Nello scontro un sandalo si era sfilato. Sotto la suola di corda c’era uno strano disegno: una lisca di pesce e quattro ondulazioni. Artaban vide che aveva gli schinieri d’argento più un paio di tatuaggi agli avambracci. Dal taglio degli occhi mi sembra un nubiano, ma dai segni sulle braccia è un sardineo e quegli alluci deformati ne sono la prova; forse è un figlio di prigionieri nubiani nati in Sardinea, chissà!. Avvicinò il cadavere: Ha le mani curate, quindi non credo possa essere uno schiavo, ma quello che non capisco è cosa ci faccia quaggiù uno di quella terra. Devono averlo pagato abbastanza bene se può permettersi di portare schinieri d’argento; anche l’elsa della spada è d’argento e oro! Come ho detto, ho la sensazione che non sia venuto da solo; non è di queste parti e non conosceva questo posto. Vediamo se trovo un altro indizio. Artaban frugò nella borsa. Centoventi aurei con l’effige dell’imperatore, una ventina di quinarii d’argento e sedici monete sardinee con l’effige del dio Melqart. Sul dorso della mano c’erano tatuate tre lettere: L C S. Prese la parola Strabone: "Lo sapete che cosa significano? Vogliono dire Lucio Cornelio Scipione; quest’uomo per metà è romano e metà africano; direi che è un Cartaginese, vista la muscolatura; ha sangue misto ma di sicuro è un patrizio di basso rango di quella nobile famiglia che ora vive nella Sardinea. Forse nei possedimenti che gli ha lasciato il suo antenato. Quel tatuaggio è in onore della famiglia che lo ha elevato di rango, e aggiungo che deve essere vissuto a Roma, visto che si rade viso e corpo come i patrizi. Ed è tutto!" 

    Non sei solo un geografo, vedo che conosci molte altre cose. Questa storia puzza di tradimento! Moneta romana e sardinea, due prove! sentenziò Atset. Artaban annuendo: Ora sono tre, se consideriamo da chi discende questa feccia. Comunque hai ragione! Chi lo ha mandato è un patrizio come lui. Sarebbe stato difficile affidare la nostra uccisione a un tagliagole della suburra che sappia tenere la bocca chiusa; questa somma è abbastanza alta anche per le nostre teste. Strabone, per caso hai parlato con qualcuno? Cerca di ricordartene, forse è stato a Roma a un ricevimento o con chi frequenta la tua casa; qualcuno che non vuole che scopriamo quello che è nascosto lì sotto. Ecco il perché dell’agguato, ma giuro che chi si divertirà saremo noi. Rivolgendosi alla guida: Prendi anche queste! Da stasera sei più ricco, e non bertele alla locanda.

    Serviranno per i miei figli e per una vita migliore, grazie. Il cadavere era già invaso dalle mosche. Artaban, accovacciandosi, gli aprì le budella tra il ribrezzo degli altri. Un puzzo avvolse i presenti. Il guerriero cercava un’altra prova, decisiva, quando infilando le mani nella pancia ebbe la conferma: Porco diavolo, che schifezza! Questo è puzzo di garum, quest’uomo ha mangiato con i romani prima di nascondersi e non mi sono sbagliato per le ragnatele, visto? Aggiungo che non ha mangiato con i soldati, ma con uno dello stesso rango. Vedete? Nello stomaco non ha neanche un cereale ma bucce d’uva, fichi e carne di cervo. I legionari non mangiano mai la carne, figurarsi carne di cervo. E riguardo a quello che stavo dicendo, ho avuto ragione io. Guardategli i capelli: vedete? Ha una marea di filamenti di ragno nei capelli. Solo da lì è passato perché l’accampamento dei romani si trova dall’altra parte, a due ore da qui. E non era il solo!. Si pulì le mani: Ora andiamo, e tu, Simet mettiti in coda. Avvertimi se qualcosa si muovesse lì dietro o sarai ammazzato prima di dirmelo!. Camminarono per trecento metri guardandosi intorno, mentre Simet con la torcia si staccò e deviò a sinistra per una trentina di passi portandosi i cavalli dietro. La temperatura si abbassò. Iniziò a contare i passi; una quarantina. Gli altri attesero mentre Artaban guardava ogni duna con la spada sguainata, pronto a uccidere. Dal bastone che aveva infilato, la punta di Micerino fino alla fine della sua ombra, Simet ricavò un gigantesco triangolo equilatero; l’apice. Era il punto esatto! Quello di cui gli parlava suo fratello. Contò altri novantadue passi, quando infilzò il bastone con il vetro rosso in perpendicolare con l’ombra della punta della piramide ed attese. I tre astri erano vicini e una piccola linea rossa iniziò ad allungarsi sulla sabbia fino a correre verso il punto dove era nascosto il labirinto di Meride. Di colpo il fascio di luce divenne incandescente, allungandosi come la lingua di un drago per fermarsi tra un paio di palme e un cumulo di ciottoli dai quali affiorava una colonna. Il dito sacro di Ra ci indica la strada, ci siamo! Il posto è questo. Una colonna spezzata in due affiorante dalla sabbia e accanto un marmo rosa di tre metri per tre. Simet piantò la torcia; gli altri tolsero la sabbia e alla luce della luna il marmo brillò. Una parte di un basamento su cui poggiava una lastra con sei cartigli e la stessa, in origine, era incastonata in un architrave di granito inchiavardato nella colonna con un labris (1). Sembra strappata dai cardini e a guardarla vedo che ne ha un ancora un paio. Ci sarà voluta una forza divina per farlo! disse convinto Strabone. Si avvicinarono; videro su un lato che aveva ancora quattro cardini perfettamente conservati. Simet fece al geografo: È qui! non finì quando dal secondo anello la luce divenne così rossa da sembrare un gigantesco dito infuocato nella sabbia indicando il punto esatto. Il dito di Ra terminò la corsa dopo una decina di metri. La scia si fermò alla fine del secondo troncone della colonna. Lì c’era il labirinto di Meride! Maestro, i tre astri si sono allineati, la luce delle stelle è forte, è l’ora esatta dove l’ombra di Micerino fa tutt’uno con i punti che ho tracciato; che Anubi ci protegga! Le carte dicono che un tempo qui terminava il lago di Meride e la colonna faceva parte di un colonnato circondato da venti piccole costruzioni senza uscita, e tra quelle soltanto una era giusta; nascondeva l’uscita del labirinto e dei quattro sacerdoti di Iside. Era l’unica scorrevole per venirne fuori. Il faraone, moglie e figlie, gli ospiti e gli altri sacerdoti entravano e uscivano dall’ipogeo che è dall’altra parte. Ma nessuno sa dove diavolo si trovi, visto che camminando fino ad Hawara è tutto piatto, non c’è traccia delle altre a parte questa qui senza prendere fiato.

    Tu e le tue tracce; dai, stai zitto e fammi leggere.

    Chissà cosa c’era dietro! Se è rimasta lei sola vuol dire che le altre furono portate in città per costruirci case e templi!. Simet rosicchiandosi un’unghia: Il segreto!. Strabone annuì: Potrebbe essere. Affioranti dalla sabbia c’erano scaglie di marmo e la strana orma di un sandalo. Artaban rinfoderò la spada e anche l’altra legandola alla sella. Il geografo, torcia alla mano, iniziò: "Atset, guarda! Vedi? Il primo è illeggibile come il secondo, mentre il terzo credo che qualche cosa dice, un attimo, ci sono! ‘Maledetto colui che portò da qui il seme antico su un carro di fuoco’. Afferma che qualcuno ha portato via qualcosa da qui sotto, oppure l’ha rubata, visto come lo maledicono, il quarto recita ‘I sacerdoti sono i custodi di questo luogo e delle acque dove Iside governa il flusso e regna su loro’, quest’altro dice che era riservato a pochi e che i sacerdoti governavano i nilometri del faraone, il quinto è stato preso a martellate da qualche bastardo, però si può leggere il nome del faraone. Il sesto è completo con la solita maledizione per i profanatori e dice: ‘Che i suoi occhi perdano la vista se è entrato tra le colonne profanandole, e la lingua marcisca come lo sterco del cammello tra le mosche quando respirerà le sacre erbe del Nilo e toccherà le colonne rosse; che la sua anima non raggiunga il regno dei morti; rimanga incatenato come servo di Anubi assoggettato giorno e notte tra tormenti’. Beh, in fin dei conti quei sacerdoti erano carini con i curiosi."

    Non avrete mica paura delle maledizioni? fece Simet.

    Non credo che Anubi stia pensando a noi con quello che avrà da fare tra i morti, e poi ad essere sincero credo che siano solo superstizioni di quei pazzi egiziani… i tuoi antenati, anche se mi sorge un dubbio. Chi scrive ci ammonisce di non andare nell’ipogeo; lì potrebbe esserci la morte, comunque, se ci arriveremo si vedrà rispose Strabone.

    Io non ci scherzerei. Entreremo dall’uscita e solo da lì riusciremo, se vogliamo vivere! ribatté serafico Simet. Tolse il bastone dal terreno e dopo aver sfilato il vetro rosso dal secondo anello lo rimise nella bisaccia, mentre un paio di serpenti gli passarono tra le gambe facendolo saltare come una cavalletta; spaventato lo prese a bastonate urlando. Vedete? Quel cornuto di Bes ci ha già visto e l’ha detto ad Anubi. Ci ha mandato un messaggero!. Gli altri risero vedendolo sbiancare. Un brillio sulla lastra. Artaban, inginocchiatosi, avvicinò la torcia al manufatto: Questa lastra è capovolta, quindi le scritte venivano lette dal di dentro, a monito per i sacerdoti. In quanto al carro di fuoco, credo che qualcuno abbia rubato qualcosa e lo abbiano maledetto, quindi questo cartiglio è posteriore all’avvenimento, ma quello che più mi incuriosisce è l’orma accanto al muretto!. Sfiorandola un paio di volte: È al massimo di un giorno. Le altre, anche se sono quasi cancellate, fanno riferimento a quelle ondulazioni, le vedete? Chi è transitato qui certamente non aveva bisogno di una torcia per controllare che nessuno venisse a curiosare. Il sicario è stato accompagnato, ma chi gli ha dato l’oro sapeva che alcune persone sarebbero venute per il labirinto. Uno ha persino mangiato in attesa che arrivassimo!. Ai piedi dei cartigli c’erano pezzi di pane e ossi di pollo, ma la forma del sandalo era strana e il guerriero chiese a Simet: Chi costruisce sandali con la suola a forma di spina di pesce?. La guida chiuse gli occhi per rivedere quello che già aveva visto lontano dal villaggio: Dovrebbe essere la tribù dei quattro fiumi, i cammellieri del sud li chiamano gli abitanti di Khepri, e dicono che non invecchiano mai. Vivono nelle vicinanze delle rive del Pison, è in secca, ma il villaggio è distante un paio di settimane da qui, e poi non credo che uno di loro sia passato da qui, e per farci cosa? Quelli non vanno in giro a combinare pasticci, non escono mai dai villaggi e se lo fanno è solo per cacciare l’orice. Da quello che si dice è gente che ha pochi contatti con persone che non siano della loro tribù. Si sono isolati e sono schivati. Chi ha avuto la sfortuna di vederli ha detto che hanno una cultura superiore alla nostra nonostante non sappiano leggere, ma conoscono i movimenti degli astri e la simbologia predinastica dei numeri. Quel sandalo lo ha perso qualcuno che è stato nel loro villaggio; sono convinto che l’agguato e il sandalo siano una coincidenza. E se devo dire la mia, non mi preoccuperei.

    Atset fu preso da un brivido: Faresti bene a preoccuparti! Da quando abbiamo lasciato la radura ho la sensazione che qualcuno dall’alto ci stia spiando. Simet non disse quello che aveva visto. Artaban perplesso alzò gli occhi, e a parte la luna non vide nulla di strano, poi disse: Spero tu abbia ragione, però non mi convinci; è vero che l’orma è degli abitanti di Kepri, però è anche vero che quelle del morto non erano lisce, un’altra coincidenza? Non credo, e poi le altre sono state cancellate! Quell’uomo era legato a qualcuno del villaggio di Kepri anche se veniva dalla Sardinea. Hanno assoldato più sicari per non farci avvicinare al labirinto, e solo un’altra persona da queste parti sapeva che saremmo venuti qui e guarda caso non è qui con noi. Ha preferito rimanere a oziare con la legione o con qualche prostituta; sbaglio, Strabone?. Il geografo annuì: Sì! Credo che tu abbia ragione. Solo chi è venuto con me in Egitto sapeva che stasera sarei stato qui, il mio servo, sperando che sia morto avvelenato pure lui! Sapeva che sarei venuto sulle rovine del labirinto per cercare qualcosa, ma non sa che cosa. Artaban, che aveva già capito tutto: Tu credi? Io ti dico di sì! Il tuo servitore non avrebbe mai potuto possedere cento talenti d’oro per darli ad un assassino, quella cifra è decisamente enorme. Avevo detto che tutto proveniva da Roma e credo sia così! Ora ti spiego io come è andata: un patrizio che ti ha sentito parlare del tuo progetto in Egitto, o il tuo servo, lo ha riferito all’imperatore o al capo dei pretoriani Caspione, che ti ha condannato a morte appena trapelata la notizia. E lo sai perché? Credo che il tuo imperatore debba sapere molte cose che vanno ben oltre la politica; so che le legioni si tengono lontane dalle colline dell’Hicrek e da Micerino. Neanche Ottaviano è venuto qui con i suoi uomini, ti dice niente questo? E mi sai dire perché l’imperatore ti vuole morto? Te lo dico io! Qui confluiscono i quattro fiumi. Sono i quattro fiumi della Genesi e di sicuro ne hai parlato con qualcuno. Lui strizzando gli occhi: Ora che ci penso, sì! Già! Ne ho parlato con il console Quinto Ario Glicinio, che è stato da queste parti. Il guerriero deciso: Conosco il console, non ti tradirebbe mai, e poi non corre buon sangue tra lui e l’imperatore; ci deve essere qualcun altro che ha remato contro. Secondo me lui non vuole che tu scenda per toccare quello che Cleopatra e Ottaviano conoscevano e che solo Amelech, il sacerdote, ha bevuto. Ci dev’essere qualcosa di più importante di quello che conosciamo, e poi i geroglifici parlano chiaro. Ritornando all’agguato, sei una persona tenuta in considerazione a Roma, specie tra i senatori, ma sei greco e dovevi morire lontano per non destare sospetti; l’imperatore sa di Meride. Sapeva dell’esistenza di un’acqua particolare, come raccontano le megere nei postriboli di Roma e di Babilonia, ma quello che per molti è una leggenda, per lui e per altri che conoscono gli scritti di Amelech è la verità, e per quella ucciderebbero moglie e figli. Non credo che Meride nasconda solo l’acqua, ci deve essere altro. Una cosa che nessun uomo penserebbe. L’imperatore ha saputo quello che stavi per intraprendere e ha contattato il tuo servo per fare da tramite all’assassino. Quei denari li ha dati lui ai sicari perché solo lui sapeva che alla congiunzione dei tre astri saresti stato qui con noi. Le monete provengono dalle casse imperiali. Strabone, ascoltami, uccidi il tuo servo appena usciti dal labirinto, o ti tradirà ancora e ti farà assassinare la sera stessa che lo rivedrai, dopo averti fatto parlare, e per fare questo chissà quanto oro riceverà. Dopo l’Egitto, tornatene in Cappadocia e risponderai a chi ti chiederà del viaggio che non hai trovato nulla. Dirai che il labirinto non esiste, una leggenda ingigantita dai cammellieri ubriachi. Se poi vorrai scrivere qualcosa, scrivi che hai visitato l’Egitto e il Nilo senza aver trovato niente d’interessante. Dovrai farlo se vuoi vivere gli ultimi anni con i tuoi figli, intesi?

    Simet non fiatava. Atset annuì come Strabone; dopo un mugugno si convinse rispondendogli: Hai ragione; sono convinto che sia connesso a qualcosa inerente la nascita del nostro pianeta, forse pure di qualche altra cosa, ma non saprei dirtelo con precisione, però ho capito che è ben guardato e Simet ha già visto quello che noi non abbiamo ancora visto, è vero?. Simet abbassò gli occhi. E mi riferisco a quella strana creatura di queste parti!. Finita la frase una gigantesca nube si alzò nell’aria rimanendo sospesa per pochi attimi, fissandoli e stridendo come una iena, un vento arrivò così veloce che tutto sembrava tranne che una nube. Quella cosa era una creatura vivente, e questa volta i cavalli si agitarono, trattenuti a stento. Cos’era? si chiese Atset e lui guardando in alto: In vita mia non ho mai visto una nuvola muoversi velocemente mentre stride e puzza, stiamo in guardia perché questo posto sta iniziando a non piacermi. La leggenda di Al-Qahira non è lontana dalla verità se quella nube fosse stata realmente lei: la creatura del regno di sotto; uno dei guardiani del segreto!. Non rispose ma l’urina sui piedi era la prova che sapeva di più di quello che gli aveva chiesto. Simet, prima di scendere, parlò con voce di donna: Non solo c’è il segreto, ma anche il regno dei maledetti. Non era lui che aveva parlato, ma nessuno capì. Qualcuno, da un’altra dimensione, aveva parlato tramite lui. Non mi hai risposto, sai niente della creatura? disse Artaban. L’egiziano toccandosi la gola cercò di mostrarsi coraggioso: Conosco la leggenda e nient’altro, ma una cosa è certa come io sono vivo: non dobbiamo nominarla, altrimenti ci ucciderà!. Stupito di fronte all’indifferenza della guida, Atset prese la parola: Tutto qui? Allora di sicuro hai bevuto, visto che hai parlato come una femminuccia! Ma che razza di fandonie stai raccontando? E tu, Artaban, smettila di fantasticare! La creatura, la non creatura, ma vi siete rimbecilliti? Come vi salta in mente di spaventarci in questo modo!. Il giovane ora sembrava preoccupato: Nessuno si è rimbecillito. La vedrai da vicino!. Strabone sbiancò stringendo il braccio di Atset. Nel frattempo un’altra volta la nube li sorvolò. Ora ci hanno visti. Non vogliono che scendiamo! disse a denti stretti Artaban alla guida, la quale facendo l’ignaro: Non ho capito! Ma non vogliono chi? e l’altro: Sai bene di cosa sto parlando, e sai pure che lì sotto ci sono i demoni, l’hai sempre saputo, vero? La creatura sa chi sei e cosa sei venuto a fare con noi, e lo sai perché non ti ha ucciso? Perché sa che uno di noi le può dare l’accesso ad un qualcosa sigillato da migliaia di anni e lei ne ha dannatamente bisogno. La vedremo in faccia come quelli che si sono nascosti, lo percepisco! Li ucciderò come ucciderò anche lei!. Il guerriero rigirò gli occhi all’indietro come posseduto, iniziando a parlare, mentre un po’ di liquido giallo si era raggrumato ai lati della narici; era invasato, mentre i tratti del volto erano mutati come quelli di un rettile. Increduli gli altri, ma non il maestro, che fece cenno di non scuoterlo. Iniziò a parlare e quando stese i palmi delle mani verso la sabbia: Vedo che qui non ci sarà più vegetazione. In un lontano settembre una stella mi riporterà qui, come disse il profeta, ma non entrerò sottoterra, sarò l’ultimo del mio tempo. Due uomini, quando voleranno, la ritroveranno. Verranno dal Mediterraneo, verso settembre, tra duemila anni, e troveranno il segreto!. Un conato e gli occhi ritornarono normali quando Strabone, guardando di sbieco Atset: Gli uomini voleranno come gli uccelli? Ma per caso ha fumato il fungo?. Atset gli serrò un braccio: No. Ha visto nella dimensione oscura come gli è stato insegnato da Limared sul monte Oronte. Conosce il tempo delle eclissi come i giorni che rimangono al pianeta, fino a quando una terza guerra non lo farà diventare una stella lucente nell’universo. Sarà come dice lui! Credimi!. Il geografo, rendendosi conto che quel giovane era una persona straordinaria: Terza guerra? Ma se da quando sono nato ne ho viste a centinaia!

    Atset, che conosceva la verità: Sei un grande studioso e ti rispetto, ma con quel termine intendevo guerre globali; interi popoli contro altri popoli fino a sparire dal pianeta dopo essere bruciati in un attimo. Ma ascoltalo e capirai. Artaban riprese: Quando sulla terra rimarranno in due annientandosi per stupido orgoglio sopravvivranno solo in pochi, che per fortuna o per premonizione di un dio diverso dai nostri si saranno allontanati nei posti più sperduti della terra. Strabone trasalì: Sì, hai ragione! Io e il tuo maestro non vivremo abbastanza per raccontarlo, ma tu sì! Da quello che dici qui c’è un segreto sconvolgente, e l’uomo che verrà dopo il nostro tempo non dovrà in nessun modo conoscerlo, fino a quando non avrà allontanato la violenza e la superbia dal petto, anche se la distruzione credo sarà inevitabile. Tra migliaia di anni, quando avrà bisogno di capire chi realmente sia stato, quell’uomo saprà cosa accadde nel trapassato dei tempi, come mi disse a Roma Plinio e non gli credetti. Il geografo continuò rivolgendosi ad Atset: Già! E Plinio se non lo sai era un guardiano, uno dei dodici!. Atset, che conosceva Plinio: Come? Non ho capito, che cosa significa guardiano?. Strabone spiegò ciò che intendeva, mentre il guerriero e la guida rimasero ad ascoltarlo: Sappi che come tu fosti iniziato nella piramide di Cheope, Plinio lo fu sotto il labirinto dall’ultimo discendente dei sacerdoti dell’ipogeo, proprio sotto Meride… ecco perché sono venuto qui, ma non conosco il segreto. Plinio non volle dirmi altro circa un sacerdote egiziano diventato immortale. Se non mi credi fai come ti pare, ma da scrivere ce n’è fino a consumarsi le dita!. Artaban e Atset si guardarono. Parlò Simet: Non sbagliavo, nessuno sarebbe venuto dalla Cappadocia per vedere un misero buco e qualche stanza, ma una cosa te la posso dire: quando usciremo dal labirinto saremo uomini diversi, se riusciremo a uscirne vivi. Se il Magio ha visto nella dimensione oscura gli uomini volare allora ho ragione io, l’occulto e la magia saranno la scienza del domani.

    Intanto Artaban fissava il geografo: Ricordati quello che ti ho detto. Toccarono la colonna, alla base c’erano segnetti consunti dal vento; cercarono di leggerli ma non ne vennero a capo. Ma videro l’ultimo con un indizio inequivocabile: era scolpito il cartiglio del faraone, Amenemhat III, e accanto un bassorilievo con chiazze di ocra che lo mostrava nell’uccidere un uccello irriconoscibile per forma. Tutto torna; come mi dissero Plinio e Camet, quello è il cartiglio del faraone che lo fece costruire, ci siamo, anche se non mi convince che abbiano lasciato intatto solo quel cartiglio, come pure il rilievo di quello strano animale. La costruzione diventò rossa come il sangue; compresero che la visione non prometteva niente di buono, come il sibilo dei serpenti. Anubi non vuole borbottò la guida coprendosi la testa, pensando che un pipistrello l’avrebbe azzannato. Anubi non c’entra; un qualcosa di mostruoso è entrato in qualche caverna spaventandoli a morte aggiunse Strabone e Artaban annuì, mentre preso l’astrolabio dalla sella si mise a guardare le stelle. Si stropicciò gli occhi quando si rivolse alla guida: Lascia perdere i pipistrelli. Hai fatto un ottimo lavoro, lassù i tre astri sono uno dietro l’altro. Ci siamo. Dopo un paio di rilievi parlando con Atset, il guerriero si mise a scavare una buca e ci mise l’astrolabio ricoprendolo con sassi fino a formare una stella che puntava il nord. Aggiunse: Lo riprendo dopo, voglio vedere a che punto saranno i due pianeti quando usciremo, ma anche per sapere quale direzione hanno preso i cavalli nel caso se ne andassero per conto loro. Simet: I cavalli non si muoveranno fino a quando quei due astri non ci saranno più, e cioè fra due ore, e passate quelle dobbiamo uscire fuori. Artaban scosse il capo: State attenti, mi raccomando! mentre la nube di pipistrelli spariva nel deserto. Di peso, dopo aver legato i cavalli a una fune, riuscirono a spostare il pezzo di colonna quel tanto per infilarsi uno alla volta. Artaban guardò la nuvola e si rivolse a Strabone: Mi sono dimenticato di dirti una cosa su Plinio. Il suo maestro fu Amelech, il sacerdote di Amenemhat III. Sorpreso l’anziano: Sapevi anche questo?. L’altro a pochi passi dal foro: E di più prendendo sottobraccio Simet: Lascia un segno a quei due che verranno tra duemila anni; mettili in guardia, scrivi poche cose ma chiare! Vedo un cappello bianco e un altro prima di lui con lo stesso cappello ma con i capelli imbiancati, poi il niente; scrivi quello che ti detterò e lascia il dito di Ra sepolto nel labirinto. Non ti è mai appartenuto, come non fu di tuo fratello; era dell’architetto che ha costruito parte di Meride, forse di Amelech stesso. Una cosa è sicura: chi glielo ha dato o venduto qui non ci poteva entrare. È stato usato come siamo stati usati tutti noi. Il dito è la chiave per il segreto, ecco perché se usciremo vivi nessuno lo dovrà ritrovare. Lo seppelliremo, come ogni cosa che porterà quaggiù. È tempo di conoscere la creatura e il segreto. Un’ora dopo l’allineamento si spostò. Ritornò il buio mentre gli uomini di Al Qahira erano nelle case, ignari. Intanto la sabbia si alzò; tre esseri alati, dal corpo quasi umano, tra suoni gutturali si posarono a una decina di metri dal foro. Uno, quando vide la lastra con la maledizione, emanò fischi acutissimi, da spaccare i timpani, facendo agitare le ali degli altri due. L’aria divenne gelida, come se mille fantasmi si fossero riuniti. Si guardarono, gli occhi erano di fuoco. I cavalli non sembravano neanche percepirne la presenza; i mostri, allargate le ali uncinate, si sedettero a gambe divaricate chiudendo gli occhi; parlavano col pensiero dei quattro uomini e di come ucciderli. Mossero le ali e i cavalli caddero storditi; due s’involarono sulle piramidi, mentre il più grande rimase ad attendere il sole fissando il cartiglio di Amenemahat, mentre gli occhi diventando rossi come il melograno: Non hai ancora vinto, sarò io ad ucciderti. Il segreto rimarrà dov’è.

    Dopo poche settimane i componenti della famiglia di Simet lasciarono l’Egitto. La casa rimase vuota come le altre, divenne luogo di randagi mentre la pioggia cessò di cadere. Rimasero due cose: un sicomoro con la corteccia sbavata e quattro bastoni davanti alla casa di Simet. Sulla porta c’era scritto ‘Lasciate questo luogo finché siete in tempo’. L’ultimo muro crollò alla morte di Strabone nel 23 d.C. mentre stava per rivelare il segreto a Posedonio di Apamea, maestro di Cicerone e di Pompeo Magno. Meno di un secolo e qualsiasi cosa diventò polvere. 

    Per oltre ventidue secoli Meride fu dimenticata, ma non dai guardiani. Il tempo trascorse lento come i faraoni, i re, i governi, le guerre, le lotte sociali e altri avvenimenti fino ai nostri giorni. Oltre duemila anni dopo, lontano dall’Egitto, due menti di differenti culture si trovavano in vacanza a Venezia. Nei primi giorni di settembre del 1978, mentre il professor Peter Collins di Londra si trovava a Venezia per una vacanza di studio, accadde quello che leggerete; sarà lui che racconterà parte di questa storia.

    Ci trovavamo in un bar di Venezia, erano all’incirca le dieci e trenta del mattino, seduti ad un tavolino al sole di piazza S. Marco; la ricordo… una giornata rallegrata dalle giravolte di centinaia di colombi che beccavano ogni cosa dalle mani dei bambini, mentre da lontano vedevo i gondolieri che andavano su e giù con i turisti o con gli

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