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La prigione del mago vendicativo
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La prigione del mago vendicativo
E-book396 pagine6 ore

La prigione del mago vendicativo

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Info su questo ebook

Nessuno conosce la sua storia, nessuno sa da dove provenga o a quale borgo appartenga. Sappiamo solo che un giorno questo potente mago è comparso tra i cittadini, dispensando le sue conoscenze e segreti per espandere la grandezza della Stella a Cinque Punte. Questo fino al fatidico giorno in cui venne imprigionato nella Torre Senza Nome, incolpato di un crimine non commesso da parte di coloro che si fidava. Se c’è un qualcosa, però, che non potrà mai essere imprigionata... quella è la MAGIA stessa.

L'AUTORE
Armando Giovanni De Martino (in arte Omega) Classe 1996 nasce a Gaeta (LT). Studia lingue e letterature d’Oriente e d’Occidente all’Università degli Studi di Napoli ‘’L’Orientale’’. Lavora come volontario del Servizio Civile presso la Mediateca di Mondragone (CE) Ha iniziato a scrivere all’età di 16 anni brevi storie di narrativa varia, cimentandosi nel 2014 con la stesura di romanzi. Il romanzo che lo ha spinto ad intraprendere questa carriera da romanziere è stato ‘’Tenebre e Ossa’’ di Leigh Bardugo.
LinguaItaliano
EditorePubMe
Data di uscita8 feb 2024
ISBN9791254585009
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    Anteprima del libro

    La prigione del mago vendicativo - OMEGA

    Capitolo I.

    Stella a Cinque Punte. Piazza centrale. Primo giorno d’autunno. Anno: 719.

    «Gabràn? Gabràn, svegliati!» disse la voce di una donna, svegliando con noncuranza il compagno intento a ronfare nel grande letto matrimoniale di velluto. La donna dai capelli raccolti in una lunga treccia dorata tirò l’orecchio del suo compagno con forza tanto da farlo svegliare con un sussulto, e fastidio.

    «Che diavolo ti prende Eyris?» chiese lui, massaggiandosi l’orecchio arrossato. La donna alzò due dita sul labbro e rimase in silenzio, ad ascoltare. Il povero compagno, un uomo dalla corporatura media e prossimo alla calvizie, sospirò frustrato nell’assistere al medesimo comportamento bizzarro della donna:

    «Eyris, non ho tempo per un altro dei tuoi giochi. Sono vent’anni ormai che il tuo presentimento ti pizzica. Domani devo andare da Morant per quella commissione nel terzo borgo e…»

    «Zitto! Hai sentito?» domandò la donna alzandosi dal letto e avvicinandosi alla finestra della camera, in attesa di udire nuovamente quel fruscio. L’uomo si massaggiò le tempie, incredulo a quel che stava assistendo. Stava per replicare quando la casa venne scossa da un brusco terremoto che fece cascare piatti di ceramica, vetro e altri utensili sconquassando l’intera abitazione. Un fragoroso rombo infranse le finestre, facendo urlare la coppia e costringendoli a uscire. Non si meravigliarono quando videro il loro vicinato fare la medesima cosa nel mentre alcune di quelle abitazioni più grandi iniziarono a crollare in diversi punti innalzando polvere e bulloni; uno di questi bulloni, grosso come una noce, colpì la testa di un anziano ferendolo mortalmente.

    Il terremoto aumentò la sua intensità, il vento soffiò ruggente e dal cielo si aprì un gigantesco squarcio dalla quale caddero saette rosse come il rubino, cristallizzando la sabbia e da essa si materializzarono mattoni neri come la notte stessa.

    In mezza clessidra, ne comparvero centinaia e centinaia di quei mattoni superando l’altezza delle altre torri presenti nei cinque borghi. L’ultima saetta cremisi diede vita alla cima di quella torre d’ossidiana, sospesa magicamente di pochi centimetri dal resto, la quale emanava una strana nebbia biancastra che discese sulla sabbia; dalle fessure di quei neri mattoni era possibile intravedere fuochi fatui passare di tanto in tanto in essa, o varcarne la materia per un breve giro di clessidra prima di svanire. Il terremoto, la tempesta e lo squarcio nel cielo così come si presentarono così cessarono l’assedio della Stella. I danni, però, furono evidenti fin da subito: molte case erano spaccate a metà, alcuni dei proprietari sepolti sotto le macerie o morti per l’immensa magia propagatasi dalla torre oscura.

    «Che cosa ti dicevo Gabràn? Il mio istinto non mente mai.»

    «Ed è ritardo di qualche anno, anche» replicò il compagno senza pensare due volte a quella frase. La sua compagna cercò di rifilargli un ceffone ma i diversi schiocchi di magia la costrinsero a fermarsi all’istante. I cinque custodi dei corrispettivi borghi si presentarono ai piedi di quella torre, restandone sia affascinati che intimoriti dalla sua presenza. Accorsero anche altri membri dei cinque borghi, con i loro governatori in camicia da notte o ancora indosso abiti formali e volti segnate da chissà quante albe.

    «Qualcuno di voi maghi o incantatori sa cosa significa la comparsa di quest’inquietante torre?» domandò il governatore di Obeah, il primo borgo, Buccinide Levia un uomo piuttosto tarchiato dagli occhi simili a quelli di una talpa. Non sembrava affatto un governatore dato gli abiti comuni da lui indossati quella sera. ‘ Non ho bisogno di vestiti di seta o di eccelsa manifattura per dimostrare il mio ruolo’ era sempre il suo motto. I vari cittadini si sorpresero di vederlo lì, in quanto a conoscenza dell’evento tragico accadutogli settimane addietro:

    «Governatore Buccinide? Non dovrebbe essere qui, torni a casa…» tentò di intromettersi un maniscalco, ma venne scansato dall’uomo e redarguito. Lo sguardo di puro disappunto e rabbia lo fecero indietreggiare:

    «Sette cittadini del mio borgo sono deceduti per le gravi ferite riportate in seguito a questo catastrofico evento e lei vuole rimandarmi indietro?! Si faccia da parte, maniscalco Imer» rispose il governatore, avanzando per avere notizie da parte dei guardiani. Il maniscalco volle rispondere, ma gli bastò vedere un soldato estrarre parzialmente la spada per farlo tacere.

    Nessuno dei Guardiani riuscì a dare una risposta concreta alla comparsa della torre, e la presenza di tale struttura stava impedendo loro di poter usare i loro poteri. Un soldato, fin troppo curioso, si avvicinò all’oscuro obelisco cercando una possibile entrata:

    «Allontanati da lì!» esclamò Ker, il guardiano del secondo borgo. Sfortunatamente il soldato udì quel richiamo in ritardo e la torre oscura, con una forza magica superiore a tutti i presenti, lo inghiottì smorzando il suo urlo di terrore e sputando l’armatura ammaccata, macchiata di sangue e con alcuni brandelli di carne ancora attaccati a essa.

    Un altro soldato tentò di vendicare il compagno caduto, venendo immediatamente ostacolato da un colpo d’arma da fuoco che creò un foro fumante ai suoi piedi. Quello sparo provenne dal fucile del governatore del secondo borgo, Parnasso Cerulo, del tutto apatico in volto ma i suoi occhi saettarono sugli altri colleghi. Il fucile ancora fumante, teso a mezz’aria, venne abbassato dalla mano della governatrice Zea Ibis, l’unica a non temere i modi estremi di Parnasso nel far tornare l’ordine. E forse anche l’unica a provare qualcosa per lui:

    «Per cortesia, calmiamoci tutti. La comparsa di questa misteriosa torre ha scosso la calma della Stella, lo comprendo, ma usare modi estremi per ritornare all’ordine è assurdo e illogico. Cerchiamo di comprendere come e da dove proviene la Torre Nera e, forse, distruggerla se costretti» disse la governatrice posando prima gli occhi sui vari abitanti, poi sul governatore fuciliere e poi sulla terrificante torre. La donna, dai capelli bianchi a caschetto ed occhi chiari protetti da occhiali da vista distolse lo sguardo e recuperò un piccolo orologio da taschino dal suo abito nobiliare color borgogna, colore simile indossato dagli studiosi di magia del suo borgo, per placare il suo animo.

    «Grazie per avermi fermato, Zea» rispose Parnasso, riponendo il fucile dietro la schiena e notando l’arrivo degli altri due governatori a cavallo. Il quarto governatore, un uomo dalla corporatura esile, balzò immediatamente dalla sella e rotolò per un breve tratto prima di rimettersi in piedi e rendersi presentabile. L’ultimo governatore, anzi governatrice, un po’ avanti con l’età si fermò poco dopo e discese lentamente dalla groppa del cavallo:

    «Ah! Questa schiena mi sta uccidendo!» asserì la donna, restando impigliata in una delle briglie e rischiò di cadere, ma l’intervento di uno degli incantatori lo impedì. La donna cadde con il fondoschiena su della soffice paglia evocato dal giovane che venne ringraziato ma poi redarguito da uno dei suoi maestri.

    «Governatrice Markides, felice di rivederla. Come va la sciatica?» domandò con un risolino il governatore del quarto borgo, ridacchiando appena suscitando un lieve fastidio negli altri.

    «Meglio del suo matrimonio, governatore Hays » rispose a tono la donna, facendo scrocchiare la schiena con un secco schiocco, suscitando sia il disgusto di alcuni che le risate degli altri fin quando non fu Buccinide a prendere le redini dell’intero gruppo:

    «Cortesemente, tacete! Non è né il momento né il luogo opportuno di fare battute sulla nostra vita privata. Sono morte delle persone stasera a causa di questa misteriosa torre e dobbiamo scoprire chi o cosa l’ha costruita e perché è stata mandata qui da noi. E, se costretti, distruggerla.»

    Non appena il governatore accennò al voler distruggere quella struttura, da essa si propagarono diverse lingue di fuoco che incenerirono alcuni soldati nel perimetro, ferendone altri ed innalzando cumuli di sabbia che si cristallizzarono creando mura di vetro. Ognuno cercò un riparo di fortuna, aiutando come possibile quelli che si trovavano vicino. Fu Brina a contenere con prontezza quell’inferno, impedendo alla torre di creare ulteriori danni alla Stella, ma sforzo fu abnorme tanto da farle sanguinare il naso e farle perdere i sensi poco dopo.

    La barriera magica da ella creata riuscì ad arrestare il potere devastante dell’oscura struttura, tanto da farla sembrare una clessidra di fuoco. Il secondo evento catastrofico costrinse tutti ad allontanarsi per prestare soccorso ai feriti:

    «Gabràn, dobbiamo fare qualcosa. Gabràn?» domandò Eyris al compagno, in silenzio che osservava con sguardo vacuo i dintorni. Solo allora notò la lunga e profonda ustione sul ventre dell’uomo, intento a reggersi parzialmente quel che sembravano essere le sue interiora:

    «Eyris…» replicò con un sospiro l’uomo prima di accasciarsi al suolo, facendola urlare dal terrore, allarmando i presenti che si piombarono su di lui per assistere alle gravi ferite riportate. Il governatore si voltò verso il maniscalco, ancora restio nel volerlo lì, freddandolo con uno sguardo colmo d’odio da fargli comprendere il motivo della sua presenza.

    Uno degli stregoni poggiò le mani sulla ferita di Gabràn, allontanandole immediatamente quando quella profonda ustione reagì al suo potere:

    «Portiamolo subito nel nostro borgo, ha bisogno di arcani guaritori esperti. La mia magia è diversa. Ci serve subito una barella! Presto! Qualcuno cerchi di tenerlo in vita, vado ad avvertire i guaritori» e così il mago svanì per tornare nel borgo dei Magius per informarli. Fortunatamente, il governatore Parnasso estrasse dalla sua sacca un barattolo di vetro scuro contenente qualcosa di oleoso e lo diede ad uno dei soldati ordinandogli di cospargere la ferita e premere con forza sull’emorragia. Eyris invece pianse incontrollata, nonostante la governatrice Zea tentasse di placare quel sentimento di terrore per la possibile dipartita del suo amato. Non appena un manipolo di soldati, insieme ad un carro trainato da un contadino, giunsero da Gabràn e lo trasportarono immediatamente nel borgo dei maghi per guarirlo.

    La barriera evocata da Brina si infranse con un rumore assordante, simile al vetro che si spacca, scagliando in tutte le direzioni i suoi frammenti ferendo altre persone nel perimetro. Sulla cima della punta si sprigionò una gigantesca fiamma rossa brillante, capace di eguagliare la lucentezza delle gemme nelle cinque torri dei borghi. Tutti attesero un altro attacco da parte dell’Obelisco Nero, ma ciò non avvenne permettendo ai vari abitanti di togliere detriti e far alloggiare gli sfollati in abitazioni sotterranee.

    Anche Brina, la Custode, venne medicata da uno degli Arcani guaritori per evitare che il suo corpo subisse gravi danni. Passarono poche ore dalla catastrofe, consentendo così ai vari lavoratori del primo borgo di comprendere quanti danni avessero subito e delle risorse da usare per ricostruire i vari edifici.

    «Dobbiamo scoprire chi ha evocato questa torre!» disse il governatore Buccinide, ordinando a chi di dovere di consultare una delle biblioteche alla ricerca di informazioni sull’evocare strutture come ‘l’ospite indesiderato’.

    Uno dei Custodi, seguito a sua volta dalla Governatrice Zea, replicò al governatore di non focalizzarsi su di essa ma di badare ai cittadini di Obeah e assicurarsi della loro incolumità.

    «Ci occuperemo di quest’entità domani mattina, calmi e ragionevoli. Adesso non è il momento, Signor Buccinide e lo sa bene» furono le parole di Vydette, una donna che da anni era a servizio del borgo e della sua protezione, nonostante la sua istruzione nel Magius.

    I suoi occhi rubino, coperti parzialmente da ciocche color oro, bastarono per convincere Buccinide a fermarsi.

    «Vydette ha ragione, non possiamo rischiare senza prima conoscere e aver contato i danni. Torna a casa, Bucci» aggiunse Zea, avvicinandosi di più all’uomo e poggiandogli una mano sulla spalla.

    «Che sia maledetto il vostro carisma, riuscite sempre a farmi demordere… Soldati, ripiegare» corrispose Buccinide, ordinando anche ad alcuni soldati di rilasciare il maniscalco detenuto per precauzione.

    Hallvar si portò una mano alla fronte, digrignando i denti per l’improvviso dolore tanto da costringerlo ad allontanarsi nella propria torre. Anche gli altri riuscirono a congedarsi, percependo il medesimo malessere; il governatore Hays domandò il motivo di tale fretta e fu Barspar a rispondere:

    «Qualcosa o qualcuno arriverà qui nella Stella. Questo malessere…deriva dall’immensa energia magica che pervade l’entità.»

    «Dunque è una divinità, perfetto sappiamo a chi chiedere…» e la bocca del governatore si sigillò, deformandosi come se avesse perso tutti i denti in un solo colpo.

    «Taccia Signor Hays! Non è nessuna divinità! Sono due anni ormai che cerchiamo di comunicare con loro ma riceviamo solo deboli sbuffi di polvere cosmica. Quest’entità è diversa. Molto forte. Forse capace di superarci. Torni dai suoi cittadini! E anche voi altri» aggiunse Barspar, battendo il suo scettro magico sulla terra brulla e una bolla trasparente lo fece svanire nel nulla. La bocca di Hays tornò normale, causandogli non pochi fastidi. Il consiglio del mago Barspar venne preso alla lettera, tutti tornarono nei propri borghi eccetto gli sfollati che usufruirono del livello inferiore della Stella costruito appositamente per eventi del genere. Appeso tra la vita e un limbo eterno vi era il povero Gabràn, trasportato nel borgo dei Magius per guarirlo dalla tremenda ferita riportata. Il suo corpo giaceva in una vasca sferica, con acqua bianca che lo lambiva fino al collo e dal suo corpo sporgevano diversi tubicini d’ottone collegati ad alcune macchine di grandezze e misure differenti, ognuna delle quali alimentata da grossi cristalli. Seduto a pochi metri da lui, intento a sorvegliarlo vi era uno degli arcani guaritori, anzi guaritrice, che reggeva uno di quei cristalli nella mano guantata. Avvicinandosi alla vasca lasciò fluttuare quel catalizzatore che prese a pulsare flebilmente sul corpo di Gabràn, tingendosi di rosso. Il comportamento dell’oggetto preoccupò enormemente la guaritrice. Strofinò le mani fino a renderle luminose, unì le prime due dita delle mani per poi allontanarle chiudendole. Da esse si materializzò una corda azzurra, la quale vibrò non appena la guaritrice parlò:

    «Xand, cortesemente vieni subito nella Sala della Linfa . Abbiamo un problema» e il filamento, dopo un breve tremolio, svanì. La donna successivamente si avvicinò e mise l’indice e il medio sulla fronte dell’uomo e le altre due dita sul petto tracciando delle linee invisibili fino al cuore che batteva lentamente, così come il cristallo sulla sua testa. La porta della sala si aprì, mostrando un uomo che reggeva tra le mani e sulle spalle diversi bendaggi sporchi ed uno strano oggetto oblungo dalla punta sottile.

    «Cosa c’è di così importante da chiamarmi tramite l’ Aeterius? » domandò Xand, abbassandosi la mascherina, rivelando delle labbra screpolate e arrossate. La donna indicò prima il cristallo e poi i segni magici che essa stessa aveva lasciato sul corpo dell’uomo. Il mago Xand non riuscì a comprendere, troppo stanco per aver guarito diversi soldati e civili.

    «Non ti seguo Orchidea. I suoi segni vitali sono stabili.»

    «Osserva meglio Xand!» esclamò la guaritrice indicando con indice accusatorio il cristallo sulle loro teste. Xand fece quanto ordinato e non appena i suoi occhi grigi notarono il bagliore rosso la sua espressione divenne seria e costernata. Il guaritore andò a recuperare un libro di medicina e sfogliò fulmineo le pagine trovando finalmente la sezione riguardante il cristallo vitale.

    «Merda. Merda, merda! Il nostro paziente è stato maledetto e se non troviamo immediatamente il responsabile…»

    «Vorresti chiedere a una gigantesca torre oscura di guarirlo dalla maledizione? Buona fortuna!» replicò Orchidea, sistemandosi i capelli e allontanandosi dalla vasca. Xand rimase confuso dalla reazione della sua collega, ricordandosi successivamente che molti dei soldati e civili feriti accennarono alla torre e si colpì la fronte con il palmo della mano.

    «Maledizione è vero! I miei pazienti non facevano altro che ripetere di questa torre. Cosa facciamo dunque?» domandò il medico richiudendo il libro e decidendo di osservare meglio il cristallo, toccando la superficie riuscendo a notare che l’anima del povero Gabràn si stava lentamente corrompendo, scuotendo il capo affranto.

    «Dobbiamo solo augurarci un colpo di fortuna» furono le parole di Orchidea, riponendo i guanti metallici che le consentivano di operare senza danni causati dagli oggetti magici nella sala.

    D’un tratto il cristallo usato per i segni vitali di Gabràn cadde sul pavimento, spaccandosi in mille pezzi simile ad una esplosione, distruggendo uno dei tubi che fortunatamente non era collegato al paziente.

    L’acqua che lambiva Gabràn si tinse di grigio e lui si risvegliò con un rantolo terrificante da risuonare nei loro petti. La vasca esplose successivamente e quel che ne rimase dell’umanità di Gabràn si tramutò in un incubo vivente, ricoperto di cicatrici e con l’ustione ormai aperta dalla quale penzolavano le sue interiora marcite.

    «Orchidea…?» domandò Xand, come se aspettasse qualcosa da parte della collega che li tirasse fuori da quell’angosciante situazione.

    La guaritrice cercò di sfruttare altri guanti metallici che portava alla cintola, di cui uno munito di una piccola cerbottana ma Gabràn venne eliminato da colpo alla testa che ridusse in cenere la pelle per poi scioglierla in un liquame oleoso.

    Un terzo mago, anzi arcano guaritore, fu l’artefice dello sparo tramite una pistola dalla canna lunga quanto un pugnale da lancio.

    Il minuscolo cannocchiale da lui indossato si riposizionò poco dietro l’orecchio:

    « E con lui fanno tre » disse, avvicinandosi al cadavere e colpendolo una seconda volta. Per sicurezza.

    Capitolo II.

    Terzo Borgo, Magius. Stella a Cinque punte. Primo giorno d’autunno. Anno: 719.

    «Maledizione, questa vasca di guarigione è costata centinaia di Leoni di Giada e adesso è andata in frantumi. Mi spiegate come ha fatto?» domandò il guaritore, restando a osservare adirato i danni subiti nella Sali, tra cui uno dei cristalli completamente in frantumi.

    «Non lo sappiamo, Maestro Etemek ma temiamo che sia la corruzione di quella Torre al centro della nostra Stella ad aver provocato il cambiamento di Gabràn. Mi piange il cuore nel dover avvertire la vedova adesso…» replicò Xand, poggiandosi la mano al cuore avvertendo una strana tristezza.

    «Avvertire i familiari delle vittime non è nostra priorità, Xandrem! Chiamatemi subito Archimede per provare a sistemare questo macello. Tu, Orchidea, andrai ad avvertire Barspar di questo evento e di informare ogni nostro cittadino. Chiaro?»

    «Sì, Maestro Etemek» risposero entrambi i guaritori, uscendo dalla Sala e ritrovandosi in un’altra stanza dove alcuni inservienti ripulivano il caos lasciato dal passaggio di altri due pazienti tramutati dall’energia malvagia, o quel che ne restava. Xand andò subito in uno dei palazzi del mago-architetto Archimede per informarlo del tragico incidente mentre Orchidea abbandonò la struttura dirigendosi frettolosamente dal Custode Barspar. E per la prima volta Orchidea vide il suo borgo nelle ore diurne, i magnifici metalli usati per costruire e decorare le abitazioni unite da diversi pontili, tetti a punta che ruotavano in base ai minuti passati e il loro movimento rotatorio generava energia ad altre abitazioni. Magia e tecnologia di regni distanti permisero a quel borgo e ai suoi abitanti grandi innovazioni. La guaritrice si rese conto di indossare ancora la cuffia e i guanti, decidendo di toglierli poco dopo rivelando le sue mani arrossate dal prolungato contatto con il materiale e i capelli color borgogna scompigliati e sudati. Appena resasi presentabile, il suo corpo trasmigrò nella torre del custode.

    «Chiudi gli occhi e respira profondamente Orchidea!» ordinò il mago, ma la guaritrice cadde a terra e non riuscì a trattenere il vomito, imbrattando il pavimento d’onice. Il sospiro frustrato del custode non fu piacevole tanto da dover ricorrere alla sua magia ed eradicare dall’esistenza il maleodorante liquido espulso dalla donna:

    «Farò finta che nulla di questo sia accaduto, Orchidea. Cosa devi dirmi?» domandò Barspar, avvicinandosi alla finestra ovoidale che si affacciava sugli altri borghi e sulla torre nera che incuteva timore con la sua mole arcana.

    «Sapeva già del mio arrivo dunque.»

    «La tua mente è molto più limpida di tutti gli altri Arcani o stregoni di questo borgo, e non appena la tua mente si è focalizzata sul mio nome ti ho facilitato l’arrivo. Ora cosa devi dirmi?»

    «Gabràn, il cittadino della Piazza Centrale è deceduto! La ferita inferta dalla torre lo ha corrotto e tramutato in una aberrazione. Il Maestro Etemek ha usato una delle sue armi per ucciderlo, così per gli altri» replicò Orchidea, trattenendo un secondo conato di vomito per l’eccessiva energia magica usata da Barspar. Il custode colpì con il pugno il vetro ovale, incrinandolo all’impatto mentre l’intera stanza reagì al suo umore: il pavimento d’onice venne solcato da forme geometriche azzurre prima di confluire nel palmo della mano tramutandosi in un fulmine globulare. Il mago custode colpì una seconda volta il vetro, incrinando maggiormente fino a rompersi con un terrificante suono.

    «Tempus…» disse Baspar generando sull’intera superficie vitrea un gigantesco orologio che riavvolse il tempo, consentendo alla finestra di tornare alla sua forma; anche la ferita provocata dalle schegge si rimarginò. Andò a sedersi alla scrivania posta a qualche metro da lui, cercando di recuperare la calma e invitando alla guaritrice di sedersi e illustrarle le potenziali idee. Nello stesso arco di tempo, Xand proseguì lesto tra i vari pontili per i soli studiosi di magia varcando diversi portali che conducevano in altre sezioni fino a giungere in una nuova: le pareti dipinte di nero mostravano segni di muffa ed umidità sparsa, l’odore di candele quasi spente colpì violentemente il naso. Oltre alla nera sala, Xand notò diversi alberi morti come decorazioni di discutibile gusto ai piedi delle colonne colme di ragnatele con ragni grandi quasi quanto una mano, dagli occhi rossi brillanti che si posarono sul povero Xand non appena entrò. In fondo la stanza, ricurvo sulla scrivania un uomo dalla lunga barba aggrovigliata, grigia e con una ragnatela che penzolava dalla sua punta, occhi infossati e rossi, pelle cadaverica e scheletrica come le sue dita. La lunga tunica consumata dal tempo e privata dei suoi colori, ricadeva sul suo corpo con pesantezza tale da far sembrare ogni suo movimento rallentato.

    «Questa non è la sala di Archimede… Dove sono?» domandò Xand, intimorito da quello strano essere a fondo stanza.

    « Se cerchi Maestro Archimede, devi oltrepassare quel portale magico» rispose lo strano stregone, indicando il vortice rosso posto sulla parete opposta, con tremori innaturali in tutto il corpo. Xand lo ringraziò e si avviò verso tale uscita, ma lo scheletro vivente lo immobilizzò con un sortilegio.

    « Non così in fretta, Xandrem! Sai benissimo che chiunque passi, per errore o meno, nella mia sala deve pagare un pegno» aggiunse, aprendo la mano che emise un bagliore pallido in attesa del compenso.

    «Aspetta hai detto pegno? Zalbas? Che diavolo ti è accaduto?» domandò il mago, cercando di scansare la mano cadaverica ma senza alcun successo. Il vortice rosso si espanse e dal suo interno comparve la testa dai capelli ispidi e biondi di un giovane con occhiali a mezzaluna su un naso sporco di fuliggine; Xand riconobbe la fascia che teneva fermi quei capelli selvaggi e sorrise.

    «Zal, per l’amor del cosmo ne abbiamo già discusso: Xand e gli altri guaritori non pagano pegno passando per la tua stanza. Eccetto i maghi degli elementi, quelli devono pagare ma ad ogni modo tieni» disse Archimede staccandosi un ciuffo di capelli e donandolo nel barlume della mano di Zalbas che sorrise come uno psicopatico ringraziando il mago e dirigendosi a un calderone dove fece cadere quel ciuffo biondo. Xand, trascinato per un braccio da Archimede, si ritrovò nell’immenso studio dalle pareti metalliche con flussi energetici alla base e di tanto in tanto alcuni di essi attraversavano la stessa parete. Dal soffitto pendevano lucernai bizzarri e ciò destò la curiosità di Xand:

    «E quelli da dove provengono?»

    «Un dono dai Mataur del Sistema Solare Boreas, avendoli aiutati con un problema del loro astro-porto. I loro vascelli militari venivano riconosciuti come navi turistiche o mercantili e quindi pagavano una tassa inutile…» si interruppe notando qualcosa giungere dal fondo della propria stanza a folle velocità.

    «Oh, occhio alla testa!»

    «Prego?» e il guaritore venne strattonato verso il basso, evitando una gigantesca sfera meccanica gracchiante che andò a schiantarsi contro il muro.

    «Quello è Dustie, il secondo dono dei Mataur. Un piccolo robottino alquanto paranoico che, come hai ben potuto notare, usa la sua mole per intimorire o far fuori invasori. Buono Dustie, buono. Lui è Xand ed è un amico» aggiunge Archimede, rivolgendosi allo strano essere di metallo senziente dandogli dei leggeri colpi sul dorso per poi mandarlo via.

    Il guaritore si sentì completamente confuso, tale da restare in silenzio.

    Superato il laboratorio dove alcuni assistenti erano alle prese con la costruzione di cubi d’ottone alimentati da energia magica, i due maghi si ritrovarono in uno studio meno metallico e più sul naturale con grandi scaffali di libri di vario genere, dall’architettura all’arte fino alla magia primordiale.

    Archimede mosse ipnoticamente le dita e dal pavimento si mossero alcune radici che costruirono una sedia abbastanza confortevole per il guaritore:

    «Ora se sei qui per chiedermi nuovamente della Torre, no: non ho scoperto ancora nulla.»

    «La tua vasca della Linfa è stata distrutta» fu Xand questa volta ad interrompere il mago costruttore.

    Per un breve lasso di tempo vi fu silenzio, ma successivamente Archimede si alzò dalla sua poltrona e con un profondo respiro imprecò così furiosamente da far echeggiare la sua voce per tutta la sala e da far accorrere uno dei suoi assistenti:

    «Padron Archimede, che accade?» domandò il giovane assistente dalle braccia robotiche.

    Archimede alzò la mano per dirgli di non preoccuparsi e di continuare con il suo operato.

    «Oh, Eureka una volta concluso il sistema di levitazione, portalo qui che lo mettiamo in funzione. Mi raccomando, non fare di testa tua.»

    «Nessun problema, Padron Archimede» e il giovane lasciò lo studio con un breve inchino. Xand si meravigliò di come Archimede cambiasse tono di voce rapidamente. Quando la porta si richiuse, il mago architetto recuperò da uno degli scaffali il piano di costruzione della vasca ormai andata distrutta, asserendo di averci impiegato quasi tre anni per costruirla e perfezionarla per impedire possibili perdite di linfa vitale o che i sistemi si danneggiassero. Si massaggiò gli occhi stanchi e la fronte, tentando di mantenere la calma e di non lasciarsi controllare dalla rabbia.

    «Come è stato possibile? Quella vasca è stata costruita con materiali più resistenti del metallo e del titanio stesso! Se hai ben notato, le pareti della sala sono fatte interamente di Okrium, un materiale ricavato dai detriti di un meteorite caduto secoli fa nelle foreste di Redfolk e data le alte concentrazioni di materia prima al suo interno…»

    «Archimede, non sono qui per parlarti solo della vasca ma per dirti che la vittima della Torre in questione è stata l’artefice della sua distruzione. Abbiamo usato i cristalli per monitorare i suoi segnali vitali e abbiamo scoperto la corruzione spiritica e fisica del povero uomo, ma è stata così fulminea da impedirci ulteriori studi.»

    «Chi?» chiese Archimede, reggendosi sulle braccia poggiate sulla scrivania con il piano di costruzione della vasca ancora sul legno. Un progetto ormai conclusosi.

    «Gabràn.»

    «Gabràn? Gabràn Pebra? Il cittadino del centro Stella? Oh. Questo cambia tutto» e Archimede si lasciò sprofondare nella poltrona, costernato e privo di qualsiasi spiegazione per l’evento accaduto poche ore prima. I due arcani piombarono in un lungo silenzio, incapaci di approcciarsi ad una nuova realtà finché l’intera Stella a Cinque Punte tremò ancora una volta annunciando una seconda catastrofe. La polvere accumulatasi sul soffitto dello studio cadde abbondantemente imbrattando le loro teste e la scrivania, nell’esatto momento in cui Xand notò uno strano alone di cenere contro la finestra:

    «E quell’alone da dove proviene?»

    «Come? Oh, ti riferisci al fulmine scagliato dal Custode Baspar? Avrà ricevuto qualche spiacevole notizia e uno dei fulmini scagliati dalla sua torre è giunti fin dentro il mio studio. Nulla di irreparabile, ma adesso preoccupiamoci di questo sconquassamento!»

    Con fretta giunsero all’esterno della struttura, seguiti da altri evocatori e soldati diretti verso l’esterno del borgo e con Baspar già all’entrata delle mura di protezione di esso. Accorsero anche altri membri dei quattro borghi circostanti, con i loro governatori restando increduli nell’assistere alla presenza di uno strano figuro con una mano poggiata sulle pietre nere senza subire alcun danno da parte di essa.

    «Chi diavolo è quello?» domandò un soldato al governatore Hays, preparandosi ad attaccare con una balestra tenendosi a distanza. Il governatore Hays scosse il capo non sapendo come rispondere. Lo sconosciuto continuò con il suo strano comportamento, venendo colpito da fulmini e fruste di fuoco che, magicamente e sotto gli occhi increduli dei presenti, non causarono alcuna ferita sul suo corpo.

    « Haketa’ra ufhinshas tekrah uryabe!» esclamò l’uomo misterioso, ma la torre non reagì a quell’incantesimo anzi decise di respingere il mago con una forte sferzata di vento, distruggendo i suoi abiti. Solo allora i soldati poterono accerchiarlo impedendogli di suicidarsi o di provocare ulteriormente l’oscura struttura.

    «Fermo lì, straniero! Identificati prima di compiere ulteriori passi» intimò uno dei soldati, brandendo un pesante archibugio e puntandolo a pochi centimetri dall’incantatore. Quest’ultimo ignorò l’ordine e compì il primo passo, venendo investito da una polvere incandescente che arrestò prontamente. I soldati ammirarono le sfere di piombo vorticare su una barriera d’argento che circondava l’incantatore:

    « Trattate così gli ospiti? Con la violenza?» domandò l’evocatore irritato dal gesto troppo impulsivo dell’uomo, estinguendo dall’esistenza le sfere di piombo e sparpagliando la polvere incandescente sui soldati. L’incantatore stava per avanzare nuovamente, ma il governatore Parnasso gli puntò il suo fucile magico a pochi centimetri dal volto riuscendo a superare quella barriera evocata dallo straniero.

    «Non sei l’unico incantatore in questo luogo!»

    « Irk’hat Uferaa!» urlò il mago, in un tentativo di scansare il fuciliere. Con sua sorpresa, l’arma non subì alcun cambiamento o danno da quell’incantesimo e Parnasso replicò:

    « Ur’çekat Igveraq! Conosco tale magia cambia elementi, e su di me non ha alcun effetto! Ora identificati o ti faccio saltare quella zucca che chiami testa.»

    «Parnasso, basta così!» latrò il governatore Buccinide, ostacolando i due con autorità, il che spronò i soldati ad accerchiare ulteriormente l’estraneo incrociando le spade sul suo collo impedendogli di muoversi. Un difensore, disarmato e con indosso un mantello, afferrò delle grosse manette che paralizzarono l’incantatore sul posto:

    «Ora, cortesemente dicci chi sei e perché sei qui davanti questa torre senza subire attacchi da essa» aggiunse Buccinide, avvicinandosi al mago che continuava a squadrare i presenti. Sopraggiunsero gli altri governatori, a loro volta seguiti dai Custodi delle Torri; fu proprio Barspar a ricordarsi dell’arrivo di qualcuno di estremamente potente avendone conferma percependo la sua aura magica.

    «Mi chiamo Thymós, signore. La Torre in questione appartiene ad Abraxás, un temibile stregone del mio tempo. Il suo scopo è assoggettare chiunque e qualunque luogo al suo dominio, viaggiando di dimensioni e dimensioni finché non avrà il totale controllo dei mondi sia ultraterreni che materiali. E non subisco danni perché la torre è ancora debole, ma per poco» e non appena annunciò tale rivelazione, la Torre proruppe in una devastante baraonda magica che fece indietreggiare i soldati, i governatori e in parte l’evocatore. Dalla cima della struttura si materializzarono diverse lucciole dorate che si tramutarono in dardi incantati per poi piombare in una devastante raffica magica. Thymós unì le sue mani in una sorta di preghiera prima di farle roteare e generare un contro incantesimo tramutando i dardi in

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