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Quarto libro d'indaco
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E-book319 pagine4 ore

Quarto libro d'indaco

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Info su questo ebook

Nei primi tre Libri d'Indaco un gruppo di variopinti personaggi intraprende la ricerca della magia, in una terra fantastica da cui era stata bandita. Percorrono così strade piene di incontri improbabili. In questo quarto libro il racconto scritto da Sinenomine Silens volge a conclusione. Tutti i segni incerti trovati sin qui, acquistano significato: profezie, vecchie fiabe, nomi e volti. La magia è finalmente ritrovata nella regione di Aranto, dove mai era stata perduta. Proprio lì è però in corso una guerra silenziosa, di cui gli uomini pagano il prezzo in vittime, senza nemmeno sapere che c'è. I protagonisti dei IIII Libri d'Indaco si vi trovano proprio nel mezzo e devono loro malgrado affrontare assedi e battaglie, che si rivelano ben più grandi di loro. Il grande nemico è tornato; sta giocando una nuova partita per imporsi sulla Terra e Naarua e gli altri inciampano nelle sue mosse.

Anche in questo testo i giochi divinatori sono uno dei fili conduttori della vicenda. Alla ruota a nove, il tavoliere magico sopravvissuto alla fine dell'epoca di leggenda, si aggiungono carte, mezze lune e dadi a tre facce.
LinguaItaliano
Data di uscita27 ott 2021
ISBN9791220363501
Quarto libro d'indaco

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    Anteprima del libro

    Quarto libro d'indaco - Francesca Bulgarini

    foglio I

    Verso sud

    Luco se ne stava appollaiato su uno sperone di roccia a scrutare il cielo. Era quasi il tramonto e al di sopra delle nuvole era tutto un trionfo d'oro e di bianco. Il ragazzo lasciava vagare lo sguardo tra quelle grandi masse soffici e immaginava delle forme: un grosso pesce, delle navi, altre cose fantastiche.

    I viaggiatori alla ricerca della Colonna del Cielo erano in cammino ormai da quasi venti giorni. Poco prima di lasciare le Montagne dello Spirito, le vette più inaccessibili della Grande Freccia, si era unito a loro Tata l'acrobata, con le due gatte. L'uomo cavalcava il suo stallone nero dal muso sfregiato. Era spuntato all'improvviso lungo il sentiero che stavano percorrendo e, senza dire una parola, aveva iniziato a procedere con loro. Così ora erano in cinque: dama Blu, Tairga, Kaarira, Luco e Tata.

    Il ragazzo rimase a godersi quell'ora di quiete ancora per un poco, finché le ombre si tinsero di viola. Poi ridiscese e raggiunse il piccolo bivacco, dove Kaarira e Tairga stavano preparando la cena. I due uomini non erano certo dei cuochi, ma entrambi avevano passato la vita ad arrangiarsi e quindi sapevano come cuocere uno stufato. L'aria delle altitudini contribuiva a rendere appetitoso qualunque cibo e quindi tutti scucchiaiarono con entusiasmo nella propria scodella di legno, compresa la sacerdotessa di Eda. Luco era rimasto sorpreso da come lei si era adattata a quella vita da vagabondi. A Meffe, come capo del grande tempio del dio Eda, era stata una delle donne più potenti della città. Lui e suo padre più volte l'avevano incontrata, per i lavori di scultura che aveva loro commissionato.

    Un'altra serata scivolò nella quiete della notte e una volta di più Luco si accoccolò nella sua coperta, sopra un materasso di aghi di pino secchi. Presto avrebbero lasciato quei boschi l'altitudine, che il ragazzo aveva imparato ad amare. Non aveva idea di dove sarebbero andati, ma per lui non aveva molta importanza. Quando uscivano dalla protezione degli alberi, il sole spesso era proprio davanti alla sua faccia, per cui stavano procedendo verso sud; altro non sapeva. L'intero mondo gli era sconosciuto e i nomi dei luoghi per lui avevano poco significato. Lo affascinava però vedere la sacerdotessa che scrutava le nuvole e ogni cosa attorno a sé in cerca di segni. Era come se lei scoprisse le indicazioni sulla via da seguire nel volo di un uccello o nel muoversi dell'erba. Luco aveva sempre pregato gli dei senza porsi troppe domande, ma ora se tutto attorno a loro era un prodigio continuo, che però solo dama Blu sapeva vedere e leggere. Questo lo incuriosiva e lo spaventava, creando in lui un sentimento incerto, una specie di attesa di qualcosa che sarebbe giunto. Vagando in questi pensieri, il ragazzo si addormentò. Poco distante anche suo padre e Tairga dormivano. Dama Blu invece era seduta, sola e immobile. Nel buio Tata e le sue gatte vegliavano su tutti loro.

    Altri sei giorni passarono. Nel frattempo Tairga acchiappò un coniglio, finito in stufato, e Luco scovò delle uova in un nido di un qualche uccello che doveva essere simile a un pollo. Da lontano lo vide: era una sorta di grosso gallo dalla cresta rossa, che agitò verso di loro le ali come per minacciarli. Il cielo, quando si vedeva, era terso e vuoto. Dama Blu disse che non era giusto che non volasse nemmeno un grande uccello e che secondo lei erano spaventati dai draghi. Però di quelle enormi bestie non ne videro nessuna. Quando iniziarono i boschi di castagni anche l'aria cambiò odore. La sera Luco dovette spostare un po' di vecchi ricci, prima di poter stendere la coperta sul letto di foglie.

    Si erano accampati in un boschetto da cui si poteva vedere la valle sottostante, con il suo tappeto scuro di boschi. Dama Blu aveva lo sguardo perso nella lontananza: -Nei prossimi giorni incontreremo altri uomini. Ormai la parte selvaggia delle montagne è finita. Non sono certa però della parte del mondo in cui siamo. Se ciò che Olero pensava è corretto, potrebbe trattarsi delle montagne nel nord del Ka- vach.-

    -Sarebbe una buona cosa! Dopo tanto viaggiare, vorrei davvero sapere in che posto siamo finiti.- le rispose Tairga.

    -Non so nulla del Ka-vach.- disse Kaarira. L'uomo stava intagliando un ramo con il coltello.

    -Cosa stai facendo?- gli chiese Luco.

    -Non lo so ancora. Dipende dal legno. Il legno è diverso dalla pietra. Ti guida anche lui, ma a modo suo.-

    Tairga si alzò in piedi: -Dama Blu, vorresti ripeterci quella profezia? Continuo a meditarci su, ma non sono nemmeno sicuro di ricordarla bene.-

    -Cedo che il significato si farà chiaro nel corso del viaggio, se servirà per guidarci.-

    -Ce lo hai già detto, ma io faccio fatica!- brontolò l'uomo.

    -Non è facile affidarsi alla guida degli dei e accettare di non sapere dove poseremo il piede, mentre facciamo un nuovo passo. Mi dispiace dovervelo chiedere. Se potessi darvi risposte, lo farei, ma nemmeno io ora so quale significato abbia l'oracolo.-

    -E se non lo sapete voi, figuriamoci cosa posso capirci io! Fate conto che non ve l'abbia chiesto.- si scusò Tairga.

    -C'è qualcosa che posso condividere con voi però, qualcosa che potrebbe forse esserci d'aiuto. Vi racconterò la storia di cui ho parlato a Olero. Ascoltatela e poi ditemi se vi suggerisce qualche cosa, perché chi ascolta per la prima volta coglie verità che a chi già sa talvolta sfuggono. La storia è narrata da quella che credo si possa chiamare una sacerdotessa o forse un'ancella, di nome Sorcumedan. Dopo un pasto, i suoi ospiti le chiedono di raccontare come fu creata la Lanterna della città di Sasash, la luce sacra per tenere lontano i vampiri. Cercherò di ripetervi il testo per come è scritto, ma mi perdonerete se la mia memoria non è stata capace di ritenere parola per parola. Non era scritto in rima né in cadenza e questo non aiuta.

    "-Sorcumedan: dicevi che la creazione della Lanterna è opera di magia. Ce lo vuoi raccontare? Davvero mi piacerebbe conoscere la sua storia.- chiese l'ospite gradito che veniva da lontano..

    -Proprio a quei fatti ora stavo pensando. Si tratta di vicende antiche, ma che ognuno qui a Sasash sente vive e vicine, perché sono ciò a cui dobbiamo la nostra sicurezza. Più di settecento anni fa, prima dell'anno in cui tutti alzarono il volto verso la luce della Lanterna, questa terra era il luogo in cui si erano ammassati i più terribili vampiri del Grande Manun. Dal deserto erano giunti a cercare calore vivo, spinti dalla Kaschà. La città era buia di notte, poiché i fuochi e le lanterne con l'olio di pietra non erano che altra tenebra per quei mostri, che ne respiravano i fumi come fossero aria pura. Di giorno nulla, se non grotte e cantine buie, era da temere, ma la notte solo la lama di un amico intrepido poteva offrire scampo. Pregare gli dei recava l'aiuto che può dare un cuore più saldo e nulla più.

    Si avvicinava l'anno dell'eclissi del sole, quando la luna dorata lo avrebbe coperto per un intero lungo giorno. L'astro della Kaschà sarebbe stato solo in cielo, senza più il sole a vincerlo. Nei templi e nel palazzo delle ancelle tutti sapevano che allora la Dorata avrebbe avuto il suo momento per diventare l'unica signora della nostra città. Sasash sarebbe diventata come il perduto regno di Tanir, dove gli uomini erano vivi solo per offrire sangue ai vampiri, mentre costoro sedevano in scranni entro palazzi che di giorno erano chiusi e di notte si aprivano, lasciando uscire schiere di viaggiatori dal volto cinereo. Ed ancora Tanir era una terra fortunata, perché dove ella regnava assoluta, nel cuore del deserto, nemmeno il sole bastava a intimidirli. Là la Signora dei Miraggi li proteggeva con la sua parvenza di luce ed essi anche di giorno valicavano le dune del Grande Manun, come di certo fanno ancora oggi.

    A Sasash tuttavia non tutto era perduto. L'eclissi doveva ancora venire ed in città c'era chi cercava di porre un freno agli eventi. Viveva un uomo che era esperto di cose antiche e lettore di testi. Costui aveva compreso il pericolo dell'eclissi e cercava un rimedio. Rifletté e comprese che se il sole era ciò che proteggeva gli uomini di giorno, era al sole che ci si doveva volgere per rendere sicura anche la notte. Pensò e ripensò a come questo si potesse fare e si recò infine al palazzo delle ancelle. Sapeva infatti che tra di esse ce n'erano alcune che conoscevano la magia e proprio di costoro c'era bisogno per realizzare il suo progetto. Nel palazzo a quel tempo era signora un'ancella di nome Tannucca e fu lei a riceverlo. Lo ascoltò e comprese che aveva ragione. Allora chiamò a sé le sue ancelle migliori e diede loro degli incarichi. Tra queste tre erano maghe di particolare potere: a loro affidò il compito di andare ad ovest, a cercare il tempio della Dea della Polvere per pregarla di insegnare loro come far brillare il sole anche di notte. Prima che partissero tuttavia, poiché il cammino era lungo e di certo i vampiri avrebbero cercato di ostacolarle, assegnò ad ognuna una guardia e si accertò che fosse delle più fedeli e valenti.

    Il saggio uomo aveva un figlio che, avendo perso la madre a causa dei viaggiatori pallidi, li odiava ancor più di quanto li temesse. A costui, chiamato Occhio Grigio, affidò l'Incantatrice, poiché lui aveva una spada che già si andava tingendo per gli umori marci dei vampiri trafitti. Tannucca conosceva poi un altro giovane, un nobile ombroso, ma sincero, che quando seppe del viaggio volle che si servisse di lui. Gli affidò l'ancella più bella, poiché egli sapeva come tenere in mano una rosa senza pungersi ed ella aveva spine. Fu il nobile ombroso a condurre la terza lama e quando Tannucca lo riconobbe, non riuscì a parlare e rimase muta.

    Vi era in città un uomo che era una delle guardie delle mura e di cui tutti avevano paura, perché si diceva che non avesse timore a guardare negli occhi i vampiri e che, invece di restare impietrito, sorridesse loro e nel mentre li trafiggesse. Costui passava tutte le sue notti per le strade di Sasash. La sua era l'unica lama che si opponesse alla Dorata con efficacia e lei lo odiava. Tutti lo apprezzavano per questo, ma lo evitavano quasi quanto i vampiri suoi nemici. Quest'uomo era noto come Duesterpi e aveva l'Ombroso come amico caro al cuore. A costui dunque Tannucca affidò la terza maga, sapendo che la spada che l'avrebbe difesa era già ben scura per il sangue corrotto che il metallo aveva bevuto.

    I sei partirono. Il racconto delle vicende che capitarono loro non ci è giunto, ma è certo che i viaggiatori grigi seppero del loro incarico e li ostacolarono. Fu però inutile, perché le tre ancelle raggiunsero il tempio e là la Dea della Povere consegnò loro un talismano da usare quando fosse giunto il tempo dell'eclissi. Quella infatti sarebbe stata l'ora per tessere l'incantesimo con cui far brillare il sole di notte.

    Quando le maghe fecero ritorno a Sasash però, due delle tre lame vollero riprendere la loro vita. Duesterpi e l'Ombroso se ne andarono, dicendo a Tannucca di chiamarli se ce ne fosse stato bisogno. Rimase Occhiogrigio, perché tra lui e l'Incantatrice, che pure aveva capelli lucenti e occhi di fanciulla, era nato un dolce affetto. Tannucca si preoccupò, infatti sapeva che delle due maghe rimaste sole, una custodiva il segreto e la speranza. Così ordinò loro di tacere e impose a tutte le ancelle del palazzo di dare l'impressione di nascondere un grande segreto, così che nessuno potesse capire quale tra tutte fosse l'unica che non mentiva. Fu previdente, perché i vampiri le stavano osservando. Poiché non sapevano chi fosse quella che cercavano, quando si avvicinò l'eclissi, rapirono tutte le ancelle che risiedevano nel palazzo. Così presero anche le due prescelte, ma non l'Incantatrice, poiché era con Occhiogrigio. Intanto le prigioniere continuavano la finzione per proteggere la preziosa compagna ed anche se stesse, poiché sapevano che a trattenere il dente dei vampiri era solo il dubbio che ognuna di loro potesse essere la fanciulla che la Kaschà voleva intatta. Questo è noto come il

    Grande Ratto di Sasash ed allora quelle giovani diedero prova di coraggio.

    Fu in quel momento che Tannucca richiamò l'Ombroso e Duesterpi. I due andarono assieme ad Occhiogrigio e all'Incantatrice nella terra della luna d'Oro per salvare le ancelle. Vi riuscirono e si seppe che Duesterpi da solo era entrato nel Palazzo Velato, a Tanir, dove si annidavano i non-morti, ed aveva aperto i grandi portali per far entrare il sole e rendere sicura la via di fuga alle fanciulle. Con tutto il sangue corrotto di cui si era bagnata in quel giorno, la lama della sua spada era diventata completamente nera. Quando questo accadeva era ormai la vigilia dell'eclissi.

    A Sasash nel frattempo, poiché non avevano perso tutte le speranze, erano andati avanti a preparare l'occorrente per l'incantesimo del sole. Avevano innalzato un'alta torre con materiali preziosi, forti e belli, e sulla sua sommità era stata posta una grande lanterna, simile a quelle che si dice esistano per guidare le navi dove c'è il mare. Questa lanterna serviva a ospitare la magica luce, dono della Dea della Polvere, che avrebbe brillato di notte come splende di giorno il sole. Essa tuttavia non aveva vetri, perché così lei aveva ordinato.

    Per la vigilia dell'eclissi tutto era stato portato a termine e Tannucca attendeva, non sapendo cosa ne fosse stato delle ancelle e delle tre lame. La gente di Sasash intanto aveva paura e guardava l'alta torre con il cuore sospeso. Poi la luna dorata iniziò ad oscurare il sole. Dietro le finestre chiuse, tutta la città stava a guardare.

    Dal deserto iniziò a spirare un vento che portava sabbia rossa, di quella che c'è nelle regioni centrali del Grande Manun. Ben presto il cielo fu di quel colore e, mentre la luce del sole diminuiva, l'intera città venne avvolta dall'odore del sangue marcio. Portati da quel vento, giunsero i servi bianchi. Con loro c'era uno dei prediletti della Kaschà: un non morto che era stato un tempo un mago e conservava ancora i suoi antichi poteri. Il mago-vampiro fece scendere su tutta la città il sonno, in modo che nessuno potesse opporsi e combattere. Tutti gli abitanti di Sasash si assopirono senza desiderarlo e i vampiri iniziarono a insinuarsi nelle case, cercando i corpi caldi dei dormienti. A muoversi nelle strade vuote erano solo i servi della luna d'oro, i viaggiatori pallidi del deserto. In quel momento terribile le tre maghe e le tre lame finalmente giunsero. Prima di arrivare videro però la nube di sabbia e capirono che il deserto stava già divorando la città. Allora l'Ombroso li guidò attraverso un percorso segreto che lui conosceva, grazie al quale passarono sotto le mura e giunsero direttamente nel cuore di Sasash, senza essere scoperti. Andarono poi dove sorgeva la Lanterna e riuscirono a salire fino alla sua cima. Nel frattempo erano stati riconosciuti ed il mago-vampiro andò da loro con molti dei suoi. Uno stormo di volatili pallidi, con ali come ossa, raggiunse la torre della Lanterna ed entrò dalle sue finestre. Subito le tre lame si trovarono circondate dai vampiri e lottarono per tenerli lontani dalle maghe. Il loro capo però stava dietro e preparava incantesimi, ma la Sognatrice se ne accorse e lo fronteggiò con i suoi poteri. Intanto l'Incantatrice aveva preso tra le mani il talismano che le aveva donato la Dea della Polvere e con la sua magia lo stava risvegliando: a lei infatti spettava il compito di usarlo per creare una luce che fosse come quella del sole. Mentre attorno infuriava la battaglia, la giovane posò l'oggetto al centro della grande lanterna senza vetri. Subito da esso partirono dei sottili raggi che erano come dei cerchi e attorno si formò una grande sfera azzurra, la cui superficie era una ragnatela di fili lucenti. Quello era il vaso che la Dea della Polvere le aveva insegnato a preparare per accogliere i raggi del sole: nessun vetro infatti sarebbe stato abbastanza puro e forte per contenere il loro splendore. Poi finalmente toccò alla Fonte, che era la maga più potente che ci fosse a Sasash. La giovane soffiò tutta la sua magia all'interno dell'oggetto che l'Incantatrice aveva risvegliato. La lanterna si riempì di luce solare e per loro che erano così vicini fu come un incendio senza fiamme. I vampiri vennero ridotti in cenere e il vento con l'odore del sangue fu ricacciato nel deserto. Anche l'incantesimo del mago-vampiro si sciolse e gli abitanti si svegliarono, vedendo per la prima volta la luce della Lanterna sopra la città. Nelle strade c'erano ancora molti vampiri, ma erano ormai indeboliti e lenti. Le guardie passarono i giorni seguenti a cercarli uno ad uno.

    Fu così che Sasash divenne finalmente un luogo sicuro. Tutte le lame delle guardie erano diventate più scure, ma quelle di Occhiogrigio e dell'Ombroso erano ormai brunite mentre la spada di Duesterpi, nera come una notte senza stelle, divenne leggenda.

    Poi l'Incantatrice, la Sognatrice e la Fonte scomparvero e con loro i tre uomini e tutti i segreti che custodivano. Si dice però che ognuna delle tre abbia scelto una giovane ancella a cui affidare in eredità l'incarico e che una successione esista ancora oggi. Anche la leggendaria spada di Duesterpi è tramandata e così pure le due lame brunite, ma di questo più nessuno conosce nulla e così deve essere.-

    Sorcumedan non aggiunse altro e compresero che il racconto era terminato.

    -Se è così, allora tu di certo sai chi sono oggi le loro tre eredi.- disse l'ospite che veniva da oltre il vulcano azzurro.

    L'ancella sorrise: -Le memorie scelgono strane vie per tramandarsi. Forse altri conoscono questo segreto, ma non le Custodi del Palazzo delle Ancelle.-

    Allora parlò l'elarano dal cranio tatuato, che era giunto con l'ospite che viene da lontano: -Per me è nuovo il nome di Duesterpi, ma quando ero bambino mia zia mi raccontava una fiaba che era molto simile. La chiamava La storia della luce del sole.-

    -Questo mi stupisce. Forse tua zia veniva dalla nostra città?- chiese Sorcumedan.

    -No, lei era cresciuta a Camidala e conosceva le tradizioni di quella terra. Nella sua favola la spada nera apparteneva ad un uomo chiamato Uro. Quando la guerra con i vampiri finisce, lui si nasconde sulle pendici del vulcano Azzurro di Camidala e lì vive il resto dei suoi giorni, dopo aver sposato la maga chiamata la Fonte. Questo era il lieto fine che ci deve essere in ogni fiaba.-

    -Quello che per noi è il ricordo più sacro, altrove può diventare una storia da tramandare per la sua piacevolezza.- rispose l'ancella.

    -Anche mia zia parlava dell'Incantatrice, della

    Sognatrice e della Fonte. C'era il viaggio, il rapimento, il palazzo dei vampiri e poi il terribile mago vampiro. Io ero un bambino e mi spaventavo sempre, anche se sapevo che Uro avrebbe vinto. Era una delle mie storie preferite e non mi stancavo di ascoltarla.-

    -Raccontava anche che destino hanno gli altri?- chiese allora l'ospite che veniva da lontano.

    -Sei curioso! Speri forse di ritrovare quei segreti che noi a Sasash abbiamo scelto di perdere?- si lamentò l'ancella.

    -Non proverò a negarlo- rispose lui.

    L'elarano dal cranio disegnato allora proseguì:

    -Occhiogrigio si chiama Rakan e torna a vivere nella casa di suo padre, assieme all'Incantatrice, perché lui per la gente è solo il figlio del vecchio studioso e non ha bisogno di nascondersi. L'Ombroso fino alla fine non si sa chi sia. Dopo che la luce del sole è stata accesa, lui chiede alla Sognatrice di sposarlo e lei accetta. Solo allora lui le rivela di essere il re. Da allora vivono come re e regina, ma nessuno sa che la prescelta del sovrano è colei che ha affrontato il mago- vampiro.-

    L'ospite che veniva da oltre il Vulcano Azzurro non parlò, ma guardava l'ancella con una domanda silenziosa. Sorcumedan tuttavia rimase muta."

    Dama Blu tacque e scese il silenzio. Poi Tairga parlò:

    -Non solo hai ritrovato il racconto, ma anche i segreti che esso nasconde! Mi chiedo chi abbia messo per iscritto il dialogo e a che scopo. Di certo il fatto che fosse a Camidala non è un caso. In che lingua era narrato?-

    -Era scritto in bibliato e la lingua era il vergato, ma credo che si trattasse di una traduzione, perché i nomi erano in caratteri fonetici, come se chi scriveva fosse incerto sui simboli bibliati da usare. Mi guardi con incertezza e ti chiedo scusa.-

    L'uomo scosse la testa: -Sono io a scusarmi, perché non riesco a capire quello che mi spieghi. Le scritture per me restano un mistero che è secondo solo alla magia! Mi sembra però che il racconto voglia legare la leggenda alla famiglia reale della città di Sasash, per darle prestigio.-

    -Forse, o forse davvero è una rivelazione di segreti ben custoditi. Comunque sia, ci racconta che la Dea senza Nome può vincere la Kashà e i suoi servi. A me non pare però che per il nostro viaggio sia di grande utilità.-

    -Nemmeno a me. Olero lo ha ascoltato?- chiese lui.

    Lei annuì: -Era del mio stesso avviso. Invece i suoi pensieri sulla profezia andavano in direzioni diverse, poiché lui vi cercava l'eco di altri canti e di altri oracoli.-

    -Cosa intendete?-

    -Le cicale che volano e la luna che ascoltano. I fiocchi di neve. L'albero delle castagne d'acqua. Il cuculo d'argento. Le siepi e il labirinto. Infine i serpenti d'acqua e Giungi. Come vanno compresi? Olero crede che Giungi sia la Chimera, che si dice giaccia nel cuore di uno dei templi degli antichi paragadan. Se fosse così, allora quando finalmente ce la troveremo davanti sapremmo che siamo arrivati. Purtroppo però nemmeno lui sa nulla della Chimera, perché era uno dei segreti che quei preti custodivano con più cura.-

    -E il cuculo d'argento?- chiese Kaarira.

    -Te lo immagini scolpito, eh?- disse Tairga.

    -Potrebbe esserlo.- rispose lui. -Le castagne d'acqua cosa sono?-

    -Prisco dice che non sono castagne come le altre, ma i frutti di erbe che crescono sul fondo dei laghi e dei fiumi. Non hanno alberi.- rispose dama Blu.

    -Perfetto!- commentò Tairga.

    -Il fiume è come un albero.- disse allora Luco. Gli altri lo guardarono e lui allora proseguì: -Se lo guardi dall'alto, in certi disegni sembra un albero con i rami da una parte e le radici dall'altra. Ce n'era uno sulle pareti di un palazzo in cui abbiamo lavorato, a Meffe. Era una specie di mappa dipinta e c'era un fiume: i torrenti che lo nutrivano erano le sue radici e poi i canali con cui si buttava nel mare erano i rami. Stiamo andando dove c'è un grande fiume che si divide in tre rami?-

    La dama prese un bastoncino e tracciò un disegno sul terreno. Nella luce fioca della lanterna si scorgevano due righe quasi parallele: una si divideva in tre spessi tratti e l'altra in un groviglio di righe sottili.

    -Il primo è il fiume Filikka e il secondo è il Vach.

    Tairga fischiò piano: -Bravo ragazzo! Se l'hai azzeccata, ci hai risparmiato di perlustrare tutto il delta del Vach per nulla!-

    Luco sorrise soddisfatto. Era bello ogni tanto essere preso sul serio. Continuarono ancora per un poco a ragionare sulla profezia, ma senza concludere nulla. Alla fine Kaa porse a dama Blu l'oggetto che aveva scolpito: -Anche se non è un cuculo d'argento, prendetelo.-

    -Una piccola civetta, così cara al mio dio. Grazie, mi è ben più gradita di un cuculo!- rispose lei.

    La danza del ragno

    Sono tutti pazzi, ma a me tocca portare pazienza. Ormai solo i pazzi mi danno retta, per cui anche io sono diventato uno di loro: ho poco da disprezzarli. Finirà che mi metterò a ballare. Alzerò le braccia al cielo e inizierò a saltellare da un piede all'altro, mentre i violini suonano. L'uomo fissava il santuario per non vedere il resto. Attorno a lui tutto era avvolto da una spessa bambagia di canti, musica e preghiere, che accoglieva i gridi scomposti delle donne e li cullava. "Toccare il

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